Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Non dal precetto, ma dal rovesciamento
(Lc 10,25-37)
«Tu sei un pazzo e un samaritano!» - accusarono i capi giudei (Gv 8,48). «No, non sono pazzo...»: così lo Straniero si difese dall'accusa che i fanatici gli muovevano, di essere un posseduto, ossesso e malato mentale.
Eppure accettò tranquillo il titolo infamante di «samaritano»... epiteto che designava uno fuori dal giro, vilipeso dalla gente perbene.
Un escluso dal recinto sacro; praticamente estraneo, irritante, avulso, eretico e impuro: un «bastardo» e squilibrato che si permetteva di predicare l’amore in tutte le decisioni [cuore], in ogni istante del cammino [vita], con qualsiasi delle risorse [forze], non escludendo l'intelligenza, né il legittimo desiderio di vita altrui (v.27).
Insomma, la percezione non disattenta e l’opera sensibilissima d’un “meticcio” sembrano proprio quelle di Dio!
Rispondono al cruciale, intimo quesito: «Chi mi ama per primo, affinché sentendomi accolto, adeguato e apprezzato, possa anch’io amare il prossimo?» (v.29).
Conosciamo la narrazione. Gli ossessi della purezza rituale [sacerdote e levita che avevano appena officiato] diventano spietati.
Ecco invece un nuovo Decalogo, con un accumulo di “verbi” del «farsi carico»:
«Venne presso, lo vide, si mosse a pietà, scese, versò il suo pronto soccorso, fasciò le ferite, caricò sulla cavalcatura, portò nella dimora che accoglie tutti, si prese cura, tirò fuori denari».
Infine si espose, con speciale riguardo anche per un affacciarsi premuroso e ulteriore: «Ritornerò a pagare, dove necessario».
Gli autentici dieci nuovi Decreti ci divinizzano senza inganno, in sintonia col progetto e il sentimento del Padre in nostro favore: né Lui né i suoi ‘passano oltre’ le vittime.
Promessa e premura che si ramificano sul nostro futuro: allorché ci dovesse esser qualcos'altro da porre in aggiunta, la donerà in più e sempre l’Amico Soccorritore.
Da qui parte l’Amore: da Qualcuno che ci considera, senza condizioni.
Perciò, malgrado si rischi di rimanere impigliati nella situazione, anche il comune figlio di Dio ‘si accorge’ e non “passa sopra” la persona malferma.
Vi si identifica, preferendo sfidare le incognite - e riscattare il bastonato, messo all'angolo come un rifiuto che ormai attende solo il colpo di grazia.
È un Dio dall’esperienza concreta; senza schemi. E ci dice:
Siamo totalmente amabili in ogni condizione, non “sbagliati” o segnati a vita.
Da tale consapevolezza scaturisce il desiderio e l’energia dell’amore altruista - anche ignoto e senza reputazione.
Come sottolinea l’enciclica Fratelli Tutti, così sarà «possibile cominciare dal basso e caso per caso, lottare per ciò che è più concreto e locale, fino all’ultimo angolo della patria e del mondo, con la stessa cura che il viandante di Samaria ebbe per ogni piaga dell’uomo ferito» (n.78).
Nel deserto di Giuda, su una pietra incisa d'un caravanserraglio che una tradizione ha voluto individuare come la Casa Comune [immagine della Chiesa] cui Gesù faceva riferimento nella parabola - più o meno a metà strada fra Gerusalemme e Gerico - un anonimo pellegrino ha scritto in latino medievale:
«Se persino i sacerdoti e gli uomini di chiesa passano oltre la tua angoscia, sappi che Cristo è il buon Samaritano, che avrà sempre compassione di te, e nell'ora della tua morte t'introdurrà nella locanda eterna. Chiunque tu sia, Lui ti porterà là».
[Lunedì 27.a sett. T.O. 7 ottobre 2024]
Non dal precetto, ma dal rovesciamento
(Lc 10,25-37)
«Tu sei un pazzo e un samaritano!» - accusarono i capi giudei (Gv 8,48). «No, non sono pazzo...»: così lo Straniero si difese dall'accusa che i fanatici gli muovevano, di essere un posseduto, ossesso e malato mentale.
Eppure accettò tranquillo il titolo infamante di «samaritano»... epiteto che designava uno fuori dal giro, vilipeso dalla gente perbene.
Un escluso dal recinto sacro; praticamente estraneo, irritante, avulso, eretico e impuro: un «bastardo» e squilibrato, disinteressato alla carriera, di fronte al quale bisognava trovare forza nella coalizione.
La religione antica sembrava aver raggiunto equilibri sperimentati, sostenuti dai vertici dell'alleanza interessata fra trono e altare. Eppure nei fedeli c'era nervosismo e insoddisfazione.
I capi citavano la Scrittura a memoria, ma per creare restrizioni - demonizzando i diversi che non li riconoscevano immediatamente “autorità”.
Secondo la Legge - Levitico e Numeri - le norme di purità impedivano a chi officiava nel Tempio di toccare un ferito.
Ma i professionisti del sacro non capiscono che le antiche procedure non valgono nulla se causano sofferenza al prossimo.
Sacralizzando le proprie grettezze, i legalisti della parabola immaginano di non dover apprendere nulla, così diventano forse peggiori degli insensibili e qualunquisti: a noi appaiono piuttosto, crudeli e disumani.
In caso di conflitto tra norme religiose e bene dei fratelli, essi hanno già pronte le scuse: neppure s’accorgono degli altri. Le vicende dolorose non li richiamano, non li riguardano.
In tal guisa, anche le trappole dei vanitosi contro Gesù mai erano dialogo: sempre delle proiezioni.
E le domande venivano scagliate solo per metterlo in ridicolo, non per capire - interrogarsi - o creare libertà.
Insomma: per qualcuno conta l’integrità della dottrina-disciplina e il prestigio dell’istituzione (che la norma).
Eppure ci chiediamo: quanto vale la gioia dell’umanità, e il bene di un malcapitato?
L’uomo dei “titoli” non ha dubbio alcuno.
Invece la percezione non disattenta e l’opera sensibilissima d’un «meticcio» sembrano quelle di Dio stesso!
Il Signore narrava volentieri la sua proposta di condivisione, e di nuovo volto del credente.
Diciamola con parole più vicine a noi:
«Ascolta... niente cortine: l’Amore non ha un punto d’arrivo, e il credente non è chi obbedisce a disposizioni esterne, bensì chi somiglia a Dio!».
Dopo un breve sussulto riflessivo che tentò di camuffare, l’esperto della disposizione ribatté:
«Bello a dirsi, certo; ma come si fa in concreto?».
E Gesù:
«Al pari di come pensi e ti attrezzi e desideri pienezza di vita per te stesso: in tutte le decisioni [cuore], in ogni istante del cammino [vita], con qualsiasi delle tue risorse [forze], non escludendo l'intelligenza» (cf. Mc 12,29-31), né il legittimo desiderio di vita altrui (v.27).
Già in ebollizione, il veterano dei battibecchi giocò le sue ultime carte:
«Dovrò pur mettere un confine al mio prossimo, no?! E mi giustifico ancora: chi è “mio” prossimo?» (Lc 10,29).
«Ossia: chi mai ascolta e mi ama per primo, in modo tale che io possa davvero fare agli altri ciò che sempre desidero per me, persino ai lontani e nemici?»
«Loro non ci danno da mangiare… e forse neanche ci rispettano! Dunque, chi è per primo “a me” prossimo?».
Ancora il dottore della legge si «ergeva sopra», incombendo sugli astanti; ma il diverso Rabbi non si scompose.
Nei colloqui era spesso costretto (e abituato) a sollevare la testa, guardando l’interlocutore dal basso verso l’alto.
