Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
(Gv 15,26-16,4a)
La Fede nel Maestro è già Vita dell’Eterno in atto, qui e ora.
Egli stesso è Pane dell’esistere autentico e indistruttibile, sebbene ancora terreno.
Insomma, la vita intima di Dio ci raggiunge nel nostro tempo.
Primo passo è l’avventura di Fede che dona una Visione; irruzione dello Spirito che fa rinascere dall’alto.
Impulso che anima un’esistenza differente - non vuota.
Il segno di tale adesione è credere Gesù come Figlio: uomo che manifesta la condizione divina.
Il Dio “nascosto” del Primo Testamento, ostacolo che sembrava insormontabile, si porge ora nello specifico - senza bisogno di fuochi fatui a sostegno.
Onde evitare intimidazioni, emarginazioni, seccature, alcuni membri di Chiesa propugnavano una sorta di alleanza fra Gesù e Impero.
Essi annunciavano un Cristo talmente vago e svincolato, da non graffiare nessuno.
Alcuni ambiziosi, facinorosi della ‘vita nello spirito’, ritenevano che era ormai giunta l’ora di scrollarsi di dosso la vicenda terrena del figlio del falegname.
Figura che veniva considerata debole in sé, a breve termine, fuori luogo e tempo; già spenta.
Gv intende riequilibrare il tentativo d’Annuncio, diluito nei compromessi.
L’evangelista sottolinea che il Risorto è Cifra e Motore che porta l’anima e ci genera nell’oggi.
È il medesimo Figlio di Dio che ha sostenuto una dura attività di denuncia e diverse battaglie con le autorità.
Insomma, lo Spirito Santo non va dietro le farfalle.
Azione dello Spirito [che interiorizza e attualizza] e memoria storica di Gesù devono essere sempre coniugate.
Solo in tale prospettiva franca è possibile cogliere in ogni tempo e circostanza la Verità dell’Eterno, e la Verità dell’uomo.
In aggiunta: il Padre è Creatore di ciascuna delle nostre inclinazioni profonde, cui appone una firma indelebile.
Essa si manifesta in un istinto innato, che vuole germinare, trovare spazio, esprimersi.
Abbiamo radicata nell’intimo una Vocazione e volti plurali unici, invincibili; ciascuno.
Non possiamo rinnegare noi stessi, le nostre Radici - anche laddove una testimonianza a viso aperto fosse poco appetibile.
La Verità su ogni «Persona» è conseguente.
Per Grazia, siamo depositari d’una dignità sbalorditiva, che anche nell’errore o ciò che si considera tale, impartisce Desideri eccezionali.
Verità che ripristina ancora Sogni: una ‘speranza inedita’ la quale attiva passioni coinvolgenti.
Invano avremmo quiete e felicità cercando il concordismo culturale e sociale, o recitando ruoli, personaggi, mansioni che non ci appartengono - sebbene acquietanti.
Diventeremmo esterni.
Verità: Fedeltà di Dio in Cristo. E franchezza in ogni scelta, col nostro carattere in relazione e situazione.
Il resto è calcolo - disturbo profondo, che ci lascerà dissociati e farà ammalare dentro.
[Lunedì 6.a sett. di Pasqua, 26 maggio 2025]
(Gv 15,26-16,4a)
La Fede nel Maestro è già vita eterna, o meglio Vita dell’Eterno (in atto qui e ora).
Egli stesso è Pane dell’esistere autentico e indistruttibile, sebbene ancora terreno.
Insomma, la vita intima di Dio ci raggiunge nel nostro tempo.
Primo passo è l’avventura di Fede che dona una Visione; irruzione dello Spirito che fa rinascere dall’alto.
Impulso che anima un’esistenza differente - non vuota.
Il segno di tale adesione è credere Gesù come Figlio: uomo che manifesta la condizione divina.
Cristo è Pane della vita anche perché la sua Parola è creatrice, e il cammino di sequela in Lui ci trasmette le qualità della Vita indistruttibile.
L’effusione dello Spirito suscita in noi il medesimo Cuore pulsante dell’Eterno.
Lo sperimentiamo nelle morti e risurrezioni del quotidiano e nella lunga trafila della Vocazione, ribadita di sentiero in sentiero.
Persino nella persecuzione, chi ‘vede’ il Figlio ha in sé la Vita dell’Eterno.
Vita che rigenera e dispone sempre nuove nascite, altre premesse e interrogativi, differenti percorsi, in forma ininterrotta; crescente.
La passione per l’Amico ci unisce a Lui, Pane: ossia Rivelatore della Verità che sazia gli uomini in viaggio verso se stessi e il mondo.
Anime che talora cambiano pelle, opinioni, stili di vita.
Nella Visione, siamo abilitati ad appropriarci direttamente, così attirando e realizzando la Novità di Dio - anche in anticipo, sapientemente.
Per mezzo di Lui ‘abbiamo parte’… nell’amore del Padre verso il Figlio che si manifesta Signore personale, nonché nella vita dilatata in uscita della Chiesa autentica.
Il Dio “nascosto” del Primo Testamento, ostacolo che sembrava insormontabile, si porge ora nello specifico della Fede, senza bisogno di fuochi fatui a sostegno.
Perché il mondo di Dio nell’anima è diverso.
Non si entra nel Mistero coi propositi normali e le aspettative perfette, tantomeno di successo e riconoscimenti.
In questo caso (nel passo di Vangelo) entra in scena l'incomprensione degli apostoli.
In effetti, persino a noi spesso non sembra decifrabile il modo di manifestarsi di Gesù.
Anche i giudei [in realtà: i giudaizzanti di ritorno nelle comunità di fine I secolo] attendevano di coglierlo in modo palese, magari in un’occasione di vita pubblica.
Invece, perfino in periodo di ‘glorificazione’ il Maestro sembra voler ricalcare l’inapparenza esteriore umile del suo ministero terreno.
Molti si attendevano fuochi d’artificio sensazionali in quel periodo che consideravano ‘finale’. Invece, nessun cedimento all’ideologia di potere o alla religione-spettacolo.
Dunque le cose non andavano secondo le attese: i dubbi non venivano dissipati; le ambiguità, neppure.
I titoli dell’antica gloria nazionalista e imperiale d’Israele non ricomparivano affatto, al contrario!
Ancora oggi, la scelta di Fede non è data in pasto agli apparati che ne garantirebbero visibilità: nessun paracadute, nessuno sconto.
Tutto allora sembra proceda come prima, nel sommario: faticare per vivere e comprare, viaggiare e non, ridere e piangere, ammalarsi e guarire, lavorare e fare festa… così via.
Spesso nel dolore apparentemente insensato; forse senza svolte decisive.
Ma nelle medesime cose di sempre c’è una Luce differente, piantata su una nuova, immediata Relazione dell’umanità bisognosa con il Padre che ci rigenera.
Egli stimola nuove Nascite, per riconnettere desideri, bisogni profondi, percorsi esterni; incrementare l’intensità di vita.
Ed è nella mutua conoscenza delle radici e dei solchi della realtà che sussiste in primis questo circolo d’amore tra Dio e i suoi figli.
Tutto ciò che ancora non è stato inteso verrà richiamato dall’azione dello Spirito. Unico impeto affidabile, che non punta su cose vane.
Un legame tra uomo e Cielo, in noi - non in alto.
Amicizia che non contempla anzitutto la rassegnazione, gli sforzi, le umiliazioni; bensì rielaborata nell’approfondimento.
Qui entra in gioco la vera portata dei nostri cuori - tanto limitati, eppure dotati di una misteriosa impronta - per la vita completa, e personale, di carattere.
Onde evitare intimidazioni, emarginazioni, seccature, alcuni membri di Chiesa propugnavano una sorta di alleanza fra Gesù e Impero.
Essi annunciavano un Cristo talmente vago e svincolato da non graffiare nessuno.
Alcuni ambiziosi, facinorosi della “vita nello spirito”, ritenevano che era ormai giunta l’ora di scrollarsi di dosso la vicenda terrena del figlio del falegname.
Figura che veniva considerata debole in sé, a breve termine, fuori luogo e tempo; già spenta.
Gv intende riequilibrare il tentativo d’Annuncio, diluito nei compromessi.
L’evangelista sottolinea che il Risorto è Cifra e Motore che porta l’anima e ci genera nell’oggi.
È il medesimo Figlio di Dio che ha sostenuto una dura attività di denuncia e diverse battaglie con le autorità.
Agli opportunisti del suo tempo, il Maestro aveva osato toccare posizioni, vanità, e il sacchetto del commercio.
In tal guisa perseguitato, processato, vilipeso, condannato come sovversivo, e maledetto da Dio.
Insomma, lo Spirito Santo non va dietro le farfalle.
