don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Lunedì, 18 Agosto 2025 04:54

Unicità e Imputabilità

11. «Ognuno per la sua via», dice il Concilio. Dunque, non è il caso di scoraggiarsi quando si contemplano modelli di santità che appaiono irraggiungibili. Ci sono testimonianze che sono utili per stimolarci e motivarci, ma non perché cerchiamo di copiarle, in quanto ciò potrebbe perfino allontanarci dalla via unica e specifica che il Signore ha in serbo per noi. Quello che conta è che ciascun credente discerna la propria strada e faccia emergere il meglio di sé, quanto di così personale Dio ha posto in lui (cfr 1 Cor 12,7) e non che si esaurisca cercando di imitare qualcosa che non è stato pensato per lui. Tutti siamo chiamati ad essere testimoni, però esistono molte forme esistenziali di testimonianza. Di fatto, quando il grande mistico san Giovanni della Croce scriveva il suo Cantico spirituale, preferiva evitare regole fisse per tutti e spiegava che i suoi versi erano scritti perché ciascuno se ne giovasse «a modo suo». Perché la vita divina si comunica ad alcuni in un modo e ad altri in un altro.

[Gaudete et Exsultate]

 

Inoltre, i pastori e i laici che accompagnano i loro fratelli e sorelle nella fede o in un percorso di apertura a Dio devono sempre ricordare quello che dice chiaramente il Catechismo della Chiesa Cattolica: ‘L’imputabilità e la responsabilità per un’azione possono essere diminuite o addirittura annullate dall’ignoranza, inconsapevolezza, coercizione, paura, abitudine, attaccamento eccessivo e altri fattori psicologici o sociali’. Di conseguenza, senza allontanarsi dall’ideale evangelico, devono accompagnare con pazienza e misericordia attraverso i vari stadi di crescita personale, quando questi si verificano. Voglio ricordare ai preti che il confessionale non deve essere una camera di tortura, ma piuttosto un luogo di incontro con la misericordia di Dio che ci sprona a fare del nostro meglio. Un piccolo passo, nel mezzo delle nostre umane limitazioni, può fare più piacere a Dio di una vita che apparentemente è perfetta, ma procede senza mai incontrare grandi difficoltà.

[Papa Francesco, in:

https://www.spaziosacro.com/node/186126]

(Mt 23,13-22)

 

«Ahimé per voi, scribi e farisei teatranti, poiché chiudete il regno dei cieli davanti alla gente» (Mt 23,13).

Senza troppi complimenti, Gesù smaschera gli intoccabili veterani e capi religiosi, tutti d’accordo [per la prima volta nella loro vita] e coalizzati per motivi d’interesse.

Ipocrita è chi mette un velo alla realtà, affinché appaia diversa: il brutto deve sembrare bello, il male (o la fatica) un bene.

‘Radicalità del credere’ non è attaccamento alle sottigliezze di ragionamenti e discipline, bensì la Fede come corrente di vita - “dovere” sì, ma di amore.

Il tono durissimo e attualissimo fa comprendere che il Signore si duole profondamente [vv.13-16.23: «Ahimé per voi...»; «Ahi a voi...»].

Il giovane Rabbi non si sta confrontando con le doppiezze ben mascherate di scribi e farisei di due millenni or sono.

Egli parla da padrone perché si rivolge ai primi della classe nelle sue comunità. Vanitosi che fanno teatro di sé, usando il Signore a paravento, sequestrandolo; prendendolo in ostaggio.

Proprio gli esperti chiudono il Regno - ossia l’ambito in cui il Padre “regna”.

Essi presentano un Dio legislatore e giudice, in ultima analisi uguale a quello delle religioni o del Primo Testamento.

In tal guisa, proprio i leaders falsificano l’immagine della Chiesa.

Così facendo, sono proprio appunto i presunti eletti, gli integri ed esperti di ritorno nelle assemblee cristiane, che mortificano il Volto amabile dell’Eterno.

Lo rendevano una caricatura insopportabile, che allontanava i cuori.

Insomma, già nelle prime assemblee i responsabili che non sapevano mettersi da parte manipolavano Figlio e Padre.

Reintroducevano antiche trafile, forme di rispetto [e di dazio] nei loro confronti; nonché l’idea di un Dio moralizzatore, che imbarazzava di tormenti coloro che si affacciavano alla soglia delle assemblee.

Idiozie di superbi che ritenevano di non aver bisogno di compassione… esercitate sui segni (così ritenuti) del peccato altrui.

Tutto ciò chiudeva l'anima dei malfermi. Insomma, nulla aveva a che fare con il Progetto di salvezza del Padre.

 

«Verità» è ciò che si dona, non quel che si crede di possedere.

Nelle sue fraternità Gesù pretende guide illuminate, non di grido; non «recitanti» che si appiccicano a ruoli [sorpassati o à la page].

Ricominciavano invece a fare capolino discipline dell’arcano, tabelle di marcia, pretese, false forme di sudditanza e manipolazione.

Artifici utili solo ai marpioni che sapevano come trasformare la devozione spontanea delle persone in mercato, foro, e passerella - dove tutto si compra e si vende a prezzo (anche di realizzo).

Situazione che blocca la vita, perché lo zelo delle figure ufficiali non sempre è buono - in specie se di maniera.

Nei lontani e insignificanti - viceversa - Gesù incontrava persone forse eticamente più negative e compromesse delle guide conformiste, ma senza maschera.

Donne e uomini dal volto genuino, non «teatranti» con qualcosa di fasullo da salvare [vv.13-15 testo greco].

Gli ultimi e inesperti non erano doppi, né corrotti dentro. Non perdevano il senso della vicinanza.

Sempre i ‘piccoli’, gli ‘infanti’ conoscono il Padre che cammina col suo popolo. E non diventano sleali: possono dunque ricevere la gioia di una vita ritrovata.

 

 

[Lunedì 21.a sett. T.O.  25 agosto 2025]

(Mt 23,13-22)

 

«Ahimé per voi, scribi e farisei teatranti, poiché chiudete il regno dei cieli davanti alla gente» (Mt 23,13).

Senza troppi complimenti, Gesù smaschera gli intoccabili veterani e capi religiosi, tutti d’accordo [per la prima volta nella loro vita] e coalizzati per motivi d’interesse.

Ipocrita è chi mette un velo alla realtà, affinché appaia diversa: il brutto deve sembrare bello, il male (o la fatica) un bene.

‘Radicalità del credere’ non è attaccamento alle sottigliezze di ragionamenti e discipline, bensì la Fede come corrente di vita - “dovere” sì, ma di amore.

Il tono durissimo e attualissimo fa comprendere che il Signore si duole profondamente [vv.13-16.23: «Ahimé per voi...»; «Ahi a voi...»].

