don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Scoperchiare e spalancare “sinagoghe”: bivio insolito della Tenerezza

(Lc 5,17-26)

 

Paralisi e castigo: diversa Tenerezza [introduzione]

 

L’episodio testimonia del duro scontro fra sinagoga e prime fraternità di Fede, dove senza previe condizioni di purità rituale o legale tutti erano invitati a condividere la mensa e lo spezzare del pane.

Su delega ideale del Signore, già nelle chiese primitive vigeva una prassi fraterna [sconosciuta ad altri] di perdono reciproco e persino cancellazione di debiti contratti, sino alla comunione dei beni.

Realtà in grado di rimettere in piedi e far procedere qualsiasi persona, anche i miserabili - a partire dalla loro coscienza (vv.18.23), soffocata da una religione che accentuava il senso d’indegnità.

Secondo credenza popolare, le condizioni di penuria o disgrazia erano un castigo.

Gesù è viceversa Colui che restituisce un orizzonte di autenticità al credere, nuova consapevolezza e speranza alla persona affetta da paralisi - ossia incapace di andare verso Dio e verso gli uomini.

«Dico a te, alzati e preso il tuo lettuccio, parti per la tua casa» (Lc 5,24; cf. Mt 9,6; Mc 2,11).

A partire da ciò che siamo - ossia già colmi di risorse, oltre ogni apparenza - viviamo per Fede il medesimo stato del «Figlio dell’uomo» (v.24).

È tale il requisito dei ‘Risorti’ nel Signore: coloro che manifestano la Persona in pienezza - nella condizione divina.

In Cristo possiamo liberarci dalle costrizioni che facevano vivere orizzontali, proni e anchilosati.

Recuperando dignità, ora possiamo stare ritti e promuovere la vita; quindi fare ritorno alla Casa ch’è davvero nostra [Lc 9, 24-25; cf. Mt 9, 6-7; Mc 2,10-12].

Per gli esperti il perdono annunciato dal Signore non è solo un’offesa nei confronti del loro supposto prestigio e rango spirituale, ma un sacrilegio e una bestemmia.

Del resto, come fare presa sulla massa - da parte di questi leaders distruttivi - se non intimidendola e facendola sentire inadeguata, sterile, incapace, non abilitata, senza vie d’uscita?

 

Tutta la vita del popolo era condizionata da ossessioni d’impurità e peccato.

Invece, il Maestro rivela che la propensione divina è solo perdonare per valorizzare - e l’attitudine dell’uomo di Fede, rinascere e aiutare a farlo.

Infatti la gratuità del Padre si vede dall’azione di attesa e comprensione esercitata dagli uomini di Dio più autentici: coloro in grado di cesellare ambienti sani.

Non solo per virtù propria, ma perché la tolleranza introduce nuove forze, sconosciute; differenti potenze, che rovesciano le situazioni.

Esse lasciano trascorrere altre energie, creative e rigeneranti i malfermi - viceversa mortifere, purtroppo, dove non ci si promuove.

Solo Gesù è Colui che rende visibile e palese la guarigione che sembrava missione impossibile. E prima che fisica, facendoci rifiorire dalle paure della falsa morale o devozione, del pensiero comune o à la page che impone argini assurdi all’autonomia.

La proposta del giovane Rabbi non ci affossa sotto un cumulo di arroganze impersonali. Sana i bloccati, li rimette in gara.

 

«Gesù ha il potere non solo di risanare il corpo malato, ma anche di rimettere i peccati; ed anzi, la guarigione fisica è segno del risanamento spirituale che produce il suo perdono. In effetti, il peccato è una sorta di paralisi dello spirito da cui soltanto la potenza dell’amore misericordioso di Dio può liberarci, permettendoci di rialzarci e di riprendere il cammino sulla via del bene» (Papa Benedetto, Angelus 22 febbraio 2009).

 

I ‘fratelli’ del Signore [cf. passi paralleli Mt 9,1-8; Mc 2,1-12] fanno di tutto per condurre i bisognosi dal Maestro.

Spesso però si ritrovano davanti una folla di sequestratori del Sacro che non consente un rapporto faccia a faccia, autentico, personale, immediato.

L’impeto critico e l'amore per le esigenze di vita piena di tutti noi bisognosi deve allora vincere il senso di appartenenza “culturale”, eticista, dottrinale e rituale - che solo adula o ricalca e ribadisce.

 

Purtroppo, nessun segno di gioia da parte delle autorità [Mt 9,3; Mc 2,6-8; Lc 5,21] - ma la gente è entusiasta [Mt 9,8; Mc 2,12; Lc 5,26]. Perché?

 

 

Un altro tipo di mondo

 

 

Gesù insegna e guarisce. Non annuncia il Dio delle religioni, ma un Padre - figura attraente, che non minaccia, né mette in castigo, bensì accoglie, dialoga, perdona, fa crescere.

Il contrario di ciò che trasmettevano le guide ufficiali, legate all’idea di una divinità arcaica, sospettosa e prevenuta, che discriminava tra amici e nemici.

Il Padre si esprime in forme non oppressive, nel modo dell’Alleanza famigliare e interumana: non gode dei perfetti, sterilizzati e puri - o “aggiornati”. Offre a tutti il suo Amore senza requisiti.

L’imperfezione infatti non è espressione di colpa, bensì una condizione - e in ogni caso il peccato non è una forza assoluta (v.21).

È tale consapevolezza che suscita persone liberate e un ordine nuovo: «per stringere legami di unità, di progetti comuni, di speranze condivise» [Fratelli Tutti, n.287].

 

I collaboratori del Signore portano a Lui tutti i paralitici, ossia coloro che si sono bloccati e continuano a stare nelle loro barelle [dove forse li hanno sdraiati quelli dell’opinione comune].

Sono persone le quali nella vita sembra non procedano né in direzione del Dio vero, né vanno agli altri. Neanche riescono a incontrare se stesse.

Solo il contatto personale col Cristo può slegare questi cadaveri che vegetano, dal loro stagno deprimente.

Gli amici di Dio «vengono portando a lui un paralitico sorretto da quattro» (Mc 2,3): provengono da ogni dove, dai quattro punti cardinali; da origini diversissime, anche opposte - che non t’aspetti.