Azione dello Spirito [che interiorizza e attualizza] e memoria storica di Gesù devono essere sempre coniugate.
Solo in tale prospettiva franca è possibile cogliere in ogni tempo e circostanza la Verità dell’Eterno, e la Verità dell’uomo.
In aggiunta: il Padre è Creatore di ciascuna delle nostre inclinazioni profonde, cui appone una firma indelebile.
Essa si manifesta in un istinto innato, che vuole germinare, trovare spazio, esprimersi.
Abbiamo radicata nell’intimo una Vocazione e volti (plurali) unici, invincibili; ciascuno.
Non possiamo rinnegare noi stessi, le nostre Radici - anche laddove una testimonianza a viso aperto fosse poco appetibile.
La Verità su ogni ‘Persona’ è conseguente.
Per Grazia, siamo depositari d’una dignità sbalorditiva.
Anche nell’errore, o ciò che si considera tale, essa impartisce Desideri eccezionali.
Verità che ripristina ancora Sogni: una speranza inedita, la quale attiva passioni coinvolgenti.
Invano avremmo quiete e felicità cercando il concordismo culturale e sociale, o recitando ruoli, personaggi, mansioni che non ci appartengono - sebbene acquietanti.
Diventeremmo esterni.
Verità: Fedeltà di Dio in Cristo. E franchezza in ogni scelta, col nostro carattere in relazione e situazione.
Il resto è calcolo - disturbo profondo, che ci lascerà dissociati e farà ammalare dentro.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Prendi posizione e affronti le conseguenze? Quando è in gioco la tua caratura vocazionale, fronteggi e ci metti la faccia o ti mimetizzi?
Fai il vago, valuti il contraccambio e cerchi tributi o protezione di ammanicati e sinagoghe soddisfacenti? Oppure desideri unire la tua vita a Cristo?
Gesù dice ai discepoli: “Quando verrà il Paraclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio” (Gv 15,26-27). Questo ci è di grande conforto nell’impegno di educare alla fede, perché sappiamo che non siamo soli e che la nostra testimonianza è sostenuta dallo Spirito Santo.
E’ molto importante […] credere fortemente nella presenza e nell’azione dello Spirito Santo, invocarlo e accoglierlo in voi, mediante la preghiera e i Sacramenti. E’ Lui infatti che illumina la mente, riscalda il cuore dell’educatore perché sappia trasmettere la conoscenza e l’amore di Gesù. La preghiera è la prima condizione per educare, perché pregando ci mettiamo nella disposizione di lasciare a Dio l’iniziativa, di affidare i figli a Lui, che li conosce prima e meglio di noi, e sa perfettamente qual è il loro vero bene. E, al tempo stesso, quando preghiamo ci mettiamo in ascolto delle ispirazioni di Dio per fare bene la nostra parte, che comunque ci spetta e dobbiamo realizzare. I Sacramenti, specialmente l’Eucaristia e la Penitenza, ci permettono di compiere l’azione educativa in unione con Cristo, in comunione con Lui e continuamente rinnovati dal suo perdono. La preghiera e i Sacramenti ci ottengono quella luce di verità grazie alla quale possiamo essere al tempo stesso teneri e forti, usare dolcezza e fermezza, tacere e parlare al momento giusto, rimproverare e correggere nella giusta maniera.
[Papa Benedetto, omelia nel battesimo di alcuni bambini 8 gennaio 2012]
1. Abbiamo più volte citato le parole di Gesù, che nel discorso d’addio rivolto agli apostoli nel Cenacolo promette la venuta dello Spirito Santo come nuovo e definitivo difensore e consolatore: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce” (Gv 14, 16-17). Quel “discorso d’addio”, situato nel racconto solenne dell’ultima Cena (cf. Gv 13, 2), è una fonte di prima importanza per la pneumatologia, ossia per la disciplina teologica concernente lo Spirito Santo. Gesù parla di lui come del Paraclito, che “procede” dal Padre, e che il Padre “manderà” agli apostoli e alla Chiesa “nel nome del Figlio”, quando il Figlio stesso “andrà via”, “a prezzo” della dipartita compiuta mediante il sacrificio della Croce.
Dobbiamo prendere in considerazione il fatto che Gesù chiama il Paraclito lo “Spirito di Verità”. Anche in altri momenti lo ha chiamato così (cf. Gv 15, 26; Gv 16, 13).
2. Teniamo presente che nello stesso “discorso d’addio” Gesù, rispondendo a una domanda dell’apostolo Tommaso circa la sua identità, asserisce di se stesso: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14, 6). Da questo duplice riferimento alla verità che Gesù fa per definire sia se stesso che lo Spirito Santo, si deduce che, se il Paraclito viene da lui chiamato “Spirito di verità”, ciò significa che lo Spirito Santo è colui che, dopo la dipartita di Cristo, manterrà tra i discepoli la stessa verità, che egli ha annunziato e rivelato ed, anzi, che egli stesso è. Il Paraclito, infatti, è la verità, come lo è Cristo. Lo dirà Giovanni nella sua prima lettera: “È lo Spirito Santo che rende testimonianza, perché lo Spirito è la verità” (Gv 5, 6). Nella stessa lettera l’Apostolo scrive pure: “Noi siamo da Dio. Chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci ascolta. Da ciò noi distinguiamo lo spirito della verità e lo spirito dell’errore (“spiritus erroris”)” (Gv 4, 6). La missione del Figlio e quella dello Spirito Santo si incontrano, sono connesse e si completano reciprocamente nell’affermazione della verità e nella vittoria sull’errore. I campi d’azione in cui essi operano sono lo spirito umano e la storia del mondo. La distinzione tra la verità e l’errore è il primo momento di tale opera.
3. Rimanere nella verità e operare nella verità è il problema essenziale per gli apostoli e per i discepoli di Cristo, sia dei primi tempi come di tutte le nuove generazioni della Chiesa nei secoli. Da questo punto di vista l’annuncio dello Spirito di verità ha un’importanza chiave. Gesù dice nel Cenacolo: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento (ancora) non siete capaci di portarne il peso” (Gv 16, 12). Veramente la missione messianica di Gesù durò poco, troppo poco per svelare ai discepoli tutti i contenuti della Rivelazione. E non solo fu breve il tempo a disposizione, ma risultarono anche limitate la preparazione e l’intelligenza degli ascoltatori. Più volte è detto che gli apostoli stessi “si stupivano dentro di loro” (cf. Mc 6, 52), e “non capivano” (cf. es gr Mc 8, 21), oppure capivano in modo distorto le parole e le opere di Cristo (cf. es gr Mt 16, 6-11).
Così si spiegano in tutta la pienezza del loro significato le parole del Maestro: “Quando . . . verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera” (Gv 16, 13).
4. La prima conferma di questa promessa di Gesù si avrà nella Pentecoste e nei giorni successivi, come attestano gli Atti degli Apostoli. Ma la promessa non riguarda soltanto gli apostoli e gli immediati loro compagni nell’evangelizzazione, ma anche le future generazioni di discepoli e di confessori di Cristo. Il Vangelo infatti è destinato a tutte le nazioni e alle generazioni sempre nuove, che si svilupperanno nel contesto delle diverse culture e del molteplice progresso della civiltà umana. Con lo sguardo su tutto il raggio della storia Gesù dice: “Lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza”. “Renderà testimonianza”, ossia mostrerà il vero senso del Vangelo all’interno della Chiesa, perché essa lo annunci in modo autentico al mondo intero. Sempre e in ogni luogo, pur nell’interminabile vicenda delle cose che mutano sviluppandosi nella vita della umanità, lo “Spirito di verità” guiderà la Chiesa “alla verità tutta intera” (Gv 16, 13).
5. Il rapporto tra la Rivelazione comunicata dallo Spirito Santo e quella di Gesù è molto stretto. Non si tratta di una Rivelazione diversa, eterogenea. Lo si può arguire da un particolare del linguaggio usato da Gesù nella sua promessa: “Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26). Il ricordare è la funzione della memoria. Ricordando, si ritorna a ciò che è già stato, a ciò che è stato detto e compiuto, rinnovando così nella coscienza le cose passate, e quasi facendole rivivere. Trattandosi specialmente dello Spirito Santo, Spirito di una verità carica della potenza divina, la sua missione non si esaurisce nel ricordare il passato come tale: “ricordando” le parole, le opere e tutto il mistero salvifico di Cristo, lo Spirito di verità lo rende continuamente presente nella Chiesa, fa sì che rivesta un’“attualità” sempre nuova nella comunità della salvezza. Grazie all’azione dello Spirito Santo, la Chiesa non solo ricorda la verità, ma permane e vive nella verità ricevuta dal suo Signore. Anche in questo modo si compiono le parole di Cristo: “Egli (lo Spirito Santo) mi renderà testimonianza” (Gv 15, 26). Questa testimonianza dello Spirito di verità si identifica così con la presenza del Cristo sempre vivo, con la forza operatrice del Vangelo, con l’attuazione crescente della Redenzione, con una continua illustrazione di verità e di virtù. In questo modo lo Spirito Santo “guida”, la Chiesa “alla verità tutta intera”.