Tutti si atteggiavano a periti ed eletti, pronti a scrutare e sentenziare; nessuno a fare il discepolo, sottoposto e servitore come lui.
Così si era comportato sia con Zaccheo (Lc 19,5) che con l'adultera - forse colta sul fatto dal gruppo di guardoni e vigilanti della pubblica decenza in Gerusalemme (Gv 8, vv. 2.6-8.10; testo greco).
Quel figlio di falegname proclamava Padre Colui che si relazionava dal di sotto, senza giudizio previo; che si faceva Servo dell'uomo, mettendosi alla pari dei minimi.
Insomma, la domanda cruciale era la seguente:
«Chi mi ama per primo, affinché sentendomi accolto, adeguato e apprezzato, possa anch’io amare il prossimo»?
Il giovane Rabbi narrò allora una storia, per sottolineare chi è prossimo - Chi ci è per primo Intimo e Vicino; affinché anche noi veniamo generati alla prossimità.
L'antico elenco dei Dieci Comandamenti era divenuto nel tempo quasi solo una sottolineatura della caducità naturale.
Un codice che intristiva e sfibrava proprio le anime più attente all’ideale di perfezione.
L'ultima delle celebri Parole era riassuntiva, ma tremenda: «Non Desiderare»!
Essa aveva diffuso lacerazioni drammatiche e senso di vuoto nelle vicende di coloro che più da presso continuavano a tentare l'avventura impossibile.
Così, gli ossessi della purezza rituale [sacerdote e sagrestano che avevano appena officiato] diventavano - per Legge - spietati.
Ecco invece proclamato - dall’estraneo appena pervenuto - un nuovo Decalogo, con un accumulo di “verbi” del «farsi carico»:
«Venne presso, lo vide, si mosse a pietà, scese, versò il suo pronto soccorso, fasciò le ferite, caricò sulla cavalcatura, portò nella dimora che accoglie tutti, si prese cura, tirò fuori denari».
Infine si espose, con speciale riguardo anche per un affacciarsi premuroso e ulteriore: «Ritornerò a pagare, dove necessario».
Gli autentici dieci nuovi Decreti ci divinizzano senza inganno, in sintonia col progetto e il sentimento del Padre in nostro favore: né Lui né i suoi “passano oltre” le vittime.
Il Signore annunciava insomma un diverso “Sacrificio”.
Nell'uso del tempo, mediante il culto si supponeva di poter trarre la vittima dal contatto profano, in modo cruento; su un altare.
Con tale pratica sacrale i sacerdoti la introducevano idealmente nel mondo dell'Altissimo, attraverso l'effusione del sangue o un olocausto.
Invece il Messia non voleva distanziare i criteri di santificazione dalla vita della gente comune.
Ciò che sul serio è reso sacro [sacrificio: sacer-sacrum facere] non si deve mai allontanare dalla realtà. Non passa alla sfera della purità mediante una “separazione” dall'immondo feriale.
Per Gesù è la Comunione - convivialità delle differenze - che trasfigura l’ordinario in “Santo”, perché tale relazione rende forte il debole; e solleva tutti dalla miseria.
Promessa e premura che si ramificano sul nostro futuro: allorché ci dovesse esser qualcos'altro da porre in aggiunta, la donerà in più e sempre l’Amico Soccorritore.
Da qui parte l’Amore: da Qualcuno che ci considera, senza condizioni.
Perciò, malgrado si rischi di rimanere impigliati nella situazione, anche il comune figlio di Dio si accorge e non passa sopra la persona malferma.
Vi s’identifica, preferendo sfidare le incognite - e riscattare il bastonato, messo all'angolo come un rifiuto che ormai attende solo il colpo di grazia.
È un Dio dall’esperienza concreta; senza schemi. E ci dice:
Siamo totalmente amabili in ogni condizione, non “sbagliati” o segnati a vita.
Da tale consapevolezza scaturisce il desiderio e l’energia dell’amore altruista - anche ignoto e senza reputazione.
Come sottolinea l’enciclica Fratelli Tutti, così sarà «possibile cominciare dal basso e caso per caso, lottare per ciò che è più concreto e locale, fino all’ultimo angolo della patria e del mondo, con la stessa cura che il viandante di Samaria ebbe per ogni piaga dell’uomo ferito» (n.78).
Nel deserto di Giuda, su una pietra incisa d'un caravanserraglio che una tradizione ha voluto individuare come la Casa comune [immagine della Chiesa] cui Gesù faceva riferimento nella parabola - più o meno a metà strada fra Gerusalemme e Gerico - un anonimo pellegrino ha scritto in latino medievale:
«Se persino i sacerdoti e gli uomini di chiesa passano oltre la tua angoscia, sappi che Cristo è il buon Samaritano, che avrà sempre compassione di te, e nell'ora della tua morte t'introdurrà nella locanda eterna. Chiunque tu sia, Lui ti porterà là».
18. Si rivela così possibile l'amore del prossimo nel senso enunciato dalla Bibbia, da Gesù. Esso consiste appunto nel fatto che io amo, in Dio e con Dio, anche la persona che non gradisco o neanche conosco. Questo può realizzarsi solo a partire dall'intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento. Allora imparo a guardare quest'altra persona non più soltanto con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo. Il suo amico è mio amico. Al di là dell'apparenza esteriore dell'altro scorgo la sua interiore attesa di un gesto di amore, di attenzione, che io non faccio arrivare a lui soltanto attraverso le organizzazioni a ciò deputate, accettandolo magari come necessità politica. Io vedo con gli occhi di Cristo e posso dare all'altro ben più che le cose esternamente necessarie: posso donargli lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno. Qui si mostra l'interazione necessaria tra amore di Dio e amore del prossimo, di cui la Prima Lettera di Giovanni parla con tanta insistenza. Se il contatto con Dio manca del tutto nella mia vita, posso vedere nell'altro sempre soltanto l'altro e non riesco a riconoscere in lui l'immagine divina. Se però nella mia vita tralascio completamente l'attenzione per l'altro, volendo essere solamente « pio » e compiere i miei « doveri religiosi », allora s'inaridisce anche il rapporto con Dio. Allora questo rapporto è soltanto « corretto », ma senza amore. Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo, a mostrargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio. Solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama. I santi — pensiamo ad esempio alla beata Teresa di Calcutta — hanno attinto la loro capacità di amare il prossimo, in modo sempre nuovo, dal loro incontro col Signore eucaristico e, reciprocamente questo incontro ha acquisito il suo realismo e la sua profondità proprio nel loro servizio agli altri. Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento. Entrambi però vivono dell'amore preveniente di Dio che ci ha amati per primo. Così non si tratta più di un « comandamento » dall'esterno che ci impone l'impossibile, bensì di un'esperienza dell'amore donata dall'interno, un amore che, per sua natura, deve essere ulteriormente partecipato ad altri. L'amore cresce attraverso l'amore. L'amore è « divino » perché viene da Dio e ci unisce a Dio e, mediante questo processo unificante, ci trasforma in un Noi che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia « tutto in tutti » (1 Cor 15, 28).
[Papa Benedetto, Deus Caritas est]
I diversi comandamenti del Decalogo non sono in effetti che la rifrazione dell'unico comandamento riguardante il bene della persona, a livello dei molteplici beni che connotano la sua identità di essere spirituale e corporeo, in relazione con Dio, col prossimo e col mondo delle cose. Come leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica, «i dieci comandamenti appartengono alla rivelazione di Dio. Al tempo stesso ci insegnano la vera umanità dell'uomo. Mettono in luce i doveri essenziali e, quindi, indirettamente, i diritti fondamentali inerenti alla natura della persona umana».