Il giovane Rabbi non si sta confrontando con le doppiezze ben mascherate di scribi e farisei di due millenni or sono.

Egli parla da padrone perché si rivolge ai primi della classe nelle sue comunità. Vanitosi che fanno teatro di sé, usando il Signore a paravento, sequestrandolo; prendendolo in ostaggio.

Proprio gli esperti chiudono il Regno - ossia l’ambito in cui il Padre “regna”.

Essi presentano un Dio legislatore e giudice, in ultima analisi uguale a quello delle religioni o del Primo Testamento.

In tal guisa, proprio i leaders falsificano l’immagine della Chiesa.

Così facendo, sono proprio appunto i presunti eletti, gli integri ed esperti di ritorno nelle assemblee cristiane, che mortificano il Volto amabile dell’Eterno.

Lo rendevano una caricatura insopportabile, che allontanava i cuori.

Insomma, già nelle prime assemblee i responsabili che non sapevano mettersi da parte manipolavano Figlio e Padre.

Reintroducevano antiche trafile, forme di rispetto [e di dazio] nei loro confronti; nonché l’idea di un Dio moralizzatore, che imbarazzava di tormenti coloro che si affacciavano alla soglia delle assemblee.

Idiozie di superbi che ritenevano di non aver bisogno di compassione… esercitate sui segni (così ritenuti) del peccato altrui.

Tutto ciò chiudeva l'anima dei malfermi. Insomma, nulla aveva a che fare con il Progetto di salvezza del Padre.

 

«Verità» è ciò che si dona, non quel che si crede di possedere.

Nelle sue fraternità Gesù pretende guide illuminate, non di grido; non «recitanti» che si appiccicano a ruoli [sorpassati o à la page].

Ricominciavano invece a fare capolino discipline dell’arcano, tabelle di marcia, pretese, false forme di sudditanza e manipolazione.

Artifici utili solo ai marpioni che sapevano come trasformare la devozione spontanea delle persone in mercato, foro, e passerella - dove tutto si compra e si vende a prezzo (anche di realizzo).

Situazione che blocca la vita, perché lo zelo delle figure ufficiali non sempre è buono - in specie se di maniera.

Nei lontani e insignificanti - viceversa - Gesù incontrava persone forse eticamente più negative e compromesse delle guide conformiste, ma senza maschera.

Donne e uomini dal volto genuino, non «teatranti» con qualcosa di fasullo da salvare [vv.13-15 testo greco].

Gli ultimi e inesperti non erano doppi, né corrotti dentro. Non perdevano il senso della vicinanza.

Sempre i ‘piccoli’, gli ‘infanti’ conoscono il Padre che cammina col suo popolo. E non diventano sleali: possono dunque ricevere la gioia di una vita ritrovata.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

La tua comunità ha cura della tua rara eccezionalità? Che Volto divino trasmette? Aiuta a ritrovarti o ti vincola in partenza ai suoi schemi?

 

 

 

Dives in Misericordia: teocentrismo e antropocentrismo 

 

«Dio ricco di misericordia» (Ef 2,4) è colui che Gesù Cristo ci ha rivelato come Padre: proprio il suo Figlio, in se stesso, ce l'ha manifestato e fatto conoscere.

Quanto più la missione svolta dalla Chiesa si incentra sull'uomo, quanto più è, per così dire, antropocentrica, tanto più essa deve confermarsi e realizzarsi teocentricamente, cioè orientarsi in Gesù Cristo verso il Padre. Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocentrismo e l'antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell'uomo in maniera organica e profonda. E questo è anche uno dei principi fondamentali, e forse il più importante, del magistero dell'ultimo Concilio.

[Papa Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia n.1]

 

 

Hanno perso la chiave dell’intelligenza

 

Ecco che, ha affermato il Papa, costoro «arrivano a un mucchio di prescrizioni e per loro questa è la salvezza: hanno perso la chiave dell’intelligenza che, in questo caso, è la gratuità della salvezza». In realtà «la legge è una risposta all’amore gratuito di Dio: è Lui che ha preso l’iniziativa di salvarci e perché tu mi hai amato tanto, io cerco di andare per la tua strada, quella che tu mi hai indicato», in una parola «io compio la legge». Ma «è una risposta» perché «la legge, sempre, è una risposta e quando si dimentica la gratuità della salvezza si cade, si perde la chiave dell’intelligenza della storia della salvezza».

E, ancora, ha rilanciato il Pontefice, quelle persone «hanno perso la chiave dell’intelligenza perché hanno perso il senso della vicinanza di Dio: per loro Dio è quello che ha fatto la legge» ma «questo non è il Dio della rivelazione». In realtà «il Dio della rivelazione è Dio che ha incominciato a camminare con noi da Abramo fino a Gesù Cristo: Dio che cammina con il suo popolo». Perciò «quando si perde questo rapporto vicino con il Signore, si cade in questa mentalità ottusa che crede nell’autosufficienza della salvezza con il compimento della legge».

Proprio «il passo evangelico di oggi ne segnala due», è stata la risposta. «Prima di tutto la chiusura: “Voi non siete entrati e a quelli che volevano entrare, voi l’avete impedito”». Sì, «questa gente chiudeva la porta ai fedeli e i fedeli non capivano: loro, tutta la loro teologia morale, facevano del manierismo intellettuale, ma non arrivava alla gente e, con questo, allontanavano la gente. No, questa non è la religione che io volevo: questa non è la verità della salvezza in Gesù Cristo». E, ha precisato il Pontefice, «io qui penso alla responsabilità che abbiamo noi pastori: quando noi pastori perdiamo o portiamo via la chiave dell’intelligenza, chiudiamo la porta a noi e agli altri».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 20/10/2017]

 

 

Memoria della Gratuità

 

Il Signore ci dia memoria della “gratuità” della salvezza e della vicinanza di Dio e della concretezza delle opere di misericordia che vuole da noi, siano esse “materiali o spirituali”: così diventeremo persone che aiutano ad “aprire la porta” a noi stessi e agli altri. È la preghiera del Papa nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Prendendo spunto dall’odierno brano evangelico di Luca, in cui scribi e farisei si reputavano giusti e Gesù fa loro toccar con mano che Dio solo è giusto, Francesco spiega perché i dottori della legge avessero “portato via la conoscenza”, con la “conseguenza” di “non entrare nel Regno e neppure lasciare entrare gli altri”.

“Questo portare via la capacità di capire la rivelazione di Dio, di capire il cuore di Dio, di capire la salvezza di Dio - la chiave della conoscenza -, possiamo dire che è una grave dimenticanza. Si dimentica la gratuità della salvezza; si dimentica la vicinanza di Dio e si dimentica la misericordia di Dio. E quelli che dimenticano la gratuità della salvezza, la vicinanza di Dio e la misericordia di Dio, hanno portato via la chiave della conoscenza”.