6. Tale verità è presente, almeno in modo implicito, nel Vangelo. Ciò che lo Spirito Santo rivelerà è già stato detto da Cristo. Lo rivela egli stesso quando, parlando dello Spirito Santo, sottolinea che “non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito . . . Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà” (Gv 16, 13-14). Il Cristo, glorificato dallo Spirito di verità, è prima di tutto quello stesso Cristo crocifisso, spogliato di tutto e quasi “annientato” nella sua umanità per la redenzione del mondo. Proprio per opera dello Spirito Santo la “parola della Croce” doveva essere accettata dai discepoli, ai quali il Maestro stesso aveva detto: “Per il momento (ancora) non siete capaci di portarne il peso” (Gv 16, 12). Si parava, davanti a quei poveri uomini, lo schermo della Croce. Occorreva un’azione in profondità per rendere le loro menti e i loro cuori capaci di scoprire la “gloria della redenzione”, che si era compiuta proprio nella Croce. Era necessario un intervento divino per convincere e trasformare interiormente ognuno di loro, in preparazione, anzitutto, al giorno della Pentecoste, e, poi, alla missione apostolica del mondo. E Gesù li avverte che lo Spirito Santo “mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annunzierà”. Solo lo Spirito che, secondo san Paolo (1 Cor 2, 10), “scruta le profondità di Dio”, conosce il mistero del Figlio-Verbo nella sua relazione filiale col Padre e nella sua relazione redentrice con gli uomini di tutti i tempi. Lui solo, lo Spirito di verità, può aprire le menti e i cuori umani rendendoli capaci di accettare l’inscrutabile mistero di Dio e del suo Figlio incarnato, crocifisso e risorto, Gesù Cristo Signore.
7. Dice ancora Gesù: “Lo Spirito di verità . . . vi annunzierà le cose future” (Gv 16, 13). Che cosa significa questa proiezione profetica ed escatologica con cui Gesù colloca sotto il raggio dello Spirito Santo tutto l’avvenire della Chiesa, tutto il cammino storico che essa è chiamata a compiere nei secoli? Significa un andare incontro al Cristo glorioso, verso il quale essa è protesa nell’invocazione suscitata dallo Spirito: “Vieni, Signore Gesù!” (Ap 22, 17. 20). Lo Spirito Santo conduce la Chiesa verso un costante progresso nella comprensione della verità rivelata. Veglia sull’inseguimento di tale verità, sulla sua conservazione, sulla sua applicazione alle mutevoli situazioni storiche. Suscita e conduce lo sviluppo di tutto ciò che serve alla conoscenza e alla diffusione di questa verità: in particolare, l’esegesi della Sacra Scrittura e la ricerca teologica, che non si possono mai separare dalla direzione dello Spirito di verità né dal Magistero della Chiesa, in cui lo Spirito è sempre all’opera.
Tutto avviene nella fede e per la fede, sotto l’azione dello Spirito, come è detto nell’enciclica Dominum et Vivificantem: “Il Mysterium Christi nella sua globalità esige la fede, poiché è questa che introduce opportunamente l’uomo nella realtà del mistero rivelato. Il guidare alla verità tutta intera si realizza, dunque, nella fede e mediante la fede: il che è opera dello Spirito di verità ed è frutto della sua azione nell’uomo. Lo Spirito Santo deve essere in questo la suprema guida dell’uomo, la luce dello spirito umano. Ciò vale per gli apostoli, testimoni oculari, che devono ormai portare a tutti gli uomini l’annuncio di ciò che Cristo “fece ed insegnò” e, specialmente, della sua Croce, e della sua risurrezione. In una prospettiva più lontana, ciò vale anche per tutte le generazioni dei discepoli e dei confessori del Maestro, poiché dovranno accettare con fede e confessare con franchezza il mistero di Dio operante nella storia dell’uomo, il mistero rivelato che di tale storia spiega il senso definitivo” (Dominum et Vivificantem, 6).
In questo modo lo “Spirito di verità” continuamente annunzia le cose future; continuamente mostra all’umanità questo futuro di Dio, che è al di sopra e al di fuori di ogni futuro “temporale”: e così riempie di valore eterno il futuro del mondo. Così lo Spirito convince l’uomo, facendogli capire che, con tutto ciò che è, e ha, e fa, è chiamato da Dio in Cristo alla salvezza. Così il “Paraclito”, lo Spirito di verità, è il vero “Consolatore” dell’uomo. Così è il vero Difensore e Avvocato. Così è il vero Garante del Vangelo nella storia: sotto il suo influsso la buona Novella è sempre “la stessa” ed è sempre “nuova”; e in modo sempre nuovo illumina il cammino dell’uomo nella prospettiva del cielo con “parole di vita eterna” (Gv 6, 68).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 17 maggio 1989]
Nella vita del cristiano c’è una «doppia testimonianza»: quella dello Spirito che «apre il cuore» mostrando Gesù, e quella della persona che «con la forza dello Spirito» annuncia «che il Signore vive». Una testimonianza, quest’ultima, da portare «non tanto con le parole» ma con la «vita», anche a costo di «pagare il prezzo» delle persecuzioni.
Sono stati ancora una volta lo Spirito Santo e la sua azione nel cuore di ogni credente il fulcro della meditazione di Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta lunedì 2 maggio. La liturgia, infatti, continua a proporre brani degli Atti degli apostoli (16, 11-15) con le prime missioni della Chiesa nascente e stralci del discorso di Gesù durante l’ultima cena (Giovanni, 15, 26 - 16, 4). In particolare nel Vangelo del giorno si legge di Gesù che «parla della testimonianza che lo Spirito Santo, il Paràclito, darà di lui e della testimonianza che noi dovremo dare anche di lui». E Francesco ha sottolineato come qui la parola «più forte» sia proprio «testimonianza».
La testimonianza dello Spirito si ritrova anche nella prima lettura dove, mentre si parla di Lidia, una «commerciante di porpora della città di Tiàtira, una credente in Dio», si dice: «Il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo». Ma «chi ha toccato il cuore di questa donna?» si è chiesto il Pontefice, ricordando che Lidia «ha sentito dentro di sé» qualcosa che la spingeva a dire: «Questo è vero! Io sono d’accordo con quello che dice quest’uomo, quest’uomo che dà testimonianza di Gesù Cristo»? La risposta è: «lo Spirito Santo». È lui «che ha fatto sentire a questa donna che Gesù era il Signore; ha fatto sentire a questa donna che la salvezza era nelle parole di Paolo; ha fatto sentire a questa donna una testimonianza».
È quindi, ha spiegato il Papa, lo Spirito che «dà testimonianza di Gesù. E ogni volta che noi sentiamo nel cuore qualcosa che ci avvicina a Gesù, è lo Spirito che lavora dentro». Lo stesso Gesù spiegò ai discepoli l’azione dello Spirito: «Vi insegnerà e vi ricorderà tutto quello che ho detto io». E lo Spirito, ha aggiunto Francesco, «continuamente apre il cuore, come ha aperto il cuore di questa signora Lidia», e «dà testimonianza per sentire e ricordare quello che Gesù ci ha insegnato».
Ma la testimonianza, ha spiegato il Papa, «è doppia». Ovvero: «lo Spirito ci dà la testimonianza di Gesù e noi diamo la testimonianza con la forza dello Spirito dello stesso Signore». Lo ribadisce ancora Gesù nel brano evangelico: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità, che procede dal Padre, Egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me dal principio». E il Signore, ha fatto notare Francesco, insiste sulle caratteristiche di questa testimonianza — «forse i discepoli non capivano bene» ha osservato — aggiungendo: «Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi». Gli spiega, cioè, «il prezzo della testimonianza cristiana» in maniera diretta: «Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà, crederà di rendere culto a Dio».
Quindi, ha riassunto il Pontefice, «il cristiano, con la forza dello Spirito, dà testimonianza che il Signore vive, che il Signore è risorto, che il Signore è fra noi, che il Signore celebra con noi la sua morte, la sua risurrezione, ogni volta che ci accostiamo all’altare»; e lo fa «nella sua vita quotidiana, col suo modo di agire». È, ha aggiunto, «la testimonianza continua del cristiano». Allo stesso tempo, il il cristiano deve essere consapevole che a volte questa testimonianza «provoca attacchi, provoca persecuzioni»: sono «le piccole persecuzioni», come quelle delle «chiacchiere» e delle «critiche», ma anche le persecuzioni di cui «la storia della Chiesa è piena», cioè quelle che portano «i cristiani nel carcere» o «perfino a dare la vita».
