Apr 20, 2025 Scritto da 

«Di là verrà a giudicare»

Genesi Rinascita Giudizio

Gv 3,16-21(7-21)

 

Ogni uomo posto di fronte al Mistero non comprende bene ciò che sente, fino a quando non accetta la scommessa e s’introduce in una nuova esistenza.

La vecchia vita presenta solo conti da pagare, che sempre riemergono; viceversa, la nuova Chiamata soppianta le categorie di giudizio e le scelte normalizzate.

Si passa come attraverso uno svuotamento del cuore.

Dice infatti il Tao [Via] Tê Ching (xxi):

«Il contenere di chi ha la virtù del vuoto, solo al Tao s’adegua. Per le creature il Tao è indistinto e indeterminato [...] nel suo seno racchiude le immagini [...] nel suo seno racchiude gli archetipi [...] nel suo seno racchiude l’essenza dell’essere! Questa essenza è assai genuina [...] e così acconsente a tutti gli inizi».

Fuori della Via cosmica e personale l’esistenza dell’uomo non ha un senso generativo.

Anche la vicenda spirituale dell’esperto e ben inserito ristagna fino a non poter più tacitare le grandi domande di senso, la sua fiction, o l’accidia.

La vita nello Spirito procede per nuove Nascite e spira dove vuole.

Non secondo un progresso scandito da meccanismi, maniere, perbenismi, abilità, o libretti d’istruzione: in modo sconcertante - ma porta diverso refrigerio, e Pace anche repentina.

È una realtà presente e operante, sebbene inesplicabile - che però arricchisce, lasciandoci penetrare o piombare in un’altra configurazione della realtà.

Altro regno, che nel «Figlio dell’uomo» unisce i due mondi.

 

Nicodemo era maestro del solo Testamento Antico. Egli controllava ogni stagnazione o progresso comparandoli alla sapienza delle cose di Dio su una base di attese più che conosciute.

Ma non di rado la nostra crescita procede a visioni e balzi - neppure secondo “intelligenza” naturale. Figuriamoci per la vita spirituale.

Non basta esercitarsi e andare d’accordo con le idee dei padri o ielle alla moda, né rimanere concordi a propositi normali.

Assimilare saperi altrui e acquisire perizie già attese è non di rado cianfrusaglia che blocca i veri sviluppi - quelli che ci appartengono.

Purtroppo, nella vita religiosa si procede spesso in modo meccanico, e sembra non vi sia bisogno alcuno di lasciarsi salvare o sorprendere dagli accadimenti.

Al massimo ci si espone a qualche venticello, schiavo di linguaggi terrestri, limitato alla dimensione di “fenomeni” tutti rasoterra - che escludono e liquidano Cristo.

Nell’avventura di Fede battistrada, che disorienta, il Progetto divino e l’Opera radicale del Figlio non si dispiegano in modo ragionevole, bensì per Amore senza misura.

Livello di Eternità che immette chi l’accoglie nel tu-per-tu unico col Padre e la sua Vita esuberante.

L’unità di misura dello Spirito è differente da quella delle consuetudini concordi. Il suo impeto è Vento inafferrabile, “visibile” solo negli effetti ecclesiali e personali.

Il Segreto è «dall’Alto» (v.7), fuori scala. Si annida nella imprevedibilità di crocevia, eccedenze, e nuove creazioni.

La Beatitudine non procede per argomenti alla noia: sporge o impallidisce.

In tal guisa, si può avere spesso in mano l’Eucaristia o le Scritture e non comprendere che la strada già battuta può dare solo illusioni di dottorato spirituale.

 

«Di là verrà a giudicare» è un articolo del Credo Apostolico.

Riuscita o fallimento della vita saranno valutate «dalla Croce», ossia con il criterio della nuova percezione, Dono di sé e Rinnovo sino in fondo.

Rovesciamento di prospettive; capovolgimento di visuale.

Fonte di Speranza e nuovo scatto in avanti: dove l’umiliazione si tramuta in Nascita autentica e trionfo della Vita indistruttibile.

