Dic 22, 2024 Scritto da 

Natale di Cristo

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga!

il 24 dicembre 2024 alle ore 19.00 avrà inizio ufficialmente il Giubileo 2025, con il rito di apertura della Porta Santa della Basilica Papale di San Pietro da parte del Santo Padre.  A seguire Francesco presiederà la celebrazione della Santa Messa nella notte del Natale del Signore all’interno della Basilica.  Ed ecco il commento dei testi biblici della messa di Natale: quella di Mezzanotte e quella del Giorno con i più cari e sentiti auguri per un santo Natale di Cristo.

 

Natale di Cristo 2024 Messa di Mezzanotte 

Prima Lettura dal Libro del profeta Isaia 9,1-6

*Un annuncio di salvezza

E’ uno splendido inno messianico dedicato all’Emanuele, il re-messia tanto sperato che viene illuminato con due immagini: la mietitura e la vittoria militare. Come spesso capita, per comprendere il messaggio del testo biblico che la liturgia ci propone, occorre considerarlo nel contesto e qui è bene leggere il versetto che precede questo passo di Isaia: “In un primo momento, il Signore ha coperto di vergogna il paese di Zabulon e il paese di Neftali; ma in seguito, ha coperto di gloria la via del mare, il paese oltre il Giordano e la Galilea delle genti” (Is 8,23). Possiamo così datare le parole del profeta e capire se risalgono al momento stesso degli eventi narrati, o al contrario, se sono state scritte posteriormente e così conoscere con certezza a quale contesto politico si riferisce (anche nel caso che il testo risalga a molto più tardi). In secondo luogo, come ogni parola profetica anche questa è un messaggio che Dio rivolge per ravvivare la speranza del popolo. Vediamo qual è il contesto storico: dopo Davide e Salomone che avevano governato sull’intero Israele, alla morte di Salomone nel 933 a.C., il cosiddetto scisma d’Israele diede origine a due regni spesso in conflitto: a nord, il regno di Israele con capitale Samaria e a sud il regno di Giuda, con capitale Gerusalemme, discendente diretto di Davide e considerato il legittimo portatore delle promesse divine. Isaia predicava nel regno del Sud, ma Zabulon, Neftali, la via del mare, il paese oltre il Giordano e la Galilea sono tutti luoghi del regno del Nord, tutte region conquistate dal re assiro Tiglat-Pileser III nel 732 a.C. Nel 721 a.C., anche la capitale Samaria fu annessa ed ebbe inizio la dominazione assira e poi quella babilonese. E’ in questo quadro che Isaia prevede un cambiamento radicale annunciando che le terre umiliate vedranno la gloria: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa, una luce rifulse”. Il popolo che abitava in terra tenebrosa fa pensare ai molti deportati in Babilonia spesso accecati dai dominatori. Il regno del Sud, con capitale Gerusalemme, non restava indifferente difronte agli eventi del Nord sia perché temeva d’essere occupato e soprattutto perché grande era il desiderio della riunificazione per ricondurre Israele all’unità sotto il trono davidico. Per questo l’arrivo di un nuovo re veniva considerato come l’alba di un nuovo giorno: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio… sarà chiamato Principe della Pace”. Queste espressioni fanno parte del rituale di consacrazione del nuovo re e Isaia afferma con certezza che Dio non abbandonerà il suo popolo alla schiavitù, perché la sua fedeltà è incrollabile e non può rinnegare sé stesso.  Aggiunge: “Perché tu hai spezzato il giogo che lo opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino come nel giorno di Madian”. Madian e i Madianiti: il profeta assicura che Dio interverrà per liberare il suo popolo, e cita come esempio la vittoria di Gedeone sui Madianiti quando in piena notte con 300 uomini armati solo di trombe, torce e brocche di terracotta e soprattutto della fede in Dio, sconfisse un esercito immensamente più numeroso (Giudici 7). Chiaro quindi il messaggio del profeta: Non avere paura piccolo gregge perché è nelle tenebre che bisogna credere alla luce. Malgrado le difficoltà che continuano a segnare questi tempi, Isaia invitava a tenere desta la speranza, basata sulla certezza che il Signore, come in passato, non viene mai meno al suo progetto d’amore per l’intera umanità. E proprio allora, quando Isaia formulava tale promessa, il giovane re Achaz di Gerusalemme aveva sacrificato suo figlio, l’erede al trono, a un idolo per paura della guerra. La discendenza davidica sembrava ormai destinata a estinguersi ed è in tale momento che Isaia ridesta la fiducia dicendo che un nuovo erede verrà donato visto che nulla può scoraggiare la fedeltà di Dio il quale realizza ogni sua promessa. Questa certezza riposa sulla memoria di quanto Dio ha fatto per il suo popolo. A tal proposito basta ricordare che Mosè rinnovava spesso a Israele l’invito a “non dimenticare” le meraviglie del Signore perché quando viene meno la nostra fiducia siamo noi che perdiamo.  E pure Isaia aveva detto al re Achaz: “se non credete, non potete resistere” (Is 7,9). Ogni tempo ha la sua dose di prove e sofferenze, di tenebre e sventure, ma essere convinti che Dio non viene meno alla sua parola è sempre profezia di vittoria e, per quanto grandi le difficoltà nelle nostre famiglie e comunità, la sfida è mantenere viva la speranza: Dio non rinuncia né abbandona il suo progetto di amore per tutti. 