Essi si espongono per guidare i bisognosi dal Maestro, ma talora si ritrovano davanti una folla impermeabile [appunto, di sequestratori del Sacro] che non consente un rapporto personale diretto, smagliante, sincero, faccia a faccia.

Non fanno ‘entrare’ - invece vogliamo metterci davanti a Lui (vv.18-19): a volte siamo come dei ricattati da balzelli e sottoposti a procedure, altrimenti non si passa; sei fuori.

Parafrasando ancora la terza enciclica di Papa Francesco, potremmo dire che anche nei percorsi di Fede ad accesso selettivo o gerarchico «la mancanza di dialogo comporta che nessuno, nei singoli settori, si preoccupa del bene comune, bensì di ottenere i vantaggi che il potere procura, o, nel migliore dei casi, di imporre il proprio modo di pensare» [n.202].

 

Cosa fare? Un’azione di smantellamento, senza trattative diplomatiche né richiesta di permessi - un rovesciamento di prossimità, piramidi e varchi, del tutto emancipato da timori reverenziali!

Opera assai gradita al Padre... e che il Figlio valuta come espressione di Fede (v.20)!

Fede che pensa e crede «un mondo aperto dove ci sia posto per tutti, che comprenda in sé i più deboli e rispetti le diverse culture» [FT n.155].

Alcune “sinagoghe” insopportabili propugnano viceversa «una divisione binaria» [FT n.156] che tenta di classificare.

Ci sono cricche e club esclusivi, refrattari, i quali pretendono di appropriarsi del povero Gesù… a rovescio.

Perciò le loro congreghe o “sinagoghe” o “case di preghiera” vanno scoperchiate e spalancate (v.19) - con estrema decisione.

Tali “sedi” capovolgono la presenza di Dio sulla terra e perturbano la vita dei derelitti, i quali hanno urgenze reali - non interesse a coltivare formule poco comprensibili, purità cultuali, o altre sofisticazioni.

Basta complimenti corretti, specchietti per le allodole modaiole, e iter consuetudinari “perbene”!

Solo nel concreto della Fede incarnata l’uomo rigenera e scopre i suoi stessi poteri divini - che poi sono quelli umanizzanti: rimettere in piedi se stesso e i fratelli.

Con Cristo si avanza senza più autorizzazioni regolate e da implorare talora a manichini scandalosi che fanno impallidire la vita.

 

Allora, notiamo che non tappe azzeccate, ma solo l’iniziativa inusitata supera lo stagno delle strutture devote prese in ostaggio dagli habitué o da pensatori disincarnati.

Dove ci si dovrebbe solo mettere in fila, aspettare il turno, accontentarsi... sopportare gli organigrammi già pronti, e assopire, o disperdersi.

L’impeto critico e l'amore per le esigenze di vita piena, perspicace, di tutti noi bisognosi, deve vincere il senso di finta compattezza collettiva. 

Deve surclassare ogni appartenenza “culturale”, morale, dottrinale e rituale - che truccandosi, solo ricalca e ribadisce.

In tal guisa, nessun segno di gioia da parte delle autorità (v.21) le quali tracciano solo diagnosi negative - mentre la gente è entusiasta (v.26).

Ovvio che i consuetudinari e i “nuovi” immarcescibili giudichino Gesù un blasfemo: sono stati diseducati «in questa paura e in questa diffidenza» [FT n.152].

Non amano l'umanità, bensì la loro visione del mondo, le loro dottrine, i codici, le tappe azzeccate; poche belle rubriche - da santità esclusivamente esterna. Tutta carta pesta.

Non tutelano le persone, ma solo i loro legami interessati, i protocolli corretti e le posizioni acquisite; eventualmente le ultime news di pensiero a tornaconto. Cordate che intralciano il nostro sviluppo.

Insomma, siamo chiamati a scegliere in modo davvero insolito, rispetto al cliché della predicazione d’avanguardia o bacchettona - che non ha mai saputo conciliare la stima… con l’imperfezione, l’errore, la diversità.

Secondo i Vangeli c’è un altro crocevia, decisivo: la strada della difesa dei privilegi di una casta che imbavaglia Dio in nome di Dio, o la Via del desiderio impellente e universale di vivere completamente, a tutto spiano.

 

A questo siamo chiamati, rispetto alle maniere conformiste: scegliere in modo insolito, profondo e deciso, per conciliare l’unicità de-centrata, il vero, l’imperfezione, la nostra eccezionalità.

Altrimenti l’anima si ribella. Vuole stare con Gesù in posizione frontale, non dietro la ressa, pur dei credenti - démodé o glamour che siano.

 

Il passo dei Sinottici fa comprendere che il problema del «paralitico» non è il suo disagio, il senso di oppressione, l’apparente sventura.

Non sono queste le rotture del rapporto con la vita e con Dio.

Anzi, l’impedimento diventa paradossale motivo di ricerca della “terapia”, e del vis-à-vis.

Impensabile - forse offensivo - per il contorno.

Le configurazioni eccentriche, ritenute miserabili, contengono infatti porte segrete, virtù immense, e la cura stessa.

Addirittura, guidano verso una esistenza nuova. Sollecitano, e ci “obbligano” al rapporto immediato con nostro Signore. Quasi a cercarne la Somiglianza.

Respirando il pensiero comune e ricalcando le trafile altrui, anche dei considerati “intimi a Dio”, l’irrigidimento sarebbe rimasto.

Nessuna Salvezza imprevedibile avrebbe fatto irruzione.

Insomma, secondo i Vangeli c’è un unico valore non negoziabile e crocevia, decisivo: il desiderio di vivere appieno, in modo davvero integrato; in prima persona.

Bivio insolito della Tenerezza e della Fede.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa suscita il tuo senso di ammirazione per la Potenza di Dio? Sei entusiasta per i miracoli fisici o interiori?

Dove ascolti in modo più frequente: «Figliolo, sono rimessi i tuoi peccati [...] Alzati e cammina»? Gli altri, ti sembrano ambienti sani e spirituali?

Di che genere sono le tue opere di Fede? A settori?

Segnate da tappe azzeccate e trattative coi diffidenti installati (affinché vengano accettate e scambiate per Tenerezza)?