È quindi lo stesso «Spirito Santo che ci ha fatto conoscere Gesù» a spingerci «a farlo conoscere, non tanto con le parole, ma con la testimonianza di vita». E, ha suggerito concludendo il Papa, «è buono chiedere allo Spirito Santo che venga nel nostro cuore, per dare testimonianza di Gesù» e pregarlo così: «Signore, che io non mi allontani da Gesù. Insegnami quello che ha insegnato Gesù. Fammi ricordare quello che ha detto e fatto Gesù e, anche, aiutami a portare la testimonianza di queste cose. Che la mondanità, le cose facili, le cose che vengono proprio dal padre della menzogna, dal principe di questo mondo, il peccato, non mi allontani dalla testimonianza; che non mi scandalizzi, come dice Gesù, di essere cristiano, perché qualcuno mi evita o ci sono persecuzioni».
[Papa Francesco, omelia s. Marta, in L’Osservatore Romano 02-03/05/2016]
(Gv 14,23-29)
L’amore del Padre ci unisce a Cristo attraverso una chiamata che si manifesta onda su onda. E su tale sentiero il Figlio stesso si rivela.
Gli Apostoli, condizionati dalla mentalità religiosa convenzionale - tutta passerelle - s’interrogano circa l’atteggiamento di Gesù, modesto e poco incline allo spettacolo (v.22).
Non accettano un Messia che non s’imponga all’attenzione di tutti, non stupisca il mondo, non urli proclami da forsennato.
Il Maestro preferisce che nella sua Parola riconosciamo una corrispondenza attiva con il desiderio di vita integrale che ci portiamo dentro (vv.23-24).
Nella cultura forense antica, «Paraclito» (v.26) era detto il personaggio eminente dell’assemblea - oggi diremmo una sorta di avvocato - che senza nulla dire si poneva accanto per giustificare l’imputato.
Tale attributo dello Spirito allude a un’intensità, intimo fondamento e reciprocità di Relazione silenziosa che si fa Persona.
Termina l’arco del ministero terreno del Signore; si accende un’Alleanza.
In tal guisa, nei Vangeli la Pace-Shalôm di Cristo è un cenno di emancipazione, assunto e reinterpretato in ordine all’imperativo dell’Annuncio apostolico.
Esso crea una nuova situazione.
Sulla bocca di Gesù, «Shalôm» - eccellenza e superamento delle benedizioni antiche - assume i lineamenti del significato proprio, messianico: discrimine dei Vangeli e Annuncio essenziale (cf. Lc 10,5).
Nei territori dell’impero la Pax Romana aveva tratti trionfalistici - era sinonimo di violenza, competizione, repressione di ribelli.
Come tregua armata, si faceva garante d’una economia prospera, ma assicurata nella sua dimensione sociale solo dalle disuguaglianze, in specie da una vasta base di schiavi.
La Pace che Gesù introduce non è un augurio (qualunque) di migliorie normali attese, ma la trasmissione della sua stessa Persona.
Tale propensione, vicenda e Amicizia senza prezzo ci stimola a un riordinamento, riconfigurazione, riorganizzazione completa di tutta la vita.
E spesso la butta all’aria, onde speronarne il quietismo di circostanza.
Nel nostro linguaggio, parleremmo forse di Felicità e nuovo assetto pubblico.
Essendo il desiderio segreto di ciascuno, nessuna difficoltà potrà spegnerne la promessa e potenza di realizzazione (v.30).
Shalôm è pienezza di esistenza salvata, “successo” nel nostro cammino di fioritura attraverso mille imprese.
Shalôm è perfezione e gioia completa, compimento dei desideri.
Vittoria del Patto fra Dio e il popolo. Sintonia e comunione senza fine tra l’impulso innato della nostra essenza particolare e il compimento delle speranze.
Successo dell’Alleanza fra impulso dell’anima e conquiste evolutive sperimentate nella vita reale.
Shalôm - attuazione piena dell’umanità che ritrova se stessa - indica totalità vitale e compiuta di ogni aspirazione.
Qualità di rapporti nuovi che ne scaturiscono: il bene supremo d’una Presenza in atto, affidata a noi.
[6.a Domenica di Pasqua (anno C), 25 maggio 2025]
(Gv 14,21-31)
Dimora e reciprocità, interpretazione e radice
Generatrici dal basso
(Gv 14,21-26)
L’amore del Padre ci unisce a Cristo attraverso una chiamata che si manifesta onda su onda. E su tale sentiero il Figlio stesso si rivela, anche grazie alla vita di comunità genuina.
Il passo di Vangelo riflette la catechesi a domande e risposte tipica delle comunità giovannee dell’Asia Minore, impegnate a interrogarsi: stavolta il tema dell’incomprensione è introdotta da Giuda, non l’Iscariota.
Anche i giudei avevano atteso un’uscita pubblica eloquente, per credere alla condizione divina di Gesù di Nazaret. Forse una manifestazione così dimessa non poteva che generare scetticismo.
Come mai in Lui si resta nella sfera del nascondimento, e i suoi stessi intimi non si scatenano nelle reazioni? Non sarebbe opportuno un colpo di scena aperto e sensazionale?
E perché vivere dal di dentro le difficoltà? Poi, come mai le relazioni considerate “importanti” erano valutate con avversione crescente, estranee, irritanti?
Ebbene, il messianismo vulnerabile del Cristo - in apparenza difensivo, evitante - non è del genere che dissipa i dubbi.
Egli permaneva spoglio. Così non ha smarrito la propria naturalità; quasi avesse percepito il pericolo delle aberrazioni altisonanti, tutte esterne.
Il Messia autentico proteggeva la sua identità, il suo carattere umano, spirituale, missionario. In tal guisa ha evitato tutti i titoli gloriosi eccessivi previsti nella cultura teologica nell’antico Israele.
La vita di Fede in noi continua anch’essa invisibile: non circondata di miracoli esteriori e sensazioni forti; piuttosto, innervata di convincimenti (riconosciuti in se stessi).
Nel tempo della nuova relazione con Dio e i fratelli, l’antico concetto di Unto del Signore che osserva e impone a tutte le nazioni la Legge del popolo eletto (con forza) non ha alcun rilievo.
In qualsiasi condizione e latitudine, Dio è sempre presente e operante, a partire dal nucleo, per farci ritrovare il respiro dell’essere.
Il Padre, il Figlio, e i credenti, formano nella mutua conoscenza un circolo di amore, reciprocità e ubbidienza a maglie larghe, mediante risposte libere non stereotipe né paralizzanti.
Non parcellizzate su dettagli e casistiche, bensì centrate su opzioni fondamentali.
«I miei comandamenti» [v.21: genitivo soggettivo] è un’espressione teologica che designa la stessa Persona del Risorto in atto.
‘Persona’ dispiegata nella storia degli uomini grazie al suo Corpo mistico: il variegato Popolo di Dio, la cui poliedricità è valore aggiunto - non limite o contaminazione della purezza.
Beninteso, l’Amore è l’unica realtà che non si può “comandare”.
Ma Gesù lo designa e propugna tale per sottolineare il distacco dal Patto del Sinai, che riassume eppur sostituisce.
La forma plurale «comandamenti» riconosce il ventaglio delle svariate forme di scambievolezza e personalizzazione dell’amore.
Nessun orientamento, dottrina, codice, potrà mai superarlo, o viceversa renderlo paludoso.
Nei Vangeli si parla di amore non in termini di sentimento [di emozione soggetta a flessioni, o che si regola sulla base delle perfezioni dell’amato] ma come azione reale, gesto che fa sentire l’altro libero e adeguato.
Il Popolo di Dio riflette Cristo nella misura in cui sviluppa il proprio destino vivendo totalmente di dono, risposta, scambio, e sovrabbondare nella Gratuità.
Tutto ciò in modo vieppiù inedito per ciascuna persona, per ogni situazione micro e macro-relazionale, età della vita, caratteristiche, tipologia di difetti, o paradigma culturale vigente.
Insomma, il Signore non gradisce che c’innalziamo staccandoci dalla terra e dai fratelli: l’onore dovuto al Padre è quello che porgiamo ai suoi figli.
Quindi non c’è bisogno di sollevarsi per vie di osservanza ascetica [“salire” come al piano superiore: l’ascensore è solo discendente].
È Lui che si rivela, proponendosi a noi: questa la sua letizia.
Viene giù dal “cielo”.
Si manifesta in noi stessi e dentro le pieghe della storia, palesando il desiderio di fondersi con la nostra vita (v.21) per accrescerla, completarla, e potenziarne le capacità [in termini qualitativi].