Questa la Beatitudine che scopre fioriture, tesori nascosti e perle preziose, dietro i nostri lati oscuri.

Qui perfino le persecuzioni dei nemici e dei beffardi diventano vettori che introducono difformi energie, ci obbligano a migliorare.

E s’immaginava che la vita divina appartenesse solo alla sfera celeste; invece giunge paradossalmente alla nostra portata.

 

Nicodemo sapeva: nel deserto molti erano caduti vittime d’insidie, ma Gesù fa capire che gli israeliti non erano stati risanati gratuitamente da un’effigie di bronzo, bensì dall’aver ‘elevato lo sguardo’.

Il Signore si rifà a tale episodio e lo interpreta come scenario del proprio insegnamento; simbolo della sua vicenda estrema.

Chi lo contemplerà ha già in sé il senso pieno, acuto e totale delle Scritture, e la stessa Vita dell’Eterno.

In tal senso è necessario «nascere dall’alto», spostare la percezione contemplativa, riconoscersi, e tenere gli occhi puntati sull’amore vero.

È per una nuova Genesi del proprio essere e dei criteri per cui ci si gioca la vita, che il Crocifisso diventa punto di riferimento di ogni nostra scelta.

Non per masochismo dolorista e finta consolazione. Non per usarlo come monile, e imbellettarsene.

Non amuleto; né emblema posto a forza sulle alture, che indicherebbe la conquista di territori.

Neppure la sacralizzazione d’un ambiente, o una figura “culturale”.

 

Secondo lo stile rabbinico, Mt 25 ricorre all’immagine del Giudizio universale per richiamare l’importanza e le conseguenze delle scelte che facciamo.

In Gv il tema del Giudizio sembra rovesciato: è come se fossimo noi a “giudicare” Dio - nel senso che al suo cospetto siamo e ci troveremo disarmati, riconoscendo che il suo Cuore è ben maggiore del nostro.

Così pure nell’esperienza della vita di Fede, che attira e apre il futuro impossibile.

Il quarto Vangelo infatti esclude che il Padre giudichi i figli. Gv parla di un Giudizio che si attua nel Presente, che è solo redenzione - a nostro esclusivo favore: per una vita da salvati.

“Quando” Dio agisce crea. Egli Giustifica: fa qualcosa di nuovo, globale, impareggiabile.

Non ripete. Fa nascere altre eccedenze, in solchi variegati, nella trama della storia, “imponendo” giuste posizioni - anzitutto dove giustizia non c’è.

Secondo una Sapienza che fa udire non pochi pareri inattesi.

 

Pur impiegando sfondi e linguaggio differenti, sia Mt che Gv si ritrovano nella medesima «verità» (v.21).

Il Giudizio viene pronunciato dalla Croce - secondo criteri difformi da quelli mondani, sempre precipitosi o manierati (e banalissimi).

Il Signore fa udire e vedere le sue opinioni, di fronte a qualsiasi accadimento e scelta - mettendo in guardia dalle opzioni di morte autentica.

L’opera di coloro che gestiscono assai male e sprecano la vita «finirà bruciata, e quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco» (1Cor 3,15).

Le difformità si commisurano sin d’ora sulla Persona del Figlio. Il Giudizio è già cominciato.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Quali ritieni siano state le tue Nascite? E le tue scelte autentiche?

Sei ancora nella direzione del venticello dei padri antichi o delle mode attorno?

Dispieghi le vele secondo la direzione del Vento dello Spirito, che butta all’aria le tue sicurezze, anche di gruppo o denominazionali?

Cosa ammiri, e cosa hai collocato “in alto” nella tua vita? È forse paglia già finita e bruciata?

Cosa finora ti ha esaltato, e pensavi invece potesse elevarti?

 

 

Ha tanto amato, e ha dato

 

«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16). Qui c’è il cuore del Vangelo, qui c’è il fondamento della nostra gioia. Il contenuto del Vangelo, infatti, non è un’idea o una dottrina, ma è Gesù, il Figlio che il Padre ci ha donato perché noi avessimo la vita. Gesù è il fondamento della nostra gioia: non è una bella teoria su come essere felici, ma è sperimentare di essere accompagnati e amati nel cammino della vita. “Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio”. Soffermiamoci, fratelli e sorelle, un momento su questi due aspetti: “ha tanto amato” e “ha dato”.