Si è dunque “dimenticato” la gratuità. E’ “l’iniziativa di Dio a salvarci e invece si schierano dalla parte della legge”: la salvezza - dice il Papa - “è lì, per loro”, arrivando in tal modo “ad un mucchio di prescrizioni” che di fatto diventano la salvezza. Così però “non ricevono la forza della giustizia di Dio”. La legge è invece sempre “una risposta all’amore gratuito di Dio”, che ha preso “l’iniziativa” di salvarci. E, aggiunge Francesco, “quando si dimentica la gratuità della salvezza si cade, si perde la chiave dell’intelligenza della storia della salvezza”, perdendo “il senso della vicinanza di Dio”.

“Per loro Dio è quello che ha fatto la legge. E questo non è il Dio della rivelazione. Il Dio della rivelazione è Dio che ha incominciato a camminare con noi da Abramo fino a Gesù Cristo, Dio che cammina con il suo popolo. E quando si perde questo rapporto vicino con il Signore, si cade in questa mentalità ottusa che crede nell’autosufficienza della salvezza con il compimento della legge. La vicinanza di Dio”.

Quando infatti manca la vicinanza di Dio, quando manca la preghiera, evidenzia il Papa, “non si può insegnare la dottrina” e neppure “fare teologia”, tanto meno “teologia morale”: Francesco ribadisce che la teologia “si fa in ginocchio, sempre vicino a Dio”. E la vicinanza del Signore arriva “al punto più alto di Gesù Cristo crocifisso”, essendo noi stati “giustificati” per il sangue di Cristo, come dice San Paolo. Per questo, spiega il Pontefice, le opere di misericordia “sono la pietra di paragone del compimento della legge”, perché si va a toccare la carne di Cristo, “toccare Cristo che soffre in una persona, sia corporalmente sia spiritualmente”. E inoltre mette in guardia dal fatto che, quando si perde la chiave della conoscenza, si arriva pure “alla corruzione”. Il Papa pensa infine alla “responsabilità” dei pastori, oggi nella Chiesa: quando perdono o portano via “la chiave dell’intelligenza”, chiudendo “la porta a noi e agli altri”.

“Nel mio Paese ho sentito parecchie volte di parroci che non battezzavano i figli delle ragazze madri, perché non erano nati nel matrimonio canonico. Chiudevano la porta, scandalizzavano il popolo di Dio, perché? Perché il cuore di questi parroci aveva perso la chiave della conoscenza. Senza andare tanto lontano nel tempo e nello spazio, tre mesi fa, in un paese, in una città, una mamma voleva battezzare il figlio appena nato, ma lei era sposata civilmente con un divorziato. Il parroco ha detto: “Sì, sì. Battezzo il bambino. Ma tuo marito è divorziato. Rimanga fuori, non può essere presente alla cerimonia”. Questo succede oggi. I farisei, i dottori della legge non sono cose di quei tempi, anche oggi ce ne sono tante. Per questo è necessario pregare per noi pastori. Pregare, perché non perdiamo la chiave della conoscenza e non chiudiamo la porta a noi e alla gente che vuole entrare”.

 

[Giada Aquilino, in:

https://www.vaticannews.va/it/papa-francesco/messa-santa-marta/2017-10/papa-a-santa-marta--gratuita-della-salvezza-di-dio-apre-porta-ag.html]

Certo, in questi ultimi decenni, abbiamo vissuto anche un altro uso della parola «fede adulta». Si parla di «fede adulta», cioè emancipata dal Magistero della Chiesa. Fino a quando sono sotto la madre, sono fanciullo, devo emanciparmi; emancipato dal Magistero, sono finalmente adulto. Ma il risultato non è una fede adulta, il risultato è la dipendenza dalle onde del mondo, dalle opinioni del mondo, dalla dittatura dei mezzi di comunicazione, dall’opinione che tutti pensano e vogliono. Non è vera emancipazione, l’emancipazione dalla comunione del Corpo di Cristo! Al contrario, è cadere sotto la dittatura delle onde, del vento del mondo. La vera emancipazione è proprio liberarsi da questa dittatura, nella libertà dei figli di Dio che credono insieme nel Corpo di Cristo, con il Cristo Risorto, e vedono così la realtà, e sono capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo.

Mi sembra che dobbiamo pregare molto il Signore, perché ci aiuti ad essere emancipati in questo senso, liberi in questo senso, con una fede realmente adulta, che vede, fa vedere e può aiutare anche gli altri ad arrivare alla vera perfezione, alla vera età adulta, in comunione con Cristo.

In questo contesto c’è la bella espressione dell’aletheuein en te agape, essere veri nella carità, vivere la verità, essere verità nella carità: i due concetti vanno insieme. Oggi il concetto di verità è un po’ sotto sospetto perché si combina verità con violenza. Purtroppo nella storia ci sono stati anche episodi dove si cercava di difendere la verità con la violenza. Ma le due sono contrarie. La verità non si impone con altri mezzi, se non da se stessa! La verità può arrivare solo tramite se stessa, la propria luce. Ma abbiamo bisogno della verità; senza verità non conosciamo i veri valori e come potremo ordinare il kosmos dei valori? Senza verità siamo ciechi nel mondo, non abbiamo strada. Il grande dono di Cristo è proprio che vediamo il Volto di Dio e, anche se in modo enigmatico, molto insufficiente, conosciamo il fondo, l’essenziale della verità in Cristo, nel suo Corpo. E conoscendo questa verità, cresciamo anche nella carità che è la legittimazione della verità e ci mostra che è verità. Direi proprio che la carità è il frutto della verità - l’albero si conosce dai frutti – e se non c’è carità, anche la verità non è propriamente appropriata, vissuta; e dove è la verità, nasce la carità. Grazie a Dio, lo vediamo in tutti i secoli: nonostante i fatti negativi, il frutto della carità è sempre stato presente nella cristianità e lo è oggi! Lo vediamo nei martiri, lo vediamo in tante suore, frati e sacerdoti che servono umilmente i poveri, i malati, che sono presenza della carità di Cristo. E così sono il grande segno che qui è la verità.

Preghiamo il Signore perché ci aiuti a portare il frutto della carità ed essere così testimoni della sua verità. Grazie.

[Papa Benedetto, Incontro con i parroci di Roma 23 febbraio 2012]

«Dio ricco di misericordia» (Ef 2,4) è colui che Gesù Cristo ci ha rivelato come Padre: proprio il suo Figlio, in se stesso, ce l'ha manifestato e fatto conoscere.