 

Cari fratelli e sorelle!

In queste domeniche la liturgia presenta nel Vangelo il racconto di varie guarigioni operate da Cristo. Domenica scorsa, il lebbroso; oggi è la volta di un paralitico, che quattro persone portano a Gesù su un lettuccio. Vista la loro fede, Egli dice al paralitico: "Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati" (Mc 2, 5). Così facendo mostra di voler guarire prima di tutto lo spirito. Il paralitico è immagine di ogni essere umano a cui il peccato impedisce di muoversi liberamente, di camminare nella via del bene, di dare il meglio di sé. In effetti, il male, annidandosi nell'animo, lega l'uomo con i lacci della menzogna, dell'ira, dell'invidia e degli altri peccati, e a poco a poco lo paralizza. Per questo Gesù, suscitando lo scandalo degli scribi presenti, dice prima: "Ti sono rimessi i tuoi peccati", e solo dopo, per dimostrare l'autorità conferitagli da Dio di rimettere i peccati, aggiunge: "Alzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua" (Mc 2, 11) e lo guarisce completamente. Il messaggio è chiaro: l'uomo, paralizzato dal peccato, ha bisogno della misericordia di Dio, che Cristo è venuto a donargli, perché, guarito nel cuore, tutta la sua esistenza possa rifiorire.

Anche oggi l'umanità porta i segni del peccato, che le impedisce di progredire speditamente in quei valori di fraternità, di giustizia, di pace che pure si è proposta in solenni dichiarazioni. Perché? Che cosa blocca il suo cammino? Che cosa paralizza questo sviluppo integrale? Sappiamo bene che, sul piano storico, le cause sono molteplici e il problema è complesso. Ma la Parola di Dio ci invita ad avere uno sguardo di fede e a confidare, come quelle persone che portarono il paralitico, che solo Gesù può guarire veramente. La scelta di fondo dei miei Predecessori, specialmente dell'amato Giovanni Paolo II, è stata di condurre gli uomini del nostro tempo a Cristo Redentore perché, per intercessione di Maria Immacolata, li potesse risanare. Anch'io ho voluto proseguire su questa strada. In modo particolare, con la prima Enciclica Deus caritas est, ho inteso additare ai credenti e al mondo intero Dio come fonte di autentico amore. Solo l'amore di Dio può rinnovare il cuore dell'uomo, e solo se guarisce nel cuore l'umanità paralizzata può rialzarsi e camminare. L'amore di Dio è la vera forza che rinnova il mondo.

Invochiamo insieme l'intercessione della Vergine Maria, affinché ogni uomo si apra all'amore misericordioso di Dio, e così la famiglia umana possa essere sanata in profondità dai mali che l'affliggono.

[Papa Benedetto, Angelus 19 febbraio 2006]

1. Un testo di sant’Agostino ci offre la chiave per interpretare i miracoli di Cristo come segni del suo potere salvifico: “L’essersi fatto uomo per noi ha giovato alla nostra salvezza assai più dei miracoli che egli ha compiuto tra noi; ed è più importante che l’aver sanato le malattie del corpo destinato a morire” (S. Augustini, In Io. Ev. Tr., 17, 1). In ordine a questa salute dell’anima e alla redenzione del mondo intero Gesù ha compiuto anche i miracoli di ordine corporale. E dunque il tema della presente catechesi è il seguente: mediante i “miracoli, prodigi e segni” che ha compiuto, Gesù Cristo ha manifestato il suo potere di salvare l’uomo dal male che minaccia l’anima immortale e la sua vocazione all’unione con Dio.

2. È ciò che si rivela in modo particolare nella guarigione del paralitico di Cafarnao. Le persone che l’hanno portato, non riuscendo ad entrare attraverso la porta nella casa in cui Gesù insegna, calano il malato attraverso un’apertura del tetto, così che il poveretto viene a trovarsi ai piedi del Maestro. “Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: “Figliolo ti sono rimessi i tuoi peccati””. Queste parole suscitano in alcuni dei presenti il sospetto di bestemmia: “Costui bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?”. Quasi in risposta a quelli che avevano pensato così, Gesù si rivolge ai presenti con le parole: “Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua. Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti” (cf. Mc 2, 1-12 e anche Mt 9, 1-8; Lc 5, 18-26; Lc 5, 25).

Gesù stesso spiega in questo caso che il miracolo di guarigione del paralitico è segno del potere salvifico per cui egli rimette i peccati. Gesù compie questo segno per manifestare di essere venuto come Salvatore del mondo, che ha come compito principale quello di liberare l’uomo dal male spirituale, il male che separa l’uomo da Dio e impedisce la salvezza in Dio, qual è appunto il peccato.

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 11 novembre 1987]

Le malattie dell’anima vanno guarite e la medicina è chiedere il perdono. Lo ha detto Papa Francesco alla messa mattutina, celebrata venerdì 17 gennaio a Casa Santa Marta, commentando il racconto evangelico della guarigione del paralitico compiuta da Gesù. È giusto, ha affermato il Pontefice, curare le malattie del corpo, ma «pensiamo alla salute del cuore?».

Presentando il brano della liturgia del giorno, tratto dal Vangelo secondo Marco, il Papa ripropone l’immagine di Gesù a Cafarnao con la folla gli si raduna intorno. Attraverso un’apertura fatta nel tetto della casa, alcuni gli portano un uomo steso su una barella. La speranza è che Gesù guarisca il paralitico, ma egli spiazza tutti dicendogli: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». Solo dopo gli ordinerà di alzarsi, di prendere la barella e di tornarsene a casa. Francesco ha commentato dicendo che con le sue parole Gesù permette di andare all’essenziale. «Lui è un uomo di Dio», ha affermato; guariva, ma non era un guaritore, insegnava ma era più di un maestro e davanti alla scena che gli si presenta va all’essenziale: «Guarda il paralitico e dice: “Ti sono perdonati i peccati”. La guarigione fisica è un dono, la salute fisica è un dono che noi dobbiamo custodire. Ma il Signore — ha proseguito il Papa — ci insegna che anche la salute del cuore, la salute spirituale dobbiamo custodirla».

