Lc 14,1.7-14 (1-14)
Essere se stesso ed essere diverso. Strada della vicinanza
Fine di un ordine sacro: inzeppati - o liberi
(Lc 14,1-6)
La Bibbia presenta sovente la Salvezza sotto l’immagine di un convito al quale Dio stesso partecipa a fianco dell’uomo.
Qui si allude in modo specifico all’assemblea dei convocati a spezzare il Pane («per mangiare pane»: v.1 testo greco) - scena ancora dominata da tradizionalisti (giudaizzanti).
In apparenza, la superficie è tranquilla. Motivo in più perché il Signore (dispettosissimo) getti il sassolino, a rimodularne i lati soporiferi.
Dov’Egli si fa presente sul serio - financo nei luoghi deputati al sereno svolgimento dei Sacramenti, nulla resta come prima.
La sua schiettezza sbalordisce ancora, e sconcerta ogni quietismo.
Strano che un idropico possa essere entrato in casa di un fariseo - ma significativo, nel senso del richiamo evangelico.
Nella dimora del dirigente all’antica, l’umanità ospite è inzeppata di tritumi vagamente spirituali - non della Fede luminosa e vivente.
Lì ci si muove a fatica.
Nell’assemblea (guarda caso) qualcuno non si tiene in piedi; è zeppo dentro... di cose da eliminare prima possibile - o non ce la farà.
Ma è solo la domanda di Gesù che fa subito pulizia degli inutili eccessi inoculati goccia a goccia dalle false guide, nei malcapitati.
Dentro il pozzo del v.5 è come se fosse caduto non un asino o un bue, ma un fratello o un figlio. Insomma: le scuse del legalismo religioso antico neppure sfiorano il Padre.
I leaders presenti non sanno che parola proferire: in realtà, non hanno nulla da dire (a chiunque).
Neanche concepiscono vagamente la Volontà di Dio come Amore che interviene prontamente, che si coinvolge per le nostre vulnerabilità.
Direbbe di loro Papa Francesco, nella sua terza enciclica: «abituati a girare lo sguardo, passare accanto, ignorare le situazioni» (Fratelli Tutti, n.64).
Invece il Figlio - e chiunque lo renda Presente - afferra per mano l'umanità malferma, e ne guarisce il limite.
Ma Egli si attiva non per appiccicarsela dietro (come avrebbero fatto i direttori del tempo) bensì per renderla più leggera, in grado di respirare e non solo di comprimersi: liberata, finalmente autonoma - capace di tracciare un cammino sulle proprie gambe (anche se poi risultasse distante).
Una pennellata spietata, questa di Lc, che rimarca la differenza tra “insegnamento” vuoto - sebbene in forma religiosa - e azione di Fede (legata alla vita concreta: v.3).
Nella scelta fra bene reale della persona e nomea del gruppo (la cricca dominante) Gesù non ha dubbio alcuno.
Invece, per i grandi devoti e direttori, il dare a credere, il prestigio dell’istituzione, la consuetudine della dottrina, le grandi idee sofisticate... sono tutta la vita.
Il Maestro ancora oggi non tace, e ridicolizza l’incoerenza personale di alcuni maestri di teologia… che fatte salve le apparenze, nel privato si sentono esentati da tutto.
E infatti, proprio agli “esperti” talora manca «il gusto di riconoscere l’altro [...] di essere se stesso e di essere diverso» (FT, 217-218).
Teologia dell’Incarnazione. Il sale della vita non sono le permanenze: meglio eliminare i pesi inutili.
Nelle nostre assemblee ci sono dei credenti ingenui e praticanti, ma poco consapevoli, piuttosto sprovveduti e malguidati.
Potremmo dire: fedeli considerati bicchieri da riempire, devoti destinati al signorsì e non esprimere se stessi: valutati senza personalità spirituale di rilievo…
Non sono accolti come Dono, piuttosto trascurati; ammantati di pensieri, pratiche e obiettivi altrui. Per alcuni responsabili di comunità essi fanno solo numero.
Proviamo a parafrasare Giovanni Paolo II (Dives in Misericordia nn.12-13) ma in riferimento, appunto, alla figura dell’idropico.