Quanto più la missione svolta dalla Chiesa si incentra sull'uomo, quanto più è, per così dire, antropocentrica, tanto più essa deve confermarsi e realizzarsi teocentricamente, cioè orientarsi in Gesù Cristo verso il Padre. Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocentrismo e l'antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell'uomo in maniera organica e profonda. E questo è anche uno dei principi fondamentali, e forse il più importante, del magistero dell'ultimo Concilio.

[Papa Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia n.1]

Domenica, 17 Agosto 2025 18:43

Hanno perso la chiave dell’intelligenza

Ecco che, ha affermato il Papa, costoro «arrivano a un mucchio di prescrizioni e per loro questa è la salvezza: hanno perso la chiave dell’intelligenza che, in questo caso, è la gratuità della salvezza». In realtà «la legge è una risposta all’amore gratuito di Dio: è Lui che ha preso l’iniziativa di salvarci e perché tu mi hai amato tanto, io cerco di andare per la tua strada, quella che tu mi hai indicato», in una parola «io compio la legge». Ma «è una risposta» perché «la legge, sempre, è una risposta e quando si dimentica la gratuità della salvezza si cade, si perde la chiave dell’intelligenza della storia della salvezza».

E, ancora, ha rilanciato il Pontefice, quelle persone «hanno perso la chiave dell’intelligenza perché hanno perso il senso della vicinanza di Dio: per loro Dio è quello che ha fatto la legge» ma «questo non è il Dio della rivelazione». In realtà «il Dio della rivelazione è Dio che ha incominciato a camminare con noi da Abramo fino a Gesù Cristo: Dio che cammina con il suo popolo». Perciò «quando si perde questo rapporto vicino con il Signore, si cade in questa mentalità ottusa che crede nell’autosufficienza della salvezza con il compimento della legge».

Proprio «il passo evangelico di oggi ne segnala due», è stata la risposta. «Prima di tutto la chiusura: “Voi non siete entrati e a quelli che volevano entrare, voi l’avete impedito”». Sì, «questa gente chiudeva la porta ai fedeli e i fedeli non capivano: loro, tutta la loro teologia morale, facevano del manierismo intellettuale, ma non arrivava alla gente e, con questo, allontanavano la gente. No, questa non è la religione che io volevo: questa non è la verità della salvezza in Gesù Cristo». E, ha precisato il Pontefice, «io qui penso alla responsabilità che abbiamo noi pastori: quando noi pastori perdiamo o portiamo via la chiave dell’intelligenza, chiudiamo la porta a noi e agli altri».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 20/10/2017]

 

 

Memoria della Gratuità

 

Il Signore ci dia memoria della “gratuità” della salvezza e della vicinanza di Dio e della concretezza delle opere di misericordia che vuole da noi, siano esse “materiali o spirituali”: così diventeremo persone che aiutano ad “aprire la porta” a noi stessi e agli altri. È la preghiera del Papa nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Prendendo spunto dall’odierno brano evangelico di Luca, in cui scribi e farisei si reputavano giusti e Gesù fa loro toccar con mano che Dio solo è giusto, Francesco spiega perché i dottori della legge avessero “portato via la conoscenza”, con la “conseguenza” di “non entrare nel Regno e neppure lasciare entrare gli altri”.

“Questo portare via la capacità di capire la rivelazione di Dio, di capire il cuore di Dio, di capire la salvezza di Dio - la chiave della conoscenza -, possiamo dire che è una grave dimenticanza. Si dimentica la gratuità della salvezza; si dimentica la vicinanza di Dio e si dimentica la misericordia di Dio. E quelli che dimenticano la gratuità della salvezza, la vicinanza di Dio e la misericordia di Dio, hanno portato via la chiave della conoscenza”.

Si è dunque “dimenticato” la gratuità. E’ “l’iniziativa di Dio a salvarci e invece si schierano dalla parte della legge”: la salvezza - dice il Papa - “è lì, per loro”, arrivando in tal modo “ad un mucchio di prescrizioni” che di fatto diventano la salvezza. Così però “non ricevono la forza della giustizia di Dio”. La legge è invece sempre “una risposta all’amore gratuito di Dio”, che ha preso “l’iniziativa” di salvarci. E, aggiunge Francesco, “quando si dimentica la gratuità della salvezza si cade, si perde la chiave dell’intelligenza della storia della salvezza”, perdendo “il senso della vicinanza di Dio”.

“Per loro Dio è quello che ha fatto la legge. E questo non è il Dio della rivelazione. Il Dio della rivelazione è Dio che ha incominciato a camminare con noi da Abramo fino a Gesù Cristo, Dio che cammina con il suo popolo. E quando si perde questo rapporto vicino con il Signore, si cade in questa mentalità ottusa che crede nell’autosufficienza della salvezza con il compimento della legge. La vicinanza di Dio”.

Quando infatti manca la vicinanza di Dio, quando manca la preghiera, evidenzia il Papa, “non si può insegnare la dottrina” e neppure “fare teologia”, tanto meno “teologia morale”: Francesco ribadisce che la teologia “si fa in ginocchio, sempre vicino a Dio”. E la vicinanza del Signore arriva “al punto più alto di Gesù Cristo crocifisso”, essendo noi stati “giustificati” per il sangue di Cristo, come dice San Paolo. Per questo, spiega il Pontefice, le opere di misericordia “sono la pietra di paragone del compimento della legge”, perché si va a toccare la carne di Cristo, “toccare Cristo che soffre in una persona, sia corporalmente sia spiritualmente”. E inoltre mette in guardia dal fatto che, quando si perde la chiave della conoscenza, si arriva pure “alla corruzione”. Il Papa pensa infine alla “responsabilità” dei pastori, oggi nella Chiesa: quando perdono o portano via “la chiave dell’intelligenza”, chiudendo “la porta a noi e agli altri”.

“Nel mio Paese ho sentito parecchie volte di parroci che non battezzavano i figli delle ragazze madri, perché non erano nati nel matrimonio canonico. Chiudevano la porta, scandalizzavano il popolo di Dio, perché? Perché il cuore di questi parroci aveva perso la chiave della conoscenza. Senza andare tanto lontano nel tempo e nello spazio, tre mesi fa, in un paese, in una città, una mamma voleva battezzare il figlio appena nato, ma lei era sposata civilmente con un divorziato. Il parroco ha detto: “Sì, sì. Battezzo il bambino. Ma tuo marito è divorziato. Rimanga fuori, non può essere presente alla cerimonia”. Questo succede oggi. I farisei, i dottori della legge non sono cose di quei tempi, anche oggi ce ne sono tante. Per questo è necessario pregare per noi pastori. Pregare, perché non perdiamo la chiave della conoscenza e non chiudiamo la porta a noi e alla gente che vuole entrare”.