Gesù va all’essenziale anche con la donna peccatrice, di cui parla il Vangelo, quando davanti al suo pianto le dice: «Ti sono perdonati i peccati». Gli altri si scandalizzano, ha affermato Francesco, «quando Gesù va all’essenziale, si scandalizzano perché lì c’è la profezia, lì c’è la forza». Allo stesso modo, «Vai, ma non peccare più», dice Gesù all’uomo della piscina che non arriva mai in tempo a immergersi nell’acqua per poter guarire. Alla Samaritana che gli fa tante domande, — «lei faceva un po’ la parte della teologa» ha detto il Pontefice — Gesù chiede del marito. Va all’essenziale della vita e, ha sottolineato il Papa, «l’essenziale è il tuo rapporto con Dio. E noi dimentichiamo, tante volte, questo, come se avessimo paura di andare proprio lì dove c’è l’incontro con il Signore, con Dio». Noi ci diamo tanto fare, ha osservato ancora, per la nostra salute fisica, ci diamo consigli sui medici e sulle medicine, ed è una cosa buona, «ma pensiamo alla salute del cuore?». Quindi ha affermato: «C’è una parola, qui, di Gesù che forse ci aiuterà: “Figlio, ti sono perdonati i peccati”. Siamo abituati a pensare a questa medicina del perdono dei nostri peccati, dei nostri sbagli? Ci domandiamo: “Io devo chiedere perdono a Dio di qualcosa?”. “Sì, sì, sì, in generale, siamo tutti peccatori”, e così la cosa si annacqua e perde la forza, questa forza di profezia che Gesù ha quando va all’essenziale. E oggi Gesù, a ognuno di noi, dice: “Io voglio perdonarti i peccati”».

Il Papa ha proseguito dicendo che forse qualcuno non trova peccati in se stesso da confessare perché «manca la coscienza dei peccati». Dei «peccati concreti», delle «malattie dell’anima» che vanno guarite «e la medicina per guarire è il perdono». È una cosa semplice, quella che Gesù insegna quando va all’essenziale, ha detto Papa Francesco, e conclude: «L’essenziale è la salute, tutta: del corpo e dell’anima. Custodiamo bene quella del corpo, ma anche quella dell’anima. E andiamo da quel Medico che può guarirci, che può perdonare i peccati. Gesù è venuto per questo, ha dato la vita per questo».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 18/01/2020]

Nell’Annunciazione

(Gen 3,9-15.20; Lc 1,26-38)

 

Un grande teologo del Corpo Mistico ha scritto: «All’aurora c’è un momento stupendo: quello che precede immediatamente il sorgere del sole [...] il chiarore è andato crescendo, lentamente all’inizio, poi più in fretta» (É. Mersch).

La Fede ecclesiale annuncia e trasmette in Maria ‘tutta Santa’ uno stile, una Fede e una Speranza specifiche, ben denotate nella Scrittura.

Prorompente e affrancata, non alienata; indipendente dalla “notte”, non imbarazzata.

Capace di passare dal Dio dei padri al Padre. Dio del Figlio.

Alba dopo alba, vicenda dopo vicenda, genesi dopo genesi, trasloco dopo trasloco, viveva in modo deciso una sorta di ‘spiritualità dell’aurora nascente’. E la fiducia nel tempo.

Quando giungeva un punto interrogativo, capiva che era il momento di chiedersi e dare risposte.

Intuiva l’Opportunità di risorgere: tutta Feconda e senza perdere motivazioni, grazie a un’Alleanza paradossale, coi limiti e i pesi emotivi.

Quando un travaglio faceva irruzione, comprendeva che quei flutti invadevano la vita non per distruggere, bensì per smuovere un mare di riflussi forse ancora troppo calmo.

Non sognava di arginare o bloccare quella marea. Interiorizzava l’inquietudine dei dubbi come un grande momento di vita.

Una Felicità la sua che veniva dall’innovazione. Come una Presenza.

Invece di sentirsi costretta, sostava sopra ogni caso, per interrogarsi: «Cosa devo ancora imparare, da questo?».

Forse comprendeva che dentro la sua figura abituale c’era una donna capace di trasgressione - nel senso di sentirsi chiamata a capovolgere tutto l’antico e artificioso che non le corrispondevano.

Così ha iniziato, accogliendo l’Invito: ospitare in sé e dare spazio a un Eterno innominabile, creduto assolutamente trascendente e che mai si sarebbe mischiato con la carne!

Non solo un sacrilegio, bensì eresia. Ma nella Madre di Dio la paradossale eterodossia viene come spazzata oltre.

La sua spiritualità era sgombra dalla vera grande “macchia”: l’incapacità di corrispondere all’Annuncio personale.

«Peccato» - si dice appunto di una occasione persa: è la flessione dell’Unicità che siamo dentro.

Perla che tutti i giorni può cedere la sua eccezionalità al contorno normalizzante e affettato dell’opinione comune, restringendo lo spazio, l’onda vitale.

L’appello divino d’ogni istante orientava altrove i sogni di Maria e il suo sapere innato - anticamera della fiducia.

Nell’Alleanza di Radice e Seme, le decisioni non erano né restavano scadenti: senza fardelli cerebrali la Madre di Dio andava direttamente a nuove possibilità, e al fine.

In tale Forma viveva e tesseva una sorta di «spiritualità del sole che risorge». Richiamo d’ogni momento, nella gioia di cambiare se stessa e le cose; ovvero nella felicità di viverle così - persino di lasciare tutto.

Pur crescendo non invecchiava d’incertezze, perché sintonizzava il suo destino in avanti - dicendo Sì a quanto si affacciava - e d’istinto anche oggi la riteniamo Giovane.

Sapeva stare con le contraddizioni dell’ambiente soggetto all’antica devozione, e coi marosi inaspettati, come con l’eccentricità del Figlio.

Lo curava stando ‘presente’, nei semplici gesti quotidiani. Si affidava solo all’energia felice che affiorava tutti i momenti, e l’abitava.

S’immergeva nelle espressioni minime dei gesti con lo sguardo sull’adesso, per un agire nitido.

Inadeguata al miracolo ma se stessa, occupandosi non stremava - perché capace di rimettersi in gioco. Per questo conosceva il dialogo con il sentimento più temuto e sofferto: la solitudine.