Ci sono anime - di ogni denominazione Cristiana - che temono di restare vittime di oppressione, e si celano.
Sono prive di libertà interiore, della possibilità di esternare il loro carattere vocazionale, di esprimere ciò di cui sono convinti.
Non si sentono di farsi guidare dalla voce della coscienza, che pure intimamente indica la retta via da seguire.
Per timore di ritorsioni o beffe, ovvero mancata consapevolezza, preferiscono un soggiornamento pacifico, in tutti gli ambiti di vita.
Esprimersi in modo spontaneo, naturale e sano potrebbe risultare scomodo - poco in sintonia col programma di domesticazione locale.
Così, mentre i manipolatori tendono a servirsene senza scrupolo, i semplici continuano a collocarsi in posizione subalterna.
Neppure lontanamente immaginano o sono educati a considerarsi depositari di una Perla preziosa irripetibile per l’opera di Salvezza.
Subiscono quotidianamente una sorta di tortura che li ingorga di idee esterne, di osservanze che non corrispondono all’anima e al loro diritto a verità e libertà.
Insomma, come illustra la pericope evangelica, la Chiesa assume il rischio educativo e fa trapelare il senso del Cristo in azione solo quando accosta le persone malferme alle fonti della coscienza e della “carne” personale.
Il passaggio dal senso religioso alla vita di Fede reca con sé il balzo pasquale della libertà.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Come descriveresti il tuo passaggio dalla religiosità alla Fede?
Ti sei depurato dagli orpelli inculcati, che affaticavano la tua personalità essenziale?
Ti sei liberato dei pensieri sofisticatissimi che sorvolano la “carne”?
Hai fatto il balzo pasquale della libertà?
Capitavola alla Mensa Eucaristica
Fine delle posizioni strategiche
La Bibbia presenta sovente la Salvezza sotto l’immagine di un convito al quale Dio stesso partecipa a fianco dell’uomo.
Alla tavola di un “giusto” non ci si sedeva subito arrivando: bisognava attenersi a una rigida etichetta - a motivo di gerarchie di ceto assolutamente da rispettare.
Al centro le persone di riguardo, quindi il proprietario; poi tutti gli altri, ma nell'ordine: secondo posizione sociale, funzione religiosa, ricchezza posseduta.
Goffaggini e compiacimento di vanità, le valuta il Signore. Volute di fumo, stridenti in specie nel caso di Banchetto Eucaristico [v.1: «mangiare pane»; v.8: «festa di nozze»].
E il modo in cui Gesù prende parola alla Mensa è sorprendente: s’impone, rimprovera, suggerisce.
Infine comincia a prendersela con colui che lo ha “invitato” [vv.12-14: «non è così che devi scegliere gli ospiti...»]. L’effetto è sferzante.
Eppure la sua non è una lezione di galateo, né una esortazione al buonsenso; tantomeno all’opportunismo.
Durante lo spezzare il Pane, Cristo non è ospite saltuario, bensì l’anfitrione, il padrone di Casa [qui già tutto preoccupato del possibile fallimento della sua proposta].
Il banchetto di Lc 14 è appunto cornice del Banchetto sacro in cui tutti sono dei semplici convocati - per vocazione (non per merito). Infatti il termine ricorrente è quel che il testo italiano traduce pallidamente con "invitato" mentre il greco kalèo significa ‘chiamo’: il «chiamato».
Qui bisogna che notabili e astanti i quali volentieri partecipano per fare sfoggio si ravvedano immediatamente.
Non solo devono tenersi lontani dall’arraffare, ma pure dal patetico accalcarsi per occupare posizioni strategiche.
Con l'immagine del Banchetto eucaristico Lc presenta il mondo delle relazioni come Dio l'ha immaginato - dove il Creatore ha «chiamato» tutti i suoi figli.
“Norma” tra famigliari non è l'appropriazione, né una qualche passerella che gonfia (solo alcuni) di amor proprio.
Il Pane spezzato regola i comportamenti nel senso della Gratuità.
È Alimento di vita non degradante, bensì umanizzante: riconoscimento reciproco, dialogo, amore, sapere messo in comune...