 

[Giada Aquilino, in:

https://www.vaticannews.va/it/papa-francesco/messa-santa-marta/2017-10/papa-a-santa-marta--gratuita-della-salvezza-di-dio-apre-porta-ag.html]

Domenica, 17 Agosto 2025 17:59

Primi ultimi. Il recupero degli opposti

Porta stretta: non perché oppressiva

(Lc 13,22-30)

 

Il senso della prima domanda è: «La Salvezza è esclusiva?» (v.23). Certo che no - e neppure dispotica. Ma non basta dichiararsi “Amici”.

A mezzo secolo dalla crocifissione di Gesù, nelle comunità iniziano a manifestarsi i primi segni di rilassamento.

I privilegiati sono già fuori Casa [vv.25ss].

La loro vicenda mette in guardia dall’illusione di sentirsi “eletti”. E interroga i credenti. Come fare per collocarsi sulla strada giusta?

Occasione per capire se siamo sui passi che davvero ci appartengono è la revisione costante del rapporto con la Persona “inadeguata” del Cristo [la «Porta stretta»: v.24].

Secondo il Maestro non si diventa “migliori” ricalcando cliché abitudinari ostentati, scarsamente convinti e adempiuti per tran tran.

Insomma, chi opera molte cose per Dio (v.26) e non per i fratelli - o neppure si accorge che esistono - in realtà non rende onore al Padre.

Coloro che non si “sgonfiano”, non solo mancano di umiltà per farsi servitori, ma neppure attraversano gli interstizi dei muri in cui s’incunea lo Spirito.

Ci chiediamo però ancora sorpresi come può il Padre trascurare proprio i suoi che hanno tanto creduto in Lui, e prediligere addirittura i lontani, provenienti non si sa bene da dove.

Forse hanno amato come Lui. Non hanno avuto una “corretta” relazione con Dio, ma una giusta relazione con gli altri, sì.

È nel loro intimo che hanno conosciuto il Signore. Personalmente. E trasmigrando, hanno compiuto il loro Esodo.

Andando direttamente all’obiettivo, si sono interessati del frutto: ascolto, compassione, condivisione generosa dei beni - invece delle molte foglie.

Con gli occhi dell’anima, in queste persone del tutto prive di supponenza spirituale, la percezione degli orientamenti interiori ha vinto i pensieri e gl’idoli del costume a portata di mano.

Essi sono coloro che non si sono mai considerati troppo grandi.

Vale per noi: non sentirsi eccellenti e non avere pretese è dal Cristo valutato assai più delle carte in regola.

Egli definisce costoro «facitori di cose vane, facitori di cose morte» [Lc 13,27; il testo greco ha un sottofondo semita del genere: Sal 6,9 testo ebraico].

Si riferisce ai ‘tiepidi’ che vanno avanti per inerzia e ancora oggi partecipano alle manifestazioni esteriori con estrema superficialità.

Fanno corpo, ma personalmente non mettono in moto nulla. Non sono passati per la «Porta stretta» che è Gesù stesso.

Costringendolo a dire: «Non so ‘da’ dove voi siete» (vv.25-27).

I veri discepoli partecipano del Banchetto senza finzioni: non hanno fuggito il mondo, hanno lottato (v. 24) per farsi capaci di amare. Si sono compromessi.

In tal modo hanno saputo incontrare gli stati profondi di se stessi e accompagnare le eccentricità altrui, recuperandone gli opposti (v.30).

 

«Porta stretta»: non perché oppressiva.

 

 

[21.a Domenica T.O. (anno C), 24 agosto 2025]

Domenica, 17 Agosto 2025 17:56

Spiritualità di cose morte: i primi, ultimi

Lc 13,22-30 (18-30)

 

Inizi modesti, Prodigio che non stordisce

 

Dal di dentro e nel domestico

(Lc 13,18-21)

 

Le due parabole sono state esposte in un momento di dubbio circa la proposta del Maestro e la missione dei suoi. Un piccolo gruppetto di fedeli privi di aggancio sociale, poteva dire qualcosa al mondo?

Malgrado l’impegno, donne e uomini si arrovellano in tutti i loro antichi problemi, sentono il peso di sofferenze e angosce: a prima vista tutto sembra come prima, sconnesso, caotico, frammentario.

Che senso ha per il concerto culturale e civico - oggi globale - la piccola speranza di pochi credenti privi d’un patrimonio appariscente?

Sembra che nella realtà del cosmo nulla cambi… ma il Granello è stato gettato nel solco della terra. Pare che la pasta umana sia quella di sempre, ma un Lievito la sta rinnovando tutta, dal di dentro.

Gesù è stato come un semino piantato nell’oscurità, nulla di clamoroso. E gettato come nell’orto di casa (v.19 testo greco), dove non si coltivano parate strepitose, ma semplici patate, insalata, melanzane, cetrioli, pomodori - cose normali, niente di che.

Il chicco di senape ha però una incredibile e intrinseca forza evolutiva.

Certo, il momento della crescita si conclude con un semplicissimo alberetto - un arbusto come tanti, sottoposto alle intemperie... eppure in grado di dare riposo e riparo a chiunque passi (v.19).

Questo reca il miracolo finale: «una forma di vita dal sapore di Vangelo […] che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui [s. Francesco] dichiara beato colui che ama l’altro quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui».

Sebbene ripresa da espressioni del Primo Testamento, nei tratti descritti da Lc la figura evangelica degli uccelli del cielo illustra «l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita» (cf. enciclica Fratelli Tutti, n.1). 

L’esperienza del Santo di Assisi dal «cuore senza confini, capace di andare al di là delle distanze» introduce in una logica di dialogo che evita «ogni forma di aggressione o contesa e anche di vivere un’umile e fraterna sottomissione» - senza mai imporre una «guerra dialettica» o le «dottrine» (FT, 3-4).

 

Quindi è sufficiente mettere un pizzico di lievito nella massa per farla completamente fermentare.

Il lievito non risalta, è nascosto: sparisce dentro. E a quel tempo tutto si conservava in una semplice madia casalinga.

Approfondendo la vita nello Spirito, ripetutamente ci rendiamo conto che abbiamo visto solo in parte: c’è ancora molto (più) da scoprire, sebbene intuiamo sia a portata di mano - in relazione allo sviluppo della vita ordinaria.

Malgrado i megalomani, le dimensioni del Regno di Dio, dell’universo dell’anima e della Missione non sono cosa verificabile immediatamente e completamente.

Bisogna introdursi in un processo, personale e tutto celato - per questo autenticamente sorgivo, convinto e spalancato.

Infatti, persino «ad opera compiuta, ritrarsi è la Via del Cielo» (Tao Tê Ching, ix).

