(Lc 23,35-43)
Il Figlio è crocifisso tra criminali. Per il potere politico e religioso, lui era un pericolo assai peggiore.
Secondo Lc solo uno lo oltraggiava; l’altro chiama Gesù per nome e gli si affida (v.42).
All’inizio del Vangelo la venuta del Signore è collocata fra gli ultimi della terra.
Egli sin dall’inizio si manifesta al mondo tra gente impura e persone disprezzate [addirittura sicure di dover essere fatte fuori dal Messia giudice, e che quindi ne avevano timore] non fra i giusti e santi del Tempio.
Poi tutta la sua vita si svolge in mezzo a pubblicani e peccatori, perché venuto per loro.
Infatti: chi riporta in casa del Padre? Uno qualunque, che rappresenta tutti noi - un malfattore che aveva compiuto omicidi - perché tutti i peccati consistono nel togliere vita e gioia di vivere a qualcuno.
Così quell’assassino ci rappresenta. E il Cristo inizia a edificare Famiglia proprio con un criminale accanto, che siamo noi: peccatori recuperati dal suo amore senza condizioni.
Quali proposte ci offrono una spinta valida e non amputano parti preziose di noi stessi?
Cosa riteniamo possa divinizzarci, portando vicini alla vita completa?
Chi è amico che non s’interrompe, e chi nemico - in grado di farci crescere (o disumanizzare)?
In Lc la folla è allo sbando.
La gente non insulta il Fedele accusato dalle autorità religiose, ma rimane perplessa, non capisce.
Il popolo non ha avuto guide spirituali sane, in grado di far riconoscere il proprio del mondo di Dio - e viceversa, ciò che lo rende caricaturale.
Quello di Re universale è un titolo che oggi reca con sé non pochi equivoci - quando attribuito al Cristo autentico, ridotto a zero.
Ciò perché confuso con benemerenze fatue, grandezze artificiose, magnificenze da teatro e di sola appariscenza [per lo più ridicole].
La regalità dei credenti in Lui è inapparente, ma tutta sostanza. Potenza che apre nuove possibilità, persino in dimensione buia.
Nulla a che fare con le tentazioni di realizzarsi pensando in modo banale, precipitoso, esteriore, confortevole, e promuovendo unicamente se stessi (vv.37.39).
Nei Vangeli - infatti - il male si presenta non come avversario cattivo e antagonista, ma come consigliere affabile e compiacente, che sembra trasmettere sicurezza dagli imprevisti, e farci conquistare posizioni.
Amico che ci vuol bene e tutela, perciò dà le dritte per farsi valere, imporre, riuscire. E pur affermare nelle cose di rilievo sociale [ma epidermico] degradanti la personale vocazione.
Anche (così è sembrato spesso, purtroppo) in campo spirituale.
Ma centrarsi sulle parvenze finisce per farci ignorare e non comprendere i percorsi profondi dell’anima.
Sul Calvario il Signore realizza una regalità, un modo di coronare la vita, un innalzamento di sé, diametralmente opposto a quanto suggerito dal maligno.
E rieccolo all’appuntamento cruciale fissato sin dall’inizio della sua vicenda pubblica (Lc 4,1-13), nel momento della debolezza estrema!
Insomma, vogliamo essere grandi, capaci di sorpassare, e ben considerati, anche nella vita spirituale.
Ma per diventare capi-villaggio bisogna farsi astuti o confondersi nel branco, e seguire criteri che con la vita di Gesù nulla hanno a che fare.
Allearsi con gente che conta, introdursi, farsi conoscere, imparare a sedurre, essere svelti, ammanicati, lesti, abili.
In tal guisa, anche nel Cammino verso Dio cediamo alla tentazione del ruolo, del calibro, della notorietà, della considerazione, della visibilità, dell’agio. E bocche cucite, altrimenti niente carriera.
La spinta della pancia raccomanda: “Dài che insieme riusciamo a fare qualcosa di grosso, e sarai il dominante del nido. Invece che un fallito qualsiasi; diventerai qualcuno da riverire”.
Ma la dimensione del Regno è capovolta.
Alla parola «regno», Pilato pensava immediatamente quello di Tiberio (vv.2-4).
Invece, al termine della vita, il trono di Gesù qual è stato? E i servi ossequienti?
Sotto aveva una platea che lo insultava e sfidava.
Le guardie del corpo? Dove sono finiti i ministri arrembanti, i generali e colonnelli, quelli che scattano ai suoi ordini?
Due sventurati, sfigurati dai propri errori, che ci rappresentano.
Ma qualcuno recita sino alla fine il mantra: «Salvati!».
Cristo e i suoi intimi non intendono distruggere l’anima, perciò non scendono dal patibolo, anzi lo riconoscono “proprio”: opportunità suprema.
Non vogliamo aggiungere più anni, ma più intensità di vita.
Non adeguiamo il cuore alla regalità antica, quella di coloro che intimidiscono, mostrano i muscoli, usano le proprie capacità e persino la parvenza devota solo per tornaconto - edificando situazioni di cartapesta, senza nerbo.
Gente pericolosissima: sono i gendarmi del mondo ambizioso, concorrenziale, cinico. Abituati al servilismo adulatore che fa chinare il capo a tutti.
Essi porgono «aceto», vino inacidito (v.36): la corruzione dell’amore e della festa.
Il loro prodotto amaro è quel voler bene al sistema delle cose, e ad una caricatura di felicità legata al potere che “conta”.
Se approvati, rischiano di farci rinunciare al desiderio d’un mondo alternativo, e ripiegare su noi stessi.
Invece il malfattore lo chiama per Nome, riconoscendolo compagno di viaggio, confidente e alleato naturale.
Uno che si fa accanto, e in grado di creare sintonie di bellezza dentro; una strada più silenziosa.
Allora, come si correlano in noi Vittoria e Pace?
È un “tempo” che forse ancora non conosciamo, malgrado il virtuosismo degli adempimenti devoti (che a volte radicano nei disturbi peggiori).
Diventando sempre più attenti e amabili, meno lontani e competitivi, forse risponderemmo in modo sorprendente a un tale quesito:
È il prevalere che reca senso di armonia, brio e completezza, o viceversa?
Cosa distrae dal gorgo degli idoli che sviano l’esistenza e confondono la destinazione?
La Salvezza viene da ciò che nella nostra vita è considerato insulso e un nulla, eppure spalanca l’infinito che già ci abita - lo sconfinato dell’Amico primordiale, presente e finale.
Egli riverbera in cuore, e indirizza - Eterno che intimamente risuona, anche in situazioni tragiche.
Ciò Viene addirittura da chi - Gesù benevolo oppresso - è stato valutato un maledetto da Dio e considerato feccia della società à la page.
Viceversa, Presenza amica; che ci fa “vedere” e sblocca.
La differenza radicale tra religiosità e Fede? Il senso di un Mistero intimo e sorprendente, che ci desta.
Il Dio delle religioni scaccia la donna e l’uomo contraddittori e inadeguati dal Paradiso. Il Padre li accoglie.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
I capi deridono: “Tu hai capacità: pensa a te, affermati, disinteressati; devi sovrastare, o almeno galleggiare. Non preoccuparti d’altro!”.
In quale personaggio ti riconosci?
Nel momento della debolezza, ti si ripresentano le tentazioni del potere, o vedi dentro e meglio - proprio attraversando la tua inadeguatezza?