Gli Apostoli, condizionati dalla mentalità religiosa convenzionale - tutta passerelle - s’interrogano circa l’atteggiamento di Gesù, modesto e poco incline allo spettacolo (v.22).
Non accettano un Messia che non s’imponga all’attenzione di tutti, non stupisca il mondo, non urli proclami da forsennato.
Il Maestro preferisce che nella sua Parola riconosciamo una corrispondenza attiva con il desiderio di vita integrale che portiamo dentro (vv.23-24).
Tale Logos-evento va assunto nell’essere, quale Richiamo distinto dai luoghi comuni del pensiero diffuso, conformista, altrui.
In detto Appello si annida infatti una simpatia, un’intesa, una freccia, una vigoria efficiente e creatrice, che si rende Fuoco e solidità di Presenza personale, a partire dall’interno - al contempo fievole e squillante.
Nella cultura forense antica, «Paraclito» (v.26) era detto il personaggio eminente dell’assemblea - oggi diremmo una sorta di avvocato - che senza nulla dire si poneva accanto per giustificare l’imputato.
[Quest’ultimo poteva essere colpevole, ma meritevole di perdono; però aveva bisogno di una sorta di pubblico garante che ne garantisse la sorte. Ovvero poteva essere innocente, ma impossibilitato o incapace di trovare testimoni a suo favore che lo scagionassero…]
Tale attributo dello Spirito allude a un’intensità, intimo fondamento e reciprocità di Relazione silenziosa che si fa Persona, e sa dove andare.
Compagno che approva; che conduce il cuore, il carattere, la vita stessa, non alla gogna, bensì alla piena fioritura di noi stessi.
Grazie al Suo sostegno non c’incantiamo di ruoli altisonanti, parole forti; formule, impressioni, sentimenti tumultuosi: entriamo nella profondità esigente, compiuta, dell’Amore.
Allarghiamo il campo. Accogliamo una immagine guida diversa, che incalza e coglie di sorpresa, ma sottilmente. Essa non rinfaccia, né ci sgrida.
Esperienza che avviene senza terremoti, tuoni e folgori - parziali - ma attraverso l’azione dello Spirito che interiorizza, accompagna, nutre, rende aggiornata e viva l’interpretazione della Parola (v.26).
Il Messaggio dei Vangeli ha una radice generatrice che non può ridursi a un’esperienza unilaterale e ingombrante; tutta codificata e moralista ma vuota come nelle situazioni settarie, sempre in lotta con se stesse e il mondo.
Avventurandosi nel proprio Esodo, ciascuno scopre risorse celate e un amplificarsi di prospettive che dilatano e completano l’essere, allargando l’esperienza del carattere vocazionale che gli corrisponde.
Tra vita in cammino e Parola di Dio - regola d’oro che infonde autostima - si accende una comprensione impredicibile, versatile, eclettica, non a senso unico, la quale travalica le concatenazioni identitarie.
Nella sua portata, il Richiamo rimane identico, ma nel tempo espande la consapevolezza delle sue sfaccettature - appunto, integrandole.
Espressività ricche e non già ratificate, Creatore e creatura non si esternano autenticamente in modo fisso, sancito, e in riferimento a un codice dottrina-disciplina, ma nella libertà eccedente della vita.
Anche oggi, al soverchiare dei nuovi bisogni e quesiti, si affaccia un sovrabbondare appropriato di nuove risposte - finalmente anche da parte del Magistero.
Plausibili nell’avventura di Fede, ma che farebbero impazzire ogni religione esterna.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Riconosci l’Opera dello Spirito o la rifiuti come una seccatura? Cosa ti colpisce del nuovo Magistero?
Ritrovi questa impostazione nell’Annuncio, nella Catechesi, nell’Animazione, nella Pastorale e nel tuo stesso Cammino?
Pace o tregua: l’Annuncio imperativo
(Gv 14,27-31)
I popoli semiti si auguravano la Pace nei loro incontri e commiati. Il tradizionale augurio di pace era anche greco.
Tuttavia nel Vangelo detto cenno, auspicio, o congedo, viene assunto e reinterpretato in ordine all’imperativo dell’Annuncio apostolico.
Lo Shalôm di Cristo è una sorta di emancipazione dalle umiliazioni della religione, e dai rifiuti subiti nel ministero terreno.
Diventa una parola distintiva, che designa la proprietà della Presenza divina messianica, fuori e dentro di noi.
Emblema epifanico, trasmette a ciascuno la felicità personale, riservata, del favore divino, per la crescita di tutti.
Non un premio meritato per le fatiche, né un presagio, bensì un Dono personale; non condizionante.
Proposta gratuita, dell’adesso, che si fa eccedente nel cammino. Passaggio cosmico e acutamente intimo.
Pienezza di essere e totalità senza confini, di Vita, che ci segna - ma nel senso di superamento delle aspettative.
La prosperità mondana e religiosa [in senso antico] si somigliano: opulenza che non nasce dalla Fede-amore.
Sembra una ricompensa per i servizi prestati, ovvero un ricatto per quelli attesi. Una potenza funesta.
Una sorta di beatitudine a mercimonio e sotto “giusto proposito”.
Dai lineamenti ambigui a tutti i livelli di relazione: con Dio, la comunità, il Tu e persino l’io.
Non è confronto ri-creativo con la Croce, che balza su.
Il «Vado e Vengo da voi» (v.28) è una endiadi semitica: due affermazioni unite, che si riferiscono al medesimo accadimento [generativo, vitale] di morte e vita completa, il quale crea una nuova situazione.
L’espressione-evento non è tale da farsi soggetta a condizioni.
Termina l’arco del ministero terreno del Signore; si accende un’Alleanza.
Tempo della Parola e dell’azione diffuse, con risultati complessivi di nuovi padri e madri, nuova Creazione.
Insomma, la Pace di Gesù non è uno stato, bensì un rapporto.
Piena attuazione dell’umano - condizione non più equilibrista, secondo convenzioni.
Piuttosto, adempimento ricalibrato sulla misura del Cristo in Persona, nell’Ora della Nascita.
Sulla bocca di Gesù, «Shalôm» [eccellenza e superamento delle benedizioni antiche] assume i lineamenti del significato proprio, messianico.
Presenza di ‘unzione’. Discrimine dei Vangeli e Annuncio essenziale (cf. Lc 10,5).
Ampiezza di ben-essere: senza questo prezioso codice di lettura la Parola del Signore resta incomprensibile, e la Missione cui siamo inviati diventa preda di ossessioni, le più sciatte, inautentiche.
Nei territori dell’impero la Pax Romana aveva tratti trionfalistici - era sinonimo di violenza, competizione, repressione di ribelli.
Come tregua armata, si faceva garante d’una economia prospera, ma assicurata nella sua dimensione sociale solo dalle disuguaglianze, in specie da una vasta base di schiavi.
La Pace che Gesù introduce non è un augurio qualunque, di migliorie normali attese; piuttosto, la trasmissione della sua stessa Persona.
Tale propensione, vicenda e Amicizia senza prezzo ci stimola a un riordinamento, riconfigurazione, riorganizzazione completa di tutta la vita.
E spesso la butta all’aria, onde speronarne il quietismo di circostanza.
Nel nostro linguaggio, parleremmo forse di Felicità e nuovo ordine e assetto pubblico.
Essendo il desiderio segreto di ciascuno, nessuna difficoltà potrà spegnerne la promessa e potenza di realizzazione (v.30).
Shalôm è pienezza di esistenza salvata, “successo” nel nostro cammino di fioritura attraverso mille imprese.
Shalôm è perfezione e gioia completa, compimento dei desideri.
Vittoria del Patto fra Dio e il popolo. Sintonia e comunione senza fine tra impulso innato della nostra essenza particolare e compimento delle speranze.
Successo dell’Alleanza fra spinta dell’anima e conquiste evolutive sperimentate nella vita reale.
Shalôm [attuazione piena dell’umanità che ritrova se stessa] indica totalità vitale e compiuta di ogni aspirazione.
Qualità di rapporti nuovi che ne scaturiscono: il bene supremo d’una Presenza in atto. Affidata a noi.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
La tua Pace è solco, cammino inconfondibile, eco di Cristo, o fiducia vuota - un’esenzione dalla lotta?
E la tua testimonianza per stabilire Dio sulla terra in cos’è concorrenziale, provocatoria, rinnovata, vivente?
Non siamo soli!
Il Vangelo di oggi ci riporta al Cenacolo. Durante l’Ultima Cena, prima di affrontare la passione e la morte sulla croce, Gesù promette agli Apostoli il dono dello Spirito Santo, che avrà il compito di insegnare e di ricordare le sue parole alla comunità dei discepoli. Lo dice Gesù stesso: «Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26). Insegnare e ricordare. E questo è quello che fa lo Spirito Santo nei nostri cuori.