Ma anche nel buio rigenerava, accogliendolo e uscendone col rinforzare i germi di cambiamento - alimentando nell'anima una sorta di giardino magico.

 

Sempre fuori dai binari, l’Immacolata ha superato tutti i pregiudizi.

 

 

[Immacolata Concezione, 8 Dicembre 2024]

Nell’Annunciazione

(Gen 3,9-15.20; Lc 1,26-38)

 

Un grande teologo del Corpo Mistico ha scritto: «All’aurora c’è un momento stupendo: quello che precede immediatamente il sorgere del sole [...] il chiarore è andato crescendo, lentamente all’inizio, poi più in fretta» (É. Mersch, vol.I).

La Fede ecclesiale annuncia e trasmette in Maria tutta Santa uno stile, una Fede e una Speranza specifiche, ben denotate nella Scrittura.

Prorompente e affrancata, non alienata; indipendente dalla ‘notte’, non imbarazzata.

Capace di passare dal Dio dei padri al Padre. Dio del Figlio.

La tradizione rassicurante della Madre flebile e quasi trasognata ha un suo rilevante punto di forza - bisogna ammetterlo: l’intento di rappresentare la nobiltà d’una creatura in equilibrio.

Eppure nei Vangeli Ella è caratterizzata da una sorprendente emancipazione.

Anche in tal guisa, Maria permane icona del Popolo orante e autentico, dell’anima sposa, della Chiesa amichevole.

Persona e Comunità relazionale, generosa, qualificata da una dignità nello Spirito non esclusiva, bensì a portata di mano, personalizzante.

Alba dopo alba, vicenda dopo vicenda, genesi dopo genesi, trasloco dopo trasloco, viveva in modo deciso - istante per istante - una sorta di ‘spiritualità dell’aurora nascente’. E la fiducia nel tempo.

Questo il suo appiglio verecondo e riflessivo (più che ritirato e pensoso). 

Malgrado gli allarmi, le fatiche e i pericoli, stranamente per noi non sviluppava senso di vuoto, né si lasciava condizionare o atterrire dalla percezione di essere osservata e giudicata.

Quando giungeva un punto interrogativo, capiva che era il momento di chiedersi e dare risposte.

Intuiva l’Opportunità di risorgere: tutta Feconda e senza perdere motivazioni, grazie a un’Alleanza paradossale, coi limiti e i pesi emotivi.

Quando un travaglio faceva irruzione, comprendeva che quei flutti invadevano la vita non per distruggere, bensì per smuovere un mare di riflussi forse ancora troppo calmo.

In questo modo sorvolava sia le questioni che la stasi: l’avrebbero ancorata alla forma consueta di essere e pensare - al mondo corrivo e identificato, senza immaginazione (per questo più insicuro).

Non sognava di arginare o bloccare la marea, la Novità, l’energia vitale della Provvidenza, sebbene la Chiamata per Nome prorompesse in modo anche violento. Per rialzarla a nuova Pasqua.

Interiorizzava l’inquietudine dei dubbi come un grande momento di vita, un Appello incarnato che le ricordava che c’è Altro.

Leggeva le sue ansie, accogliendole e interpretandole, per sorpassarle.

In tale stile d’approccio agli eventi, la Vergine rigenerava - e dentro le sorgeva una sottile gioia; quella dell’alba tutta bella che c’innalza.

Primo bagliore d’un sole nascente.

 

Una Felicità la sua che veniva dall’innovazione. Come una Presenza.

Lato segreto che fa decollare la vita delle creature, e sorvolare le questioni che imbrigliano l’anima.

Invece di sentirsi costretta, sostava sopra ogni caso, per interrogarsi: «Cosa devo ancora imparare, da questo?».

In tal modo riusciva a mettere al centro delle giornate non i progetti, bensì le qualità e le predisposizioni, anche dei famigliari - spendendole bene.

Forse comprendeva che dentro la sua figura abituale c’era una donna capace di trasgressione religiosa - nel senso di sentirsi chiamata a capovolgere tutto l’antico e artificioso che non le corrispondevano.

Così ha iniziato, accogliendo l’Invito: ospitare in sé e dare spazio a un Eterno allora immaginato innominabile, creduto assolutamente trascendente e che mai si sarebbe mischiato con la carne!

Non solo un sacrilegio, bensì totale eresia. Ma nella Madre di Dio la paradossale eterodossia [tutta nostra e orizzontale] viene come spazzata oltre.

La sua spiritualità era sgombra dalla vera grande “macchia”: l’incapacità di corrispondere all’Annuncio personale.

«Peccato» - si dice appunto di una occasione persa: è la flessione dell’Unicità che siamo dentro.

Perla che tutti i giorni può cedere la sua eccezionalità al contorno normalizzante e affettato dell’opinione comune, restringendo lo spazio, l’onda vitale.

L’appello divino d’ogni istante orientava altrove i sogni di Maria e il suo sapere innato - anticamera della fiducia.

Nell’Alleanza di Radice e Seme, le decisioni non erano né restavano scadenti: senza fardelli cerebrali la Madre di Dio andava direttamente a nuove possibilità, e al fine.

In tale Forma viveva e tesseva una sorta di «spiritualità del sole che risorge». Richiamo d’ogni momento, nella gioia di cambiare se stessa e le cose; ovvero nella felicità di viverle così - persino di lasciare tutto.

 

Pur crescendo non invecchiava d’incertezze, perché sintonizzava il suo destino in avanti - dicendo Sì a quanto si affacciava - e d’istinto anche oggi la riteniamo Giovane.

Sapeva stare con le contraddizioni dell’ambiente soggetto all’antica devozione, e coi marosi inaspettati, come con l’eccentricità del Figlio.

Lo curava stando ‘presente’, nei semplici gesti quotidiani. Si affidava solo all’energia felice che affiorava tutti i momenti, e l’abitava.

S’immergeva nelle espressioni minime dei gesti con lo sguardo sull’adesso, per un agire nitido.

Inadeguata al miracolo ma se stessa, occupandosi non stremava - perché capace di rimettersi in gioco. Per questo conosceva il dialogo con il sentimento più temuto e sofferto: la solitudine.