I comandamenti, ricordati da Gesù al giovane interlocutore, sono destinati a tutelare il bene della persona, immagine di Dio, mediante la protezione dei suoi beni. «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso» sono regole morali formulate in termini di divieto. I precetti negativi esprimono con particolare forza l'esigenza insopprimibile di proteggere la vita umana, la comunione delle persone nel matrimonio, la proprietà privata, la veridicità e la buona fama.
I comandamenti rappresentano, quindi, la condizione di base per l'amore del prossimo; essi ne sono al contempo la verifica. Sono la prima tappa necessaria nel cammino verso la libertà, il suo inizio: «La prima libertà — scrive sant'Agostino — consiste nell'essere esenti da crimini... come sarebbero l'omicidio, l'adulterio, la fornicazione, il furto, la frode, il sacrilegio e così via. Quando uno comincia a non avere questi crimini (e nessun cristiano deve averli), comincia a levare il capo verso la libertà, ma questo non è che l'inizio della libertà, non la libertà perfetta...».
14. Ciò non significa, certo, che Gesù intenda dare la precedenza all'amore del prossimo o addirittura separarlo dall'amore di Dio. Lo testimonia il suo dialogo col dottore della Legge: questi, che pone una domanda molto simile a quella del giovane, si sente rimandato da Gesù ai due comandamenti dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo (cf Lc 10, 25-27) e invitato a ricordare che solo la loro osservanza conduce alla vita eterna: «Fa' questo e vivrai» (Lc 10,28). È comunque significativo che sia proprio il secondo di questi comandamenti a suscitare la curiosità e l'interrogativo del dottore della Legge: «Chi è il mio prossimo?» (Lc 10,29). Il Maestro risponde con la parabola del buon Samaritano, la parabola-chiave per la piena comprensione del comandamento dell'amore del prossimo (cf Lc 10,30-37).
I due comandamenti, dai quali «dipende tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,40), sono profondamente uniti tra loro e si compenetrano reciprocamente. La loro unità inscindibile è testimoniata da Gesù con le parole e con la vita: la sua missione culmina nella Croce che redime (cf Gv 3,14-15), segno del suo indivisibile amore al Padre e all'umanità (cf Gv 13,1).
Sia l'Antico che il Nuovo Testamento sono espliciti nell'affermare che senza l'amore per il prossimo, che si concretizza nell'osservanza dei comandamenti, non è possibile l'autentico amore per Dio. Lo scrive con vigore straordinario san Giovanni: «Se uno dicesse: "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4,20). L'evangelista fa eco alla predicazione morale di Cristo, espressa in modo mirabile e inequivocabile nella parabola del buon Samaritano (cf Lc 10, 19-37) e nel «discorso» sul giudizio finale (cf Mt 25,31-46).
15. Nel «Discorso della Montagna», che costituisce la magna charta della morale evangelica, Gesù dice: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5,17). Cristo è la chiave delle Scritture: «Voi scrutate le Scritture: esse parlano di me» (cf Gv 5,39); è il centro dell'economia della salvezza, la ricapitolazione dell'Antico e del Nuovo Testamento, delle promesse della Legge e del loro compimento nel Vangelo; è il legame vivente ed eterno tra l'Antica e la Nuova Alleanza. Commentando l'affermazione di Paolo «Il termine della legge è Cristo» (Rm 10,4), sant'Ambrogio scrive: «Fine non in quanto mancanza, ma in quanto pienezza della legge: questa si compie in Cristo (plenitudo legis in Christo est), dal momento che Egli è venuto non a dissolvere la legge, ma a portarla a compimento. Allo stesso modo in cui c'è un Testamento Antico, ma ogni verità sta all'interno del Nuovo Testamento, così avviene per la legge: quella che è stata data per mezzo di Mosè è figura della vera legge. Dunque, quella legge mosaica è copia della verità».
Gesù porta a compimento i comandamenti di Dio, in particolare il comandamento dell'amore del prossimo, interiorizzando e radicalizzando le sue esigenze: l'amore del prossimo scaturisce da un cuore che ama, e che, proprio perché ama, è disposto a vivere le esigenze più alte. Gesù mostra che i comandamenti non devono essere intesi come un limite minimo da non oltrepassare, ma piuttosto come una strada aperta per un cammino morale e spirituale di perfezione, la cui anima è l'amore (cf Col 3,14). Così il comandamento «Non uccidere» diventa l'appello ad un amore sollecito che tutela e promuove la vita del prossimo; il precetto che vieta l'adulterio diventa l'invito ad uno sguardo puro, capace di rispettare il significato sponsale del corpo: «Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio... Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda ad una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5,21-22.27-28). È Gesù stesso il «compimento» vivo della Legge in quanto egli ne realizza il significato autentico con il dono totale di sé: diventa Lui stesso Legge vivente e personale, che invita alla sua sequela, dà mediante lo Spirito la grazia di condividere la sua stessa vita e il suo stesso amore e offre l'energia per testimoniarlo nelle scelte e nelle opere (cf Gv 13,34-35).
[Papa Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor nn.13-15]
Oggi il Vangelo presenta la celebre parabola del “buon samaritano” (cfr Lc 10,25-37). Interrogato da un dottore della legge su ciò che è necessario per ereditare la vita eterna, Gesù lo invita a trovare la risposta nelle Scritture e dice: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso» (v. 27). C’erano però diverse interpretazioni su chi si dovesse intendere come “prossimo”. Infatti quell’uomo chiede ancora: «E chi è il mio prossimo?» (v. 29). A questo punto, Gesù risponde con la parabola, questa bella parabola: invito tutti voi a prendere il Vangelo oggi, Vangelo di Luca, capitolo decimo, versetto 25. È una delle più belle parabole del Vangelo. E questa parabola è diventata paradigmatica della vita cristiana. È diventata il modello di come deve agire un cristiano. Grazie all’evangelista Luca, abbiamo questo tesoro.
Protagonista del breve racconto è un samaritano, che incontra lungo la strada un uomo derubato e percosso dai briganti e si prende cura di lui. Sappiamo che i giudei trattavano con disprezzo i samaritani, considerandoli estranei al popolo eletto. Non è dunque un caso che Gesù scelga proprio un samaritano come personaggio positivo della parabola. In questo modo vuole superare il pregiudizio, mostrando che anche uno straniero, anche uno che non conosce il vero Dio e non frequenta il suo tempio, è capace di comportarsi secondo la sua volontà, provando compassione per il fratello bisognoso e soccorrendolo con tutti i mezzi a sua disposizione.
Per quella stessa strada, prima del samaritano, erano già passati un sacerdote e un levita, cioè persone dedite al culto di Dio. Però, vedendo il poveraccio a terra, erano andati oltre senza fermarsi, probabilmente per non contaminarsi col suo sangue. Avevano anteposto una regola umana – non contaminarsi col sangue – legata al culto al grande comandamento di Dio, che vuole anzitutto la misericordia.
Gesù, dunque, propone come modello il samaritano, proprio uno che non aveva fede! Anche noi pensiamo a tanta gente che conosciamo, forse agnostica, che fa del bene. Gesù sceglie come modello uno che non era un uomo di fede. E questo uomo, amando il fratello come sé stesso, dimostra di amare Dio con tutto il cuore e con tutte le forze – il Dio che non conosceva! –, ed esprime nello stesso tempo vera religiosità e piena umanità.