Nel momento in cui sta per fare ritorno al Padre, Gesù preannuncia la venuta dello Spirito che anzitutto insegnerà ai discepoli a comprendere sempre più pienamente il Vangelo, ad accoglierlo nella loro esistenza e a renderlo vivo e operante con la testimonianza. Mentre sta per affidare agli Apostoli – che vuol dire appunto “inviati” – la missione di portare l’annuncio del Vangelo in tutto il mondo, Gesù promette che non rimarranno soli: sarà con loro lo Spirito Santo, il Paraclito, che si porrà accanto ad essi, anzi, sarà in essi, per difenderli e sostenerli. Gesù ritorna al Padre ma continua ad accompagnare e ammaestrare i suoi discepoli mediante il dono dello Spirito Santo.
Il secondo aspetto della missione dello Spirito Santo consiste nell’aiutare gli Apostoli a ricordare le parole di Gesù. Lo Spirito ha il compito di risvegliare la memoria, ricordare le parole di Gesù. Il divino Maestro ha già comunicato tutto quello che intendeva affidare agli Apostoli: con Lui, Verbo incarnato, la rivelazione è completa. Lo Spirito farà ricordare gli insegnamenti di Gesù nelle diverse circostanze concrete della vita, per poterli mettere in pratica. È proprio ciò che avviene ancora oggi nella Chiesa, guidata dalla luce e dalla forza dello Spirito Santo, perché possa portare a tutti il dono della salvezza, cioè l’amore e la misericordia di Dio. Per esempio, quando voi leggete tutti i giorni – come vi ho consigliato – un brano, un passo del Vangelo, chiedere allo Spirito Santo: “Che io capisca e che io ricordi queste parole di Gesù”. E poi leggere il passo, tutti i giorni… Ma prima quella preghiera allo Spirito, che è nel nostro cuore: “Che io ricordi e che io capisca”.
Noi non siamo soli: Gesù è vicino a noi, in mezzo a noi, dentro di noi! La sua nuova presenza nella storia avviene mediante il dono dello Spirito Santo, per mezzo del quale è possibile instaurare un rapporto vivo con Lui, il Crocifisso Risorto. Lo Spirito, effuso in noi con i sacramenti del Battesimo e della Cresima, agisce nella nostra vita. Lui ci guida nel modo di pensare, di agire, di distinguere che cosa è bene e che cosa è male; ci aiuta a praticare la carità di Gesù, il suo donarsi agli altri, specialmente ai più bisognosi.
Non siamo soli! E il segno della presenza dello Spirito Santo è anche la pace che Gesù dona ai suoi discepoli: «Vi do la mia pace» (v. 27). Essa è diversa da quella che gli uomini si augurano o tentano di realizzare. La pace di Gesù sgorga dalla vittoria sul peccato, sull’egoismo che ci impedisce di amarci come fratelli. E’ dono di Dio e segno della sua presenza. Ogni discepolo, chiamato oggi a seguire Gesù portando la croce, riceve in sé la pace del Crocifisso Risorto nella certezza della sua vittoria e nell’attesa della sua venuta definitiva.
La Vergine Maria ci aiuti ad accogliere con docilità lo Spirito Santo come Maestro interiore e come Memoria viva di Cristo nel cammino quotidiano.
(Papa Francesco, Regina Coeli 1 maggio 2016)
Considero un dono speciale della Provvidenza che questa Santa Messa venga celebrata in questo tempo e in questo luogo. Il tempo è quello liturgico di Pasqua, giunto alla sesta Domenica: è ormai vicina la Pentecoste, e la Chiesa è invitata ad intensificare l’invocazione allo Spirito Santo. Il luogo è il Santuario nazionale di Nostra Signora Aparecida, cuore mariano del Brasile: Maria ci accoglie in questo Cenacolo e, quale Madre e Maestra, ci aiuta ad elevare a Dio una preghiera unanime e fiduciosa. Questa celebrazione liturgica costituisce il fondamento più solido della V Conferenza, perché pone alla sua base la preghiera e l’Eucaristia, Sacramentum caritatis. In effetti, solo la carità di Cristo, effusa dallo Spirito Santo, può fare di questa riunione un autentico evento ecclesiale, un momento di grazia per questo Continente e per il mondo intero. Oggi pomeriggio avrò la possibilità di entrare nel merito dei contenuti suggeriti dal tema della vostra Conferenza. Ora lasciamo spazio alla Parola di Dio, che abbiamo la gioia di accogliere insieme sul modello di Maria, Nostra Signora della Concezione, con cuore aperto e docile affinché, per la potenza dello Spirito Santo, Cristo possa nuovamente “prendere carne” nell’oggi della nostra storia.
La prima Lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, fa riferimento al cosiddetto “concilio di Gerusalemme”, che affrontò la questione se ai pagani diventati cristiani si dovesse imporre l’osservanza della legge mosaica. Il testo, saltando la discussione tra “gli apostoli e gli anziani” (vv. 4-21), riporta la decisione finale, che viene messa per iscritto in una lettera e affidata a due delegati, perché la rechino alla comunità di Antiochia (vv. 22-29). Questa pagina degli Atti è molto appropriata per noi, che pure siamo qui convenuti per una riunione ecclesiale. Ci richiama il senso del discernimento comunitario intorno alle grandi problematiche che la Chiesa incontra lungo il suo cammino e che vengono chiarite dagli “apostoli” e dagli “anziani” con la luce dello Spirito Santo, il quale, come dice il Vangelo odierno, ricorda l’insegnamento di Gesù Cristo (cfr Gv 14,26) e così aiuta la comunità cristiana a camminare nella carità verso la piena verità (cfr Gv 16,13). I capi della Chiesa discutono e si confrontano, ma sempre in atteggiamento di religioso ascolto della Parola di Cristo nello Spirito Santo. Perciò alla fine possono affermare: “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi…” (At 15,28).
Questo è il “metodo” con cui operiamo nella Chiesa, nelle piccole come nelle grandi assemblee. Non è solo una questione di procedura; è il riflesso della natura stessa della Chiesa, mistero di comunione con Cristo nello Spirito Santo. Nel caso delle Conferenze Generali dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, la prima, quella del 1955 a Rio de Janeiro, si avvalse di una speciale Lettera inviata dal Papa Pio XII, di venerata memoria; nelle successive, fino all’attuale, è stato il Vescovo di Roma a raggiungere la sede della riunione continentale per presiederne le fasi iniziali. Con devota riconoscenza rivolgiamo il nostro pensiero ai Servi di Dio Paolo VI e Giovanni Paolo II, che alle Conferenze di Medellín, Puebla e Santo Domingo hanno portato la testimonianza della vicinanza della Chiesa universale alle Chiese che sono in America Latina e che costituiscono, in proporzione, la maggior parte della Comunità cattolica.
“Lo Spirito Santo e noi”. Questo è la Chiesa: noi, la comunità credente, il Popolo di Dio, con i suoi Pastori chiamati a guidarne il cammino; insieme con lo Spirito Santo, Spirito del Padre mandato nel nome del Figlio Gesù, Spirito di Colui che è “più grande” di tutti e che ci è dato mediante Cristo, fattosi “piccolo” per noi. Spirito Paraclito, Ad-vocatus, Difensore e Consolatore. Egli ci fa vivere alla presenza di Dio, nell’ascolto della sua Parola, liberi dal turbamento e dal timore, con nel cuore la pace che Gesù ci ha lasciato e che il mondo non può dare (cfr Gv 14,26-27). Lo Spirito accompagna la Chiesa nel lungo cammino che si distende tra la prima e la seconda venuta di Cristo: “Vado e tornerò a voi” (Gv 14,28), disse Gesù agli Apostoli. Tra l’“andata” e il “ritorno” di Cristo c’è il tempo della Chiesa, che è il suo Corpo; ci sono i duemila anni finora trascorsi; ci sono anche questi cinque secoli e più in cui la Chiesa si è fatta pellegrina nelle Americhe, diffondendo nei credenti la vita di Cristo attraverso i Sacramenti e spargendo in queste terre il buon seme del Vangelo, che ha reso dove il trenta, dove il sessanta e dove il cento per uno. Tempo della Chiesa, tempo dello Spirito: è Lui il Maestro che forma i discepoli: li fa innamorare di Gesù; li educa all’ascolto della sua Parola, alla contemplazione del suo Volto; li conforma alla sua Umanità beata, povera in spirito, afflitta, mite, affamata di giustizia, misericordiosa, pura di cuore, operatrice di pace, perseguitata per la giustizia (cfr Mt 5,3-10). Così, grazie all’azione dello Spirito Santo, Gesù diventa la “Via” sulla quale il discepolo cammina. “Se uno mi ama osserverà la mia parola”, dice Gesù all’inizio del brano evangelico odierno. “La parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato” (Gv 14,23-24). Come Gesù trasmette le parole del Padre, così lo Spirito ricorda alla Chiesa le parole di Cristo (cfr Gv 14,26). E come l’amore per il Padre portava Gesù a cibarsi della sua volontà, così il nostro amore per Gesù si dimostra nell’obbedienza alle sue parole. La fedeltà di Gesù alla volontà del Padre può comunicarsi ai discepoli grazie allo Spirito Santo, che riversa l’amore di Dio nei loro cuori (cfr Rm 5,5).