All’orizzonte di ogni cammino c’è sempre una nuova pianta, un’altra genesi, una differente fioritura nel tempo delle stagioni; un’inedita effervescenza, da introdurre nell’antico assetto già capitalizzato.

Questo splendore (e vitalità nascoste dell’anima intuitiva e missionaria) non appartiene ai rituali culturali collettivi, a doveri di contorno.

I lasciapassare artificiosi ci rendono prigionieri di condizionamenti che attenuano la percezione e smorzano la missione per cui siamo nati.

Anzi, uscire dal branco che partorisce i soliti pallidi (solo drogati) modelli interpretativi sarà un'opportunità per scoprire qualcosa di nuovo.

Sbalordiremo anche delle nostre stesse intime capacità propulsive - accompagnati solo dall’Amico che vede nel segreto.

Seme e fermento lavorano ignoti. Mancanza di riflettori, situazione povera, piccolezza... non sono ostacoli alla crescita, bensì la condizione.

Ciò che sembra niente diventa quel che la Creazione attende: si vede appena o affatto - ma dando tempo senza forzare e affrettare, ottiene l’evoluzione (cordiale e domestica) che non stona con Dio e i minimi.

 

La Chiesa che verrà non sarà invadente: non pretenderà l’adesione (pena esclusioni).

Per questo motivo il dinamismo di crescita avrà un esito fuori scala, ma solo dal punto di vista umano e delle capacità ospitali (v.19), non per grandiosità concitate.

Priva di magnificenze clamorose, eclatanti e ricercate, la nuova Sposa divina si coglierà nell’attitudine alla pienezza, perché corrisponderà al progetto di vita completa che ci abita il cuore, e misteriosamente intuiamo nostro. Capiremo: farà star bene tutti.

L’insicuro diventerà deciso, il perdente si tramuterà per Grazia in sapiente. Capiremo che accogliere la Parola e corrispondere alla propria Vocazione personale non sarà terrificante, ma rigenerante.

Chi non s’incarta ma sposterà i suoi pensieri, punterà tutto, farà venir fuori la propria essenza.

Capiremo che il nostro essere è già calibrato su trame innate, sommesse, personalmente-socialmente corrispondenti.

Nello Spirito e nella vita reale scopriremo il Magnifico qualitativo e speciale che i più conformisti e precipitosi, meno dialogici o capaci di ascolto, nemmeno lontanamente immaginano possa eccellere.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Quale astuzia sensazionale ha tentato di distruggere la tua terra?

Quale conformismo (anche di gruppo) ti ha fatto impallidire?

Quale Parola sommessa e calibrata su di te non ha prodotto trambusti ma ha rigenerato la tua passione e ti ha dilatato la vita?

 

 

Primi ultimi. Il recupero degli opposti

 

Porta stretta: non perché oppressiva

(Lc 13,22-30)

 

Il senso della prima domanda è: «La Salvezza è esclusiva?» (v.23). Certo che no - e neppure oppressiva.

Ma non basta dichiararsi “Amici” [qua e là proclamazione di maniera, divenuta patente d’immunità per condurre una doppia vita].

A mezzo secolo dalla crocifissione di Gesù nelle comunità iniziano a manifestarsi i primi segni di rilassamento, vezzo e confusione.

Infatti, proprio i lontani, nuovi e respinti dai veterani, manifestano di essere credenti che riconoscono il Signore più degli abitudinari di comunità (v.25).

Taluni di essi, praticanti ormai inautentici della sua Mensa e della Parola (v.26).

Come mai il Figlio indulgente di Lc finisce per sbattere la porta in faccia ai suoi vecchi devoti?

Perché sono diventati manieristi fasulli, teatranti come quelli della religione antica, manipolatori dell’immagine di Dio dell’Esodo.

Ormai incapaci [v.24 testo greco] di orientarsi secondo il disegno del Padre, e dispotici, solo perché rivestiti di lunghe pratiche di rito. Stilemi esterni, adempiuti per usanza e a scapito della vita piena - ossia, messa a disposizione dei fratelli.

I privilegiati sono già fuori Casa [vv.25ss].

La loro vicenda mette in guardia dall’illusione di sentirsi “eletti”, ed essere a posto, sulla strada giusta.

Insomma, bisogna evitare di atteggiarsi a fenomeni (cristologici) per routine - a buon mercato - invece che a servizio dell’umanizzazione.

 

Un’occasione per capire se siamo sui passi che davvero ci appartengono è la revisione costante del rapporto con la Persona  “inadeguata” - del Cristo (la «Porta stretta»: v.24).

Secondo il Maestro non si diventa “migliori” ricalcando cliché abitudinari ostentati, scarsamente convinti e adempiuti per tran tran.

 

C’è dunque un punto critico nella sua clemenza? Di che genere è la sua inflessibilità? Perché il discrimine è nella sua cerchia?

Chi opera molte cose per Dio (v.26) e non per i fratelli - o neppure si accorge che esistono - in realtà non rende onore al Padre.

Coloro che non si “sgonfiano”, non solo mancano di umiltà per farsi servitori, ma neppure attraversano gli interstizi dei muri di pietra (o di gomma, più diplomatici) in cui s’incunea lo Spirito.

 

Ci chiediamo però ancora sorpresi come può il Padre trascurare proprio i suoi che hanno tanto creduto in Lui, e prediligere addirittura i lontani, provenienti non si sa bene da dove.

Forse hanno amato come Lui.

Hanno spontaneamente operato quel cambiamento di rotta e di sorte che la Chiesa istituzione [riflesso del Regno] è chiamata da sempre a incarnare.

E come sono riusciti a trovare il modo per passare?

Non hanno avuto una “corretta” relazione con Dio - probabilmente - ma una giusta relazione con gli altri, sì.

È nel loro intimo che hanno conosciuto il Signore. Personalmente - anche quelli che neppure ne hanno sentito parlare direttamente. 

E trasmigrando, hanno compiuto il loro Esodo.

Andando direttamente all’obiettivo, si sono interessati del frutto: ascolto, compassione, condivisione generosa dei beni - invece delle molte foglie (di stendardo, rito e formula).

Con gli occhi dell’anima, in queste persone del tutto prive di supponenza spirituale, la percezione degli orientamenti interiori ha vinto i pensieri e gl’idoli del costume a portata di mano.

Essi sono coloro che non si sono mai considerati troppo grandi.

Il non sentirsi eccellenti e il non avere pretese è e sarà valutato assai più della giusta osservanza e dell’esatto stendardo.

Caratteristiche fatue, addirittura (!) - che il nuovo Rabbi attribuisce proprio agli habitué che sembrano avere le carte in regola.

