Nov 15, 2025 Scritto da 

“Regnavit a ligno Deus”!

Il testo del Vangelo di san Luca, ora proclamato, ci riporta col pensiero alla scena altamente drammatica che si svolge nel “luogo detto Calvario” (Lc 23,33) e ci presenta, intorno a Gesù crocifisso, tre gruppi di persone che variamente discutono della sua “figura” e della sua “fine”. Chi è, in realtà, colui che sta lì crocifisso? Mentre la gente comune ed anonima resta piuttosto incerta e si limita a guardare, “i capi invece lo schernivano, dicendo: Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto”. Come si vede, la loro arma è l’ironia negatrice e demolitrice. Ma anche i soldati - il secondo gruppo - lo deridevano e, quasi in tono di provocazione e di sfida, gli dicevano: “Se tu sei il re dei giudei, salva te stesso”, prendendo forse lo spunto dalle parole stesse della scritta, che vedevano posta sopra il suo capo. C’erano, poi, i due malfattori in contrasto tra loro nel giudicare il compagno di pena: mentre uno lo bestemmiava, raccogliendo e ripetendo le espressioni sprezzanti dei soldati e dei capi, l’altro dichiarava apertamente che Gesù “non aveva fatto nulla di male” e, rivolgendosi a lui, così l’implorava: “Signore, ricordati di me, quando sarai nel tuo regno”.

Ecco come, nel momento culminante della crocifissione, proprio quando la vita del profeta di Nazaret sta per essere soppressa, noi possiamo raccogliere, sia pure nel vivo di discussioni e contraddizioni, queste arcane allusioni al re ed al regno.

2. Tale scena vi è ben nota, fratelli e figli carissimi, e non ha bisogno di altri commenti. Ma quanto è opportuno e significativo e, direi, quanto è giusto e necessario che l’odierna festa di Cristo re sia inquadrato appunto sul Calvario. Possiamo dire senz’altro che la regalità di Cristo, quale anche oggi noi celebriamo e meditiamo, deve esser sempre riferita all’evento, che si svolge su quel colle, ed esser compresa nel mistero salvifico, ivi operato da Cristo: dico l’evento ed il mistero della redenzione dell’uomo. Cristo Gesù - dobbiamo rilevare - si afferma re proprio nel momento in cui, tra i dolori e gli strazi della croce, tra le incomprensioni e le bestemmie degli astanti, agonizza e muore. Davvero, una regalità singolare è la sua, tale che solo l’occhio della fede può riconoscerla: “Regnavit a ligno Deus”!

3. La regalità di Cristo, che scaturisce dalla morte sul Calvario e culmina con l’evento da essa indissociabile della risurrezione, ci richiama a quella centralità, che a lui compete in ragione di quel che è e di quel che ha fatto. Verbo di Dio e Figlio di Dio, innanzitutto e soprattutto, “per mezzo del quale - come tra poco ripeteremo nel “credo” - tutte le cose sono state create”, egli ha un intrinseco, essenziale ed inalienabile primato nell’ordine della creazione, rispetto alla quale è la suprema causa esemplare. E dopo che “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14), anche come uomo e figlio dell’uomo, egli consegue un secondo titolo nell’ordine della redenzione, mediante l’ubbidienza al disegno del Padre, mediante la sofferenza della morte ed il conseguente trionfo della risurrezione.

Convergendo in lui questo duplice primato, noi abbiamo, dunque, non solo il diritto e il dovere, ma anche la soddisfazione e l’onore di confessare l’eccelsa sua signoria sulle cose e sugli uomini, che con termine non certo improprio né metaforico può esser chiamata regalità. “Umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte ed alla morte di croce. Per questo, Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e negli inferi; ed ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore” (Fil 2,8-11).

Ecco il nome di cui ci parla l’apostolo: è il nome di Signore e vale a designare l’impareggiabile dignità, la quale spetta a lui solo e pone lui solo - come ho scritto, all’inizio della mia prima enciclica - al centro, anzi al vertice del cosmo e della storia. “Ave Dominus noster! Ave rex noster”!