Dopo aver raccontato questa parabola tanto bella, Gesù si rivolge di nuovo al dottore della legge che gli aveva chiesto «Chi è il mio prossimo?», e gli dice: «Chi di questi ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?» (v. 36). In questo modo opera un rovesciamento rispetto alla domanda del suo interlocutore, e anche alla logica di tutti noi. Ci fa capire che non siamo noi che, in base ai nostri criteri, definiamo chi è il prossimo e chi non lo è, ma è la persona in situazione di bisogno che deve poter riconoscere chi è il suo prossimo, cioè «chi ha avuto compassione di lui» (v. 37). Essere capaci di avere compassione: questa è la chiave. Questa è la nostra chiave. Se tu davanti a una persona bisognosa non senti compassione, se il tuo cuore non si commuove, vuol dire che qualcosa non va. Stai attento, stiamo attenti. Non ci lasciamo trascinare dall’insensibilità egoistica. La capacità di compassione è diventata la pietra di paragone del cristiano, anzi dell’insegnamento di Gesù. Gesù stesso è la compassione del Padre verso di noi. Se tu vai per la strada e vedi un senzatetto sdraiato lì e passi senza guardarlo o pensi: “Ma, effetto del vino. È un ubriaco”, domandati non se quell’uomo è ubriaco, domandati se il tuo cuore non si è irrigidito, se il tuo cuore non è diventato ghiaccio. Questa conclusione indica che la misericordia nei confronti di una vita umana in stato di necessità è il vero volto dell’amore. È così che si diventa veri discepoli di Gesù e si manifesta il volto del Padre: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). E Dio, nostro Padre, è misericordioso, perché ha compassione; è capace di avere questa compassione, di avvicinarsi al nostro dolore, al nostro peccato, ai nostri vizi, alle nostre miserie.
La Vergine Maria ci aiuti a comprendere e soprattutto a vivere sempre più il legame inscindibile che c’è tra l’amore per Dio nostro Padre e l’amore concreto e generoso per i nostri fratelli, e ci dia la grazia di avere compassione e crescere nella compassione.
[Papa Francesco, Angelus 14 luglio 2019]
(Mc 10, 2-16)
Concezione legalista e durezza di cuore
(Mc 10,1-12)
La polemica coi fanatici del diritto mette in rilievo la necessità di una nuova comunità messianica, che superi la concezione morale esclusivamente legalista.
Il tema scelto dai farisei si prestava a mettere Gesù in difficoltà sull’ideale dell’amore.
Il diritto matrimoniale imponeva alla moglie di farsi proprietà del marito.
Quindi in ogni caso il divorzio ridondava a sfavore della donna, sempre vista come essere inferiore.
Nella società del tempo, dominio maschilista ed emarginazione dei deboli erano situazioni assodate.
A tutela della libertà proprio della donna (Dt 24,1-4) la legge imponeva che il marito stufo [anche per una sciocchezza o capriccio] scrivesse comunque una “lettera” di divorzio che la sancisse libera.
A differenza della società romana, la moglie non aveva il medesimo diritto: una piaga sociale, che ne oscurava la dignità.
In pratica era come un oggetto, e schiava anche in casa propria.
Ma nel creare l’essere umano, non era questo l’intento del Creatore. Così Gesù toglie i privilegi - anche domestici - chiedendo massima uguaglianza di diritti e doveri.
Sapeva che gli stessi apostoli preferivano non sposarsi che rinunciare all’esclusiva del comando (Mt 19,10: «Se la situazione dell’uomo con la donna è così, non conviene sposarsi»).
Il Maestro non consente il dominio del forte sul debole, pertanto l’uomo deve perdere l’egemonia sulla donna.
La legge nuova è l'amore, e l'amore non consente possessi, sfruttamenti affettivi, catene fisse di comando.
Sia matrimonio che celibato sono scelte che riconoscono il valore della Persona.
Opzioni da stupore a motivo del Regno di Dio - non a servizio di alcun compromesso, supremazie, o altri interessi che accampino pretese.
Il progetto divino sull'umanità è trasparente, ampio e generoso. La stessa unione matrimoniale è chiamata a esprimere la mèta di una Pienezza.
Il più forte non acquista il più debole in proprietà, ma entrambi si arricchiscono a vicenda - con lealtà e anche nelle divergenze, colte come punte avanzate di una proposta di crescita e dilatazione.
Cristo pretende una nuova impostazione dell’etica. Ciò al di là delle regolamentazioni, che cercano di adattare all’ordine.
Quindi l’insegnamento del Signore fa qui appello all’Atto creativo divino che nella natura di persona ha inciso una capacità di dono e crescita - e non può essere regolato da clausole di contratto, né sottomesso a condizionamenti e soggezioni.
Il passo della Fede costruisce persone e comunità, completandole senza troppe accelerazioni, o restrizioni d’imperio. Per un Amore che senza posa ci origina.
La Famiglia diventa così una ‘piccola Chiesa domestica’ perché insieme autonoma e comprensiva; senza più nomenclature, compromessi, maschere, bavagli o camicie di forza.
Allora la complementarietà vissuta in modo autentico - senza esteriorità - può andare oltre le casistiche degli ordinamenti.
In tal guisa essa ha buoni esiti personali e sociali, evocando la stessa Presenza di Dio nel mondo.
Lasciate che gli esclusi a ruota libera vengano a Me
La rinuncia all’orgoglio e il Fiuto senza cittadinanza
(Mc 10,13-16)
«Nel cammino sinodale, l’ascolto deve tener conto del sensus fidei, ma non deve trascurare tutti quei “presentimenti” incarnati dove non ce l’aspetteremmo: ci può essere un “fiuto senza cittadinanza”, ma non meno efficace. Lo Spirito Santo nella sua libertà non conosce confini, e non si lascia nemmeno limitare dalle appartenenze. Se la parrocchia è la casa di tutti nel quartiere, non un club esclusivo, mi raccomando: lasciate aperte porte e finestre […] Non siate disincantati, preparatevi alle sorprese» (Papa Francesco, Discorso alla Diocesi di Roma 18/09/ 2021).
Gesù s’identifica con i malfermi (v.16). E senza mezzi termini intende addirittura proporli ai seguaci veterani!
Questo proprio per indicare il tipo di credente che sogna diventino (v.15): la persona che riconosce legittimi i desideri degli altri, e non fa troppe storie se si vede diminuito nella considerazione sociale.
I responsabili di chiesa non di rado già dai primi tempi si sentivano esperti e autosufficienti…
Viceversa, devono essere pronti in Cristo Gesù a ‘nascere’ sempre di nuovo, altrimenti il loro occhio resterà malato d’una visione del Regno caricaturale e bloccata.
Il “piccolo” ha invece assai meno riserve mentali - nonché meno zavorre pratiche: si getta in modo genuino ed entusiasta nelle imprese dell’avventura di Fede.
Il Signore non ha schifo di «toccare» direttamente (v.13) i considerati impuri, le donne, i piccoli o le loro mamme: obbrobrio secondo le norme rituali dell’epoca.
Donne e ragazzini - insieme ai pagani - erano valutati esseri inaffidabili e impuri per natura, anzi contaminanti.
Il Maestro non ha alcun timore di trasgredire la legge religiosa, o di essere valutato Egli stesso un infetto!
Cristo abbraccia, benedice, mette la sua mano sui servetti - come a riconoscerli e consacrarli davvero: vi si rispecchia come fosse uno di loro.
Vuol dire che la preoccupazione dei discepoli non dev’essere quella della “rieducazione” comune a tutti i vari credo più o meno misterici dell’epoca.
Anzi, il segno più eloquente del Regno di Dio sulla terra è proprio lo spirito di accoglienza dei marginali: coloro che neppure sanno cosa significhi rivendicare diritti solo per se stessi.
La qualità di Vita nello Spirito si commisura sulla capacità di recuperare i lati opposti in ciascun fedele che ha desiderio di camminare verso la propria stessa completezza.
