(Mt 16,13-19)
Matteo 16:13 Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?».
Matteo 16:14 Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti».
Matteo 16:15 Disse loro: «Voi chi dite che io sia?».
Matteo 16:16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
Matteo 16:17 E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli.
Matteo 16:18 E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.
Matteo 16:19 A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
I Vangeli non sono opere scritte di getto, ma la meticolosità con cui sono stati composti e strutturati dice che essi sono stati studiati e composti a tavolino da persone veramente esperte e capaci nell'arte della narrativa e della comunicazione. Sono opere di alto spessore intellettuale, ed hanno finalità squisitamente teologiche, dottrinali e pastorali.
In questo brano viene riportata in modo solenne ed elaborato - per bocca di Pietro - la confessione di Gesù come vero Messia e vero Figlio di Dio. Tuttavia, il brano è anche uno dei più discussi e contestati nell'ambito della storia del cristianesimo dalla Riforma protestante in poi, per le parole che Gesù proferì a Pietro e che gli conferirono un'incredibile autorità. Vi è, dunque, da una parte, il mondo cattolico, che vede in essa il fondamento teologico e divino del papato; dall'altra, il mondo protestante che cerca di sminuirne la portata, arrampicandosi spesso sugli specchi. Tempo e spazio, purtroppo, non permettono di trattare questa tematica.
Gesù introdurrà i suoi discepoli nella verità della sua Persona, attraverso una domanda in apparenza semplice che sembra buttata lì. Egli chiede cosa la gente dice del Figlio dell’uomo, cioè di lui, Gesù. I vv. 13-14 riportano le voci che ricorrevano sulla sua persona, una sorta di indagine statistica casereccia, da cui risulta un condensato di titoli che mette in rilievo il complesso e multiforme mistero della sua persona: Giovanni Battista, Elia, Geremia, un profeta. Siamo nel cuore della questione cristologica del Vangelo di Matteo, che vede a confronto due gruppi di persone: gli uomini, estranei al gruppo dei discepoli, e i discepoli stessi. I primi propongono delle soluzioni secondo lo schema veterotestamentario; i secondi indicano una nuova prospettiva. Un confronto, quindi, che si svolge tra un gruppo che fonda la sua comprensione di Gesù sull'Antico Testamento, che tende quindi a spiegare Gesù secondo gli schemi del passato; e un gruppo, che staccandosi e contrapponendosi al primo, indica in Gesù il nuovo evento salvifico del Padre. Un confronto che avviene a Cesarea di Filippo.
La città sorgeva ai piedi del monte Hermon, nei pressi della sorgente di Nahr Banyas, una delle tre sorgenti del fiume Giordano, una delle quali si riteneva che fosse l’accesso al regno della morte. In epoca ellenistica, la grotta, da cui scaturiva il fiume, era sacra al dio greco Pan. Gesù porta i discepoli nel posto più lontano possibile dall’influsso dei farisei e sadducei, e la confessione di Pietro avviene in zona pagana.
La gente, vedendo i miracoli che Gesù faceva, pensava che fosse uno di quei personaggi straordinari che dovevano preparare il popolo alla venuta del Messia. Gesù è considerato un uomo del passato, e se è un uomo del passato di certo compirà le stesse opere che hanno compiuto in passato tutti quei servi del Signore. La risposta della gente indica la sua incapacità di staccarsi dai canoni veterotestamentari, non riesce a leggere la realtà se non attraverso il filtro della Legge mosaica.
Anche oggi si vorrebbe Gesù uguale a tutti gli altri uomini. Se è uguale a tutti gli altri uomini, non potrà fare nulla di speciale. Farà ciò che fanno tutti gli altri uomini, alla maniera di tutti gli altri uomini. L'uomo, istintivamente, è abituato a pensare Dio, il Signore Gesù, in tutte le proprie categorie religiose, trovandogli un posto nello schedario.
“Ma voi chi dite che io sia?”. A Gesù non interessa cosa pensa la gente. A Gesù interessa che i suoi discepoli sappiano chi Lui sia, perché ogni falsità da loro introdotta nella sua Persona e nella sua missione avrà conseguenze per tutta l’umanità. La salvezza dell’umanità è legata alla verità su Gesù.
Pietro dà una risposta immediata: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Tu sei il Messia di Dio. Il Messia di Dio è il Figlio del Dio vivente. Siamo nel vertice della fede cristologica: Gesù non è il Battista risuscitato dai morti, non è Elia, né Geremia o uno degli antichi profeti, visione che tende a ricondurre l'evento Gesù all'interno della più comprensibile e tranquilla fede giudaica, ma egli è “il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Gesù non è un uomo del passato. In Cristo c’è un mistero che va ben oltre tutto il passato di Israele. In Cristo c’è una novità assoluta. Gesù non è solo il Messia di Israele. È il Messia di Israele perché è il Figlio del Dio vivente.
Chiamare Gesù «Figlio di Dio», fa compiere una riqualificazione al termine stesso di Messia, in cui si riconosce non semplicemente un uomo inviato da Dio, ma Dio stesso, che si fa incarnazione in Gesù e del quale se ne riconosce la natura divina, così che Gesù diviene il “Davar” del Padre. Il termine ebraico «davar» significa “parola”, ma non nel senso di semplice voce o suono, ma come una parola che è anche azione, in cui il parlare e l'agire coincidono. Il Davar, quindi, designa un evento che si compie per mezzo della Parola e nella stessa Parola; una Parola che si fa evento. Per questo Gesù può essere definito e ritenuto come l'agire stesso del Padre.
Il legare insieme i due titoli “Cristo e Figlio di Dio”, costituisce il vertice della fede cristologica, poiché significa far convergere le attese messianiche nella novità sconvolgente della figliolanza divina dell'uomo Gesù, che in tal modo viene anche confessato Dio. Significa attribuire al Messia, concepito sempre come un uomo, la divinità stessa di Yahweh.
A fronte della professione di fede, che svela la vera identità di Gesù, Pietro viene dichiarato beato. La beatitudine delineava sempre lo stretto rapporto che intercorre tra l'uomo e Dio. L'uomo viene dichiarato beato perché è adombrato dalla presenza di Dio. Beato indica, quindi, una sorta di elezione che Dio pone sul suo fedele, ma dice anche la scelta che quell'uomo ha operato a favore di Dio, ponendosi dalla sua parte. Si tratta, comunque, di un rapporto e di una condizione di privilegio in cui il beato viene posto. La dichiarazione di beatitudine di Pietro, dunque, inserisce Pietro nella sacralità stessa di Dio e lo definisce una sorta di persona a Lui consacrata.
La beatitudine di Pietro, quindi, dipende da una elezione divina, che gli ha consentito di accedere ai misteri del disegno salvifico, che si sta compiendo in Gesù. Per questo Pietro è beato, perché viene reso partecipe del progetto salvifico e, pertanto, posto in una condizione di privilegio divino. Particolarmente interessante è la contrapposizione delle due espressioni “carne e sangue” e “Padre mio nei cieli”. Come dire che il mistero della persona di Gesù non può essere raggiunto con le forze umane, poiché tale mistero le supera ampiamente in quanto si pone nel segreto stesso del Padre che è nei cieli. La comprensione di Gesù è, dunque, dono dall'alto, è rivelazione, che si realizza soltanto se l'uomo si pone nei confronti di Dio in un umile atteggiamento di fede accogliente, senza avere la pretesa di capire, poiché Dio dona, ma non si lascia derubare.
Argentino Quintavalle, autore dei libri
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