4. Ma volendo considerare, oltre ai titoli ed alle ragioni, anche la natura e l’ambito della regalità di Cristo nostro Signore, noi non possiamo fare a meno di risalire a quella potestà che egli stesso, sul punto di lasciare questa terra, definì totale ed universale, ponendola alla base della missione confidata agli apostoli: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,18-20). In queste parole non c’è solo - com’è evidente - l’esplicita rivendicazione di un’autorità sovrana, ma è altresì indicata, nell’atto stesso in cui essa viene partecipata agli apostoli, una sua ramificazione in distinte, pur se coordinate, funzioni spirituali. Se, infatti, Cristo risorto dice ai suoi di andare e ricorda ciò che ha già comandato, se dà loro l’incarico sia di ammaestrare che di battezzare, ciò si spiega perché egli stesso, proprio in forza della somma potestà che gli appartiene, possiede in pienezza tali diritti ed è abilitato ad esercitare tali funzioni, come re, maestro e sacerdote.

Non è certo il caso di chiederci quale sia il primo di questi tre titoli, perché, nel contesto generale della missione salvifica che Cristo ha ricevuto dal Padre, a ciascuno di essi corrispondono funzioni ugualmente necessarie e importanti. Tuttavia, anche per mantenerci aderenti al contenuto dell’odierna liturgia, è opportuno insistere sulla funzione regale e concentrare il nostro sguardo, illuminato dalla fede, sulla figura di Cristo come re e signore.

Al riguardo, ovvia appare l’esclusione di qualsiasi riferimento di natura politica o temporalistica.

Alla formale domanda fattagli da Pilato: “Sei tu il re dei giudei?” (Gv 18,33), Gesù risponde esplicitamente che il suo regno non è di questo mondo e, dinanzi all’insistenza del procuratore romano, afferma: “Tu lo dici: io sono re”, aggiungendo subito dopo: “Per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37). In tal modo, egli dichiara quale sia l’esatta dimensione della sua regalità e la sfera in cui si esercita: è la dimensione spirituale che comprende, in primo luogo, la verità da annunciare e da servire. Il suo regno, anche se comincia quaggiù sulla terra, nulla ha però di terreno e trascende ogni umana limitazione, proteso com’è verso la sua consumazione oltre il tempo, nell’infinità dell’eterno.

5.È a questo regno che Cristo Signore ci ha chiamato, facendoci dono di una vocazione che è partecipazione a quei suoi poteri che ho già ricordato. Noi tutti siamo al servizio del regno e, nello stesso tempo, in forza della consacrazione battesimale, siamo investiti di una dignità e di un ufficio regale, sacerdotale e profetico, al fine di poter efficacemente collaborare alla sua crescita ed alla sua diffusione. Questa tematica, sulla quale ha tanto provvidenzialmente insistito il Concilio Vaticano nella costituzione sulla Chiesa e nel decreto sull’apostolato dei laici (cf. Lumen Gentium, 31-36; Apostolicam Actuositatem, 2-3), vi è certamente familiare, carissimi fratelli e figli della diocesi di Roma che mi state ascoltando. Ma oggi, proprio nella circostanza della festa di Cristo re, desidero richiamarla e raccomandarla vivamente alla vostra attenzione e sensibilità.

Voi, infatti, siete venuti a questa sacra assemblea, come rappresentanti e primi responsabili del laicato romano, che più direttamente è impegnato nell’azione apostolica. Chi più e meglio di voi, anche per il dovere dell’esemplarità che incombe sui cristiani dell’urbe, in una ricorrenza così significativa è sollecitato a riflettere circa il modo di concepire e di svolgere un tale lavoro? Si tratta realmente di un servizio del regno, e proprio questo è il motivo per cui oggi vi ho convocato nella Basilica vaticana, per incoraggiare i vostri animi a prestare un sempre vigile, concreto e generoso servizio al regno di Cristo.

So che, in vista del nuovo anno pastorale, state studiando il tema “comunità e comunione”, ed avete posto a base delle vostre riflessioni le note parole rivolte dall’apostolo Giovanni ai primi battezzati, le quali possono esser considerate come il programma dinamico di ogni comunità cristiana: “Ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita,... noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi” (1Gv 1,1.3).

Ecco enunciato, carissimi, il vostro schema di vita e di lavoro: voi, credenti e cristiani, laici e sacerdoti impegnati, raccogliendo la testimonianza degli apostoli, avete già visto il Cristo redentore e re, vi siete con lui incontrati nella realtà della sua presenza umana e divina, storica e trascendente, siete entrati in comunicazione con lui, con la sua grazia, con la verità e con la salvezza da lui portate, ed ora, in base a questa forte esperienza, intendete annunciarlo alla città di Roma, alle persone, alle famiglie, alle comunità che in essa vivono. È questo un grande compito, un alto onore, un dono ineffabile: servire Cristo re ed impegnare tempo, fatica, intelligenza e fervore per farlo conoscere, amare, seguire, nella certezza che solo in Cristo - via, verità e vita (Gv 14,6) - la società e il singolo potranno trovare il vero significato dell’esistenza, il codice dei valori autentici, la giusta linea morale, la necessaria forza nelle avversità, la luce e la speranza circa le realtà metastoriche. Se grande è la vostra dignità e magnifica è la vostra missione, siate sempre pronti e lieti nel servire Cristo re in ogni luogo, in ogni momento, in ogni ambiente.

