«Il cielo e la terra passeranno, ma le mie Parole non passeranno»
(Dn 12,1-3; Sal 15; Eb 10,11-14.18; Mc 13,24-32)
Anche nell’era del progresso telematico il venir meno dei livelli economici e di numerose antiche sicurezze suscita confusione e apprensioni.
Se tutto sembra rimesso in forse, ci chiediamo: come rapportarsi con i fatti che allarmano, e in che modo coinvolgerci nella cronaca di un mondo sconvolto da rivolgimenti?
L’uomo antico protesta il pericolo di degrado, o abbassa il capo, umiliato.
L’uomo di Fede prende atto; non si abbatte. Piuttosto s’impegna a scorgere nelle pieghe della storia il genio del tempo.
Così affina il suo occhio interiore - e riconoscendo i nuovi guizzi di vita, alza lo sguardo.
Vuole il Tutto, non si accontenta del nulla monocromatico.
Al tempo di Gesù gli “apocalittici” nutrivano l’opinione che le vicende del mondo volgessero al peggio.
Una terra in cui gli agnelli sono destinati a soccombere di fronte alle belve non può che retrocedere verso una disunione crescente e il collasso sociale.
Ma da tale corruzione - e constatata l’incapacità dell’uomo - Dio avrebbe fatto sorgere cieli nuovi e terra nuova; per ciascuno una realtà propizia, rigogliosa, fiorente, governata direttamente dal Signore (unico di cui ci si può fidare).
In tale cornice si colloca l’incoraggiamento della prima Lettura: nessuna lacrima, nessun sacrificio svanirà; il nostro coinvolgimento - pur nella fatica o nella beffa - non è destinato a cadere nel vuoto.
Tutto ciò sarà anche frutto di una rinnovata consapevolezza: solo Dio umanizza la terra.
L’autore biblico trasmette questo messaggio attraverso l’icona di ‘Michele’, il cui nome in ebraico מִיכָאֵל [mì-chà-Él] sta a significare «Chi (è) come Dio?».
Domanda retorica per dire che nessuno è come Dio: nessun sostituto può rimpiazzarlo o eguagliarlo.
Quando l’Angelo avrà il sopravvento - ossia quando subentrerà detta coscienza - gli uomini comprenderanno in tutte le sue sfaccettature che solo l’Eterno rende vivibile il mondo.
Egli ci risolleva dal senso di contaminazione o qualunquismo che accompagna l’itinerario del credente.
E non solo non ci lasceremo prendere dal panico dei rovesci esterni, ma neppure da un’impressione d’indegnità legata alla percezione religiosa di peccato [cf. seconda Lettura].
Calamità, rivolgimenti, insicurezze, in Cristo saranno percepiti non come fatti allarmanti e affannosi - per il dramma d’un mondo agonizzante che ci trascinerebbe alla corruzione - ma come tempi e luoghi addirittura favorevoli alla soluzione dei veri problemi.
Un popolo trascinato da spinte caotiche sbaglia, ma l’uomo di Fede percepisce gli scompigli esterni quali opportunità grandi di crescita.
L’Apostolo non si fa prendere per il collo dalle doglie di un parto vitale.
Egli vive i disagi, trasformandoli in energia; plasmata in occasione di “terapia”, crescita, e ritorno all'essenziale.
Qui le sporgenze apparentemente avverse divengono motivo e motore di Esodo. Cammino che non può essere scalfito dall’angoscia d’imperfezione.
In tal guisa, sia l’uomo genericamente pio che la persona animata da Fede possono essere considerati madri e padri di Futuro…
Ma con una differenza sostanziale:
I putiferi della realtà sono un’occasione per scoprire nuovi punti di forza interiori.
Se l’abitudine ci ha soffocati, la Provvidenza “interviene” anche buttando tutto all’aria - perché ci vede aridi.
Per questo, l’autentico fedele è sempre un passo avanti e si diversifica dall’uomo pio unilaterale, devoto o sofisticato.
Egli mette sullo sfondo le nevrosi - e non aspetta Futuro, né lo delega… ma lo ‘legge’, lo anticipa, lo costruisce.
[33.a Domenica (anno B), 17 novembre 2024]