Così, in Comunità tale dinamica di ripresa incrementa e rimonta grazie alla ‘integrazione’ che diviene convivialità feconda delle differenze.
Accogliere, ospitare deboli, lontani, piccoli ed esclusi è arricchimento personale e comune - segno eloquente della stessa vita e caratura divina in noi e nella Chiesa.
Non un’istituzione vincente, bensì servitrice dell’umanità bisognosa di tutto.
E proprio i ‘piccoli’ diventano in Cristo professori degli adulti.
Questa la modestia angelica e la ‘piccolezza’ evangelica che ci fa emancipati e subito all’altezza; ma soprattutto felici, contenti di essere «minori» anche malconsiderati.
[27.a Domenica T.O. (B) 6 ottobre 2024]
Mt 19,3-12 (cf. Gen 2,18-24)
Conosciamo le oscillazioni della nostra emotività: la persona che ora mi fa perdere la testa, tra una settimana forse mi darà urto di nervi. Ogni mattina ci alziamo con umore differente; dopo un po’ la psiche dà segnali opposti, quindi torna sulle posizioni precedenti.
Ovvio che il filo invisibile del rapporto di coppia non possa riuscire felice e saldo, se i presupposti sono unicamente seduttivi: si finirà in una escalation di apatia o discussioni.
La Parola di Dio propone uno spunto di discernimento assai sapiente per i fidanzati: la nuova Nascita.
Una ragazza lascerà il padre se nella fiammante relazione scopre una prospettiva di migliorate sicurezze, e paternità o possibilità di protezione inedite ancora maggiori; un giovane lascerà sua madre se nella fiaccola del nuovo rapporto scorge un principio di accoglienza, ascolto e comprensione ignoti o superiori alla propria mamma.
Nuova Genesi: è la prospettiva vocazionale irrinunciabile, unica in grado d’integrare la fatica del mettersi in gioco e accogliere l’idea a due di poter anche uscire dalle proprie posizioni - perfino quelle d’inizio relazione.
Nell’innamoramento ci si lascia attivare e attraversare da una Forza misteriosa che [persino al di là del fascino del partner] vuole condurci a una sorta di sprigionamento delle energie nascoste, nell’incessante ricerca dell’identità-carattere.
L’amore ci origina, fa compiere un sentiero non privo d’interruzioni, che costringono incessantemente all’Inizio; a ri-scegliere i valori su cui ci siamo giocati. Quindi nascere e principiare di nuovo, inopinatamente diventando sempre più “giovani”.
Quella fiaccola ardente ci farà fare incontri straordinari, anzitutto nella direzione significativa dell’intimo rigenerato; così non ci sarà più bisogno di catturare il coniuge, per tenerlo fermo o vicino a sé.
È il desiderio sacro che ci crea; poi - a Due - esso diventa ancor più efficacemente sostanza di ciò che ciascuno è chiamato a essere - attraverso passi di felicità che preparano un nuovo originarsi, un distinto abbozzo e destino.
Tutto ciò affinché di onda in onda, di nascita in nascita, e sotto lo stimolo del continuo Dialogo, la nostra essenza si compia, lasciando fiorire la Chiamata per Nome profonda.
La naturale complementarietà può consumarsi con l’età, la fatica, le frustrazioni. Invece un riflesso di Amore assoluto, che rimanda e dà le vertigini [perché ci colloca in trame fuori del tempo] è spettacolo che scuote, commuove e conquista.
Irradiare Dio che crea (dentro di noi e nella relazione), riflettere una grande incessante Origine dentro l’unità umana, ci fa essere insieme - a due ma con noi stessi presenti, ed essere-Con la nostra Radice.
Una Sorgente innata che non si esprime in camicie di forza o in una identificazione: dona senso e respiro anche al secondario, al ripetitivo e quotidiano che insidia - e sembra voler farci sfiorire nel disincanto.
Se l’idea del Principio è sempre di casa, non sarà più necessario che la scorza della vita di tutti i giorni modifichi, né che troppe situazioni cambino: è quello sguardo sull’Eternità che fa ri-nascere nel progetto umano (personale ma completo) di Genesi.
È una Presenza… e una Fonte che genera, e l’Orizzonte vitale di Chi si mette dentro le cose… che cambia tanto le nostre piccole cose.
L’Azione di Colui che partorisce alla luminosità antica e nuova dell’anima ci fa crescere e rinascere ancora, per stare sia con se stessi che più saldamente insieme.
La Famiglia diventa una piccola «chiesa domestica» dalla quale «nascono i nuovi cittadini della società umana» (Lumen Gentium n.11).
Essa così manifesta e dispiega l’icona di un Dio che non si esprime in modo rigido, ma nel creare.
Grazie a Genitori in grado di secondare la «vocazione propria di ognuno», nei nuovi albori e nell’incalzare di successivi getti e gemme ciascun virgulto «lascerà suo padre e sua madre».
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
L’esperienza ecclesiale cosa ti ha dato in più nella comprensione del rapporto uomo-donna? E circa la comunione e l’autonomia?
Concezione legalista e durezza di cuore
(Mt 19,3-12)
La polemica coi fanatici del diritto mette in rilievo la necessità di una nuova comunità messianica, che superi la concezione morale esclusivamente legalista.
Il tema scelto dai farisei si prestava a mettere Gesù in difficoltà sull’ideale dell’amore.
Il diritto matrimoniale del tempo imponeva alla moglie di farsi proprietà del marito.
Quindi in ogni caso il divorzio ridondava a sfavore della donna, sempre vista come essere inferiore.
Nella società del tempo, dominio maschilista ed emarginazione dei deboli erano situazioni assodate.
A tutela della libertà proprio della donna (Dt 24,1-4) la legge imponeva che il marito stufo [anche per una sciocchezza o capriccio] scrivesse comunque una “lettera” di divorzio che la sancisse libera.
A differenza della società romana, la moglie non aveva il medesimo diritto: una piaga sociale, che ne oscurava la dignità. In pratica era come un oggetto e una schiava anche in casa propria.
Ma nel creare l’essere umano, non era questo l’intento del Creatore. Così Gesù toglie i privilegi - anche domestici - chiedendo massima uguaglianza di diritti e doveri.
Sapeva che gli stessi apostoli preferivano non sposarsi che rinunciare all’esclusiva del comando, anche solo per scapricciarsi: «Se la situazione dell’uomo con la donna è così, non conviene sposarsi» (Mt 19,10).
Il Maestro non consente il dominio del forte sul debole; pertanto l’uomo deve perdere l’egemonia sulla donna.
La legge nuova è l'amore, e l'amore non consente possessi, sfruttamenti affettivi, catene fisse di comando.
Sia matrimonio che celibato sono scelte che riconoscono il valore della Persona. Opzioni da stupore a motivo del Regno di Dio - non a servizio di alcun compromesso, supremazie, o altri interessi che accampino pretese.
Il progetto divino sull'umanità è trasparente, ampio e generoso. La stessa unione matrimoniale - senza per questo sentirsi vincolati a dominazioni o settori - è chiamata a esprimere la mèta di una Pienezza.
Il più forte non acquista il più debole in proprietà, ma [sfumando da quelle rigide posizioni, senza ipocrisie e compromessi di campo] entrambi si arricchiscono a vicenda - con lealtà e anche nelle divergenze, colte come punte avanzate di una proposta di crescita e dilatazione.
Cristo pretende una nuova impostazione dell’etica [un tempo “a giurisdizione”], ora segnata dai valori primari. Ciò al di là delle regolamentazioni, che cercano di adattare all’ordine... arginando forse le nostre parodie, o mediocrità.
Quindi l’insegnamento di Cristo fa qui appello all’Atto creativo divino che nella natura di persona ha inciso una capacità di dono e crescita - e che non può essere regolato da clausole di contratto, né sottomesso a condizionamenti e soggezioni.
