Lo scandalo dell’attesa
(Lc 18,1-8)
Negli anni 80 le comunità dell’Asia Minore subiscono persecuzione per il fatto che l’imperatore di Roma [il divo Domiziano] pretendeva farsi venerare.
L’istituzione religiosa ufficiale - servile e adulatrice - si adegua. I cristiani no - consapevoli della propria dignità e progetto di mondo alternativo.
Lc intende incoraggiare fedeli e comunità vittime di soprusi mettendo in evidenza come giungere alla disposizione più efficace, in grado d’intaccare i ricatti dell’allontanamento sociale.
Il ‘silenzio di Dio’ sugli abusi e il dominio dei prepotenti poneva quesiti e faceva avanzare riserve di fede.
Ma nella parabola, il giudice irresponsabile non è il Padre! L’ingiusto è un’icona che drammatizza la condizione in cui si vengono a trovare i discepoli privati del Maestro, in un mondo di astuti.
Ecco la «vedova»: la comunità dei nuovi ‘Anawim, poveri di Yahweh [nei Vangeli «ptōchôis»] ossia indifesi, esposti a soprusi - che hanno quale unica speranza il Signore.
Essi non restano alla scorza delle situazioni. Colgono i segni del nuovo Regno - di un’umanità alternativa - e li bramano.
Dice Lc: unico mezzo per ritrovarsi e non perdere la propria energia fondante è la Preghiera. Essa non è un ripiegamento (vv.3.7).
L’orazione dei figli è piuttosto un’azione in avanti. Una sorta di balzo che diventa magnetico e infine s’impadronisce con forza del suo desiderio profondo.
Un’appropriazione indebita. Come diceva s. Bernardo: «Quanto mi manca lo usurpo dal costato di Cristo».
Insomma, la preghiera cristiana ha il medesimo passo della Fede, e le sue poliedriche sfaccettature.
Quindi non ci pianta sul posto: diventa una Fonte che induce gesti temerari.
Perché? In certi momenti le cose cambiano. Nel “mondo”, solo per calcolo - ma detto questo, anche i più banali interessi muovono qualcosa (vv.4-5).
Vi sono aspetti del nostro Dialogo con Dio caratterizzati da tratti di assenso. Ma la parte “colorata” dell’orazione giunge quando si entra in clima sponsale - di ascolto, intuizione; anche di lotta e litigio personale.
Essi sfociano in una sorta di lettura del peso della propria vicenda, del genio del tempo e degli appigli per un’attualizzazione, che ci porta fuori dalla mediocrità: prendere o lasciare.
Insomma, l’orazione è un gesto concreto. Pone in contatto con una ‘visione’ che dona indicazioni. Vocazione a tutti i costi.
Una sorta di energia primordiale, che si riaffaccia per curare e dirigere situazioni.
Non solo è il grande strumento per non perdere la testa, e un mezzo per non scoraggiare.
Piuttosto, un’azione pungente e seccante, con effetto attrattivo - ‘calamita’.
Il nido dinamico, poco rassicurante, dell’orazione, ci riporta al Nucleo dell’essenza, al Sé eminente; nel regno della Chiamata per Nome.
Si fa Lettura e Intuizione che incontra gli stati profondi.
È in tale spostamento di sguardo e Visione che attualizziamo il futuro.
In tal guisa, la preghiera stessa ci guida alla realizzazione del nostro essere individuale e ministeriale-ecclesiale.
Essa infatti crea: pone d’improvviso (v.8) le condizioni calzanti, i momenti acuti della svolta - perché vive Altrove, e nella base dell’anima.
Scorge Dio nei solchi della storia, perciò attiva le energie del divenire: trascina la realtà, l’attira.
Sancisce e attualizza ciò che ‘viene’; interroga e smuove l’istituzione che tende a inaridire.
Col suo Timone, anche fra troppe nebbie solca i marosi delle tossine invecchianti, sorvola le angherie, dischioda il mondo e tutta la nostra vita.
[Sabato 32.a sett. T.O. 16 novembre 2024]