Prima di tutto, Dio ha tanto amato. Queste parole, che Gesù rivolge a Nicodemo – un anziano giudeo che voleva conoscere il Maestro – ci aiutano a scorgere il vero volto di Dio. Egli da sempre ci ha guardati con amore e per amore è venuto in mezzo a noi nella carne del Figlio suo. In Lui ci è venuto a cercare nei luoghi in cui ci siamo smarriti; in Lui è venuto a rialzarci dalle nostre cadute; in Lui ha pianto le nostre lacrime e guarito le nostre piaghe; in Lui ha benedetto per sempre la nostra vita. Chiunque crede in Lui, dice il Vangelo, non va perduto (ibid.). In Gesù, Dio ha pronunciato la parola definitiva sulla nostra vita: tu non sei perduto, tu sei amato. Sempre amato.

Se l’ascolto del Vangelo e la pratica della nostra fede non ci allargano il cuore per farci cogliere la grandezza di questo amore, e magari scivoliamo in una religiosità seriosa, triste, chiusa, allora è segno che dobbiamo fermarci un po’ e ascoltare di nuovo l’annuncio della buona notizia: Dio ti ama così tanto da darti tutta la sua vita. Non è un dio che ci guarda indifferente dall’alto, ma è un Padre, un Padre innamorato che si coinvolge nella nostra storia; non è un dio che si compiace della morte del peccatore, ma un Padre preoccupato che nessuno vada perduto; non è un dio che condanna, ma un Padre che ci salva con l’abbraccio benedicente del suo amore.

E veniamo alla seconda parola: Dio “ha dato” il suo Figlio. Proprio perché ci ama così tanto, Dio dona sé stesso e ci offre la sua vita. Chi ama esce sempre da sé stesso – non dimenticatevi di questo: chi ama esce sempre da sé stesso. L’amore sempre si offre, si dona, si spende. La forza dell’amore è proprio questa: frantuma il guscio dell’egoismo, rompe gli argini delle sicurezze umane troppo calcolate, abbatte i muri e vince le paure, per farsi dono. Questa è la dinamica dell’amore: è farsi dono, darsi. Chi ama è così: preferisce rischiare nel donarsi piuttosto che atrofizzarsi trattenendosi per sé. Per questo Dio esce da sé stesso, perché “ha tanto amato”. Il suo amore è così grande che non può fare a meno di donarsi a noi. Quando il popolo in cammino nel deserto fu attaccato dai serpenti velenosi, Dio fece fare a Mosè il serpente di bronzo; in Gesù, però, innalzato sulla croce, Lui stesso è venuto a guarirci dal veleno che dà la morte, si è fatto peccato per salvarci dal peccato. Non ci ama a parole Dio: ci dona suo Figlio perché chiunque lo guarda e crede in Lui sia salvato (cfr Gv 3,14-15).

Più si ama e più si diventa capaci di donare. Questa è anche la chiave per comprendere la nostra vita. È bello incontrare persone che si amano, che si vogliono bene e condividono la vita; di loro si può dire come di Dio: si amano così tanto da dare la loro vita. Non conta solo ciò che possiamo produrre o guadagnare, conta soprattutto l’amore che sappiamo donare.

E questa è la sorgente della gioia! Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Da qui prende senso l’invito che la Chiesa rivolge in questa domenica: «Rallegrati [...]. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione» (Antifona d’ingresso; cfr Is 66,10-11). Ripenso a ciò che abbiamo vissuto una settimana fa in Iraq: un popolo martoriato ha esultato di gioia; grazie a Dio, alla sua misericordia.