Li definisce «facitori di cose vane, facitori di cose morte» [Lc 13,27; il testo greco ha un sottofondo semita del genere: Sal 6,9 testo ebraico].

Si riferisce ai tiepidi che vanno avanti per inerzia e ancora oggi partecipano alle manifestazioni esteriori con estrema superficialità.

Fanno corpo, ma personalmente non mettono in moto nulla.

 

Il Signore non vuole umiliare, ma invitarci a ripensare i motivi e le modalità della nostra sequela.

Ricevere il suo Pane significa accettare di diventare alimento in favore della vita del mondo.

Accogliere la sua Parola è gesto che denota il desiderio ardente di viverla, non un’abitudine, né modo per lasciarsi apprezzare e fare slalom.

Eppure Cristo si vede costretto a dire: «Non so “da” dove voi siete» (vv.25-27).

Mentre alcuni che neppure hanno conosciuto il Signore, sono misteriosamente passati per la «Porta stretta» che è appunto Gesù stesso - senz’accorgersi.

Privi dell’ipocrisia di reputarsi grandi Apostoli, ovvero coloro che sanno stare al mondo.

Il loro segreto è quello di un’esperienza convinta e di una pratica fraterna che ha diradato l’inganno spirituale delle parentesi (teatrali) in società.

Non hanno partecipato a passerelle (sacre) per poi trascorrere la vita additando, mortificando, rendendo inferma l’esistenza di tutti ed in specie dei malfermi.

Gente che si è dedicata al bene - quindi non è affogata nell’angoscia stantia delle culture devote e moraliste locali. Magari bloccati per timore di contaminarsi.

Anime le quali non sono vissute sotto una cappa di morbose ossessioni, tipiche di chi si fissa sui comportamenti altrui [e in modo inespresso li coltiva dentro].

I veri discepoli partecipano del Banchetto perché non hanno fuggito il mondo, hanno lottato (v. 24) per farsi capaci di amare.

Si sono compromessi coi vili limiti delle periferie esistenziali, proprie e dei fratelli.

Hanno dedicato l’esistenza all’inclusione sociale e all’accoglienza dei sentimenti, a riconoscere il legittimo desiderio di vita di ciascuno.

Si sono sradicati dall’idea che l’appartenenza religiosa porgesse una patente d’immunità (o addirittura di sacralizzazione) alla tiepidezza.

Con tutte le loro imperfezioni, hanno desiderato Felicità, non la banale allegria che copre il niente delle scelte.

Sono già persone complete, che hanno colmato anche la nostra esistenza, e per questo “entrate” sotto la luce di Dio.

Hanno avuto rispetto del loro Nucleo infallibile e della natura delle cose del mondo, che chiamano a Comunione.

Se sono state donne e uomini di preghiera, hanno ascoltato la voce della propria essenza.

Hanno saputo accogliere come ospite di riguardo qualsiasi stato d’animo (e intuizione) di partenza. Si sono accorti.

Hanno percepito ed espresso, non solo pensato e soffocato.

E scavando, si sono chiesti: cosa significa questa gioia o questa tristezza per me? Perché le mie calme e le mie angosce?

In tal modo hanno imparato a incontrare se stessi in tutto, e ad accompagnare le eccentricità altrui, recuperandone gli opposti (v.30).

Angeli rimasti in sintonia col Mistero di Dio che si annida nelle pieghe della storia personale e dell’altrui vicenda, giorno per giorno - nel genio del tempo.

Hanno colto il Segreto di Dio perché non hanno trascurato nulla come fosse un inganno, né tacitato le inquietudini.

L’insegnamento del Signore ha trasformato la loro esistenza: la conoscenza di Dio è diventata compassione ed empatia.

Così non hanno scambiato per pace l’indifferenza, per quiete l’opportunismo, per tranquillità il fallimento dei “meticci”.

Non sono stati tanto presuntuosi da ritenersi in diritto. Non hanno chiamato vittoria la subordinazione degli ultimi e degli esclusi.

 

«Porta stretta»: non perché oppressiva.

Cari fratelli e sorelle!

Anche l'odierna liturgia ci propone una parola di Cristo illuminante e al tempo stesso sconcertante. Durante la sua ultima salita verso Gerusalemme, un tale gli chiede: "Signore, sono pochi quelli che si salvano?". E Gesù risponde: "Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno" (Lc 13, 23-24). Che significa questa "porta stretta"? Perché molti non riescono ad entrarvi? Si tratta forse di un passaggio riservato solo ad alcuni eletti? In effetti, questo modo di ragionare degli interlocutori di Gesù, a ben vedere è sempre attuale: è sempre in agguato la tentazione di interpretare la pratica religiosa come fonte di privilegi o di sicurezze. In realtà, il messaggio di Cristo va proprio in senso opposto: tutti possono entrare nella vita, ma per tutti la porta è "stretta". Non ci sono privilegiati. Il passaggio alla vita eterna è aperto a tutti, ma è "stretto" perché è esigente, richiede impegno, abnegazione, mortificazione del proprio egoismo.

Ancora una volta, come nelle scorse domeniche, il Vangelo ci invita a considerare il futuro che ci attende e al quale ci dobbiamo preparare durante il nostro pellegrinaggio sulla terra. La salvezza, che Gesù ha operato con la sua morte e risurrezione, è universale. Egli è l'unico Redentore e invita tutti al banchetto della vita immortale. Ma ad un'unica e uguale condizione: quella di sforzarsi di seguirlo ed imitarlo, prendendo su di sé, come Lui ha fatto, la propria croce e dedicando la vita al servizio dei fratelli. Unica e universale, dunque, è questa condizione per entrare nella vita celeste. Nell'ultimo giorno - ricorda ancora Gesù nel Vangelo - non è in base a presunti privilegi che saremo giudicati, ma secondo le nostre opere. Gli "operatori di iniquità" si troveranno esclusi, mentre saranno accolti quanti avranno compiuto il bene e cercato la giustizia, a costo di sacrifici. Non basterà pertanto dichiararsi "amici" di Cristo vantando falsi meriti: "Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze" (Lc 13, 26). La vera amicizia con Gesù si esprime nel modo di vivere: si esprime con la bontà del cuore, con l'umiltà, la mitezza e la misericordia, l'amore per la giustizia e la verità, l'impegno sincero ed onesto per la pace e la riconciliazione. Questa, potremmo dire, è la "carta d'identità" che ci qualifica come suoi autentici "amici"; questo è il "passaporto" che ci permetterà di entrare nella vita eterna.