Il seme dell’amore va affidato alla terra, anche melmosa; consci della propria debolezza e della potenza di altre forze provvidenziali.
Anche col terreno scosceso o incerto, se non ci si precipita in pregiudizi artificiosi (o lamenti d’ingratitudine) l’intreccio stesso delle radici produrrà genuinamente la sua fioritura.
In tale corrente energetica spontanea, non subordinata, si edificherà una differente abnegazione - ove il dato di fatto da regolare diviene superamento che sprigiona altre virtù o visuali.
Qui il passo di Fede costruisce persone e comunità, completandole (senza troppe accelerazioni, o restrizioni d’imperio). Per un Amore che senza posa ci origina.
La Famiglia diventa così una ‘piccola Chiesa domestica’ perché insieme autonoma e comprensiva; senza più nomenclature, compromessi, maschere, bavagli o camicie di forza.
Allora la complementarietà vissuta in modo autentico - senza esteriorità - può andare oltre le casistiche degli ordinamenti: essa ha buoni esiti personali e sociali, evocando la stessa Presenza di Dio nel mondo.
Lasciate che gli esclusi vengano a Me
La rinuncia all’orgoglio e il Fiuto senza cittadinanza
(Mc 10,13-16)
Dopo i sorprendenti consigli sull’uguaglianza nella relazione fra uomo e donna, Gesù rincara la dose proclamando non solo la dignità dei rapporti fra adulti e figli, ma anche tra veterani di comunità e incipienti.
Per i primi della classe, il Regno di Dio era cosa loro e opera loro. Non veniva all’umanità come Dono - anzitutto da ricevere - ma (secondo schema) era necessario raggiungerlo con osservanze e meriti corrispondenti.
Nel passo di Vangelo Cristo non parla d’infantilismo irresponsabile - criterio purtroppo abusato nell’ascetica (e che rende sguarniti)...
Nessuno può occupare il ruolo del Signore sulla terra, semplicemente perché Egli resta Presente e Veniente; non manipolatore.
Se diventiamo semplici e bambini lo siamo unicamente davanti a Dio: nessun istituto può essere in grado di surrogare Gesù.
In passato, una Cristologia umanamente evasiva ha fatto purtroppo il paio con l’ecclesiologia trionfalista.
Davanti ad essa - soprattutto nei territori di provincia o missione - il popolo considerato puerile poteva adempiere talora con fideismo acritico. Al massimo, pronunciare qualche balbettio (mistico o da formulario).
Al tempo di Gesù l’inosservanza delle norme di purità escludeva dal culto e dalla vita sociale sia gl’infanti che i considerati infedeli o frammisti, malgrado dessero palese testimonianza di solida carità.
Il termine greco usato - paidìon-paidìa diminutivo di pàis - indicava un’età compresa fra 8-12 anni, tipica dei garzoni di bottega e dei servetti che in casa dovevano scattare a seguito degli ordini altrui (anche di estranei).
Il Maestro assume questi ragazzini come esempio di disponibilità, in primis per i suoi zelanti Apostoli.
Questi ultimi infatti non entravano subito e spontaneamente nel modo di vedere dei famigliari di Dio… come farebbe un autentico credente in quello del Padre.
Solo chi ha l’apertura dei fanciulli può accogliere la salvezza, perché si sente piccolo, permane ricettivo, umilmente sa ricominciare daccapo e perfino da sottozero.
Gesù s’identifica con i malfermi (v.16). E senza mezzi termini intende addirittura proporli di fatto ai seguaci veterani!
Questo proprio per indicare il tipo di credente che sogna diventino (v.15): la persona che riconosce legittimi i desideri degli altri, e non fa troppe storie se si vede diminuito nella considerazione sociale.
I responsabili di chiesa non di rado già dai primi tempi si sentivano esperti e autosufficienti…
Viceversa, devono essere pronti in Cristo Gesù a nascere sempre di nuovo, altrimenti il loro occhio resterà malato d’una visione del Regno caricaturale e bloccata.
Coloro che non si fidano del disegno del Padre, non procederanno con spontaneità e generosità: si smuoveranno solo se rassicurati a monte, recitando un personaggio stagnante, o una mansione ben ricambiata.
Il piccolo e insufficiente ha invece assai meno riserve mentali - nonché meno zavorre pratiche: si getta in modo genuino ed entusiasta nelle imprese dell’avventura di Fede.
Tutto ciò mentre per gli “eletti” (anche della Chiesa ufficiale) gli “incerti” non contano né rappresentano nulla - se non una cornice talora utile per fare numero, ma spesso anche seccante.
Prima che i lontani potessero accostarsi all’accoglienza interna effettiva (o alla semplice considerazione) i giudaizzanti volevano sottoporre coloro che si avvicinavano alla soglia delle chiese ad una lunga verifica artificiosa.
Si trattava di una sorta di disciplina dell’arcano (tipica delle varie devozioni) e una snervante trafila di correzioni a codice e casistica - tutte da verificare nel tempo.
Gesù invece non ha schifo di «toccare» direttamente (v.13) i considerati impuri, le donne, i piccoli o le loro mamme: obbrobrio secondo le norme rituali dell’epoca.
Donne e ragazzini - insieme ai pagani - erano valutati esseri inaffidabili e impuri per natura, anzi contaminanti.
Il Maestro non ha alcun timore di trasgredire la legge religiosa, o di essere valutato Egli stesso un infetto!
Il Regno non appartiene agli sterilizzati che ossessionano la vita di altri con precetti d’impurità legale; minuzie futili, esterne, ipocrite, insensate.
Cristo abbraccia, benedice, mette la sua mano sui servetti - come a riconoscerli e consacrarli davvero - assumendo in sé i non promossi delle “sinagoghe” del tempo: vi si rispecchia come fosse uno di loro.
Vuol dire che la preoccupazione dei discepoli non dev’essere quella della rieducazione tradizionale, comune a tutti i vari credo più o meno misterici dell’epoca.
Anzi, il segno più eloquente del Regno di Dio sulla terra è proprio lo spirito di accoglienza dei marginali: coloro che neppure sanno cosa significhi rivendicare diritti solo per se stessi.
Fra l’altro - come ben sperimentiamo semplicemente osservando le nostre stesse realtà - non di rado gli scartati sono meglio introdotti nella pratica della carità anche sommaria, rispetto a coloro che ricoprono ruoli di prestigio disincarnato.
Le pretese e le sole sofisticazioni degradano la concretezza del discepolato. Esse escludono il valore specifico del nuovo Regno, sino a trasformarlo e corromperlo - capovolgendolo nella caricatura.
La qualità di Vita nello Spirito si commisura sulla capacità di recuperare i lati opposti in ciascun fedele che ha desiderio di camminare verso la propria stessa completezza.
Così, in Comunità tale dinamica di ripresa incrementa e rimonta grazie all’integrazione che diviene convivialità feconda delle differenze.
Accogliere, ospitare deboli, lontani, piccoli ed esclusi è arricchimento personale e comune - segno eloquente della stessa vita e caratura divina in noi e nella Chiesa. Non istituzione vincente, bensì servitrice dell’umanità bisognosa di tutto.
E proprio i piccoli - totalmente privi dello spirito di autarchia - diventano in Cristo professori degli adulti, ossia dei dirigenti vitalizi, capi, reduci e superApostoli.
Questa la modestia angelica e la piccolezza evangelica che ci fa emancipati e subito all’altezza; ma soprattutto felici, contenti di essere minori (anche malconsiderati).