Ma anche nel buio rigenerava, accogliendolo e uscendone col rinforzare i germi di cambiamento - alimentando nell'anima una sorta di giardino magico.

 

Sempre fuori dai binari, l’Immacolata ha superato tutti i pregiudizi.

 

 

Annunciazione: come entrare nel regno dell’anima

 

Dalla religione alla Fede, da sterile ad Amata

 

La solennità del momento che restituisce l’anima al Mistero, invita a un passaggio onda su onda: dalla religione del Tempio alla Fede domestica e personale.

Dall’esterno a dentro noi stessi. Dai modelli, alla profezia d’innato. Promessa Unica, condizione più sottile.

Fede-resa - quella di Madre - che mostra la libertà e bellezza dei nuovi orientamenti, nel progredire delle immagini-guida interiori.

Alleanza non più per ciò che è già conosciuto.

Il suo Patto sta tutto nell’Apertura all’Inesplicabile che ci abita. Intimo Eterno, che può ora concretizzare la speranza e il cammino dei popoli. Una svolta di autenticità, crescente.

Se i vergini di cuore non frappongono pretese, la Chiamata per Nome (dalle nostre stesse fibre) dischiude l’animo incapace e sterile.

 

Ad coeli Reginam: Eco silente… tale nucleo-Vocazione invisibile fa trasalire. E con virtù spontanea introduce lo spirito nella sinergia feconda di Dio stesso.

Fiducia sponsale che riannoda i fili della storia di Salvezza: e si contrappone alla strada larga delle alleanze con gente “che conta”.

 

Nell’intreccio fra Iniziativa che feconda e nostro accogliere in seno, l’Ancella è icona dell’attesa e del cammino di ciascuno - dove ciò che resta determinante non è il desiderio consueto, prevedibile.

Appello vibrante che si prolunga nella storia, in una sorta d’Incarnazione dispiegata e continua, grazie alla collaborazione di lontani, malfermi e insignificanti servitori, come Maria.

 

Anche nostra, malgrado ancora colmi di aspettative normali.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Quali Parole ci aprono alla vita nello Spirito e mettono in discussione la strada prevista?

Qual è la nostra zona ancora intermedia, senza Incontro?

 

 

Come realizzare il Seme invisibile

 

Dice il Tao Tê Ching (LXI): «Il gran regno che si tiene in basso, è la confluenza del mondo; è la femmina del mondo. La femmina sempre vince il maschio con la quiete, poiché chetamente se ne sta sottomessa. Per questo, il gran regno che si pone al disotto del piccol regno, attrae il piccol regno; il piccol regno che sta al disotto del gran regno, attrae il gran regno: l’un s’abbassa per attrarre, l’altro attrae perché sta in basso. Il gran regno non ecceda, per la brama di pascere e unire gli altri; il piccol regno non ecceda, per la brama d’esser accetto e servire gli altri. Affinché ciascuno ottenga ciò che brama, al grande conviene tenersi in basso».

Cari fratelli e sorelle!

Quest’oggi celebriamo una delle feste della Beata Vergine più belle e popolari: l’Immacolata Concezione. Maria non solo non ha commesso alcun peccato, ma è stata preservata persino da quella comune eredità del genere umano che è la colpa originale. E ciò a motivo della missione alla quale da sempre Dio l’ha destinata: essere la Madre del Redentore. Tutto questo è contenuto nella verità di fede dell’"Immacolata Concezione". Il fondamento biblico di questo dogma si trova nelle parole che l’Angelo rivolse alla fanciulla di Nazaret: "Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te" (Lc 1,28). "Piena di grazia" – nell’originale greco kecharitoméne – è il nome più bello di Maria, nome che Le ha dato Dio stesso, per indicare che è da sempre e per sempre l’amata, l’eletta, la prescelta per accogliere il dono più prezioso, Gesù, "l’amore incarnato di Dio" (Enc. Deus caritas est, 12).

Possiamo domandarci: perché, tra tutte le donne, Dio ha scelto proprio Maria di Nazaret? La risposta è nascosta nel mistero insondabile della divina volontà. Tuttavia c’è una ragione che il Vangelo pone in evidenza: la sua umiltà. Lo sottolinea bene Dante Alighieri nell’ultimo Canto del Paradiso: "Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, / umile ed alta più che creatura, / termine fisso d’eterno consiglio" (Par. XXXIII, 1-3). La Vergine stessa nel "Magnificat", il suo cantico di lode, questo dice: "L’anima mia magnifica il Signore… perché ha guardato l’umiltà della sua serva" (Lc 1,46.48). Sì, Dio è stato attratto dall’umiltà di Maria, che ha trovato grazia ai suoi occhi (cfr Lc 1,30). E’ diventata così la Madre di Dio, immagine e modello della Chiesa, eletta tra i popoli per ricevere la benedizione del Signore e diffonderla sull’intera famiglia umana. Questa "benedizione" non è altro che Gesù Cristo stesso. E’ Lui la Fonte della grazia, di cui Maria è stata colmata fin dal primo istante della sua esistenza. Ha accolto con fede Gesù e con amore l’ha donato al mondo. Questa è anche la nostra vocazione e la nostra missione, la vocazione e la missione della Chiesa: accogliere Cristo nella nostra vita e donarlo al mondo, "perché il mondo si salvi per mezzo di Lui" (Gv 3,17).

Cari fratelli e sorelle, l’odierna festa dell’Immacolata illumina come un faro il tempo dell’Avvento, che è tempo di vigilante e fiduciosa attesa del Salvatore. Mentre avanziamo incontro a Dio che viene, guardiamo a Maria che "brilla come segno di sicura speranza e di consolazione per il popolo di Dio in cammino" (Lumen gentium, 68).

[Papa Benedetto, Angelus 8 dicembre 2006]

1. Celebriamo quest'oggi la solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, ricorrenza tanto cara al popolo cristiano. Essa ben si inserisce nel clima dell'Avvento ed illumina con fulgore di purissima luce il nostro itinerario spirituale verso il Natale.