Cari fratelli e sorelle, se vogliamo anche noi passare per la porta stretta, dobbiamo impegnarci ad essere piccoli, cioè umili di cuore come Gesù. Come Maria, sua e nostra Madre. Lei per prima, dietro il Figlio, ha percorso la via della Croce ed è stata assunta nella gloria del Cielo, come abbiamo ricordato qualche giorno fa. Il popolo cristiano la invoca quale Ianua Caeli, Porta del Cielo. Chiediamole di guidarci, nelle nostre scelte quotidiane, sulla strada che conduce alla "porta del Cielo".

[Papa Benedetto, Angelus 26 agosto 2007]

Domenica, 17 Agosto 2025 17:47

Non vi sono persone privilegiate

2. Nel Vangelo Gesù ricorda che tutti siamo chiamati alla salvezza ed a vivere con Dio, perché di fronte alla salvezza non vi sono persone privilegiate. Tutti devono passare per la porta stretta della rinuncia e del dono di sé. La lettura profetica espone con vive immagini il disegno che Dio ha di raccogliere nell’unità tutti gli uomini, per farli partecipi della sua gloria. Quella tratta dal Nuovo Testamento esorta a sopportare le prove come purificazione proveniente dalle mani di Dio, “perché il Signore corregge colui che ama” (Eb 12,6; Pr 3,12). Ma i motivi di tali letture si possono dire concentrati tutti nel brano evangelico.

L’interpellanza circa il problema fondamentale dell’esistenza: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” (Lc 13,23), non ci può lasciare indifferenti. A tale domanda Gesù non risponde direttamente, ma esorta alla serietà dei propositi e delle scelte: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non vi riusciranno” (Lc 13,24). Il grave problema acquista sulle labbra di Gesù un’angolazione personale, morale, ascetica. Egli afferma con vigore che il raggiungimento della salvezza richiede sacrificio e lotta. Per entrare per quella porta stretta, bisogna, afferma letteralmente il testo greco, “agonizzare”, cioè lottare vivacemente con ogni forza, senza sosta, e con fermezza di orientamento. Il testo parallelo di Matteo sembra ancor oggi più categorico: “Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via, che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta, invece, è la porta e angusta la via che conduce alla vita e quanti pochi sono quelli che la trovano” (Mt 7,13-14).

La porta stretta è anzitutto l’accettazione umile, nella fede pura e nella fiducia serena, della parola di Dio, delle sue prospettive sulle nostre persone, sul mondo e sulla storia; è l’osservanza della legge morale, come manifestazione della volontà di Dio, in vista di un bene superiore che realizza la nostra vera felicità; è l’accettazione della sofferenza come mezzo di espiazione e di redenzione per sé e per gli altri, e quale espressione suprema di amore; la porta stretta è, in una parola, l’accoglienza della mentalità evangelica, che trova nel discorso della montagna la più pura enucleazione.

Bisogna, insomma, percorrere la via tracciata da Gesù e passare per quella porta che è egli stesso: “Io sono la porta; se uno entra attraverso di me sarà salvo” (Gv 10,9). Per salvarsi bisogna prendere come lui la nostra croce, rinnegare noi stessi nelle nostre aspirazioni contrarie all’ideale evangelico e seguirlo nel suo cammino: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23).

Cari figli e fratelli, è l’amore che salva, l’amore che è già sulla terra beatitudine interiore di chi, nei modi più svariati, nella mansuetudine, nella pazienza, nella giustizia, nella sofferenza e nel pianto, si dimentica di sé e si dona. Il cammino può sembrare erto e difficile, la porta può apparire troppo stretta? Come ho già detto all’inizio, una tale prospettiva supera le forze umane, ma la perseverante preghiera, la fiduciosa implorazione, l’intimo desiderio di compiere la volontà di Dio, ci otterranno di amare ciò che egli comanda.

[Papa Giovanni Paolo II, omelia all’Opera s. Paolo Castelgandolfo 24 agosto 1980]

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Isn’t the family just what the world needs? Doesn’t it need the love of father and mother, the love between parents and children, between husband and wife? Don’t we need love for life, the joy of life? (Pope Benedict)
Non ha forse il mondo bisogno proprio della famiglia? Non ha forse bisogno dell’amore paterno e materno, dell’amore tra genitori e figli, tra uomo e donna? Non abbiamo noi bisogno dell’amore della vita, bisogno della gioia di vivere? (Papa Benedetto)
Thus in communion with Christ, in a faith that creates charity, the entire Law is fulfilled. We become just by entering into communion with Christ who is Love (Pope Benedict)
Così nella comunione con Cristo, nella fede che crea la carità, tutta la Legge è realizzata. Diventiamo giusti entrando in comunione con Cristo che è l'amore (Papa Benedetto)
From a human point of view, he thinks that there should be distance between the sinner and the Holy One. In truth, his very condition as a sinner requires that the Lord not distance Himself from him, in the same way that a doctor cannot distance himself from those who are sick (Pope Francis))
Da un punto di vista umano, pensa che ci debba essere distanza tra il peccatore e il Santo. In verità, proprio la sua condizione di peccatore richiede che il Signore non si allontani da lui, allo stesso modo in cui un medico non può allontanarsi da chi è malato (Papa Francesco)
The life of the Church in the Third Millennium will certainly not be lacking in new and surprising manifestations of "the feminine genius" (Pope John Paul II)
Il futuro della Chiesa nel terzo millennio non mancherà certo di registrare nuove e mirabili manifestazioni del « genio femminile » (Papa Giovanni Paolo II)
And it is not enough that you belong to the Son of God, but you must be in him, as the members are in their head. All that is in you must be incorporated into him and from him receive life and guidance (Jean Eudes)
E non basta che tu appartenga al Figlio di Dio, ma devi essere in lui, come le membra sono nel loro capo. Tutto ciò che è in te deve essere incorporato in lui e da lui ricevere vita e guida (Giovanni Eudes)
This transition from the 'old' to the 'new' characterises the entire teaching of the 'Prophet' of Nazareth [John Paul II]
Questo passaggio dal “vecchio” al “nuovo” caratterizza l’intero insegnamento del “Profeta” di Nazaret [Giovanni Paolo II]
The Lord does not intend to give a lesson on etiquette or on the hierarchy of the different authorities […] A deeper meaning of this parable also makes us think of the position of the human being in relation to God. The "lowest place" can in fact represent the condition of humanity (Pope Benedict)
Il Signore non intende dare una lezione sul galateo, né sulla gerarchia tra le diverse autorità […] Questa parabola, in un significato più profondo, fa anche pensare alla posizione dell’uomo in rapporto a Dio. L’"ultimo posto" può infatti rappresentare la condizione dell’umanità (Papa Benedetto)
We see this great figure, this force in the Passion, in resistance to the powerful. We wonder: what gave birth to this life, to this interiority so strong, so upright, so consistent, spent so totally for God in preparing the way for Jesus? The answer is simple: it was born from the relationship with God (Pope Benedict)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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