5. Diviene più palese che l'amore si trasforma in misericordia quando occorre oltrepassare la precisa norma della giustizia: precisa e spesso troppo stretta. Il figliol prodigo, consumate le sostanze ricevute dal padre, merita - dopo il ritorno - di guadagnarsi da vivere lavorando nella casa paterna come mercenario, ed eventualmente, a poco a poco, di conseguire una certa provvista di beni materiali, forse però mai più nella quantità in cui li aveva sperperati. Tale sarebbe l'esigenza dell'ordine di giustizia, tanto più che quel figlio non soltanto aveva dissipato la parte del patrimonio spettantegli, ma inoltre aveva toccato sul vivo ed offeso il padre con la sua condotta. Questa, infatti, che a suo giudizio l'aveva privato della dignità filiale, non doveva essere indifferente al padre. Doveva farlo soffrire. Doveva anche, in qualche modo, coinvolgerlo. Eppure si trattava, in fìn dei conti, del proprio figlio, e tale rapporto non poteva essere né alienato né distrutto da nessun comportamento. Il figliol prodigo ne è consapevole, ed è appunto tale consapevolezza a mostrargli chiaramente la dignità perduta ed a fargli valutare rettamente il posto che ancora poteva spettargli nella casa del padre.
6. Particolare concentrazione sulla dignità umana.
Questa precisa immagine dello stato d'animo del figliol prodigo ci permette di comprendere con esattezza in che cosa consista la misericordia divina. Non vi è alcun dubbio che in quella semplice ma penetrante analogia, la figura del genitore ci svela Dio come Padre. Il comportamento del padre della parabola e tutto il suo modo di agire, che manifestano il suo atteggiamento interiore, ci consentono di ritrovare i singoli fili della visione vetero-testamentaria della misericordia in una sintesi totalmente nuova, piena di semplicità e di profondità. Il padre del figliol prodigo è fedele alla sua paternità, fedele a quell'amore che da sempre elargiva al proprio figlio. Tale fedeltà si esprime nella parabola non soltanto con la prontezza immediata nell'accoglierlo in casa, quando ritorna dopo aver sperperato il patrimonio: essa si esprime ancor più pienamente con quella gioia, con quella festosità così generosa nei confronti del dissipatore dopo il ritorno, che è tale da suscitare l'opposizione e l'invidia del fratello maggiore, il quale non si era mai allontanato dal padre e non ne aveva abbandonato la casa.
La fedeltà a se stesso da parte del padre - un tratto già noto dal termine vetero-testamentario «.hesed» - viene al tempo stesso espressa in modo particolarmente carico di affetto. Leggiamo infatti che, quando il padre vide il figliol prodigo tornare a casa, «commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò». Egli agisce certamente sotto l'influsso di un profondo affetto, e così può essere spiegata anche la sua generosità verso il figlio, quella generosità che tanto indigna il fratello maggiore. Tuttavia, le cause di quella commozione vanno ricercate più in profondità. Ecco, il padre è consapevole che è stato salvato un bene fondamentale: il bene dell'umanità del suo figlio. Sebbene questi abbia sperperato il patrimonio, è però salva la sua umanità. Anzi, essa è stata in qualche modo ritrovata. Lo dicono le parole che il padre rivolge al figlio maggiore: «Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». Nello stesso capitolo XV del Vangelo secondo Luca, leggiamo la parabola della pecora ritrovata, e successivamente la parabola della dramma ritrovata. Ogni volta vi è posta in rilievo la medesima gioia presente nel caso del figliol prodigo. La fedeltà del padre a se stesso è totalmente incentrata sull'umanità del figlio perduto, sulla sua dignità. Così si spiega soprattutto la gioiosa commozione al momento del suo ritorno a casa.
Proseguendo, si può dunque dire che l'amore verso il figlio, L'amore che scaturisce dall'essenza stessa della paternità, obbliga in un certo senso il padre ad aver sollecitudine della dignità del figlio. Questa sollecitudine costituisce la misura del suo amore, L'amore di cui scriverà poi san Paolo: «La carità è paziente, è benigna la carità..., non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto..., si compiace della verità..., tutto spera, tutto sopporta» e «non avrà mai fine». La misericordia - come l'ha presentata Cristo nella parabola del figliol prodigo - ha la forma interiore dell'amore che nel Nuovo Testamento è chiamato «agápe». Tale amore è capace di chinarsi su ogni figlio prodigo, su ogni miseria umana e, soprattutto, su ogni miseria morale, sul peccato. Quando ciò avviene, colui che è oggetto della misericordia non si sente umiliato, ma come ritrovato e «rivalutato». Il padre gli manifesta innanzitutto la gioia che sia stato «ritrovato» e che sia «tornato in vita». Tale gioia indica un bene inviolato: un figlio, anche se prodigo, non cessa di esser figlio reale di suo padre; essa indica inoltre un bene ritrovato, che nel caso del figliol prodigo fu il ritorno alla verità su se stesso.
[Papa Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia]