Argentino Quintavalle

Argentino Quintavalle

Argentino Quintavalle è studioso biblico ed esperto in Protestantesimo e Giudaismo. Autore del libro “Apocalisse - commento esegetico” (disponibile su Amazon) e specializzato in catechesi per protestanti che desiderano tornare nella Chiesa Cattolica.

Lunedì, 01 Luglio 2024 20:29

14a Domenica del Tempo Ordinario (B)

(2Cor 12,7-10)

2Corinzi 12:7 Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia.

 

È sempre facile che un uomo si insuperbisca per tutto ciò che il Signore opera in lui di grande, ma un uomo di Dio non può mai insuperbirsi, cesserebbe di essere uomo di Dio.

Paolo usa la parola “apokalypsōn” (= “rivelazioni”). Date le grandi rivelazioni, Paolo rischiava di diventare superbo. Occorre che ci sia una debolezza nella sua carne altrettanto grande che bilanci questa grandezza. Grandezza divina e umiliazione umana devono andare insieme; più grande è la manifestazione di Dio, più grande ancora dovrà essere l’umiliazione degli uomini. Questa è la regola. Così, perché non cadesse nel rischio di insuperbire, all’Apostolo è stata messa una spina nella carne. La spina nella carne è una metafora, è un modo per parlare di una sua difficoltà. Sappiamo quale fastidio dia una spina nella carne, anche quando è solo una piccola spina; punge e si sente sempre e, naturalmente, il primo desiderio che si ha è quello di toglierla - è logico.

Qui però non si parla di una spina materiale, ma di un inviato di Satana, un “angelos Satana” dice letteralmente il testo. Su questa difficile problematica sono stati versati fiumi di inchiostro. Si è pensato a una malattia fisica di Paolo, o ad una tentazione di natura sessuale, o ad una vessazione demoniaca. Un’altra ipotesi identifica la spina nella carne con uno o più avversari dell’Apostolo. In questo caso il gesto dello schiaffeggiare richiamerebbe gli oltraggi ricevuti da Paolo dagli avversari. Ma sono tutte illazioni. Di certo, le due metafore della spina e dell'inviato di Satana significano la stessa cosa, e l'ipotesi più probabile rimane quella di una qualche malattia che doveva essere ben nota ai Corinzi.

Non possiamo andare oltre questi dati, perché Paolo lascia nell’indefinito la dura prova da cui il Signore non lo ha liberato. Ciò che Paolo vuole che resti velato, deve restare velato. Se avesse voluto essere più chiaro, lo sarebbe stato. Perché non lo è stato? Perché questa è una cosa personale, appartiene al rapporto dell’uomo con il Signore, non appartiene al rapporto dell’uomo con l’uomo. Le vie dell’umiliazione non sono oggetto di rivelazione. Si rivela e si manifesta la regola che governa il rapporto dell’uomo con Dio, che è quella di non insuperbirsi, ma non si svela e non si rivela il come concretamente questo avviene.

Anche nelle biografie dei santi dobbiamo avere sempre quel timore sacro, reverenziale, di non aggiungere e di non svelare cose che appartengono strettamente all’anima. Anche di Cristo si dicono alcune cose, altre cose vengono taciute. Ciò che è oggetto di rivelazione e che è utile alla salvezza del mondo, lo si è detto; ciò che appartiene alla sua relazione personale con il Padre, o con alcune persone come la Madre sua, o San Giuseppe, sono taciute. Si pensi che di Cristo si conosce solo la vita pubblica. Gli altri anni sono avvolti dal mistero e dal segreto. Ecco allora che vale la regola di Paolo: ognuno deve giudicare l’altro per quel che vede e per quel che sente, ma non per quello che immagina o suppone.

Essendo la prova qualcosa di personale, potremmo essere indotti nell’errore di giudicarci superiori o inferiori all’altro in ragione della diversità della prova che subisce o patisce.

Paolo è autocritico, si rende conto dei propri limiti, del proprio carattere e anche dei propri difetti, e sta ragionando che forse quella situazione dove è stato umiliato e schiaffeggiato gli ha fatto bene. Quello che fa male, in qualche modo può fare anche bene. E Paolo ha la capacità di capirlo. È necessario che ognuno lo capisca per sé, perché nessuno può andare a dirlo a un altro. Lo si può anche dire, ma difficilmente si ha successo. Quando uno si trova in una situazione di dolore, o di ingiustizia, il fatto che un altro vada a dirgli: “vedrai che anche questo ti può servire”, non fa piacere. Non è qualcuno che dall'esterno può convincere: ciascuno deve arrivare personalmente a capire che, nella propria situazione, Dio continua a operare, nonostante tutto, nonostante le apparenze contrarie.

Ecco perché Paolo si rende conto che quella sua situazione non è sfuggita al controllo di Dio e, in questa sua polemica, riesce ad essere autocritico, e dire implicitamente che quella sua situazione gli ha fatto bene perché non insuperbisse. 

 

 

 

pastedGraphic.png

 

Questo non è un lavoro fatto per antipatia verso il protestantesimo, o per rancori verso gli evangelici, ma per difendere la vera fede, senza aspirazioni belliche. Ho passato molto tempo della mia vita nel mondo protestante, e in tarda età ho scoperto che non conoscevo affatto quella Chiesa cattolica che criticavo, ed è questa ignoranza che porta molti cattolici a lasciarsi convincere o influenzare dai protestanti.  

Questi sono divisi in una miriade di denominazioni, alcune delle quali non  gradiscono essere chiamate "protestanti", ma vorrebbero essere indicate solamente come "cristiane". Sappiamo anche che per i protestanti, i cattolici non sono cristiani, ma idolatri e pagani; ne consegue che gli evangelici nel loro voler essere chiamati solamente "cristiani" aspirano all'implicito riconoscimento di essere i soli "veri cristiani".

Il problema è che solo pochissimi protestanti conosco la storia della Chiesa; moltissimi accusano solo per sentito dire, ma non hanno mai aperto un libro riguardante la storia cristiana nei secoli. È sufficiente quello che dice il pastore di turno, qualche opuscolo, e internet per formare la loro "cultura" anti-cattolica.

Moltissimi protestanti e/o evangelici, piuttosto che vergognarsi per la propria ignoranza sul cristianesimo, ne vanno fieri, dicendo la classica frase "a me interessa solo la Bibbia", frase che è già tutto un programma. L'ignoranza storico-biblica delle persone è fondamentale per poterle pilotare. Un protestante serio che si mettesse a studiare la storia del cristianesimo, avrebbe buone probabilità di smettere di essere protestante. 

In tutto il protestantesimo vige una fede fai da te! Lo Spirito Santo ci guida a capire bene la Bibbia, è vero, ma nel mondo protestante si usa questo pretesto per coprire una presunzione senza freni e per certi versi arrogante, che porta ogni pastore a diventare una sorta di "papa" infallibile nel dare insegnamenti alle persone.

Presunzione e arroganza non si vedono subito - nessuno mostra questi difetti tanto facilmente. Sembrano tutti timorati di Dio, osservanti della Parola e pieni d'amore per il prossimo. Peccato che il loro prossimo nella maggior parte dei casi è chi ascolta passivamente e non contrasta i loro insegnamenti biblici. Chi si permette di dissentire, allora non viene più amato, spesso non viene più salutato, e alcune volte diffamato. 

Per lungo tempo, grazie a Lutero, il papa è stato considerato l'anticristo, quindi odiato e accusato, e così tutti i vescovi e i preti cattolici. In questo clima rientrano anche i singoli cattolici osservanti. 

I protestanti criticano l'infallibilità papale, ma di fatto si comportano come infallibili; ognuno nella propria comunità, liberi di inventarsi quello che vogliono, tirando la giacca allo Spirito Santo, a garanzia delle loro dottrine! Il risultato? Una miriade di denominazioni con dottrine che spesso si contrastano pesantemente tra loro.  

Il problema sta nella grande ignoranza mista a presunzione, che moltissimi protestanti e/o evangelici hanno. I cattolici sono meno ignoranti? No, la maggior parte dei cattolici, purtroppo, è assai ignorante in materia biblica, ma almeno essi non si mettono a fare i maestri verso chiunque gli capiti a tiro. Il cattolico medio è cosciente della propria ignoranza, il protestante medio invece è assai presuntuoso in campo biblico.

Un protestante che amasse veramente, come dice, la verità, andrebbe a verificare di persona cosa scrivevano e come vivevano i primi cristiani, nostri antenati nella fede, per capire se e come la Chiesa cattolica sbaglia, oppure dove sbagliano i protestanti a interpretare la Bibbia.    

Per logica, piuttosto che fidarsi di un pastore che spiega la Bibbia a 2000 anni di distanza, sarebbe meglio fidarsi dei primi padri, che appresero direttamente dalla voce degli apostoli l'insegnamento cristiano. Purtroppo molti protestanti non fanno uso della logica, ma solo di ideologie anti-cattoliche, coltivando un'antipatia viscerale verso tutto ciò che è cattolico, perché scartano a priori le prove di come vivevano i primissimi cristiani, vissuti dopo gli apostoli ma prima di Costantino.  

La fede cristiana è una, perché lo Spirito di Dio è uno! Quindi molti sbagliano strada, e abbiamo il dovere di capire chi è in quella giusta e chi in quella sbagliata. L'unità è la coesione degli elementi, delle parti che compongono un ente (per esempio, la coesione tra le parti di un'automobile come la carrozzeria, le ruote, il motore, ecc.) come già diceva Plotino; se viene meno l'unità viene meno anche quell'ente e ne possono risultare altri, ma non più quello di prima [se viene meno la coesione della carrozzeria, ruote e motore, non c’è più l'ente auto, bensì gli enti carrozzeria, ruote, motore]. Ecco, il protestantesimo somiglia tanto al mucchio di lamiere che una volta era una macchina. Si critica tanto la Chiesa cattolica, ma quanti sanno, per esempio, che Bultmann, celebre teologo ed esegeta protestante luterano, ridusse la risurrezione a un simbolo teologico? Non riteneva infatti possibile che fisicamente Gesù fosse risorto. Per confrontare le diverse interpretazioni bibliche bisogna avere il più possibile la mente sgombra da ideologie e preconcetti. Bisogna essere aperti a qualsiasi ipotesi se correttamente motivata e dimostrata. Se ci basiamo su pregiudizi ideologici che ci legano alle nostre convinzioni dottrinali, possiamo fare a meno di leggere o ascoltare qualsiasi testo o persona; tanto è inutile. Il nostro orgoglio ci impedirà di apprendere verità diverse dalla "nostra". Spesso difendiamo il nostro errore biblico con un guscio impenetrabile, ci teniamo la nostra verità, rifiutando qualsiasi altra, che sbatte sul guscio e scivola via. Appena si tocca il piano religioso/spirituale, stranamente è come se molti staccassero l'interruttore dalla propria mente, o almeno ad una parte di essa. Quando i protestanti dialogano con un cattolico, per esempio, non ricevono alcuna informazione, solo suoni che scivolano sui loro timpani, ma non arrivano al cervello. Non ascoltano.   

La storia del cristianesimo per loro non conta nulla, non riveste alcuna importanza, se non nelle vicende da rinfacciare - vedi crociate, inquisizioni ecc. - senza conoscere la vera storia di questi fatti, e senza sapere che anche i protestanti hanno avuto le loro guerre, e hanno pure fatto le loro inquisizioni, assai più sanguinose di quelle cattoliche.

Dicono di essere guidati dallo Spirito Santo, ma stranamente ci sono molti gruppi che ricevono informazioni diverse e contraddittorie dal medesimo Spirito Santo, perdendo inesorabilmente di credibilità. 

Mi rendo conto che la Chiesa cattolica ha trascurato il problema del proselitismo protestante. Gli evangelici hanno riscosso successo non perché hanno ragione, ma semplicemente perché trovano il popolo cattolico molto ignorante in  materia biblica, incapace di difendere in maniera opportuna la propria fede, rifugiandosi dietro al classico "non ho tempo da perdere"; magari poi perdono pure la fede… il tempo però non si tocca.   

Molti cattolici dicono di aver fede in Gesù Cristo, ma questa loro fede si vede solo nei momenti di bisogno: quando tutto scorre liscio Gesù viene dimenticato, e la Bibbia non interessa a nessuno leggerla. In contesti come questi gli evangelici trovano un popolo che deve veramente essere evangelizzato, da loro. Molti cattolici non oppongono resistenza a questo proselitismo perché non hanno risposte bibliche da dare, ma solo ignoranza da nascondere. In terreni simili la conquista protestante è facile, ed è come se affrontassero un esercito disarmato.   

Ma chi studia la Bibbia e si impegna ad approfondire il significato della parola di Dio, si rende conto che in realtà i protestanti non sono affatto quei maestri biblici che sembrano, ma sono dei profondi ignoranti storici e biblici, plagiati dalla loro setta di appartenenza. Chiamandoli ignoranti non voglio offenderli, perché altrimenti li chiamerei "falsi e bugiardi". Chiamandoli ignoranti gli riconosco la buona fede, credono in alcune dottrine sbagliate, non accorgendosi di sbagliare.  

Il punto è che lo Spirito Santo non può contraddire se stesso, e quindi certamente le interpretazioni contrastanti delle diverse denominazioni non possono essere tutte vere, né tutte ispirate. È evidente che non è possibile che lo stesso Spirito suggerisca a ciascuno dottrine diverse. In questo modo si creano dei compartimenti stagni, ogni gruppo protestante crede di essere nella verità più degli altri, isolandosi e predicando un vangelo personalizzato. Per esempio, secondo gli Avventisti tutte le altre chiese cristiane hanno abolito il comandamento del sabato, celebrando il culto alla domenica, e quindi tranne loro tutti sono destinati all'inferno se non aboliscono la domenica come giorno del Signore. Ovviamente essi motivano queste loro accuse con alcuni versetti biblici, interpretandoli a modo proprio. Ecco, è questo il punto che sfugge a tutti i protestanti, classici e moderni: la Bibbia non può essere interpretata soggettivamente, perché la Verità non è affatto soggettiva.

Ma essendo divisi in compartimenti stagni, non comunicanti gli uni con gli altri, è difficile che qualcuno di loro si accorga delle differenze dottrinali con gli altri protestanti. Se qualcuno se ne accorge, fa finta di niente, o non  gli dà il giusto peso, tanto, basta credere in Gesù come nostro personale salvatore. Le loro attenzioni vengono rivolte solo verso la Chiesa cattolica, il nemico da sconfiggere! È fin troppo comodo affermare orgogliosamente che "Io capisco quello che c'è scritto nella Bibbia perché lo Spirito Santo mi guida. Dio ha nascosto la verità ai sapienti e l'ha rivelata agli umili". Ecco, ogni buon protestante usa frasi del genere per rifiutare l'autorità interpretativa dei padri e dei dottori della Chiesa.  

In questo contesto si assiste a scene nelle quali qualsiasi protestante, di qualsiasi grado di cultura, schernisce gli scritti di Ireneo, Agostino, Tommaso d'Aquino, e lo fa in maniera disinvolta, perché nell'interpretare la Bibbia si sente tanto umile da essere guidato direttamente da Dio, ma allo stesso tempo è abbastanza cieco da non accorgersi che troppi "umili" protestanti professano poi dottrine assai diverse tra loro. Disprezzano il cattolico ma eleggono un "fai-da-te" che inorgoglisce e dice: "Non ho bisogno di leggere gli scritti dei padri della Chiesa, mi basta la sola Bibbia", quindi i maestri di cui parla l'apostolo Paolo non servirebbero a nulla: "È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri" (Ef 4,11). 

Basterebbe leggere la storia delle eresie che hanno colpito il cristianesimo lungo i secoli, per rendersi conto che gli eretici basavano e basano sempre le loro tesi sulla Bibbia, spiegandola a modo loro. Difficilmente le persone andranno a spulciare intrecciate questioni dottrinali e teologiche. È più facile trovare un prete che abbia commesso qualche errore umano e sceglierlo come bersaglio, al fine di avvalorare le tesi anticattoliche e considerare la Chiesa cattolica nemica del cristianesimo e della verità, alleata con satana per sviare le anime e portarle all'inferno. Nemmeno l'arcangelo Michele ostentava una tale sicurezza nel bollare o  giudicare il diavolo, eppure si trattava del diavolo (Gd 1,9):  

 

L'arcangelo Michele quando, in contesa con il diavolo, disputava per il corpo di Mosè, non osò accusarlo con parole offensive, ma disse: Ti condanni il Signore!

 

La verità è che l'accusatore per eccellenza è proprio Satana, i santi non accusano nessuno, non per rispetto, ma perché si rimettono al giudizio di Dio. Per un protestante invece è normale dire che i cattolici vanno all'inferno perché sono idolatri. Si ergono a giudici, credendo di conoscere i cuori, e fraintendono il concetto di adorazione. Qualsiasi cristiano si dovrebbe porre delle domande, a verifica di ciò in cui crede, e dovrebbe saper discernere se le proprie convinzioni in materia di fede sono solo frutto di autosuggestione, fantasie indotte, oppure se trovano conferma nella storia del cristianesimo e nella Bibbia.   

 

Argentino Quintavalle

 

 

 autore dei libri 

 

- Apocalisse commento esegetico 

- L'Apostolo Paolo e i giudaizzanti – Legge o Vangelo?

  • Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo nel mistero trinitario
  • Il discorso profetico di Gesù (Matteo 24-25)
  • Tutte le generazioni mi chiameranno beata
  • Cattolici e Protestanti a confronto – In difesa della fede

 

(Acquistabili su Amazon)

                                                                          

 

Lunedì, 24 Giugno 2024 20:51

13a Domenica del Tempo Ordinario (B)

(2Cor 8,7.9.13-15)

 2Corinzi 8:7 E come vi segnalate in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella scienza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così distinguetevi anche in quest'opera generosa.

2Corinzi 8:9 Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.

2Corinzi 8:13 Qui non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza.

2Corinzi 8:14 Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto:

2Corinzi 8:15 Colui che raccolse molto non abbondò,

e colui che raccolse poco non ebbe di meno.

 

Paolo fa i complimenti ai Corinzi riconoscendo che è una comunità ricca di tanti doni. I Corinzi hanno una vita che è fondata sulla parola, nella fede, nella scienza, nello zelo, nella carità. Cosa manca ancora ai Corinzi? Sembra che Paolo stia dicendo: visto che le cose le sapete, adesso avete l’occasione di metterle in pratica. Queste virtù elencate da Paolo, o si alimentano attraverso una nostra costante crescita, o a poco a poco ci dimentichiamo di esse e si ritorna nel nostro vecchio mondo. Sulla nostra crescita è giusto che costantemente ci interroghiamo, anche attraverso il quotidiano esame di coscienza.

Infatti Paolo li esorta ad aggiungere al loro cammino spirituale, già buono, anche ciò che lui definisce “quest'opera generosa” (v.7). Devono portare a compimento la colletta in favore della chiesa di Gerusalemme, ma  devono compierla non alla leggera, alla buona, donando quel poco solo per dire di aver partecipato. Paolo vuole che in quest’opera essi si distinguano e la distinzione avviene solo nell’abbondanza dei frutti, in una partecipazione sentita.

Non si tratta di prova della fede, bensì di esame vero e proprio sulla consistenza del loro cristianesimo. Il cristianesimo non è la pratica di una dottrina, non è neanche una morale più o meno eccellente. Il cristianesimo è prima di ogni altra cosa sequela di Cristo nell’imitazione di Lui. Chi vuole essere cristiano non solo deve camminare dietro Cristo, deve anche imitarlo, poiché è nell’imitazione di Lui che si raggiunge l'eccellenza morale.

Chi è Gesù Cristo? Paolo sceglie di definire Gesù come un ricco che si è fatto povero. «Da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà». Questa è una frase eccezionale. La comunità cristiana può diventare ricca grazie alla povertà di Cristo. Gesù era ricco come Dio, quindi onnipotente. Rinunciando a questa condizione che gli era propria per natura divina, si è fatto obbediente, si è fatto debole, si è fatto sottomesso - e da questo atteggiamento, che Paolo chiama la “povertà di Cristo”, noi abbiamo la possibilità di diventare ricchi, di assumere la qualità dell'essere divino. Portando questo esempio di Cristo, Paolo dice che i Corinzi sono chiamati a imitare Cristo, quindi a spogliarsi di sé; sono invitati alla rinuncia, sono messi nella condizione di rinunciare volontariamente a qualche cosa, perché qualche altro fratello bisognoso possa usufruire della loro ricchezza.

«Qui non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza». Paolo esce qui dalla regola della carità, ed entra in quella della giustizia. Quando si esce dalla carità e si entra nella giustizia, allora non c’è più la buona volontà che regola e determina l’opera, c’è una regola molto più oggettiva che è quella del dare e dell’avere. Quando c’è una giustizia da compiere, uno non guarda se è povero o se è ricco, guarda che c’è un obbligo che bisogna assolvere e non si è giusti finché non è stato assolto. Questa regola di giustizia, questo fare uguaglianza, chiede che non si guardi l’opera della colletta solo come un libero dono, ma la si guardi come l'assolvimento di un debito contratto nei riguardi della chiesa di Gerusalemme.

Questo non si può comprendere se non si parte dalla comunione reale che regna nella chiesa. La chiesa di Gerusalemme ha dato ai Corinzi i beni spirituali, la verità e la grazia di nostro Signore Gesù Cristo, è ben giusto che la comunità dei Corinzi doni alla chiesa di Gerusalemme quanto può perché sopravviva in un momento di grave bisogno.

La chiesa di Gerusalemme è nell’abbondanza spirituale e questa abbondanza viene riversata sull’indigenza spirituale che accompagna la comunità di Corinto. La comunità di Corinto invece è nell’abbondanza dei beni materiali e deve sostenere l’indigenza materiale in cui sono venuti a trovarsi i fratelli di Gerusalemme. È questa l’uguaglianza che Paolo chiede, ed è secondo questa uguaglianza che bisogna agire. Fare uguaglianza non è opera di carità, è opera di giustizia: dovere verso coloro che ci hanno arricchiti.

Questo principio di fede deve andare al di là della situazione storica del tempo di Paolo. Esso è legge perenne nella chiesa di Dio. Questo principio di fede vuole infatti che colui che riceve dei beni spirituali, contraccambi con dei beni materiali.

«Colui che raccolse molto non abbondò, e colui che raccolse poco non ebbe di meno». L'obiettivo dell'uguaglianza è un principio preso dal libro dell'Esodo capitolo 16, a proposito della manna. La regola della manna era di raccoglierla tutti i giorni e nella misura che serviva per mangiare. Ognuno doveva raccogliere la quantità di manna che serviva per mangiare quel giorno; l'indomani, di manna ce ne sarebbe stata nuovamente e nuovamente sarebbe stata raccolta. Il versetto serve a Paolo come un principio teologico e applica queste parole ai cristiani, mostrando che la carità deve produrre fra loro una certa uguaglianza in modo che tutti abbiano ciò che è necessario. Sia nelle cose spirituali come nelle temporali, essi devono quindi aiutarsi scambievolmente.

È giusto che se uno un giorno ha raccolto di più, aiuti con questo ‘di più’ colui che in quel giorno ha raccolto meno. È questa l’uguaglianza che Paolo intende che venga vissuta nella Chiesa tra i cristiani.

Solo per fede e solo nella fede si può vivere questo insegnamento. 

 

 

 

pastedGraphic.png

 

Questo non è un lavoro fatto per antipatia verso il protestantesimo, o per rancori verso gli evangelici, ma per difendere la vera fede, senza aspirazioni belliche. Ho passato molto tempo della mia vita nel mondo protestante, e in tarda età ho scoperto che non conoscevo affatto quella Chiesa cattolica che criticavo, ed è questa ignoranza che porta molti cattolici a lasciarsi convincere o influenzare dai protestanti.  

Questi sono divisi in una miriade di denominazioni, alcune delle quali non  gradiscono essere chiamate "protestanti", ma vorrebbero essere indicate solamente come "cristiane". Sappiamo anche che per i protestanti, i cattolici non sono cristiani, ma idolatri e pagani; ne consegue che gli evangelici nel loro voler essere chiamati solamente "cristiani" aspirano all'implicito riconoscimento di essere i soli "veri cristiani".

Il problema è che solo pochissimi protestanti conosco la storia della Chiesa; moltissimi accusano solo per sentito dire, ma non hanno mai aperto un libro riguardante la storia cristiana nei secoli. È sufficiente quello che dice il pastore di turno, qualche opuscolo, e internet per formare la loro "cultura" anti-cattolica.

Moltissimi protestanti e/o evangelici, piuttosto che vergognarsi per la propria ignoranza sul cristianesimo, ne vanno fieri, dicendo la classica frase "a me interessa solo la Bibbia", frase che è già tutto un programma. L'ignoranza storico-biblica delle persone è fondamentale per poterle pilotare. Un protestante serio che si mettesse a studiare la storia del cristianesimo, avrebbe buone probabilità di smettere di essere protestante. 

In tutto il protestantesimo vige una fede fai da te! Lo Spirito Santo ci guida a capire bene la Bibbia, è vero, ma nel mondo protestante si usa questo pretesto per coprire una presunzione senza freni e per certi versi arrogante, che porta ogni pastore a diventare una sorta di "papa" infallibile nel dare insegnamenti alle persone.

Presunzione e arroganza non si vedono subito - nessuno mostra questi difetti tanto facilmente. Sembrano tutti timorati di Dio, osservanti della Parola e pieni d'amore per il prossimo. Peccato che il loro prossimo nella maggior parte dei casi è chi ascolta passivamente e non contrasta i loro insegnamenti biblici. Chi si permette di dissentire, allora non viene più amato, spesso non viene più salutato, e alcune volte diffamato. 

Per lungo tempo, grazie a Lutero, il papa è stato considerato l'anticristo, quindi odiato e accusato, e così tutti i vescovi e i preti cattolici. In questo clima rientrano anche i singoli cattolici osservanti. 

I protestanti criticano l'infallibilità papale, ma di fatto si comportano come infallibili; ognuno nella propria comunità, liberi di inventarsi quello che vogliono, tirando la giacca allo Spirito Santo, a garanzia delle loro dottrine! Il risultato? Una miriade di denominazioni con dottrine che spesso si contrastano pesantemente tra loro.  

Il problema sta nella grande ignoranza mista a presunzione, che moltissimi protestanti e/o evangelici hanno. I cattolici sono meno ignoranti? No, la maggior parte dei cattolici, purtroppo, è assai ignorante in materia biblica, ma almeno essi non si mettono a fare i maestri verso chiunque gli capiti a tiro. Il cattolico medio è cosciente della propria ignoranza, il protestante medio invece è assai presuntuoso in campo biblico.

Un protestante che amasse veramente, come dice, la verità, andrebbe a verificare di persona cosa scrivevano e come vivevano i primi cristiani, nostri antenati nella fede, per capire se e come la Chiesa cattolica sbaglia, oppure dove sbagliano i protestanti a interpretare la Bibbia.    

Per logica, piuttosto che fidarsi di un pastore che spiega la Bibbia a 2000 anni di distanza, sarebbe meglio fidarsi dei primi padri, che appresero direttamente dalla voce degli apostoli l'insegnamento cristiano. Purtroppo molti protestanti non fanno uso della logica, ma solo di ideologie anti-cattoliche, coltivando un'antipatia viscerale verso tutto ciò che è cattolico, perché scartano a priori le prove di come vivevano i primissimi cristiani, vissuti dopo gli apostoli ma prima di Costantino.  

La fede cristiana è una, perché lo Spirito di Dio è uno! Quindi molti sbagliano strada, e abbiamo il dovere di capire chi è in quella giusta e chi in quella sbagliata. L'unità è la coesione degli elementi, delle parti che compongono un ente (per esempio, la coesione tra le parti di un'automobile come la carrozzeria, le ruote, il motore, ecc.) come già diceva Plotino; se viene meno l'unità viene meno anche quell'ente e ne possono risultare altri, ma non più quello di prima [se viene meno la coesione della carrozzeria, ruote e motore, non c’è più l'ente auto, bensì gli enti carrozzeria, ruote, motore]. Ecco, il protestantesimo somiglia tanto al mucchio di lamiere che una volta era una macchina. Si critica tanto la Chiesa cattolica, ma quanti sanno, per esempio, che Bultmann, celebre teologo ed esegeta protestante luterano, ridusse la risurrezione a un simbolo teologico? Non riteneva infatti possibile che fisicamente Gesù fosse risorto. Per confrontare le diverse interpretazioni bibliche bisogna avere il più possibile la mente sgombra da ideologie e preconcetti. Bisogna essere aperti a qualsiasi ipotesi se correttamente motivata e dimostrata. Se ci basiamo su pregiudizi ideologici che ci legano alle nostre convinzioni dottrinali, possiamo fare a meno di leggere o ascoltare qualsiasi testo o persona; tanto è inutile. Il nostro orgoglio ci impedirà di apprendere verità diverse dalla "nostra". Spesso difendiamo il nostro errore biblico con un guscio impenetrabile, ci teniamo la nostra verità, rifiutando qualsiasi altra, che sbatte sul guscio e scivola via. Appena si tocca il piano religioso/spirituale, stranamente è come se molti staccassero l'interruttore dalla propria mente, o almeno ad una parte di essa. Quando i protestanti dialogano con un cattolico, per esempio, non ricevono alcuna informazione, solo suoni che scivolano sui loro timpani, ma non arrivano al cervello. Non ascoltano.   

La storia del cristianesimo per loro non conta nulla, non riveste alcuna importanza, se non nelle vicende da rinfacciare - vedi crociate, inquisizioni ecc. - senza conoscere la vera storia di questi fatti, e senza sapere che anche i protestanti hanno avuto le loro guerre, e hanno pure fatto le loro inquisizioni, assai più sanguinose di quelle cattoliche.

Dicono di essere guidati dallo Spirito Santo, ma stranamente ci sono molti gruppi che ricevono informazioni diverse e contraddittorie dal medesimo Spirito Santo, perdendo inesorabilmente di credibilità. 

Mi rendo conto che la Chiesa cattolica ha trascurato il problema del proselitismo protestante. Gli evangelici hanno riscosso successo non perché hanno ragione, ma semplicemente perché trovano il popolo cattolico molto ignorante in  materia biblica, incapace di difendere in maniera opportuna la propria fede, rifugiandosi dietro al classico "non ho tempo da perdere"; magari poi perdono pure la fede… il tempo però non si tocca.   

Molti cattolici dicono di aver fede in Gesù Cristo, ma questa loro fede si vede solo nei momenti di bisogno: quando tutto scorre liscio Gesù viene dimenticato, e la Bibbia non interessa a nessuno leggerla. In contesti come questi gli evangelici trovano un popolo che deve veramente essere evangelizzato, da loro. Molti cattolici non oppongono resistenza a questo proselitismo perché non hanno risposte bibliche da dare, ma solo ignoranza da nascondere. In terreni simili la conquista protestante è facile, ed è come se affrontassero un esercito disarmato.   

Ma chi studia la Bibbia e si impegna ad approfondire il significato della parola di Dio, si rende conto che in realtà i protestanti non sono affatto quei maestri biblici che sembrano, ma sono dei profondi ignoranti storici e biblici, plagiati dalla loro setta di appartenenza. Chiamandoli ignoranti non voglio offenderli, perché altrimenti li chiamerei "falsi e bugiardi". Chiamandoli ignoranti gli riconosco la buona fede, credono in alcune dottrine sbagliate, non accorgendosi di sbagliare.  

Il punto è che lo Spirito Santo non può contraddire se stesso, e quindi certamente le interpretazioni contrastanti delle diverse denominazioni non possono essere tutte vere, né tutte ispirate. È evidente che non è possibile che lo stesso Spirito suggerisca a ciascuno dottrine diverse. In questo modo si creano dei compartimenti stagni, ogni gruppo protestante crede di essere nella verità più degli altri, isolandosi e predicando un vangelo personalizzato. Per esempio, secondo gli Avventisti tutte le altre chiese cristiane hanno abolito il comandamento del sabato, celebrando il culto alla domenica, e quindi tranne loro tutti sono destinati all'inferno se non aboliscono la domenica come giorno del Signore. Ovviamente essi motivano queste loro accuse con alcuni versetti biblici, interpretandoli a modo proprio. Ecco, è questo il punto che sfugge a tutti i protestanti, classici e moderni: la Bibbia non può essere interpretata soggettivamente, perché la Verità non è affatto soggettiva.

Ma essendo divisi in compartimenti stagni, non comunicanti gli uni con gli altri, è difficile che qualcuno di loro si accorga delle differenze dottrinali con gli altri protestanti. Se qualcuno se ne accorge, fa finta di niente, o non  gli dà il giusto peso, tanto, basta credere in Gesù come nostro personale salvatore. Le loro attenzioni vengono rivolte solo verso la Chiesa cattolica, il nemico da sconfiggere! È fin troppo comodo affermare orgogliosamente che "Io capisco quello che c'è scritto nella Bibbia perché lo Spirito Santo mi guida. Dio ha nascosto la verità ai sapienti e l'ha rivelata agli umili". Ecco, ogni buon protestante usa frasi del genere per rifiutare l'autorità interpretativa dei padri e dei dottori della Chiesa.  

In questo contesto si assiste a scene nelle quali qualsiasi protestante, di qualsiasi grado di cultura, schernisce gli scritti di Ireneo, Agostino, Tommaso d'Aquino, e lo fa in maniera disinvolta, perché nell'interpretare la Bibbia si sente tanto umile da essere guidato direttamente da Dio, ma allo stesso tempo è abbastanza cieco da non accorgersi che troppi "umili" protestanti professano poi dottrine assai diverse tra loro. Disprezzano il cattolico ma eleggono un "fai-da-te" che inorgoglisce e dice: "Non ho bisogno di leggere gli scritti dei padri della Chiesa, mi basta la sola Bibbia", quindi i maestri di cui parla l'apostolo Paolo non servirebbero a nulla: "È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri" (Ef 4,11). 

Basterebbe leggere la storia delle eresie che hanno colpito il cristianesimo lungo i secoli, per rendersi conto che gli eretici basavano e basano sempre le loro tesi sulla Bibbia, spiegandola a modo loro. Difficilmente le persone andranno a spulciare intrecciate questioni dottrinali e teologiche. È più facile trovare un prete che abbia commesso qualche errore umano e sceglierlo come bersaglio, al fine di avvalorare le tesi anticattoliche e considerare la Chiesa cattolica nemica del cristianesimo e della verità, alleata con satana per sviare le anime e portarle all'inferno. Nemmeno l'arcangelo Michele ostentava una tale sicurezza nel bollare o  giudicare il diavolo, eppure si trattava del diavolo (Gd 1,9):  

 

L'arcangelo Michele quando, in contesa con il diavolo, disputava per il corpo di Mosè, non osò accusarlo con parole offensive, ma disse: Ti condanni il Signore!

 

La verità è che l'accusatore per eccellenza è proprio Satana, i santi non accusano nessuno, non per rispetto, ma perché si rimettono al giudizio di Dio. Per un protestante invece è normale dire che i cattolici vanno all'inferno perché sono idolatri. Si ergono a giudici, credendo di conoscere i cuori, e fraintendono il concetto di adorazione. Qualsiasi cristiano si dovrebbe porre delle domande, a verifica di ciò in cui crede, e dovrebbe saper discernere se le proprie convinzioni in materia di fede sono solo frutto di autosuggestione, fantasie indotte, oppure se trovano conferma nella storia del cristianesimo e nella Bibbia.   

 

Argentino Quintavalle

 

 

 autore dei libri 

 

- Apocalisse commento esegetico 

- L'Apostolo Paolo e i giudaizzanti – Legge o Vangelo?

  • Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo nel mistero trinitario
  • Il discorso profetico di Gesù (Matteo 24-25)
  • Tutte le generazioni mi chiameranno beata
  • Cattolici e Protestanti a confronto – In difesa della fede

 

(Acquistabili su Amazon)

                                                                          

  

Martedì, 18 Giugno 2024 06:50

12a Domenica del Tempo Ordinario (B)

(2Cor 5,14-17)

 2Corinzi 5:14 Poiché l'amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti.

2Corinzi 5:15 Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro.

2Corinzi 5:16 Cosicché ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così.

2Corinzi 5:17 Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove.

 

«Poiché l'amore del Cristo ci spinge». Chi muove Paolo ad agire è l’amore di Cristo. L’amore di Cristo è il dono della sua vita per la salvezza del mondo. L’amore di Cristo è la sua croce. L’amore di Cristo è il sacrificio di se stesso, è farsi servo degli altri. L'amore che Cristo ha per noi ci spinge a contraccambiarlo. Il fatto che Cristo ci ami ci spinge, ci sprona. Ecco il motore di tutta l'azione di Paolo: «agapē tou Christou», l'amore di Cristo. Se Paolo è spinto dall’amore di Cristo, egli ama come Cristo, ama di un amore che sa farsi sacrificio.

«...al pensiero che uno è morto per tutti». Pensare che uno è morto al tuo posto non può lasciarti indifferente. Pensiamo alla condizione di quel prigioniero di Auschwitz che è stato risparmiato perché Massimiliano Kolbe è morto al suo posto. Colui che poi è tornato a casa, non può aver dimenticato che sarebbe dovuto morire lui, che c'è stato un altro che è morto al suo posto e così lui ha potuto continuare a vivere. Sicuramente la sua vita è stata segnata: io vivo perché un altro è morto al mio posto! Paolo ha questa idea profonda e l'ha talmente assimilata che è diventata il motore della sua esistenza.

«...e quindi tutti sono morti». Tornando all'esempio di Auschwitz, in qualche modo è morto anche quell'altro. Essendo stata risparmiata, la sua vita è ormai un “di più” e quello che c'è in più è una grazia. Nel momento in cui uno rappresenta tutti, e muore al posto degli altri, anche tutti quelli che si sentono rappresentati da lui muoiono, partecipano a quella situazione. Dato però che quella persona che è morta per tutti non è rimasta nella morte, ma ha raggiunto la pienezza di vita; e coloro che sono solidali con lui sperimentano anche quella pienezza di vita.

Quando questo processo si interrompe perché in qualcuno non c'è più l’amore di Cristo che spinge, la vita cristiana si raffredda. Quando non si produce salvezza attorno a sé, è segno che il nostro amore si è raffreddato e che Cristo non vive più in noi. Se noi non siamo in lui, se non moriamo la sua morte, non possiamo generare la sua vita.

Per essere di fede cristiana occorre professare che Cristo, la seconda Persona della Santissima  Trinità, si è incarnato, ha subito la passione, è morto ed è risorto per noi. Quello che molte cristologie ignorano è l’altra affermazione di Paolo: «perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro».

Ogni vera cristologia deve comporsi pertanto di due verità: quella di Cristo che è morto per tutti; e l’altra che tutti ormai devono vivere per Cristo. La fede è completa se queste due verità sono insieme. Se queste due verità vengono separate, una annunciata: la prima; l’altra lasciata: la seconda, noi non abbiamo una vera e autentica cristologia.

C'è quindi un cambio di prospettiva molto interessante. Quelli che vivono non vivono più per se stessi, ma vivono per Lui. Lui ha preso il loro posto, il loro posto nella morte, e loro si rendono conto che devono la loro vita a Lui per cui in qualche modo non vivono più per se stessi, ma vivono per lui. Non semplicemente a causa di lui, piuttosto avendo lui come fine: vivono per lui come meta, come obiettivo.

Cristo è morto per tutti, tutti devono vivere per Cristo. Devono dare la loro vita a Cristo, perché Cristo la trasformi in uno strumento di salvezza a favore di tutti gli uomini. La Chiesa deve andare per terra e per mare ad annunciare la salvezza, il grande dono dell’amore di Dio in Cristo Gesù. Quando c’è un calo nella missione, quando la Chiesa perde di incidenza e di slancio nella sua missione, significa che c’è stato un calo nella fede in Cristo, c’è stata una perdita di verità, uno smarrimento nei princìpi della salvezza.

Oggi non si pone più alcuna attenzione all’affermazione che tutti coloro per i quali Cristo è morto - e Cristo è morto per tutti - vivano e muoiano per lui. Questo il risultato: un’antropologia di salvezza senza vera spiritualità, che non orienta la vita verso una sempre più perfetta configurazione a Cristo. 

 

 

pastedGraphic.png

Questo non è un lavoro fatto per antipatia verso il protestantesimo, o per rancori verso gli evangelici, ma per difendere la vera fede, senza aspirazioni belliche. Ho passato molto tempo della mia vita nel mondo protestante, e in tarda età ho scoperto che non conoscevo affatto quella Chiesa cattolica che criticavo, ed è questa ignoranza che porta molti cattolici a lasciarsi convincere o influenzare dai protestanti.  

Questi sono divisi in una miriade di denominazioni, alcune delle quali non  gradiscono essere chiamate "protestanti", ma vorrebbero essere indicate solamente come "cristiane". Sappiamo anche che per i protestanti, i cattolici non sono cristiani, ma idolatri e pagani; ne consegue che gli evangelici nel loro voler essere chiamati solamente "cristiani" aspirano all'implicito riconoscimento di essere i soli "veri cristiani".

Il problema è che solo pochissimi protestanti conosco la storia della Chiesa; moltissimi accusano solo per sentito dire, ma non hanno mai aperto un libro riguardante la storia cristiana nei secoli. È sufficiente quello che dice il pastore di turno, qualche opuscolo, e internet per formare la loro "cultura" anti-cattolica.

Moltissimi protestanti e/o evangelici, piuttosto che vergognarsi per la propria ignoranza sul cristianesimo, ne vanno fieri, dicendo la classica frase "a me interessa solo la Bibbia", frase che è già tutto un programma. L'ignoranza storico-biblica delle persone è fondamentale per poterle pilotare. Un protestante serio che si mettesse a studiare la storia del cristianesimo, avrebbe buone probabilità di smettere di essere protestante. 

In tutto il protestantesimo vige una fede fai da te! Lo Spirito Santo ci guida a capire bene la Bibbia, è vero, ma nel mondo protestante si usa questo pretesto per coprire una presunzione senza freni e per certi versi arrogante, che porta ogni pastore a diventare una sorta di "papa" infallibile nel dare insegnamenti alle persone.

Presunzione e arroganza non si vedono subito - nessuno mostra questi difetti tanto facilmente. Sembrano tutti timorati di Dio, osservanti della Parola e pieni d'amore per il prossimo. Peccato che il loro prossimo nella maggior parte dei casi è chi ascolta passivamente e non contrasta i loro insegnamenti biblici. Chi si permette di dissentire, allora non viene più amato, spesso non viene più salutato, e alcune volte diffamato. 

Per lungo tempo, grazie a Lutero, il papa è stato considerato l'anticristo, quindi odiato e accusato, e così tutti i vescovi e i preti cattolici. In questo clima rientrano anche i singoli cattolici osservanti. 

I protestanti criticano l'infallibilità papale, ma di fatto si comportano come infallibili; ognuno nella propria comunità, liberi di inventarsi quello che vogliono, tirando la giacca allo Spirito Santo, a garanzia delle loro dottrine! Il risultato? Una miriade di denominazioni con dottrine che spesso si contrastano pesantemente tra loro.  

Il problema sta nella grande ignoranza mista a presunzione, che moltissimi protestanti e/o evangelici hanno. I cattolici sono meno ignoranti? No, la maggior parte dei cattolici, purtroppo, è assai ignorante in materia biblica, ma almeno essi non si mettono a fare i maestri verso chiunque gli capiti a tiro. Il cattolico medio è cosciente della propria ignoranza, il protestante medio invece è assai presuntuoso in campo biblico.

Un protestante che amasse veramente, come dice, la verità, andrebbe a verificare di persona cosa scrivevano e come vivevano i primi cristiani, nostri antenati nella fede, per capire se e come la Chiesa cattolica sbaglia, oppure dove sbagliano i protestanti a interpretare la Bibbia.    

Per logica, piuttosto che fidarsi di un pastore che spiega la Bibbia a 2000 anni di distanza, sarebbe meglio fidarsi dei primi padri, che appresero direttamente dalla voce degli apostoli l'insegnamento cristiano. Purtroppo molti protestanti non fanno uso della logica, ma solo di ideologie anti-cattoliche, coltivando un'antipatia viscerale verso tutto ciò che è cattolico, perché scartano a priori le prove di come vivevano i primissimi cristiani, vissuti dopo gli apostoli ma prima di Costantino.  

La fede cristiana è una, perché lo Spirito di Dio è uno! Quindi molti sbagliano strada, e abbiamo il dovere di capire chi è in quella giusta e chi in quella sbagliata. L'unità è la coesione degli elementi, delle parti che compongono un ente (per esempio, la coesione tra le parti di un'automobile come la carrozzeria, le ruote, il motore, ecc.) come già diceva Plotino; se viene meno l'unità viene meno anche quell'ente e ne possono risultare altri, ma non più quello di prima [se viene meno la coesione della carrozzeria, ruote e motore, non c’è più l'ente auto, bensì gli enti carrozzeria, ruote, motore]. Ecco, il protestantesimo somiglia tanto al mucchio di lamiere che una volta era una macchina. Si critica tanto la Chiesa cattolica, ma quanti sanno, per esempio, che Bultmann, celebre teologo ed esegeta protestante luterano, ridusse la risurrezione a un simbolo teologico? Non riteneva infatti possibile che fisicamente Gesù fosse risorto. Per confrontare le diverse interpretazioni bibliche bisogna avere il più possibile la mente sgombra da ideologie e preconcetti. Bisogna essere aperti a qualsiasi ipotesi se correttamente motivata e dimostrata. Se ci basiamo su pregiudizi ideologici che ci legano alle nostre convinzioni dottrinali, possiamo fare a meno di leggere o ascoltare qualsiasi testo o persona; tanto è inutile. Il nostro orgoglio ci impedirà di apprendere verità diverse dalla "nostra". Spesso difendiamo il nostro errore biblico con un guscio impenetrabile, ci teniamo la nostra verità, rifiutando qualsiasi altra, che sbatte sul guscio e scivola via. Appena si tocca il piano religioso/spirituale, stranamente è come se molti staccassero l'interruttore dalla propria mente, o almeno ad una parte di essa. Quando i protestanti dialogano con un cattolico, per esempio, non ricevono alcuna informazione, solo suoni che scivolano sui loro timpani, ma non arrivano al cervello. Non ascoltano.   

La storia del cristianesimo per loro non conta nulla, non riveste alcuna importanza, se non nelle vicende da rinfacciare - vedi crociate, inquisizioni ecc. - senza conoscere la vera storia di questi fatti, e senza sapere che anche i protestanti hanno avuto le loro guerre, e hanno pure fatto le loro inquisizioni, assai più sanguinose di quelle cattoliche.

Dicono di essere guidati dallo Spirito Santo, ma stranamente ci sono molti gruppi che ricevono informazioni diverse e contraddittorie dal medesimo Spirito Santo, perdendo inesorabilmente di credibilità. 

Mi rendo conto che la Chiesa cattolica ha trascurato il problema del proselitismo protestante. Gli evangelici hanno riscosso successo non perché hanno ragione, ma semplicemente perché trovano il popolo cattolico molto ignorante in  materia biblica, incapace di difendere in maniera opportuna la propria fede, rifugiandosi dietro al classico "non ho tempo da perdere"; magari poi perdono pure la fede… il tempo però non si tocca.   

Molti cattolici dicono di aver fede in Gesù Cristo, ma questa loro fede si vede solo nei momenti di bisogno: quando tutto scorre liscio Gesù viene dimenticato, e la Bibbia non interessa a nessuno leggerla. In contesti come questi gli evangelici trovano un popolo che deve veramente essere evangelizzato, da loro. Molti cattolici non oppongono resistenza a questo proselitismo perché non hanno risposte bibliche da dare, ma solo ignoranza da nascondere. In terreni simili la conquista protestante è facile, ed è come se affrontassero un esercito disarmato.   

Ma chi studia la Bibbia e si impegna ad approfondire il significato della parola di Dio, si rende conto che in realtà i protestanti non sono affatto quei maestri biblici che sembrano, ma sono dei profondi ignoranti storici e biblici, plagiati dalla loro setta di appartenenza. Chiamandoli ignoranti non voglio offenderli, perché altrimenti li chiamerei "falsi e bugiardi". Chiamandoli ignoranti gli riconosco la buona fede, credono in alcune dottrine sbagliate, non accorgendosi di sbagliare.  

Il punto è che lo Spirito Santo non può contraddire se stesso, e quindi certamente le interpretazioni contrastanti delle diverse denominazioni non possono essere tutte vere, né tutte ispirate. È evidente che non è possibile che lo stesso Spirito suggerisca a ciascuno dottrine diverse. In questo modo si creano dei compartimenti stagni, ogni gruppo protestante crede di essere nella verità più degli altri, isolandosi e predicando un vangelo personalizzato. Per esempio, secondo gli Avventisti tutte le altre chiese cristiane hanno abolito il comandamento del sabato, celebrando il culto alla domenica, e quindi tranne loro tutti sono destinati all'inferno se non aboliscono la domenica come giorno del Signore. Ovviamente essi motivano queste loro accuse con alcuni versetti biblici, interpretandoli a modo proprio. Ecco, è questo il punto che sfugge a tutti i protestanti, classici e moderni: la Bibbia non può essere interpretata soggettivamente, perché la Verità non è affatto soggettiva.

Ma essendo divisi in compartimenti stagni, non comunicanti gli uni con gli altri, è difficile che qualcuno di loro si accorga delle differenze dottrinali con gli altri protestanti. Se qualcuno se ne accorge, fa finta di niente, o non  gli dà il giusto peso, tanto, basta credere in Gesù come nostro personale salvatore. Le loro attenzioni vengono rivolte solo verso la Chiesa cattolica, il nemico da sconfiggere! È fin troppo comodo affermare orgogliosamente che "Io capisco quello che c'è scritto nella Bibbia perché lo Spirito Santo mi guida. Dio ha nascosto la verità ai sapienti e l'ha rivelata agli umili". Ecco, ogni buon protestante usa frasi del genere per rifiutare l'autorità interpretativa dei padri e dei dottori della Chiesa.  

In questo contesto si assiste a scene nelle quali qualsiasi protestante, di qualsiasi grado di cultura, schernisce gli scritti di Ireneo, Agostino, Tommaso d'Aquino, e lo fa in maniera disinvolta, perché nell'interpretare la Bibbia si sente tanto umile da essere guidato direttamente da Dio, ma allo stesso tempo è abbastanza cieco da non accorgersi che troppi "umili" protestanti professano poi dottrine assai diverse tra loro. Disprezzano il cattolico ma eleggono un "fai-da-te" che inorgoglisce e dice: "Non ho bisogno di leggere gli scritti dei padri della Chiesa, mi basta la sola Bibbia", quindi i maestri di cui parla l'apostolo Paolo non servirebbero a nulla: "È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri" (Ef 4,11). 

Basterebbe leggere la storia delle eresie che hanno colpito il cristianesimo lungo i secoli, per rendersi conto che gli eretici basavano e basano sempre le loro tesi sulla Bibbia, spiegandola a modo loro. Difficilmente le persone andranno a spulciare intrecciate questioni dottrinali e teologiche. È più facile trovare un prete che abbia commesso qualche errore umano e sceglierlo come bersaglio, al fine di avvalorare le tesi anticattoliche e considerare la Chiesa cattolica nemica del cristianesimo e della verità, alleata con satana per sviare le anime e portarle all'inferno. Nemmeno l'arcangelo Michele ostentava una tale sicurezza nel bollare o  giudicare il diavolo, eppure si trattava del diavolo (Gd 1,9):  

 

L'arcangelo Michele quando, in contesa con il diavolo, disputava per il corpo di Mosè, non osò accusarlo con parole offensive, ma disse: Ti condanni il Signore!

 

La verità è che l'accusatore per eccellenza è proprio Satana, i santi non accusano nessuno, non per rispetto, ma perché si rimettono al giudizio di Dio. Per un protestante invece è normale dire che i cattolici vanno all'inferno perché sono idolatri. Si ergono a giudici, credendo di conoscere i cuori, e fraintendono il concetto di adorazione. Qualsiasi cristiano si dovrebbe porre delle domande, a verifica di ciò in cui crede, e dovrebbe saper discernere se le proprie convinzioni in materia di fede sono solo frutto di autosuggestione, fantasie indotte, oppure se trovano conferma nella storia del cristianesimo e nella Bibbia.   

 

Argentino Quintavalle

 

 

 autore dei libri 

- Apocalisse commento esegetico 

- L'Apostolo Paolo e i giudaizzanti – Legge o Vangelo?

  • Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo nel mistero trinitario
  • Il discorso profetico di Gesù (Matteo 24-25)
  • Tutte le generazioni mi chiameranno beata
  • Cattolici e Protestanti a confronto – In difesa della fede

 

(Acquistabili su Amazon)

                                                                          

  

Martedì, 11 Giugno 2024 05:38

11a Domenica T.O. (anno B)

(2Cor 5,6-10)

2Corinzi 5:6 Così, dunque, siamo sempre pieni di fiducia e sapendo che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore,

2Corinzi 5:7 camminiamo nella fede e non ancora in visione.

2Corinzi 5:8 Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore.

 

L’uomo è stato creato per vivere in comunione con il Signore. Non si tratta di una comunione solo spirituale, bensì di una comunione di tutto l’uomo, del suo corpo e della sua anima. L’uomo era stato chiamato ad abitare presso Dio, nel suo giardino. A causa del peccato noi siamo come in esilio, siamo lontani dal Signore. Non spiritualmente parlando, poiché spiritualmente questo non può avvenire per un cristiano, essendo tempio dello Spirito Santo. Siamo lontani dal Signore con il corpo. La mente, lo spirito, il cuore, l’anima gustano Dio; lo sentono. I sensi  invece no. Essi sono lontani da Dio, perché non lo vedono, non lo sentono, non lo contemplano; non gustano la sua bellezza.

Questo esilio non è la vocazione dell’uomo; l’esilio è frutto del peccato e sua conseguenza. Questo esilio dovrà finire. La «fiducia» di Paolo nasce dal fatto che l’esilio è momentaneo, passeggero. Dio ci introdurrà nuovamente nella sua dimora eterna e staremo con lui per sempre.

La nostra condizione è che «camminiamo nella fede e non ancora in visione». Dobbiamo attendere la gloria del cielo per fede. L’uomo non deve vedere la gloria del cielo, deve invece credere che essa esiste e che è il suo sommo bene. Ma perché bisogna camminare nella fede e non nella visione? Perché se l’uomo camminasse nella visione non avrebbe relazione con Dio; farebbe una cosa perché la vede; la farebbe perché da se stesso la valuterebbe buona o non buona. Sarebbe lui il principio del discernimento, della verità, del bene e del male, del suo presente e del suo futuro. Dio sarebbe solo come punto di arrivo, come termine di tutto.

Invece Dio vuole essere principio; vuole essere posto all’inizio del cammino tramite una relazione di fede. Dio chiede all’uomo che si fidi di Lui. La relazione con Dio deve fondarsi su un rapporto di trascendenza, di accoglienza di Colui che viene a noi attraverso la Parola. Egli pone la sua Parola all’inizio del nostro cammino e con essa ci indica la via.

Poi Paolo ci dice qualche cosa di enorme. «Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo»: vuol dire morire! Sappiamo che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, e allora Paolo preferisce andare in esilio dal corpo ed essere presso il Signore, anziché vivere in esilio dal Signore ed abitare nel suo corpo.

Questo però non significa che lui consideri il corpo come un qualcosa di poco importante, o una cosa da cui ci possiamo liberare quando vogliamo. Anche l’uscita dell’anima dal corpo è un esilio, quindi una sofferenza, un allontanamento forzato, una costrizione. L’anima è fatta per abitare il corpo e il corpo è fatto per essere abitato dall’anima. Tant’è che si parla di anima incarnata e di corpo animato. Paolo può preferire di andare in esilio dal corpo perché anche questo è un esilio momentaneo, passeggero; si lascia il corpo per un tempo breve e intanto si vive nella gioia eterna del cielo insieme a Dio.

Mentre si gusta la gioia eterna, si attende il ritorno nel corpo, si attende la risurrezione. Se non ci fosse questa fiducia, Paolo, come ogni altro uomo, si sarebbe attaccato alla vita terrena e non l’avrebbe lasciata neanche per un istante.

Quando manca la fiducia nella Parola di Dio, si ha una visione assai triste della morte. O la si vive come un ritorno al nulla, e in questo caso vivere un giorno in più o un giorno in meno non ha valore per l’uomo, specie se questo giorno in più bisogna viverlo nella sofferenza e nel dolore. O la si vive con disperazione, come un qualcosa che viene a rapinarci il bene più caro - quindi si fa di tutto per restare anche un minuto in più su questa terra.

Da questa visione della morte nascono molti atteggiamenti sbagliati dell’uomo e molti peccati. Basti pensare  all’eutanasia.

La vita invece è  amore, dono, comunione, solidarietà, condivisione, servizio, disponibilità. Il valore della vita è questo. Ha valore quella vita che viene sacrificata all’amore; essa viene data a Dio perché ne faccia uno strumento di bene e di servizio al bene. In questa visione di fede c’è però un momento in cui bisogna sciogliere le vele e partire; si parte però nella fede e nella piena fiducia della risurrezione. Si parte nella verità che la morte è per noi un esilio, al quale il Signore porrà termine nell’ultimo giorno.

L’amore per il Signore, il desiderio di stare con lui dona conforto e sollievo in questo esilio; la speranza ce lo fa vivere secondo verità; la verità ce lo fa vivere nella speranza della risurrezione. 

 

 Argentino Quintavalle, autore dei libri 

- Apocalisse commento esegetico 

- L'Apostolo Paolo e i giudaizzanti – Legge o Vangelo?

  • Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo nel mistero trinitario
  • Il discorso profetico di Gesù (Matteo 24-25)
  • Tutte le generazioni mi chiameranno beata
  • Cattolici e Protestanti a confronto – In difesa della fede

 

(Acquistabili su Amazon)

                                                                          

  

Lunedì, 03 Giugno 2024 20:04

10a Domenica del Tempo Ordinario (B)

(2Cor 4,13 – 5,1)

2Corinzi 4:13 Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo,

2Corinzi 4:14 convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi.

2Corinzi 4:15 Tutto infatti è per voi, perché la grazia, ancora più abbondante ad opera di un maggior numero, moltiplichi l'inno di lode alla gloria di Dio.

 

Paolo inizia manifestando cosa lo spinge a parlare. Fa la citazione del Sal 115,10 «Ho creduto anche quando dicevo: Sono troppo infelice». Il salmista sottolinea di aver creduto anche quando si trovava nella situazione di dire: «sono troppo infelice», e va avanti dicendo: «ogni uomo è inganno» (Sal 115,11). Anche in quella situazione in cui ho sperimentato che nessuno mi aiuta, ho creduto. Paolo nel salmo che dice: ho creduto «anche quando» dicevo, lo legge: ho creduto, «perciò» ho parlato.

Nella forma originale dell'ebraico c'è una espressione ambigua che può essere sviluppata come causale o come temporale. Il greco l'ha sviluppata come causale, cioè ho creduto «perciò» ho parlato: «sono troppo infelice». Come dire: «sono troppo infelice proprio perché ho creduto». L'aver confidato in Dio mi ha portato in una situazione di sofferenza. Paolo si mette nei panni dell'antico salmista e dice: mi è capitata la stessa cosa, io vivo in quello spirito di fede, anch'io ho creduto e di conseguenza ho parlato. Mi trovo in una situazione di sofferenza proprio perché ho creduto e ho parlato.

Se Paolo fosse rimasto in silenzio, avrebbe evitato i rischi che il suo ministero comportava, ma fede e parola vanno insieme, perché solo quelli che sono convinti della verità del loro messaggio possono permettersi di farlo conoscere. A Corinto non ci sarebbe stata alcuna chiesa se quando Paolo visitò la città fosse rimasto in silenzio.

Succede abitualmente che, quando uno si impegna a essere sincero e a parlare, gliela fanno pagare. È il prezzo della verità; quando uno cerca di essere vero e sincero e cerca di aiutare gli altri alla verità, gliela fanno pagare. Quando uno parla deve accettare le conseguenze di quello che dice. Ho creduto, perciò ho parlato, e quindi sono troppo infelice.

Siamo convinti che Dio, «che ha risuscitato Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui». Paolo qui dice che proprio come il Cristo risorto è glorificato dal Padre, così sarà per i credenti. È un discorso molto concreto. Paolo è assolutamente fermo nella convinzione che Dio gli darà ragione e soddisfazione ponendolo accanto a Gesù, ma «insieme con voi», non contro di voi. Il Padre che è nei cieli, che ha risuscitato Gesù Cristo, risusciterà anche noi. C’è una sola azione: la risurrezione di Cristo; in questa risurrezione il Padre risusciterà ogni altro uomo, anzi la risurrezione di ogni uomo è la continuazione di quell’unico atto compiuto da Dio sul corpo di Gesù Cristo.

Noi non saremo separati da Cristo, saremo con Cristo. Questa sarà la nostra gioia eterna, il nostro gaudio che non conoscerà mai fine. Paolo altro non attende che questo momento, che sarà il momento della vittoria sulla morte. Vivere per questa fede per Paolo significa spendere la vita perché tutti gli uomini possano venire a conoscenza di questa verità, perché anche loro ne facciano il principio della loro vita e la regola della loro esistenza terrena.

Su questo penso dovremmo impegnarci un po’ di più tutti quanti. Sia a compiere la risurrezione di  Cristo in noi attraverso la santità della vita; sia utilizzando le nostre energie per invitare ogni uomo a lasciarsi anche lui conquistare da questa fede nella risurrezione di Gesù Cristo. Ha valore solo quella vita che è riportata in questo principio.

«Tutto infatti è per voi, perché la grazia, ancora più abbondante ad opera di un maggior numero, moltiplichi l'inno di lode alla gloria di Dio». Tutto è per i  discepoli di Gesù, tutto avviene in loro favore, tutto si compie perché loro possano crescere ed abbondare nella verità della salvezza. Occorre però che il discepolo di Gesù sappia sempre discernere i segni, li sappia leggere e interpretare; sappia scoprire in essi la verità che Dio vi immette. Se colui al quale la grazia viene data, la sa discernere e accogliere, si innalza dal suo cuore un inno di lode per il Signore, un inno che celebra e magnifica la gloria di Dio.

Quello che Paolo vuole farci comprendere è questo: il dovere di innalzare l’inno per la glorificazione del Padre non deve essere di uno solo, deve essere sia di chi è stato strumento per il  dono della grazia, sia di colui che la grazia ha ricevuto. Gli uni e gli altri devono glorificare il Signore, devono benedirlo ed esaltarlo.

Siamo tutti come in un’unica cordata, legati l’uno all’altro, camminanti sull’unica strada che porta alla vita eterna, perché la grazia data agli uni si trasmetta agli altri e cresca il rendimento di grazie alla gloria di Dio.  

 

 Argentino Quintavalle, autore dei libri 

- Apocalisse commento esegetico 

- L'Apostolo Paolo e i giudaizzanti – Legge o Vangelo?

  • Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo nel mistero trinitario
  • Il discorso profetico di Gesù (Matteo 24-25)
  • Tutte le generazioni mi chiameranno beata
  • Cattolici e Protestanti a confronto – In difesa della fede

 

(Acquistabili su Amazon)

                                                                          

  

Lunedì, 27 Maggio 2024 19:50

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (B)

(Es 24,3-8)

 Esodo 24:3 Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose insieme e disse: «Tutti i comandi che ha dati il Signore, noi li eseguiremo!».

Esodo 24:4 Mosè scrisse tutte le parole del Signore, poi si alzò di buon mattino e costruì un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d'Israele.

Esodo 24:5 Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore.

Esodo 24:6 Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l'altra metà sull'altare.

Esodo 24:7 Quindi prese il libro dell'alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!».

Esodo 24:8 Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell'alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!».

 

Mosè è figura del servo fedele che riferisce al popolo tutte le parole del Signore, senza nulla aggiungere e nulla togliere. L’uomo si è staccato da Dio perché nell'Eden ha giudicato le sue parole; ora gli è concesso di riavvicinarsi nella misura in cui si lascia giudicare dalle sue parole. Quali parole riferisce Mosè al popolo? Sono le parole della Legge, in particolare i Dieci Comandamenti. Il  popolo ascolta la Legge e si impegna nell'obbedienza: “Tutti i comandi che ha dati il Signore, noi li eseguiremo”. La Legge si proclama, si ascolta, si vive nell'obbedienza.

Fa parte del popolo eletto colui che insieme con il popolo eletto, con una sola voce, manifesta apertamente la propria volontà di obbedire ai comandamenti del Signore. Chi ha delle riserve, anche se dovesse tenerle per sé, siede nella comunità in modo abusivo - e ben presto sarà manifestata la falsità del suo cuore. Israele doveva ascoltare non solo le «parole», ma anche le «norme» (v. 3). Le norme sono l’esplicitazione concreta del comandamento. Il comandamento è invariabile. La norma cambia con il cambiare della storia e delle circostanze.

Mosè scrive tutte le parole del Signore, perché nulla possa essere cambiato. E perché non venga dimenticata la manifestazione di Dio, costruisce ai piedi del monte un altare e vi colloca anche dodici iscrizioni che riportano i nomi delle dodici tribù d’Israele. Ciò che Dio ha detto ha valore per tutti i figli di Israele. Così l’altare è insieme segno di Dio e del popolo. Dio e il popolo sono raffigurati dall’unico segno. È questo il fine dell’Alleanza: fare di Dio e del popolo una sola storia.

Un sacrificio di comunione al Signore è offerto dai giovani di Israele per comando di Mosè. Il giovane è garanzia di una memoria a più lungo termine rispetto al vecchio destinato a morire prima. Negli olocausti avveniva la consumazione totale della vittima. Questa passava attraverso il fuoco e si bruciava per intero. Nel sacrificio di comunione invece veniva bruciata solo la parte grassa. La parte magra veniva mangiata da coloro che offrivano il sacrificio.

La parte di sangue dei sacrifici messa nei catini è per Israele; l’altra è riversata sull’altare per il Signore. Il sangue è la vita. Una sola vita dovrà esservi ormai tra Dio e il suo popolo. Il segno visibile di questa unicità di vita è dato dall’unico sangue che bagna Dio e il popolo. Dio è bagnato dal sangue che viene versato sull’altare. Poiché il sangue è uno, una è anche la vita. Irrorando l’altare di sangue, Dio è pronto a farsi una sola vita con il suo popolo.

Vi è una sola vita, se vi è una sola volontà. La volontà non dovrà essere quella del popolo, bensì quella di Dio. Nel popolo nessuno dovrà avere una sua particolare volontà da imporre all’altro. Tutti invece si lasceranno guidare da una volontà che è sopra di loro, che li trascende tutti: la volontà del Signore. La volontà del Signore è contenuta nel libro dell’alleanza che Mosè legge alla presenza di tutto il popolo. Ma non basta la lettura e l’ascolto: c’è bisogno di una promessa di obbedienza da parte di tutta la comunità. Non basta leggere il libro. Non basta sapere cosa dice il Signore. Non basta conoscere la volontà di Dio. Bisogna impegnarsi con atto pubblico, a vivere secondo la volontà di Dio. 

Letto il libro della Legge, tutto il popolo si impegna ad eseguire quanto ascoltato. Senza questo impegno di ascolto e di obbedienza l’alleanza mai potrà essere stipulata. Il sangue è il segno di questa unità, ma l’unità non è nel rito del sangue. L’unità è nella volontà dell’uomo che si impegna a vivere nella volontà di Dio.

«Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: Ecco il sangue dell'alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!».

Soltanto dopo la lettura della parola e la promessa di obbedienza, l’altra metà del sangue, quella non versata sull’altare per Dio, viene aspersa sul popolo. Così è sigillato il patto tra Dio e Israele: non in un modo qualsiasi, ma con il sangue, simbolo della vita.

Mosè ribadisce che l’alleanza è stata conclusa sulla base delle parole ascoltate, sulle quali anche il popolo si è impegnato. Israele si impegna ad osservare la volontà di Dio, il Signore si impegna ad essere la vita del suo popolo. Finché Israele rimarrà nella parola del suo Dio, niente potrà turbare il cammino di Israele nel tempo. Finché la Chiesa rimarrà nella parola di Cristo, niente potrà turbare il cammino della Chiesa nel tempo.   

 

 Argentino Quintavalle, autore dei libri 

- Apocalisse commento esegetico 

- L'Apostolo Paolo e i giudaizzanti – Legge o Vangelo?

  • Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo nel mistero trinitario
  • Il discorso profetico di Gesù (Matteo 24-25)
  • Tutte le generazioni mi chiameranno beata
  • Cattolici e Protestanti a confronto – In difesa della fede

 

(Acquistabili su Amazon)

                                                                          

  

Lunedì, 20 Maggio 2024 12:46

Santissima Trinità

(Mt 28,16-20)

Matteo 28:16 Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato.

Matteo 28:17 Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano.

Matteo 28:18 E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra.

Matteo 28:19 Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo,

Matteo 28:20 insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

 

Il brano si apre con una connotazione storica: “Gli undici discepoli”, in quanto che il dodicesimo, Giuda, si era perduto. Il fatto che si rimarchi che sono undici, potrebbe ricordare qualcosa di spiacevole: Giuda è assente perché ha tradito, e ha tradito perché tra Dio e il denaro lui ha scelto il denaro che distrugge tutti quelli che gli rendono culto. C'è anche un motivo teologico. Sappiamo che il numero 12 rappresentava tutto Israele, ora sono undici e il numero 12 non viene ricomposto, perché non c’è più un paese al quale Gesù si rivolge con il suo messaggio, ma è diretto a tutta l’umanità: la dimensione del Cristo Risorto è universale. 

Sono chiamati ‘discepoli’, non apostoli. La parola discepolo deriva da «discere»: uno che impara. Lo stolto si distingue dal sapiente perché lo stolto sa sempre tutto e non saprà mai nulla di più di quello che sa; il sapiente è quello che impara sempre con molta modestia. Il termine “apostolo” significa “inviato”. I discepoli, prima di essere inviati sono discepoli; quando vanno verso gli altri sono apostoli.

Questo significa che la chiesa, ora, è chiamata a ripercorrere l'avventura del suo Signore, creando una sorta di continuità spirituale tra la missione di Gesù e la propria. Una continuità che viene anche sottolineata nel v. 20: “Insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato”. L’insegnamento di cui ora i discepoli devono farsi carico, è strettamente agganciato a quello lasciato loro da Gesù, creando così una stretta e inscindibile continuità tra storia e metastoria.

Essi “andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato”. La Galilea è il luogo in cui Gesù reclutò i suoi primi discepoli e che egli evangelizzò per prima e da cui partì la sua missione; è il luogo in cui egli fissa l'appuntamento con i suoi dopo la sua risurrezione; è il luogo, quindi, del ritrovamento e della ricostituzione della prima comunità messianica attorno al suo Signore. La Galilea, dunque, più che un luogo geografico, diventa un luogo teologico. Gerusalemme aveva cessato di essere il centro del culto e della religiosità. L’accesso a Dio, al vero tempio, non era più circoscritto a un luogo, ma a una persona, alla persona del Cristo.

L'appuntamento in Galilea trova il suo vertice su il Monte, che Gesù aveva fissato loro. Non si tratta di un monte qualsiasi, ma “il monte”, un luogo che è qualificato sia da un articolo determinativo che da un comando che lo riguarda; è un monte che non ha un nome, perché non si tratta di un luogo geografico, ma di una indicazione teologica, che si aggancia ad altri monti propri del racconto di Matteo [tradizionalmente il monte è stato identificato con il Tabor].

L'attività predicatoria di Gesù iniziò proprio su di un monte, quello delle Beatitudini. Egli, là, si era mostrato come il nuovo Mosè che impartiva la nuova legge per il nuovo credente; il Dio che sedeva nuovamente in mezzo al suo popolo e lo ammaestrava. Ed ecco, il monte, nella pluralità dei suoi significati, ricomparire qui, per l'ultima volta. I discepoli sono convocati sul monte, sede della dimora di Dio, dove il Risorto associa a sé i suoi, ora in modo nuovo. Da qui egli fa ripartire la sua missione, quella che il Padre gli aveva affidato e che ora egli affida ai suoi, perché siano testimoni della sua gloria. Dal Padre a Gesù, da Gesù ai suoi.

“Si prostrano”, cioè vedono Gesù e riconoscono in lui una condizione nuova, cioè la pienezza della condizione divina, e lo adorano, ma “dubitavano” e questa sembra una contraddizione; vedono Gesù, gli si prostrano, quindi significa che riconoscono in lui una condizione diversa da quella che aveva, ma dubitavano. Dubitavano di che? Non che Gesù fosse risorto, lo hanno visto! Di che cosa dubitavano?

I traduttori, scrivono “alcuni dubitavano”, non è così! Il greco dice tutti quelli che vedono, tutti quanti dubitano: “hoi de edistasan”. C'è una regola d'interpretazione ebraica: quando si vuole mettere in relazione due episodi e far capire che sono collegati tra di loro, basta mettere la stessa parola o lo stesso verbo [soltanto in questi due episodi]. Ebbene il verbo “dubitare” nel vangelo di Matteo c’è solo qui e quando Gesù cammina sulle acque. 

L’evangelista presenta un Gesù che cammina sulle acque perché le acque erano considerate il caos e l’unico che poteva dominare le acque era Dio, e Gesù manifesta così la sua condizione divina. Allora Pietro dice: voglio venire pure io, e Gesù dice: vieni! Fa qualche passo e incomincia ad affondare, cioè Pietro pensava che la condizione divina fosse una passeggiata facile. Quando Pietro vede la difficoltà comincia ad affondare. Ecco che allora Gesù gli stese la mano, lo afferrò e gli disse: uomo di poca fede, perché hai dubitato? Quindi Pietro pensava che la condizione divina fosse concessa da Gesù, e non ha capito invece che la si ottiene attraverso un cammino che passa anche con il fatto della croce. Allora capiamo adesso di che cosa dubitavano. Nel caso di Pietro il dubbio indica una mente divisa causata dalla mancanza di un'adeguata misura di fede, non da una mancanza di fede totale.

Non dubitano che Cristo è risorto. Se la loro fede era troppo piccola, era perché si trovavano in uno stato di incertezza su ciò che i recenti eventi avrebbero significato per il futuro. Essi non dubitavano di Gesù, ma di se stessi. E adesso cosa succede? Ne saremo capaci? Si trovano in una situazione di dissonanza cognitiva. Ricordiamo la cena? Gesù dice: io adesso sarò preso e voi non mi potete seguire, e Pietro: sono pronto a morire con te! E tutti quanti gli dicono la stesa cosa. Hanno fatto in tempo a vedere da lontano le guardie che scappano via tutti quanti, e lo hanno abbandonato. Quindi loro che sono stati così incapaci di seguire Gesù saranno capaci adesso? 

Chiediamoci: perché 1) Matteo si prende la briga di inserire il riferimento ai loro dubbi, e 2) Matteo non riporta alcuna soluzione del loro stato di incertezza? Sembra chiaro che Matteo volesse che i membri della sua comunità applicassero questa situazione a se stessi. L'oscillazione tra adorazione e indecisione è la lotta di ogni discepolo. A queste persone, ben lontane dall'essere perfette, Gesù affida l'incarico di discepolare le nazioni.

Infatti Gesù non si perderà dietro i loro dubbi. Questi spariranno. Dinanzi alla luce del sole, gli occhi possono avere delle incertezze appena si aprono, ma poi tutto ritorna normale. Così è per i discepoli. C’è ancora qualche squama nella loro fede che la rende imperfetta, ma ben presto questa cadrà. Su di loro trionferà la luce piena della risurrezione del Signore. 

 

 

 Argentino Quintavalle, autore dei libri 

- Apocalisse commento esegetico 

- L'Apostolo Paolo e i giudaizzanti – Legge o Vangelo?

  • Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo nel mistero trinitario
  • Il discorso profetico di Gesù (Matteo 24-25)
  • Tutte le generazioni mi chiameranno beata
  • Cattolici e Protestanti a confronto – In difesa della fede

 

(Acquistabili su Amazon)

                                                                          

  

Martedì, 07 Maggio 2024 22:39

Ascensione del Signore B

(Mc 16,15-20)

 

Marco 16:19 Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio.

 

L'Ascensione è l'elevazione di Cristo al cielo mediante la sua potenza in presenza dei Suoi discepoli il quarantesimo giorno dopo la sua risurrezione. È narrata in Mc 16,19, Lc 24,51, e nel primo capitolo degli Atti degli Apostoli.

Sebbene il luogo dell'Ascensione non sia indicato esplicitamente, dagli Atti si deduce che fosse il monte degli Ulivi, poiché dopo l'Ascensione si dice che i discepoli ritornano a Gerusalemme dal «monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in un sabato». La tradizione ha consacrato questo luogo come Monte dell'Ascensione e la pietà cristiana ha ricordato l'evento erigendo sul sito una basilica.

Sant'Elena vi costruì il primo monumento commemorativo, che fu distrutto dai Persiani nel 614. Fu ricostruito nell'VIII secolo, per essere distrutto nuovamente, ma ricostruito un'altra volta dai crociati. Anche questo fu distrutto, dai maomettani, e fu lasciata solo la struttura ottagonale che racchiude la pietra che portava l'impronta dei piedi di Cristo, che ora è adibita a oratorio.

Il fatto dell'Ascensione non solo è riferito nei passi della Scrittura sopra citati, ma è anche predetto e detto altrove come un fatto accertato. Così, in Gv 6,62, Gesù Cristo chiede ai suoi discepoli: "E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima?" e in Gv 20,17 dice a Maria Maddalena:- "Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro". Ancora, in Ef 4,8-10 e 1 Tm 3,16 si parla dell'Ascensione di Cristo come di un fatto accettato.

I cattolici hanno sempre considerato questo evento, letterale e miracoloso. Ma il dogma ha avuto anche i suoi detrattori. Alcuni se ne sono fatti beffe, paragonando Gesù "volante" alla navicella spaziale Apollo. Questa era una battuta comune tra gli atei negli anni ’70 del secolo scorso. Altri negano del tutto la possibilità dell'evento miracoloso. Altri ancora, interpretano l'ascensione come non letterale ma simbolica... dato che chi si eleva dalla terra non va in paradiso ma va in orbita. Considerando tali critiche, come possono i cattolici difendere la realtà dell'Ascensione di Cristo?

Poiché San Luca è la nostra fonte primaria, come possiamo sapere che ci sta raccontando una storia e non un'allegoria? Ebbene, l'evangelista afferma chiaramente nel prologo del suo Vangelo che la sua intenzione è quella di narrare una storia reale. Inoltre, quando Luca descrive l'ascensione non c'è alcun accenno di abbellimento letterario, il che è davvero strano se non lo intendeva alla lettera. Nel racconto evangelico ci dice semplicemente che Gesù "si staccò da loro e fu portato verso il cielo" (Lc 24,51). Negli Atti scrive che Gesù "fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo" (At 1,9). Freddo, come uno storico serio interessato solo ai fatti, Luca ci racconta semplicemente cosa è successo e basta. È anche degno di nota il fatto che, poiché i racconti dei Vangeli furono scritti solo pochi decenni dopo la crocifissione di Gesù, ci sarebbero stati testimoni oculari di Gesù ancora in vita per correggere od opporsi al racconto di Luca. Ma semplicemente non c'è traccia di tale obiezione.

In effetti, i racconti evangelici sono straordinariamente accurati, e in particolare Luca è uno storico di prim’ordine. Pertanto, quando gli autori del Nuovo Testamento descrivono l'ascensione corporea di Gesù al cielo, indipendentemente dalla fede, abbiamo tutte le ragioni per credere che essi  riportano una storia reale.

A questo punto si pone una questione. Non è difficile capire perché dovremmo celebrare il Venerdì Santo (Gesù espia i nostri peccati sulla croce) o la Domenica di Pasqua (Gesù risorge, vincendo la morte). Ma perché celebrare l'Ascensione? Perché Gesù che lascia la terra è qualcosa da celebrare?

 

È facile fraintendere l'Ascensione, come se Cristo abbandonasse i suoi discepoli. Inoltre, fraintendiamo l’Ascensione se immaginiamo che Gesù stia tornando in cielo, come se avesse mai lasciato il cielo. Come disse sant’Agostino, Gesù "non ha lasciato il cielo quando è disceso tra noi; né si allontanò da noi quando salì di nuovo al cielo".

Se Gesù, nella sua divinità, è sempre stato in cielo, cos'è che è asceso? La sua umanità! E questo è il motivo per cui l’Ascensione è importante. Per molte persone, il cristianesimo è diventato troppo disincarnato, tanto da poterlo considerare come una buona notizia per le anime ma non per i corpi. Questo è un problema, perché il cristianesimo non ha molto senso se il corpo non è fatto per durare per sempre. Dopo tutto, perché Giovanni Paolo II si è molto occupato della "teologia del corpo", e perché ci si prende cura dei corpi dei morti? Perché il cristianesimo è una buona notizia sia per il corpo che per l'anima. Infatti, il Catechismo insegna: «La carne è il cardine della salvezza. Noi crediamo in Dio che è il Creatore della carne; crediamo nel Verbo fatto carne per riscattare la carne; crediamo nella risurrezione della carne, compimento della creazione e della redenzione della carne» (CCC 1015).

Nell'Eden c'era una unione intima tra Dio e la creazione terrena, simboleggiata dal fatto che "il Signore Dio passeggiava nel giardino alla brezza del giorno" (Gn 3,8). Questa unione tra cielo e terra si è rotta con il peccato. La rottura è stata sanata prima attraverso l’Incarnazione (in cui Dio ha assunto l’umanità terrena), poi con la Croce (in cui ha offerto la sua carne per la vita del mondo), poi con la Risurrezione (in cui Cristo è risorto con un corpo glorificato), e poi con l'Ascensione (in cui Cristo è salito fisicamente per insediarsi sul trono celeste). Prima dell’Ascensione, il paradiso era un regno puramente spirituale. Ora non più.

Quello di Gesù Cristo è il primo corpo in cielo, ma non l'ultimo. Subito dopo è seguito dalla madre, motivo per cui si festeggia l'Assunzione. E un giorno, a Dio piacendo, ci saremo anche noi. Per questo, il messaggio dell'angelo nel giorno dell'Ascensione è lungimirante: "Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo" (At 1,11). L'unione tra cielo e terra è iniziata ed è irrevocabile. Il nostro viaggio ora è prepararci affinché quell’unione venga completata in noi e con noi.

 

 Argentino Quintavalle, autore dei libri 

- Apocalisse commento esegetico 

 

- L'Apostolo Paolo e i giudaizzanti – Legge o Vangelo?

  • Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo nel mistero trinitario
  • Il discorso profetico di Gesù (Matteo 24-25)
  • Tutte le generazioni mi chiameranno beata
  • Cattolici e Protestanti a confronto – In difesa della fede

 

(Acquistabili su Amazon)                                                                           

       

Martedì, 30 Aprile 2024 00:05

6a Domenica di Pasqua

(Gv 15,9-17)

Giovanni 15:12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati.

Giovanni 15:13 Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.

Giovanni 15:14 Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando.

Giovanni 15:15 Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi.

Giovanni 15:16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda.

Giovanni 15:17 Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.

 

“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati”. Il v. 12 si apre in modo imperioso e autoritario, che dice tutta l'impellenza di tale comando, ma che nel contempo funge anche da eredità spirituale, che Gesù lascia ai suoi: “Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati”. È un comandamento finalizzato a inculcare l'amore vicendevole all'interno dei rapporti comunitari; un amore da cui non si può prescindere se si vuole “rimanere nel suo amore” (v. 10) e quindi essere in comunione di vita con Gesù e il Padre, evitando così di diventare tralci che il Padre taglia. Una comunione di vita che deve riflettersi nelle reciproche relazioni tra credenti.

Il v. 13 decreta le dimensioni e la qualità di questo amore, che va ben al di là di ogni sentimentalismo. Un dono che avviene attraverso la modalità del sacrificio e che le espressioni “nessuno” e “più grande” rendono esclusivo, unico e superlativo, poiché è un dono che spinge colui che ama a offrire tutto se stesso fino all'atto estremo della vita. Ma nel contempo quel “nessuno” assegna a questo tipo di amore sacrificale una valenza universale, in cui tutti sono chiamati a configurarsi, riparametrando il proprio vivere su quel “come io vi ho amati”.

Questo amore ha il suo parametro di confronto nel Gesù crocifisso, che della sua vita ha fatto un  dono di amore per gli altri. Significativo è qui l'uso del sostantivo “psiché” per indicare la vita. Secondo l'antropologia degli antichi l'uomo è un composto di spirito e di carne, due elementi tra loro inconciliabili, ma tenuti assieme dalla “psiché”, che diviene pertanto l'espressione dell'interezza e della totalità dell'essere umano. L'offerta sacrificale della “psiché” definisce il dono come totale, che non ammette condizioni o riserve. Questo è stato il dono che Gesù ha fatto di se stesso a favore dei suoi; questo è l'amore che i suoi devono lasciar trasparire dalle loro relazioni intracomunitarie.

Il v. 13 oltre che definire la natura di questo amore ne precisa anche l'oggetto: “gli amici”. Il termine greco “phílon” significa prevalentemente caro, diletto, amato, gradito, definendo la natura dell'amico come colui che rientra nell'intimità di chi dona la propria amicizia. Tuttavia questi aspetti umani dell'amicizia sono del tutto insufficienti a spiegare un rapporto che implica di fatto il dono totale della vita, che per l'amico viene sacrificata. Ecco dunque l'ulteriore passo che attribuisce all'amico un nuovo significato: “Voi siete miei amici se farete quello che io vi comando” (v. 14).

L'amico dunque è colui che “fa” quanto gli viene comandato. Amico, dunque, è colui che conforma il proprio vivere a chi gli offre la sua amicizia. Ed infine, il v. 15, se da un lato qualifica ulteriormente la figura di questo amico, che ormai ha perso ogni suo connotato umano per assumere aspetti squisitamente divini, dall'altro spiega la dinamica che ha prodotto il passaggio da uno stato di servitù a quello di amicizia: “Non vi chiamo più servi, poiché il servo non sa che cosa fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi”. Qui ci si trova di fronte ad un passaggio fondamentale che va a modificare ontologicamente l'essere proprio del discepolo, definito come “amico” e quindi in qualche modo associato alla persona di Gesù e ai suoi destini.

La conoscenza vera di Dio non si acquisisce per studio. Per studio possiamo acquisire ciò che gli altri hanno pensato e scritto di Dio. Ma è la loro conoscenza di Dio, non la nostra. Invece osservando i comandamenti diventiamo amici di Gesù Cristo. Diventati amici di Cristo, non siamo più servi. Non essendo più servi, Gesù ci apre il suo cuore, svela il mistero del Padre. Nell’amicizia Gesù conversa con noi e la nostra mente si illumina del mistero di Dio e dell’uomo. L’amicizia con Gesù è la vera via per conoscere Dio.