Il Nuovo Testamento ci presenta Cristo come missionario del Padre. Specialmente nel Vangelo di Giovanni, tante volte Gesù parla di sé in relazione al Padre che lo ha inviato nel mondo. Così, anche nel testo di oggi, Gesù dice: “la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato” (Gv 14,24). In questo momento, cari amici, siamo invitati a fissare lo sguardo su di Lui, perché la missione della Chiesa sussiste solo in quanto prolungamento di quella di Cristo: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20,21). E l’evangelista mette in risalto, anche plasticamente, che questo passaggio di consegne avviene nello Spirito Santo: “Alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo…»” (Gv 20,22). La missione di Cristo si è compiuta nell’amore. Egli ha acceso nel mondo il fuoco della carità di Dio (cfr Lc 12,49). E’ l’Amore che dà la vita: per questo la Chiesa è inviata a diffondere nel mondo la carità di Cristo, perché gli uomini e i popoli “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Anche a voi, che rappresentate la Chiesa in America Latina, ho la gioia di riconsegnare oggi idealmente la mia Enciclica Deus caritas est, con la quale ho voluto indicare a tutti ciò che è essenziale nel messaggio cristiano. La Chiesa si sente discepola e missionaria di questo Amore: missionaria solo in quanto discepola, cioè capace di lasciarsi sempre attrarre con rinnovato stupore da Dio, che ci ha amati e ci ama per primo (cfr 1 Gv 4,10). La Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per “attrazione”: come Cristo “attira tutti a sé” con la forza del suo amore, culminato nel sacrificio della Croce, così la Chiesa compie la sua missione nella misura in cui, associata a Cristo, compie ogni sua opera in conformità spirituale e concreta alla carità del suo Signore.
Cari fratelli! Ecco il tesoro inestimabile di cui è ricco il Continente latinoamericano, ecco il suo patrimonio più prezioso: la fede in Dio Amore, che in Cristo Gesù ha rivelato il suo volto. Voi credete in Dio Amore: questa è la vostra forza, che vince il mondo, la gioia che nulla e nessuno potrà togliervi, la pace che Cristo vi ha conquistato con la sua Croce! E’ questa fede che ha fatto dell’America il “Continente della speranza”. Non un’ideologia politica, non un movimento sociale, non un sistema economico; è la fede in Dio Amore, incarnato, morto e risorto in Gesù Cristo, l’autentico fondamento di questa speranza che tanti frutti magnifici ha portato, dall’epoca della prima evangelizzazione fino ad oggi, come attesta la schiera di Santi e Beati che lo Spirito ha suscitato in ogni parte del Continente. Il Papa Giovanni Paolo II vi ha chiamato ad una nuova evangelizzazione, e voi avete accolto il suo mandato con la generosità e l’impegno che vi sono tipici. Io ve lo confermo e, con le parole di questa Quinta Conferenza, vi dico: siate fedeli discepoli, per essere coraggiosi ed efficaci missionari.
La seconda Lettura ci ha presentato la stupenda visione della Gerusalemme celeste. E’ un’immagine di splendida bellezza, in cui nulla è decorativo, ma tutto concorre alla perfetta armonia della Città santa. Scrive il veggente Giovanni che questa “scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio” (Ap 20,10). Ma la gloria di Dio è l’Amore; pertanto la Gerusalemme celeste è icona della Chiesa tutta santa e gloriosa, senza macchia né ruga (cfr Ef 5,27), irradiata al suo centro e in ogni sua parte dalla presenza di Dio Carità. E’ chiamata “sposa”, “la sposa dell’Agnello” (Ap 20,9), perché in essa trova compimento la figura nuziale che attraversa dal principio alla fine la rivelazione biblica. La Città-Sposa è patria della piena comunione di Dio con gli uomini; in essa non c’è bisogno di alcun tempio né di alcuna fonte esterna di luce, perché la presenza di Dio e dell’Agnello è immanente e la illumina dall’interno.
Questa stupenda icona ha valore escatologico: esprime il mistero di bellezza che già costituisce la forma della Chiesa, anche se non è ancora giunto alla sua pienezza. E’ la meta del nostro pellegrinaggio, la patria che ci attende e alla quale aneliamo. Vederla con gli occhi della fede, contemplarla e desiderarla, non deve costituire motivo di evasione dalla realtà storica in cui la Chiesa vive condividendo le gioie e le speranze, i dolori e le angosce dell’umanità contemporanea, specialmente dei più poveri e sofferenti (cfr Cost. Gaudium et spes, 1). Se la bellezza della Gerusalemme celeste è la gloria di Dio, cioè il suo amore, è proprio e solo nella carità che possiamo avvicinarci ad essa e in qualche misura già abitarvi. Chi ama il Signore Gesù e osserva la sua parola sperimenta già in questo mondo la misteriosa presenza di Dio Uno e Trino, come abbiamo sentito nel Vangelo: “Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Ogni cristiano, perciò, è chiamato a diventare pietra viva di questa stupenda “dimora di Dio con gli uomini”. Che magnifica vocazione!
Una Chiesa tutta animata e mobilitata dalla carità di Cristo, Agnello immolato per amore, è l’immagine storica della Gerusalemme celeste, l’anticipo della Città santa, splendente della gloria di Dio. Essa sprigiona una forza missionaria irresistibile, che è la forza della santità. La Vergine Maria ottenga alla Chiesa in America Latina e nei Caraibi di essere abbondantemente rivestita di potenza dall’alto (cfr Lc 24,49) per irradiare nel Continente e in tutto il mondo la santità di Cristo. A Lui sia gloria, con il Padre e lo Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.
[Papa Benedetto, omelia Aparecida 13 maggio 2007]
1. Abbiamo accennato più volte, nelle precedenti catechesi, all’intervento dello Spirito Santo nella origine della Chiesa. È bene che ora dedichiamo una speciale catechesi a questo tema così bello e importante.
È Gesù stesso che prima di salire al Cielo dice agli Apostoli: “Io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siete rivestiti di potenza dall’alto” (Lc 24, 49). Gesù intende preparare direttamente gli Apostoli al compimento della “promessa del Padre”. L’evangelista Luca ripete la stessa ultima raccomandazione del Maestro anche nei primi versetti degli Atti degli Apostoli: “Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre” (At 1, 4).
Durante tutta la sua attività messianica, Gesù, predicando sul Regno di Dio, preparava “il tempo della Chiesa”, che doveva aver inizio dopo la sua dipartita. Quando questa era ormai vicina, egli annunziò che era prossimo il giorno in cui questo tempo doveva iniziare (cf. At 1, 5), cioè il giorno della discesa dello Spirito Santo. E spaziando con lo sguardo sul futuro, aggiungeva: “Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria fino agli estremi confini della terra” (At 1, 8).
2. Quando venne il giorno della Pentecoste, gli Apostoli, i quali insieme alla Madre del Signore erano raccolti in preghiera, ebbero la dimostrazione che Gesù Cristo agiva in conformità con quello che aveva annunziato: cioè che si stava adempiendo “la promessa del Padre”. Lo proclamò il primo tra gli Apostoli, Simon Pietro, parlando all’assemblea. Pietro parlò ricordando prima la morte in croce, e poi passò alla testimonianza della risurrezione e all’effusione dello Spirito Santo: “Questo Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso” (At 2, 32-33).
Pietro asserisce fin dal primo giorno che la “promessa del Padre” si compie come frutto della redenzione, perché è in virtù della sua croce e risurrezione che Cristo, il Figlio innalzato “alla destra di Dio”, manda lo Spirito, come aveva annunziato ancora prima della sua passione al momento dell’addio nel Cenacolo.