Contempliamo quest'oggi l'umile fanciulla di Nazaret preservata, con privilegio straordinario ed ineffabile, dal contagio del peccato originale e da ogni colpa, per poter essere degna dimora del Verbo incarnato. In Maria, nuova Eva, Madre del nuovo Adamo, l'originario mirabile disegno d'amore del Padre viene ristabilito in modo ancor più mirabile. Per questo, la Chiesa riconoscente acclama: "Per Te, Vergine Immacolata, abbiamo ritrovato la vita: hai concepito per opera dello Spirito Santo ed il mondo ha avuto da Te il Salvatore" (Liturgia delle Ore, Memoria di S. Maria in sabato, Antifona al Benedictus).

2. L'odierna liturgia ripropone il racconto evangelico dell'Annunciazione. La Vergine, rispondendo all'Angelo, proclama: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38). Maria manifesta il suo totale assenso di mente e di cuore ai divini ed arcani voleri e si dispone ad accogliere, prima nella fede e quindi nel grembo verginale, il Figlio di Dio.

"Eccomi!". Questa sua pronta adesione alla volontà divina costituisce un modello per tutti noi credenti, affinché nei grandi avvenimenti, come nelle vicende ordinarie, ci affidiamo interamente al Signore.

Con la testimonianza della sua vita, Maria ci incoraggia a credere nel compimento delle promesse divine. Ci richiama allo spirito di umiltà, giusto atteggiamento interiore della creatura verso il Creatore; ci esorta a riporre sicura speranza in Cristo, che realizza appieno il disegno salvifico, anche quando gli eventi appaiono oscuri e sono difficili da accettare. Quale Stella fulgente, Maria guida i nostri passi incontro al Signore che viene.

3. Carissimi Fratelli e Sorelle! Volgiamo gli occhi verso l'Immacolata tutta Santa e tutta Bella. Maria, Avvocata nostra, Madre del "Re della pace", che schiaccia il capo del serpente, aiuti noi, uomini e donne del terzo millennio, a resistere alle seduzioni del male; ravvivi nei nostri cuori la fede, la speranza e la carità perché, fedeli alla nostra chiamata, sappiamo essere, a costo di qualunque sacrificio, testimoni intrepidi di Cristo Gesù, Porta Santa di eterna salvezza.

[Papa Giovanni Paolo II, Angelus 8 dicembre 2000]

Oggi celebriamo la solennità di Maria Immacolata, che si colloca nel contesto dell’Avvento, tempo di attesa: Dio compirà ciò che ha promesso. Ma nell’odierna festa ci è annunciato che qualcosa è già compiuto, nella persona e nella vita della Vergine Maria. Di questo compimento noi oggi consideriamo l’inizio, che è ancora prima della nascita della Madre del Signore. Infatti, la sua immacolata concezione ci porta a quel preciso momento in cui la vita di Maria cominciò a palpitare nel grembo di sua madre: già lì era presente l’amore santificante di Dio, preservandola dal contagio del male che è comune eredità della famiglia umana.

Nel Vangelo di oggi risuona il saluto dell’Angelo a Maria: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). Dio l’ha pensata e voluta da sempre, nel suo imperscrutabile disegno, come una creatura piena di grazia, cioè ricolma del suo amore. Ma per essere colmati occorre fare spazio, svuotarsi, farsi da parte. Proprio come ha fatto Maria, che ha saputo mettersi in ascolto della Parola di Dio e fidarsi totalmente della sua volontà, accogliendola senza riserve nella propria vita. Tanto che in lei la Parola si è fatta carne. Questo è stato possibile grazie al suo “sì”. All’Angelo che le chiede la disponibilità a diventare la madre di Gesù, Maria risponde: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (v. 38).

Maria non si perde in tanti ragionamenti, non frappone ostacoli al Signore, ma con prontezza si affida e lascia spazio all’azione dello Spirito Santo. Mette subito a disposizione di Dio tutto il suo essere e la sua storia personale, perché siano la Parola e la volontà di Dio a plasmarli e portarli a compimento. Così, corrispondendo perfettamente al progetto di Dio su di lei, Maria diventa la “tutta bella”, la “tutta santa”, ma senza la minima ombra di autocompiacimento. È umile. Lei è un capolavoro, ma rimanendo umile, piccola, povera. In lei si rispecchia la bellezza di Dio che è tutta amore, grazia, dono di sé.

Mi piace anche sottolineare la parola con cui Maria si definisce nel suo consegnarsi a Dio: si professa «la serva del Signore». Il “sì” di Maria a Dio assume fin dall’inizio l’atteggiamento del servizio, dell’attenzione alle necessità altrui. Lo testimonia concretamente il fatto della visita ad Elisabetta, che segue immediatamente l’Annunciazione. La disponibilità verso Dio si riscontra nella disponibilità a farsi carico dei bisogni del prossimo. Tutto questo senza clamori e ostentazioni, senza cercare posti d’onore, senza pubblicità, perché la carità e le opere di misericordia non hanno bisogno di essere esibite come un trofeo. Le opere di misericordia si fanno in silenzio, di nascosto, senza vantarsi di farle. Anche nelle nostre comunità, siamo chiamati a seguire l’esempio di Maria, praticando lo stile della discrezione e del nascondimento.

La festa della nostra Madre ci aiuti a fare di tutta la nostra vita un “sì” a Dio, un “sì” fatto di adorazione a Lui e di gesti quotidiani di amore e di servizio.

[Papa Francesco, Angelus 8 dicembre 2019]

Gratuitamente: il Regno vicino e la Preghiera Incarnata

(Mt 9,35-10,1.6-8)

 

Gesù si distingue dai Rabbi del suo tempo, perché non attende che sia la gente spossata e prostrata (v.36) ad andare da lui: la cerca.

E il gruppo dei suoi dev’essere partecipe, sia nelle opere di guarigione che di liberazione - fraternità motivata da disinteresse luminoso.

Il Signore entra nelle assemblee di preghiera con ansia pastorale: per insegnare, non per disquisire. Non fa lezioni di analisi logica, ma lascia emergere Chi lo abita.

Proclama un Regno totalmente diverso da come veniva inculcato dai manipolatori delle coscienze - stracolmo di convinzioni dettagliate, che producevano intima coercizione, anonimato, solitudine, passività.

Ancora oggi cerchiamo un Dio da sperimentare, amabile, ‘non invisibile’.

Così l’Evangelo (v.35) annuncia Grazia: il volto del Padre - che non vuole nulla per sé, bensì dona tutto per trasmetterci la sua stessa Vita.