Il v. 15 è scandito in due parti: la prima definisce la natura del servo come colui che è al seguito del suo padrone, ma non partecipa alla sua vita: il servo non sa cosa fa il suo padrone. La condizione di servo, infatti, definisce la posizione iniziale del discepolo, tale per la sequela, ma che ancora non ha accesso al sapere del maestro. Prima di giungere a tale sapere il discepolo doveva compiere un lungo tirocinio che prevedeva obbedienza, sudditanza e servizio al proprio maestro, con il quale conviveva per apprendere, e poi poter perpetuare il suo insegnamento. Questa la posizione iniziale dei discepoli di Gesù, che, giunti al termine della missione terrena del loro Maestro, hanno avuto accesso alla sua conoscenza.

La seconda parte del v. 15 segna il passaggio sostanziale dallo stato di servi a quello di amici, poiché ora i discepoli sono stati resi partecipi del mistero rivelato. Vi è una vera e propria costituzione che eleva i discepoli dal rango di servi a quello di amici, che incide a livello ontologico, cioè sullo stato dell'essere dei discepoli, che determina un passaggio relazionale con Gesù. Vi è dunque un'evoluzione spirituale, che prelude al v. 16 in cui si dirà che i discepoli sono stati “scelti e costituiti”, gettando le fondamenta dell'apostolato, cioè del proseguimento della missione di Gesù.

Di solito nell’antichità era il discepolo che sceglieva il suo maestro. Lo sceglieva secondo le sue speranze, i suoi desideri, le sue attese ed anche secondo i talenti che pensava di possedere. Con Gesù tutto si capovolge. È il Maestro che sceglie i discepoli. Cosa comporta questa verità? Che non sono più le attese, le speranze, i desideri del discepolo che si devono realizzare. Non sono le aspirazioni del discepolo che si devono compiere, ma quelle del Maestro. Quali sono le aspirazioni del Maestro? Che i suoi discepoli vadano e portino molto frutto. Qual è il frutto che dovranno portare? Quello di condurre molti uomini a Cristo Gesù.  Frutto che rimane in eterno è solo l’anima salvata. Quando il discepolo di Gesù va e produce frutti che rimangono in eterno, tutto quello che chiede al Padre nel suo nome, il Padre glielo concede. Noi compiamo i desideri e le attese di Gesù, il Padre compie i desideri e le attese del discepolo di Gesù. Noi lavoriamo per Gesù, il Padre lavora per tutti coloro che operano per Gesù.  

 

 Argentino Quintavalle, autore dei libri 

- Apocalisse commento esegetico 

- L'Apostolo Paolo e i giudaizzanti – Legge o Vangelo?

  • Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo nel mistero trinitario
  • Il discorso profetico di Gesù (Matteo 24-25)
  • Tutte le generazioni mi chiameranno beata
  • Cattolici e Protestanti a confronto – In difesa della fede

 

(Acquistabili su Amazon)

                                                                          

  

Martedì, 23 Aprile 2024 13:37

5a Domenica di Pasqua

(Gv 15,1-8)

Giovanni 15:1 «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo.

Giovanni 15:2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto.

Giovanni 15:3 Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato.

Giovanni 15:4 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me.

Giovanni 15:5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.

Giovanni 15:6 Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano.

Giovanni 15:7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato.

Giovanni 15:8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

 

Il v. 1 presenta i due attori principali di quella che potrebbe definirsi, con un termine ebraico, un «mashal», cioè una sorta di riflessione sapienziale che parte dall'esperienza di vita: Gesù, la vera vite, e il Padre, il vignaiolo, in un rapporto in cui Gesù, quale vite, funge da luogo in cui il Padre opera un giudizio posto sui credenti, tutti nati da questa vite, ma solo alcuni se ne rendono degni e sanno fruttificare, mentre altri si limitano a vegetare, disconoscendo la loro origine e quindi distaccandosene.

L'espressione “Io sono”, nel Vangelo di Giovanni, acquista un significato teologico di enorme importanza. È un richiamo al nome e al modo di essere di Yahweh [svelati a Mosè] e definisce la divinità di Gesù, quasi a dire che quel Yahweh che ha incontrato Mosè sul Sinai è ora tornato in mezzo ai suoi nella persona di Gesù. Un “Io sono” che qui è definito quale “vite”, cioè quale luogo unico ed esclusivo da cui vengono generati i tralci, che non solo gli appartengono, ma ne costituiscono una propaggine; da questa vite la linfa vitale divina scorre verso i tralci-credenti. Si tratta di una immagine che definisce l'indefinibile divinità di Yahweh, di cui Gesù diviene il luogo storico del suo disvelarsi agli uomini.

Il v. 2 va a completare l'immagine introdotta dal v. 1 e presenta una nuova figura, quella del tralcio, che per sua natura è stato generato dalla vite ed è ad essa legato, e si nutre della sua stessa vita. Vengono qui presentate due tipologie di tralci: quelli che non portano frutto e quelli che, invece, portano frutto. Anche quest'ultima categoria viene assoggettata alla potatura. Togliere e potare sono due verbi traumatici, a cui tutte e due le tipologie di tralci sono sottoposti; se da un lato essi richiamano l'azione di un giudizio, che viene posto su tutti, dall'altro lascia intravvedere come lo strumento di questa cernita sia il momento della prova, che discriminerà quelli che rimangono e quelli che invece non rimangono, alludendo alla fedeltà o meno provocata dalla persecuzione (Gv 15,18-19).

Il v. 3, riprendendo il tema del mondare, qui inteso nel senso di purificare, aggiunge una nuova nota: la purificazione non avviene soltanto attraverso la prova, ma viene misurata anche sull'accoglienza fedele della parola di Gesù, che possiede in se stessa un potere rigenerativo. Per questo è una parola purificatrice e trasformatrice. Un concetto questo che è espresso efficacemente dalla particella greca “dià” che significa “per mezzo di”, assegnando alla parola il ruolo di strumento attraverso il quale fluisce la vita stessa di Dio. Non è un caso del resto se Giovanni apre il suo Vangelo ponendo nel principio assoluto di Dio proprio la sua Parola (Gv 1,1-2), da cui fluisce poi tutta la vita (Gv 1,3).

Il v. 4 introduce il tema del “rimanere in”, che qui presenta il doppio volto del discepolo in Gesù e di Gesù nel discepolo, aprendo un gioco di reciprocità che si fa comunione di vita, la cui iniziativa è qui in mano al discepolo, perché il rimanere di Gesù nel discepolo è conseguente al rimanere del discepolo in Gesù. Se l'essere tralci non dipende da noi, ma dalla vite, di cui siamo parte, il rimanerci dipende da noi. Il termine "rimanere" non indica "un esserci" effimero, provvisorio, ma persistente e perseverante. Significa dimorare a lungo, sempre. Significa fare di quella vite che è Cristo, la nostra abitazione abituale. Si tratta in ultima analisi di una fedeltà esistenziale a Gesù, che costituisce la “conditio sine qua non” del rimanere di Gesù nel discepolo, così che la vita possa defluire dalla vite al tralcio.

La prima conseguenza del non rimanere o del rimanere è quella del non portare o del portare frutto. Che cosa significa “portare frutto”? Giovanni usa sempre il singolare, “frutto”, e mai il plurale, “frutti”, nel qual caso il lettore sarebbe spinto a pensare che questi siano le opere buone. Ma qui non si parla di comportamenti buoni o cattivi; lo sfondo non è quello morale, ma cristologico, inteso come risposta esistenziale all'essere o non essere in Gesù. Il termine al singolare, “frutto”, riguarda più che le opere una condizione di vita, che il v. 4 definisce come un reciproco “rimanere in”, una compenetrazione tra Gesù e discepolo, che esprime una comunione di vita e tale da farne una sola.

Il “portare frutto”, pertanto, esclude il riferimento alle opere, definendo, invece, una condizione di vita che va a toccare l'ontologia stessa del credente, che è in Gesù con tutto il suo essere ed è a sua volta da lui compenetrato, così che i due diventano una sola cosa, come lo sono la vite e il tralcio, che si nutrono della stessa linfa vitale e in qualche modo si appartengono reciprocamente. Ecco, dunque, che il "rimanere" non è uno statico "essere in qualcosa", ma un dinamico compenetrarsi tra Cristo e noi, così che siamo costituiti come un'unica cosa con e in Cristo; significa essere cristificati. È, in ultima analisi, un riprodurre in noi lo stesso rapporto che esiste tra Cristo e il Padre 

 

 Argentino Quintavalle, autore dei libri 

- Apocalisse commento esegetico 

- L'Apostolo Paolo e i giudaizzanti – Legge o Vangelo?

  • Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo nel mistero trinitario
  • Il discorso profetico di Gesù (Matteo 24-25)
  • Tutte le generazioni mi chiameranno beata

 

(Acquistabili su Amazon)

                                                                           

Pagina 1 di 4
Familiarity at the human level makes it difficult to go beyond this in order to be open to the divine dimension. That this son of a carpenter was the Son of God was hard for them to believe [Pope Benedict]
La familiarità sul piano umano rende difficile andare al di là e aprirsi alla dimensione divina. Che questo Figlio di un falegname sia Figlio di Dio è difficile crederlo per loro [Papa Benedetto]
Christ reveals his identity of Messiah, Israel's bridegroom, who came for the betrothal with his people. Those who recognize and welcome him are celebrating. However, he will have to be rejected and killed precisely by his own; at that moment, during his Passion and death, the hour of mourning and fasting will come (Pope Benedict)
Cristo rivela la sua identità di Messia, Sposo d'Israele, venuto per le nozze con il suo popolo. Quelli che lo riconoscono e lo accolgono con fede sono in festa. Egli però dovrà essere rifiutato e ucciso proprio dai suoi: in quel momento, durante la sua passione e la sua morte, verrà l'ora del lutto e del digiuno (Papa Benedetto)
Peter, Andrew, James and John are called while they are fishing, while Matthew, while he is collecting tithes. These are unimportant jobs, Chrysostom comments, "because there is nothing more despicable than the tax collector, and nothing more common than fishing" (In Matth. Hom.: PL 57, 363). Jesus' call, therefore, also reaches people of a low social class while they go about their ordinary work [Pope Benedict]
Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati mentre stanno pescando, Matteo appunto mentre riscuote il tributo. Si tratta di lavori di poco conto – commenta il Crisostomo -  “poiché non c'è nulla di più detestabile del gabelliere e nulla di più comune della pesca” (In Matth. Hom.: PL 57, 363). La chiamata di Gesù giunge dunque anche a persone di basso rango sociale, mentre attendono al loro lavoro ordinario [Papa Benedetto]
For the prodigious and instantaneous healing of the paralytic, the apostle St. Matthew is more sober than the other synoptics, St. Mark and St. Luke. These add broader details, including that of the opening of the roof in the environment where Jesus was, to lower the sick man with his lettuce, given the huge crowd that crowded at the entrance. Evident is the hope of the pitiful companions: they almost want to force Jesus to take care of the unexpected guest and to begin a dialogue with him (Pope Paul VI)
Per la prodigiosa ed istantanea guarigione del paralitico, l’apostolo San Matteo è più sobrio degli altri sinottici, San Marco e San Luca. Questi aggiungono più ampi particolari, tra cui quello dell’avvenuta apertura del tetto nell’ambiente ove si trovava Gesù, per calarvi l’infermo col suo lettuccio, data l’enorme folla che faceva ressa all’entrata. Evidente è la speranza dei pietosi accompagnatori: essi vogliono quasi obbligare Gesù ad occuparsi dell’inatteso ospite e ad iniziare un dialogo con lui (Papa Paolo VI)
The invitation given to Thomas is valid for us as well. We, where do we seek the Risen One? In some special event, in some spectacular or amazing religious manifestation, only in our emotions and feelings? [Pope Francis]
L’invito fatto a Tommaso è valido anche per noi. Noi, dove cerchiamo il Risorto? In qualche evento speciale, in qualche manifestazione religiosa spettacolare o eclatante, unicamente nelle nostre emozioni e sensazioni? [Papa Francesco]
His slumber causes us to wake up. Because to be disciples of Jesus, it is not enough to believe God is there, that he exists, but we must put ourselves out there with him; we must also raise our voice with him. Hear this: we must cry out to him. Prayer is often a cry: “Lord, save me!” (Pope Francis)

duevie.art

don Giuseppe Nespeca

Tel. 333-1329741


Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge N°62 del 07/03/2001.
Le immagini sono tratte da internet, ma se il loro uso violasse diritti d'autore, lo si comunichi all'autore del blog che provvederà alla loro pronta rimozione.
L'autore dichiara di non essere responsabile dei commenti lasciati nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell'immagine o dell'onorabilità di persone terze, il cui contenuto fosse ritenuto non idoneo alla pubblicazione verranno insindacabilmente rimossi.