Cibo per una vita non belluina - malgrado il criterio del mondo antico tenda a infiltrarsi ancora.
L'accumulare e la brama di farsi notare porta fuori dalla logica dell'invito incondizionato.
L’andazzo arrogante dei primattori che si posano in trono per sovrastare e mettersi in vista - per farsi servire prima, meglio e con più abbondanza degli altri - verrà presto smascherato e capovolto (vv.9-11).
Con la redazione del Vangelo di Lc (metà anni 80) siamo già in un tempo dove esplodono dissapori per questioni di precedenza!
Problema forse immutato, che infatti non si risolve arretrando di due o tre posti (vv.8-9) ma rovesciando la scala delle nomenklature (vv.10-11).
Quella dell’amore è infatti «un’avventura mai finita, che fa convergere tutte le periferie verso un pieno senso di reciproca appartenenza».
«Gesù ci ha detto: Voi siete tutti fratelli (Mt 23,8)» [Fratelli Tutti, n.95].
Insomma, l’assemblea dei figli aiuta tutti a convergere; non può essere complice di coloro che trasformano il mondo in esteriorità, posizione e affare.
Eucaristia, gratuità e sconosciuti
(Lc 14,12-14)
Invitare gli esclusi, senza spirito d’interesse: la comunità cristiana è aperta a tutti, in particolare a chi non ha nulla da porgere in cambio.
Non può essere complice di coloro che trasformano il mondo in un affare.
E davvero oggi stiamo finalmente imparando a invitare gratis, non in modo più interessato e mercantile.
Sappiamo bene che l’intreccio dei circuiti di calcolo che stanno dietro le nostre azioni è sbalorditivo, quasi complesso al pari dei complicatissimi circuiti da calcolatore elettronico.
E qualcuno cerca pure la sacralizzazione:
Prima di esporci in un’opera soppesiamo con rapidità incredibile tutte le possibili ricadute, le reazioni utili o nocive ai nostri interessi.
Anche durante lo svolgimento dell’agire sociale ricalibriamo ogni modifica atta a produrre l’effetto desiderato, e insieme il compenso sperato.
Se questo non dovesse venire, sicuramente immaginiamo che debba esserci stato un guasto (meccanico) da qualche parte.
Se non stiamo attenti, buona parte della nostra esistenza si trasforma in una cibernetica dell’interesse.
Succede anche con Dio.
Invece è l’Amore che conquista il mondo. È il dono senza condizioni che scuote, commuove, conquista; prelude e riflette il Mistero.
Nella trasformazione dei propri beni in Incontro, Relazione, Vita intima e altrui, ecco zampillare la sorgente della Gioia.
Letizia della completezza di essere, Vita stessa della Trinità: Felicità diversa, senza dovuti o attesi ritorni; anticipo di Risurrezione.
Un’esistenza divina, non dietro le nuvole o alla fine della storia, ma fin d’ora.
Nessun contraccambio vale davvero tale vertigine sconfinata e reale.
Così il tipo di partecipanti allo spezzare del Pane nelle chiese - oggi di mentalità sempre più variegata - descrive l’essenza di Dio.
Il poliedro si fa icona e attributo della tollerante misericordia dell’Eterno.
Ma non si tratta di un rattoppo esterno, o paternalista; né si configura quale salvataggio della situazione [o rimorso di coscienza].
La condizione di peccato non annulla il disegno di salvezza. Piuttosto, accentua l’esodo personale e la passione delle cose.
I volti e le circostanze differenti diventano sacramenti della Grazia, Amore così aperto che nessuna grettezza umana può chiudere.
Anche una formazione personale poliedrica è ben richiamata dalle mille insolite presenze [come appello intimo e concreto]. E viene oggi finalmente considerata valore aggiunto, invece che espressione carnale o impurità.
Insomma, la nostra attitudine di sorelle e fratelli imita la magnanimità divina: accogliamo gratuitamente i diversi non perché siamo o sono buoni, ma affinché lo diventiamo tutti.
E stando vicini, insieme, in modo imprevisto, sovreminente.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa non innalza le tue relazioni? e il senso completo di te?