3. Lo Spirito Santo dava così inizio alla missione della Chiesa istituita per tutti gli uomini. Ma non possiamo dimenticare che lo Spirito Santo operava come “Dio ignoto” (cf. At 17, 23) anche prima della Pentecoste. Operava in modo particolare nell’antica Alleanza, illuminando e conducendo il popolo eletto sulla strada che portava la storia antica verso il Messia. Operava nei messaggi dei profeti e negli scritti di tutti gli autori ispirati. Operò soprattutto nell’incarnazione del Figlio, come testimoniano il Vangelo dell’annunciazione e la storia degli eventi successivi collegati alla venuta al mondo del Verbo eterno che aveva assunto la natura umana. Lo Spirito Santo operò nel Messia e intorno al Messia dal momento in cui Gesù diede inizio alla sua missione messianica in Israele, come risulta dai testi evangelici circa la teofania al momento del battesimo nel Giordano e le sue dichiarazioni nella sinagoga di Nazaret. Ma da quello stesso momento e lungo tutta la vita di Gesù si accentuava l’attesa e si rinnovavano le promesse di una futura, definitiva venuta dello Spirito Santo. Giovanni Battista legava la missione del Messia a un nuovo battesimo “nello Spirito Santo”. Gesù prometteva ai credenti in lui “fiumi di acqua viva”: promessa riportata dal Vangelo di Giovanni, che la spiega così: “Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui; infatti non c’era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato” (Gv 7, 39). Il giorno di Pentecoste Cristo, essendo stato ormai glorificato dopo il compimento finale della sua missione, fece sgorgare dal suo seno i “fiumi di acqua viva” ed effuse lo Spirito per riempire di vita divina gli Apostoli e tutti i credenti. Questi poterono così essere “battezzati in un solo Spirito” (cf. 1 Cor 12, 13). E fu l’inizio della crescita della Chiesa.
4. Come scrive il Concilio Vaticano II, “Cristo inviò da parte del Padre lo Spirito Santo, perché compisse dal di dentro la sua opera di salvezza e stimolasse la Chiesa a svilupparsi. Indubbiamente lo Spirito Santo operava nel mondo prima ancora che Cristo fosse glorificato. Ma fu nel giorno della Pentecoste che esso si diffuse sui discepoli, per rimanere con loro in eterno, e la Chiesa appariva ufficialmente di fronte alla moltitudine ed ebbe inizio attraverso la predicazione, la diffusione del Vangelo in mezzo ai pagani, e finalmente fu prefigurata l’unione dei popoli nell’universalità della fede attraverso la Chiesa della nuova Alleanza, che in tutte le lingue si esprime e tutte le lingue nell’amore intende e comprende, superando così la dispersione babelica” (Ad gentes, 4).
Il testo conciliare mette in rilievo in che cosa consiste l’azione dello Spirito Santo nella Chiesa, iniziando dal giorno della Pentecoste. Si tratta di un’azione salvifica, interiore, che nello stesso tempo si esprime all’esterno nel sorgere della comunità e istituzione di salvezza. Tale comunità - la comunità dei primi discepoli - è tutta pervasa dall’amore, che supera tutte le differenze e le divisioni di ordine terreno. Ne è segno l’evento pentecostale di una espressione di fede in Dio comprensibile a tutti, malgrado la diversità delle lingue. Ci attestano gli Atti degli Apostoli che la gente riunita intorno agli Apostoli, in quella prima manifestazione pubblica della Chiesa, diceva con meraviglia: “Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa” (At 2, 7-8).
5. La Chiesa appena nata in quel modo nel giorno della Pentecoste, per opera dello Spirito Santo, si manifesta immediatamente al mondo. Non è una comunità chiusa, ma aperta - si direbbe spalancata - verso tutte le nazioni “fino agli estremi confini della terra” (At 1, 8). Coloro che entrano in questa comunità, mediante il Battesimo, diventano in virtù dello Spirito Santo di verità testimoni della buona novella, pronti a trasmetterla agli altri. È dunque una comunità dinamica, apostolica: la Chiesa “in stato di missione”.
Lo Spirito Santo stesso per primo “rende testimonianza” a Cristo (cf. Gv 15, 26), e questa testimonianza pervade l’anima e il cuore di coloro che partecipano alla Pentecoste, che diventano a loro volta testimoni e annunciatori. Le “lingue come di fuoco” (At 2, 3) sopra la testa di ciascuno dei presenti costituiscono il segno esterno dell’entusiasmo acceso in loro dallo Spirito Santo. Questo entusiasmo si estende dagli Apostoli ai loro uditori, così come già il primo giorno dopo il discorso di Pietro “si unirono . . . circa tremila persone” (At 2, 41).
6. Tutto il libro degli Atti degli Apostoli è una grande descrizione dell’azione dello Spirito Santo agli inizi della Chiesa, la quale - come leggiamo - “cresceva e camminava nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito Santo” (At 9, 31). Si sa che non mancavano le difficoltà interne e le persecuzioni, e che si ebbero i primi martiri. Ma gli Apostoli avevano la certezza che era lo Spirito Santo a guidarli. Questa loro consapevolezza si sarebbe in qualche modo formalizzata nella sentenza conclusiva del concilio di Gerusalemme, le cui risoluzioni iniziano con le parole: “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi . . .” (At 15, 28). La comunità attestava in tal modo la propria coscienza di muoversi sotto l’azione dello Spirito Santo.
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 2 ottobre 1991]
Who touched Lydia's heart? The answer is: «the Holy Spirit». It’s He who made this woman feel that Jesus was Lord; He made this woman feel that salvation was in Paul's words; He made this woman feel a testimony (Pope Francis)
Chi ha toccato il cuore di Lidia? La risposta è: «lo Spirito Santo». È lui che ha fatto sentire a questa donna che Gesù era il Signore; ha fatto sentire a questa donna che la salvezza era nelle parole di Paolo; ha fatto sentire a questa donna una testimonianza (Papa Francesco)
While he is about to entrust to the Apostles — which in fact means “envoys” — the mission of taking the Gospel to all the world, Jesus promises that they will not be alone. The Holy Spirit, the Counselor, will be with them, and will be beside them, moreover, will be within them, to protect and support them. Jesus returns to the Father but continues to accompany and teach his disciples through the gift of the Holy Spirit (Pope Francis)
Mentre sta per affidare agli Apostoli – che vuol dire appunto “inviati” – la missione di portare l’annuncio del Vangelo in tutto il mondo, Gesù promette che non rimarranno soli: sarà con loro lo Spirito Santo, il Paraclito, che si porrà accanto ad essi, anzi, sarà in essi, per difenderli e sostenerli. Gesù ritorna al Padre ma continua ad accompagnare e ammaestrare i suoi discepoli mediante il dono dello Spirito Santo (Papa Francesco)
Jesus who is the teacher of love, who liked to talk about love so much, in this Gospel speaks of hate. Exactly of hate. But he liked to call things by the proper name they have (Pope Francis)
Gesù che è maestro dell’amore, al quale piaceva tanto parlare di amore, in questo Vangelo parla di odio. Proprio di odio. Ma a lui piaceva chiamare le cose con il nome proprio che hanno (Papa Francesco)
St Thomas Aquinas says this very succinctly when he writes: "The New Law is the grace of the Holy Spirit" (Summa Theologiae, I-IIae, q.106 a. 1). The New Law is not another commandment more difficult than the others: the New Law is a gift, the New Law is the presence of the Holy Spirit [Pope Benedict]
San Tommaso d’Aquino lo dice in modo molto preciso quando scrive: “La nuova legge è la grazia dello Spirito Santo” (Summa theologiae, I-IIae, q. 106, a. 1). La nuova legge non è un altro comando più difficile degli altri: la nuova legge è un dono, la nuova legge è la presenza dello Spirito Santo [Papa Benedetto]
Even after seeing his people's repeated unfaithfulness to the covenant, this God is still willing to offer his love, creating in man a new heart (John Paul II)
Anche dopo aver registrato nel suo popolo una ripetuta infedeltà all’alleanza, questo Dio è disposto ancora ad offrire il proprio amore, creando nell’uomo un cuore nuovo (Giovanni Paolo II)
«Abide in me, and I in you» (v. 4). This abiding is not a question of abiding passively, of “slumbering” in the Lord, letting oneself be lulled by life [Pope Francis]
«Rimanete in me e io in voi» (v. 4). Questo rimanere non è un rimanere passivo, un “addormentarsi” nel Signore, lasciandosi cullare dalla vita [Papa Francesco]
سَلامي أُعطيكُم – My peace I give to you! (Jn 14:27). This is the true revolution brought by Christ: that of love […] You will come to know inconceivable joy and fulfilment! To answer Christ’s call to each of us: that is the secret of true peace (Pope Benedict)
سَلامي أُعطيكُم [Vi do la mia pace!]. Qui è la vera rivoluzione portata da Cristo, quella dell'amore [...] Conoscerete una gioia ed una pienezza insospettate! Rispondere alla vocazione di Cristo su di sé: qui sta il segreto della vera pace (Papa Benedetto)
don Giuseppe Nespeca
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