Un Amico che Viene, che non costringe a “salire” [in astratto] né imprigiona dentro sensi di colpa, sfiancando le creature già sottomesse - rendendole ancor più desolate di prima.

Qui si rivela un Cielo che fa sentire adeguati, non castiga né impressiona, bensì promuove e mette a proprio agio.

Il Padre prodigo accoglie le persone come fa il Figlio nei Vangeli - così come sono; non indagando. Piuttosto dilatando.

La sua Parola-evento non solo riattiva: reintegra gli squilibri e li valorizza in prospettiva di percorsi da persona reale - senza giudicare o disperdere, né spezzare nulla.

Per una tale opera di sapiente ricomposizione dell’essere, il Maestro invita alla Preghiera (v.38) - prima forma d’impegno dei discepoli.

L’accesso a diverse sintonie nello Spirito c’insegna a stimolare lo sguardo dell’anima, a valorizzare e capire tutto e tutti.

Quindi - dopo averli resi meno ignari - Gesù invita i suoi a coinvolgersi nell’opera missionaria; non a fare i dotti o lezioni di morale.

Sarebbero sceneggiate senza premure, che fanno sentire i malfermi ancor più sperduti.

La Missione cresce a partire da una dimensione piccola ma sconfinata - quella della percezione intima, che si accorge delle necessità e del mistero d’una Presenza favorevole.

Nuove configurazioni d’intesa, in spirito: scoperte appieno solo nell’orazione profonda (v.38). Preghiera Incarnata.

Essa non vuole distoglierci dalla realizzazione interiore; al contrario, fa da guida, e ricolloca l’anima dispersa nelle tante pratiche comuni da svolgere, al proprio centro.

Ci fa provare lo struggimento del desiderio e del capire la condizione perfetta: il Padre non intende assorbire le nostre attitudini, bensì potenziarle. Perché ciascuno ha un intimo progetto, una Chiamata per Nome, un proprio posto nel mondo.

Sembra paradossale, ma la Chiesa in uscita è anzitutto un problema di formazione e coscienza interna.

Insomma, ci si riconosce e si diventa non ignari delle cose attraverso la Preghiera-presentimento, unitiva.

In Cristo essa non è prestazione o espressione devota, bensì intesa e anzitutto Ascolto del Dio che in mille forme sottili si rivela e chiama.

Così la lotta contro le infermità (Mt 9,35-10,1): ci si ristabilisce e si vince acuendo lo sguardo e reinvestendo l’energia e il carattere anche dei nostri stessi lati ancora offuscati.

Tutto il Gratis (Mt 10,8) che potrà scaturirne per edificare la vita in favore dei fratelli, sprizzerà non come puerile contraccambio.

Il senso di prossimità (v.7) a se stessi, agli altri e alla realtà sarà un portato autentico - non programmatico, né alienato - del Regno che si rivela: Accanto.

 

 

[Sabato 1.a sett. Avvento, 7 dicembre 2024]

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Stephen's story tells us many things: for example, that charitable social commitment must never be separated from the courageous proclamation of the faith. He was one of the seven made responsible above all for charity. But it was impossible to separate charity and faith. Thus, with charity, he proclaimed the crucified Christ, to the point of accepting even martyrdom. This is the first lesson we can learn from the figure of St Stephen: charity and the proclamation of faith always go hand in hand (Pope Benedict
La storia di Stefano dice a noi molte cose. Per esempio, ci insegna che non bisogna mai disgiungere l'impegno sociale della carità dall'annuncio coraggioso della fede. Era uno dei sette incaricato soprattutto della carità. Ma non era possibile disgiungere carità e annuncio. Così, con la carità, annuncia Cristo crocifisso, fino al punto di accettare anche il martirio. Questa è la prima lezione che possiamo imparare dalla figura di santo Stefano: carità e annuncio vanno sempre insieme (Papa Benedetto)
“They found”: this word indicates the Search. This is the truth about man. It cannot be falsified. It cannot even be destroyed. It must be left to man because it defines him (John Paul II)
“Trovarono”: questa parola indica la Ricerca. Questa è la verità sull’uomo. Non la si può falsificare. Non la si può nemmeno distruggere. La si deve lasciare all’uomo perché essa lo definisce (Giovanni Paolo II)
Thousands of Christians throughout the world begin the day by singing: “Blessed be the Lord” and end it by proclaiming “the greatness of the Lord, for he has looked with favour on his lowly servant” (Pope Francis)
Migliaia di cristiani in tutto il mondo cominciano la giornata cantando: “Benedetto il Signore” e la concludono “proclamando la sua grandezza perché ha guardato con bontà l’umiltà della sua serva” (Papa Francesco)
The new Creation announced in the suburbs invests the ancient territory, which still hesitates. We too, accepting different horizons than expected, allow the divine soul of the history of salvation to visit us
La nuova Creazione annunciata in periferia investe il territorio antico, che ancora tergiversa. Anche noi, accettando orizzonti differenti dal previsto, consentiamo all’anima divina della storia della salvezza di farci visita
People have a dream: to guess identity and mission. The feast is a sign that the Lord has come to the family
Il popolo ha un Sogno: cogliere la sua identità e missione. La festa è segno che il Signore è giunto in famiglia
“By the Holy Spirit was incarnate of the Virgin Mary”. At this sentence we kneel, for the veil that concealed God is lifted, as it were, and his unfathomable and inaccessible mystery touches us: God becomes the Emmanuel, “God-with-us” (Pope Benedict)
«Per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria». A questa frase ci inginocchiamo perché il velo che nascondeva Dio, viene, per così dire, aperto e il suo mistero insondabile e inaccessibile ci tocca: Dio diventa l’Emmanuele, “Dio con noi” (Papa Benedetto)
The ancient priest stagnates, and evaluates based on categories of possibilities; reluctant to the Spirit who moves situationsi
Il sacerdote antico ristagna, e valuta basando su categorie di possibilità; riluttante allo Spirito che smuove le situazioni
«Even through Joseph’s fears, God’s will, his history and his plan were at work. Joseph, then, teaches us that faith in God includes believing that he can work even through our fears, our frailties and our weaknesses

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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