Insomma il Regno non è ambiente per adultoidi che bastano a se stessi.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa hai imparato dai lontani e dal loro appello? E la tua comunità è pronta all’accoglienza, all’ospitalità?
O si ritiene autosufficiente, e si pone solo come gran protagonista di elemosine - che trasforma gli altri in oggetti di paternalismo?
Il Fiuto senza cittadinanza
Nel cammino sinodale, l’ascolto deve tener conto del sensus fidei, ma non deve trascurare tutti quei “presentimenti” incarnati dove non ce l’aspetteremmo: ci può essere un “fiuto senza cittadinanza”, ma non meno efficace. Lo Spirito Santo nella sua libertà non conosce confini, e non si lascia nemmeno limitare dalle appartenenze. Se la parrocchia è la casa di tutti nel quartiere, non un club esclusivo, mi raccomando: lasciate aperte porte e finestre, non vi limitate a prendere in considerazione solo chi frequenta o la pensa come voi – che saranno il 3, 4 o 5%, non di più. Permettete a tutti di entrare… Permettete a voi stessi di andare incontro e lasciarsi interrogare, che le loro domande siano le vostre domande, permettete di camminare insieme: lo Spirito vi condurrà, abbiate fiducia nello Spirito. Non abbiate paura di entrare in dialogo e lasciatevi sconvolgere dal dialogo: è il dialogo della salvezza.
Non siate disincantati, preparatevi alle sorprese. C’è un episodio nel libro dei Numeri (cap. 22) che racconta di un’asina che diventerà profetessa di Dio. Gli ebrei stanno concludendo il lungo viaggio che li condurrà alla terra promessa. Il loro passaggio spaventa il re Balak di Moab, che si affida ai poteri del mago Balaam per bloccare quella gente, sperando di evitare una guerra. Il mago, a suo modo credente, domanda a Dio che fare. Dio gli dice di non assecondare il re, che però insiste, e allora lui cede e sale su un’asina per adempiere il comando ricevuto. Ma l’asina cambia strada perché vede un angelo con la spada sguainata che sta lì a rappresentare la contrarietà di Dio. Balaam la tira, la percuote, senza riuscire a farla tornare sulla via. Finché l’asina si mette a parlare avviando un dialogo che aprirà gli occhi al mago, trasformando la sua missione di maledizione e morte in missione di benedizione e vita.
Questa storia ci insegna ad avere fiducia che lo Spirito farà sentire sempre la sua voce. Anche un’asina può diventare la voce di Dio, aprirci gli occhi e convertire le nostre direzioni sbagliate. Se lo può fare un’asina, quanto più un battezzato, una battezzata, un prete, un Vescovo, un Papa. Basta affidarsi allo Spirito Santo che usa tutte le creature per parlarci: soltanto ci chiede di pulire le orecchie per sentire bene.
(Papa Francesco, Discorso 18 settembre 2021)
Cf 19(s) ok; 27 B (2)
Cari fratelli e sorelle! In questa domenica, il Vangelo ci presenta le parole di Gesù sul matrimonio. A chi gli domandava se fosse lecito al marito ripudiare la propria moglie, come prevedeva un precetto della legge mosaica (cfr Dt 24, 1), Egli rispose che quella era una concessione fatta da Mosè a motivo della "durezza del cuore", mentre la verità sul matrimonio risaliva "all'inizio della creazione", quando "Dio - come sta scritto nel Libro della Genesi - li creò maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola" (Mc 10, 6-7; cfr Gn 1, 27; 2, 24). E Gesù aggiunse: "Sicché non sono più due, ma una carne sola. L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto" (Mc 10, 8-9). È questo il progetto originario di Dio, come ha ricordato anche il Concilio Vaticano II nella Costituzione Gaudium et spes: "L'intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale... Dio stesso è l'autore del matrimonio" (n. 48).
Il mio pensiero va a tutti gli sposi cristiani: ringrazio con loro il Signore per il dono del Sacramento del matrimonio, e li esorto a mantenersi fedeli alla loro vocazione in ogni stagione della vita, "nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia", come hanno promesso nel rito sacramentale. Consapevoli della grazia ricevuta, possano i coniugi cristiani costruire una famiglia aperta alla vita e capace di affrontare unita le molte e complesse sfide di questo nostro tempo. C'è oggi particolarmente bisogno della loro testimonianza. C'è bisogno di famiglie che non si lascino travolgere da moderne correnti culturali ispirate all'edonismo e al relativismo, e siano pronte piuttosto a compiere con generosa dedizione la loro missione nella Chiesa e nella società.
Nell'Esortazione apostolica Familiaris consortio, il servo di Dio Giovanni Paolo II ha scritto che "il sacramento del matrimonio costituisce i coniugi e i genitori cristiani testimoni di Cristo "fino agli estremi confini della terra", veri e propri "missionari" dell'amore e della vita" (cfr n. 54). Questa missione è diretta sia all'interno della famiglia - specialmente nel servizio reciproco e nell'educazione dei figli -, sia all'esterno: la comunità domestica, infatti, è chiamata ad essere segno dell'amore di Dio verso tutti. È missione, questa, che la famiglia cristiana può portare a compimento solo se sorretta dalla grazia divina. Per questo è necessario pregare senza mai stancarsi e perseverare nel quotidiano sforzo di mantenere gli impegni assunti il giorno del matrimonio. Su tutte le famiglie, specialmente su quelle in difficoltà, invoco la materna protezione della Madonna e del suo sposo Giuseppe. Maria, Regina della famiglia, prega per noi!
[Papa Benedetto, Angelus 8 ottobre 2006]
Carissimi Fratelli e Sorelle!
1. Anche quest'oggi vorrei proseguire nella riflessione sul matrimonio, la famiglia e la legge naturale. Alla base della famiglia c'è l'amore tra un uomo e una donna: un amore inteso come dono di sé, reciproco e profondo, espresso anche nell'unione sessuale, coniugale.
Alla Chiesa si rimprovera talvolta di fare del sesso un "tabù". La verità è ben altra! Nel corso della storia, in contrasto con le tendenze manichee, il pensiero cristiano ha sviluppato una visione armonica e positiva dell'essere umano, riconoscendo il ruolo significativo e prezioso che la mascolinità e la femminilità svolgono nella vita dell'uomo.
Del resto il messaggio biblico è inequivocabile: "Dio creò l'uomo a sua immagine . . . Maschio e femmina li creò" (Gen 1, 27). In questa affermazione, è scolpita la dignità di ogni uomo e di ogni donna, nella loro uguaglianza di natura, ma anche nella loro diversità sessuale. Essa è un dato che tocca profondamente la costituzione dell'essere umano. "Dal sesso infatti la persona umana deriva le caratteristiche che sul piano biologico, psicologico e spirituale la fanno uomo o donna" (Congr. pro Doctrina Fidei, Persona humana, 1).
L'ho ribadito di recente nella Lettera alle famiglie: "L'uomo è creato "sin dal principio" come maschio e femmina: la vita dell'umana collettività - delle piccole comunità come dell'intera società - porta il segno di questa dualità originaria. Da essa derivano la "mascolinità" e la "femminilità" dei singoli individui, così come da essa ogni comunità attinge la propria caratteristica ricchezza nel reciproco completamento delle persone" (Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, n. 6).
2. La sessualità appartiene dunque al disegno originario del Creatore, e la Chiesa non può fare a meno di averne una grande stima. Al tempo stesso, neppure può fare a meno di chiedere a ciascuno di rispettarla nella sua natura profonda.
Quale dimensione inscritta nella totalità della persona, la sessualità costituisce un "linguaggio" a servizio dell'amore, e non può dunque essere vissuta come pura istintualità. Essa va governata dall'uomo quale essere intelligente e libero.