Conosco bene le gravi difficoltà che si trovano nella società moderna e, in modo particolare, nelle città popolose e febbrili, come è la Roma d’oggi. Nonostante certe situazioni complicate e a volte ostili, io vi esorto a non perdervi mai d’animo. Coraggio! Lavorate con zelo nell’ambito dell’intera diocesi e delle singole parrocchie e comunità, portando dappertutto l’entusiasmo della vostra fede e del vostro amore per un servizio puntuale e fedele a Cristo Signore. Così sia.

[Papa Giovanni Paolo II, omelia 23 novembre 1980]

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

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The Sadducees, addressing Jesus for a purely theoretical "case", at the same time attack the Pharisees' primitive conception of life after the resurrection of the bodies; they in fact insinuate that faith in the resurrection of the bodies leads to admitting polyandry, contrary to the law of God (Pope John Paul II)
I Sadducei, rivolgendosi a Gesù per un "caso" puramente teorico, attaccano al tempo stesso la primitiva concezione dei Farisei sulla vita dopo la risurrezione dei corpi; insinuano infatti che la fede nella risurrezione dei corpi conduce ad ammettere la poliandria, contrastante con la legge di Dio (Papa Giovanni Paolo II)
Are we disposed to let ourselves be ceaselessly purified by the Lord, letting Him expel from us and the Church all that is contrary to Him? (Pope Benedict)
Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario? (Papa Benedetto)
Jesus makes memory and remembers the whole history of the people, of his people. And he recalls the rejection of his people to the love of the Father (Pope Francis)
Gesù fa memoria e ricorda tutta la storia del popolo, del suo popolo. E ricorda il rifiuto del suo popolo all’amore del Padre (Papa Francesco)
Ecclesial life is made up of exclusive inclinations, and of tasks that may seem exceptional - or less relevant. What matters is not to be embittered by the titles of others, therefore not to play to the downside, nor to fear the more of the Love that risks (for afraid of making mistakes)
La vita ecclesiale è fatta di inclinazioni esclusive, e di incarichi che possono sembrare eccezionali - o meno rilevanti. Ciò che conta è non amareggiarsi dei titoli altrui, quindi non giocare al ribasso, né temere il di più dell’Amore che rischia (per paura di sbagliare).
Zacchaeus wishes to see Jesus, that is, understand if God is sensitive to his anxieties - but because of shame he hides (in the dense foliage). He wants to see, without being seen by those who judge him. Instead the Lord looks at him from below upwards; Not vice versa
Zaccheo desidera vedere Gesù, ossia capire se Dio è sensibile alle sue ansie - ma per vergogna si nasconde nel fitto fogliame. Vuole vedere, senza essere visto da chi lo giudica. Invece il Signore lo guarda dal basso in alto; non viceversa
The story of the healed blind man wants to help us look up, first planted on the ground due to a life of habit. Prodigy of the priesthood of Jesus
La vicenda del cieco risanato vuole aiutarci a sollevare lo sguardo, prima piantato a terra a causa di una vita abitudinaria. Prodigio del sacerdozio di Gesù.
Firstly, not to let oneself be fooled by false prophets nor to be paralyzed by fear. Secondly, to live this time of expectation as a time of witness and perseverance (Pope Francis)
Primo: non lasciarsi ingannare dai falsi messia e non lasciarsi paralizzare dalla paura. Secondo: vivere il tempo dell’attesa come tempo della testimonianza e della perseveranza (Papa Francesco)
O Signore, fa’ che la mia fede sia piena, senza riserve, e che essa penetri nel mio pensiero, nel mio modo di giudicare le cose divine e le cose umane (Papa Paolo VI)
O Lord, let my faith be full, without reservations, and let penetrate into my thought, in my way of judging divine things and human things (Pope Paul VI)
«Whoever tries to preserve his life will lose it; but he who loses will keep it alive» (Lk 17:33)
«Chi cercherà di conservare la sua vita, la perderà; ma chi perderà, la manterrà vivente» (Lc 17,33)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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