A volte cerchiamo la gioia dove non c’è, la cerchiamo nelle illusioni che svaniscono, nei sogni di grandezza del nostro io, nell’apparente sicurezza delle cose materiali, nel culto della nostra immagine, e tante cose... Ma l’esperienza della vita ci insegna che la vera gioia è sentirci amati gratuitamente, sentirci accompagnati, avere qualcuno che condivide i nostri sogni e che, quando facciamo naufragio, viene a soccorrerci e a condurci in un porto sicuro.

[Papa Francesco, omelia in occasione dei 500 anni dell’evangelizzazione delle Filippine, 14 marzo 2021]

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

God loves the world and will love it to the end. The Heart of the Son of God pierced on the Cross and opened is a profound and definitive witness to God’s love. Saint Bonaventure writes: “It was a divine decree that permitted one of the soldiers to open his sacred wide with a lance… The blood and water which poured out at that moment was the price of our salvation” (John Paul II)
Il mondo è amato da Dio e sarà amato fino alla fine. Il Cuore del Figlio di Dio trafitto sulla croce e aperto, testimonia in modo profondo e definitivo l’amore di Dio. Scriverà San Bonaventura: “Per divina disposizione è stato permesso che un soldato trafiggesse e aprisse quel sacro costato. Ne uscì sangue ed acqua, prezzo della nostra salvezza” (Giovanni Paolo II))
[Nicodemus] felt the fascination of this Rabbi, so different from the others, but could not manage to rid himself of the conditioning of his environment that was hostile to Jesus, and stood irresolute on the threshold of faith (Pope Benedict)
[Nicodemo] avverte il fascino di questo Rabbì così diverso dagli altri, ma non riesce a sottrarsi ai condizionamenti dell’ambiente contrario a Gesù e resta titubante sulla soglia della fede (Papa Benedetto)
Those wounds that, in the beginning were an obstacle for Thomas’s faith, being a sign of Jesus’ apparent failure, those same wounds have become in his encounter with the Risen One, signs of a victorious love. These wounds that Christ has received for love of us help us to understand who God is and to repeat: “My Lord and my God!” Only a God who loves us to the extent of taking upon himself our wounds and our pain, especially innocent suffering, is worthy of faith (Pope Benedict)
Quelle piaghe, che per Tommaso erano dapprima un ostacolo alla fede, perché segni dell’apparente fallimento di Gesù; quelle stesse piaghe sono diventate, nell’incontro con il Risorto, prove di un amore vittorioso. Queste piaghe che Cristo ha contratto per amore nostro ci aiutano a capire chi è Dio e a ripetere anche noi: “Mio Signore e mio Dio”. Solo un Dio che ci ama fino a prendere su di sé le nostre ferite e il nostro dolore, soprattutto quello innocente, è degno di fede (Papa Benedetto)
We see that the disciples are still closed in their thinking […] How does Jesus answer? He answers by broadening their horizons […] and he confers upon them the task of bearing witness to him all over the world, transcending the cultural and religious confines within which they were accustomed to think and live (Pope Benedict)
Vediamo che i discepoli sono ancora chiusi nella loro visione […] E come risponde Gesù? Risponde aprendo i loro orizzonti […] e conferisce loro l’incarico di testimoniarlo in tutto il mondo oltrepassando i confini culturali e religiosi entro cui erano abituati a pensare e a vivere (Papa Benedetto)
The Fathers made a very significant commentary on this singular task. This is what they say: for a fish, created for water, it is fatal to be taken out of the sea, to be removed from its vital element to serve as human food. But in the mission of a fisher of men, the reverse is true. We are living in alienation, in the salt waters of suffering and death; in a sea of darkness without light. The net of the Gospel pulls us out of the waters of death and brings us into the splendour of God’s light, into true life (Pope Benedict)
I Padri […] dicono così: per il pesce, creato per l’acqua, è mortale essere tirato fuori dal mare. Esso viene sottratto al suo elemento vitale per servire di nutrimento all’uomo. Ma nella missione del pescatore di uomini avviene il contrario. Noi uomini viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e della morte; in un mare di oscurità senza luce. La rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque della morte e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita (Papa Benedetto)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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don Giuseppe Nespeca

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