Ciò non vuol dire, tuttavia, che essa possa essere manipolata ad arbitrio. Essa possiede infatti una sua tipica struttura psicologica e biologica, finalizzata sia alla comunione tra uomo e donna che alla nascita di nuove persone. Rispettare tale struttura e tale inscindibile connessione non è "biologismo" o "moralismo", è l'attenzione alla verità dell'essere uomo, dell'essere persona. E’ in forza di tale verità, percepibile anche alla luce della ragione, che sono moralmente inaccettabili il cosiddetto "libero amore", l'omosessualità, la contraccezione. Si tratta infatti di comportamenti che stravolgono il significato profondo della sessualità, impedendole di porsi al servizio della persona, della comunione e della vita.
3. La Vergine Santa, modello di femminilità, di tenerezza e di dominio di sé, aiuti gli uomini e le donne del nostro tempo a non banalizzare il sesso, in nome di una falsa modernità. A Lei guardino i giovani, le donne, le famiglie. Voglia Maria, Madre castissima, illuminare i rappresentanti delle nazioni perché nella prossima riunione a Il Cairo assumano decisioni ispirate agli autentici valori umani, che sono alla base dell'auspicata civiltà dell'amore.
[Papa Giovanni Paolo II, Angelus 26 giugno 1994]
Il Vangelo di questa domenica (cfr Mc 10,2-16) ci offre la parola di Gesù sul matrimonio. Il racconto si apre con la provocazione dei farisei che chiedono a Gesù se sia lecito a un marito ripudiare la propria moglie, così come prevedeva la legge di Mosè (cfr vv. 2-4). Gesù anzitutto, con la sapienza e l’autorità che gli vengono dal Padre, ridimensiona la prescrizione mosaica dicendo: «Per la durezza del vostro cuore egli – cioè l’antico legislatore – scrisse per voi questa norma» (v. 5). Si tratta cioè di una concessione che serve a tamponare le falle prodotte dal nostro egoismo, ma non corrisponde all’intenzione originaria del Creatore.
E qui Gesù riprende il Libro della Genesi: «Dall’inizio della creazione (Dio) li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola» (vv. 6-7). E conclude: «Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (v. 9). Nel progetto originario del Creatore, non c’è l’uomo che sposa una donna e, se le cose non vanno, la ripudia. No. Ci sono invece l’uomo e la donna chiamati a riconoscersi, a completarsi, ad aiutarsi a vicenda nel matrimonio.
Questo insegnamento di Gesù è molto chiaro e difende la dignità del matrimonio, come unione di amore che implica la fedeltà. Ciò che consente agli sposi di rimanere uniti nel matrimonio è un amore di donazione reciproca sostenuto dalla grazia di Cristo. Se invece prevale nei coniugi l’interesse individuale, la propria soddisfazione, allora la loro unione non potrà resistere.
Ed è la stessa pagina evangelica a ricordarci, con grande realismo, che l’uomo e la donna, chiamati a vivere l’esperienza della relazione e dell’amore, possono dolorosamente porre gesti che la mettono in crisi. Gesù non ammette tutto ciò che può portare al naufragio della relazione. Lo fa per confermare il disegno di Dio, in cui spiccano la forza e la bellezza della relazione umana. La Chiesa, da una parte non si stanca di confermare la bellezza della famiglia come ci è stata consegnata dalla Scrittura e dalla Tradizione; nello stesso tempo, si sforza di far sentire concretamente la sua vicinanza materna a quanti vivono l’esperienza di relazioni infrante o portate avanti in maniera sofferta e faticosa.
Il modo di agire di Dio stesso con il suo popolo infedele – cioè con noi – ci insegna che l’amore ferito può essere sanato da Dio attraverso la misericordia e il perdono. Perciò alla Chiesa, in queste situazioni, non è chiesta subito e solo la condanna. Al contrario, di fronte a tanti dolorosi fallimenti coniugali, essa si sente chiamata a vivere la sua presenza di amore, di carità e di misericordia, per ricondurre a Dio i cuori feriti e smarriti.
Invochiamo la Vergine Maria, perché aiuti i coniugi a vivere e rinnovare sempre la loro unione a partire dal dono originario di Dio.
[Papa Francesco, Angelus 7 ottobre 2018]
The "widow" represents the soul of the People from whom God, the Bridegroom, has been stolen. The "poor" is such because she is the victim of a deviant teaching: a doctrine that arouses fear, more than humility or a spirit of totality. Jesus mourns the condition of she who should have been helped by the Temple instead of impoverished
La “vedova” raffigura l’anima del Popolo cui è stato sottratto Dio, lo Sposo. La “povera” è tale perché vittima di un insegnamento deviante: dottrina che suscita timore, più che umiltà o spirito di totalità. Gesù piange la condizione di colei che dal Tempio avrebbe dovuto essere aiutata, invece che impoverita
Jesus has forever interrupted the succession of ferocious empires. He turned the values upside down. And he proposes the singular work - truly priestly - of the journey of Faith: the invitation to question oneself. At the end of his earthly life, the Lord is Silent, because he waits for everyone to pronounce, and choose
Gesù ha interrotto per sempre il susseguirsi degli imperi feroci. Ha capovolto i valori. E propone l’opera singolare - davvero sacerdotale - del cammino di Fede: l’invito a interrogarsi. Al termine della sua vicenda terrena il Signore è Silenzioso, perché attende che ciascuno si pronunci, e scelga
The Sadducees, addressing Jesus for a purely theoretical "case", at the same time attack the Pharisees' primitive conception of life after the resurrection of the bodies; they in fact insinuate that faith in the resurrection of the bodies leads to admitting polyandry, contrary to the law of God (Pope John Paul II)
I Sadducei, rivolgendosi a Gesù per un "caso" puramente teorico, attaccano al tempo stesso la primitiva concezione dei Farisei sulla vita dopo la risurrezione dei corpi; insinuano infatti che la fede nella risurrezione dei corpi conduce ad ammettere la poliandria, contrastante con la legge di Dio (Papa Giovanni Paolo II)
Are we disposed to let ourselves be ceaselessly purified by the Lord, letting Him expel from us and the Church all that is contrary to Him? (Pope Benedict)
Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario? (Papa Benedetto)
Jesus makes memory and remembers the whole history of the people, of his people. And he recalls the rejection of his people to the love of the Father (Pope Francis)
Gesù fa memoria e ricorda tutta la storia del popolo, del suo popolo. E ricorda il rifiuto del suo popolo all’amore del Padre (Papa Francesco)
Today, as yesterday, the Church needs you and turns to you. The Church tells you with our voice: don’t let such a fruitful alliance break! Do not refuse to put your talents at the service of divine truth! Do not close your spirit to the breath of the Holy Spirit! (Pope Paul VI)
Oggi come ieri la Chiesa ha bisogno di voi e si rivolge a voi. Essa vi dice con la nostra voce: non lasciate che si rompa un’alleanza tanto feconda! Non rifiutate di mettere il vostro talento al servizio della verità divina! Non chiudete il vostro spirito al soffio dello Spirito Santo! (Papa Paolo VI)
Sometimes we try to correct or convert a sinner by scolding him, by pointing out his mistakes and wrongful behaviour. Jesus’ attitude toward Zacchaeus shows us another way: that of showing those who err their value, the value that God continues to see in spite of everything (Pope Francis)
A volte noi cerchiamo di correggere o convertire un peccatore rimproverandolo, rinfacciandogli i suoi sbagli e il suo comportamento ingiusto. L’atteggiamento di Gesù con Zaccheo ci indica un’altra strada: quella di mostrare a chi sbaglia il suo valore, quel valore che continua a vedere malgrado tutto (Papa Francesco)
don Giuseppe Nespeca
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