 

Salmo responsoriale 95/96)

*Proclamare la buona novella sui tetti 

Peccato che oggi la liturgia prevede solo sette versetti di questo meraviglioso salmo 95/96, che andrebbe letto intero perché invita all’entusiasmo e alla gioia, e perché in un tempo di grandi difficoltà viene cantato nel Tempio di Gerusalemme. E’ un salmo che comunica il vigore della fede, anzi della speranza; in altre parole la gioia che nasce dalla fede e la speranza che fa credere certo pure ciò che non si possiede. Siamo così proiettati già alla fine del mondo, quando l’umanità tutta intera riconoscerà Dio come l’unico vero Dio e riporrà la sua fiducia solo in Lui. Occorre immaginare con la fantasia la scena che il salmo descrive: a Gerusalemme, anzi nel Tempio s’affollano le nazioni, le razze del mondo, l’esplanade è gremita di teste osannanti che invadono persino i gradini del cortile del Tempio. Ormai Gerusalemme non basta più e dovunque guardi vedi continuare ad arrivare gente d’ogni parte del pianeta. E’ una sinfonia di voci che canta: “Il Signore regna!”, n’ovazione incredibile simile alla gioia per l’incoronazione di un nuovo re. Ora però non è il popolo d’Israele che acclama il suo re, bensì l’intera umanità che gioisce per il suo vero Re: freme di gioia la terra, i mari si uniscono alla sinfonia e gli alberi danzano con le campagne tutte in festa. Si capirà allora che gli uomini si sono lasciati ingannare per lungo tempo, hanno abbandonato il vero Dio per far ricorso agli idoli e che la lotta dei profeti è sempre stata contro l’idolatria. Apparirà allora incredibile che gli uomini abbiano impiegato così tanto tempo per riconoscere il loro Creatore, il loro Padre malgrado cento volte sia risuonato il grido: il Signore è “terribile sopra tutti gli dèi”, è Lui, il Signore e nessun altro ha fatto i cieli. Finalmente  arriverà il momento della festa: a Gerusalemme si accorrerà per acclamare Dio avendo ascoltata la buona notizia proclamata per secoli:  “giorno dopo giorno Israele ha proclamato la sua salvezza” , ha raccontato l’opera di Dio, le sue meraviglie, cioè la sua incessante opera di liberazione; giorno dopo giorno ha testimoniato che Dio l’ha liberato dall’Egitto e da ogni forma di schiavitù: la più terribile delle schiavitù è riporre la propria fiducia in falsi valori, in falsi dèi, negli idoli che possono solo deludere. A Israele tocca 

 la sorte e lo traordinario onore di annunciare che Il Signore nostro Dio, l’Eterno, è l’unico Dio, come recita lo Shema Israel: “Ascolta, Israele: il Signore nostro Dio è l’unico Signore”. Il salmo fa riferimento alla vocazione di Israele, già evocata nel libro del Deuteronomio: “Tu sei stato testimone di queste cose, perché tu riconosca che il Signore è Dio: non ce n’è altri fuori di lui ”(Dt 4,35)  e arriva il tempo in cui questa notizia sorprendente  è ascoltata fino ai confini della terra… e tutti accorrono per entrare nella Casa del Padre di tutti. Siamo qui in piena anticipazione! In attesa che questo sogno si realizzi, il popolo d’Israele fa risuonare questo salmo per rinnovare la sua fede e la sua speranza, e  per attingere la forza necessaria a far sentire la buona notizia di cui è depositario.

 

Seconda Lettura dalla Lettera di san Paolo apostolo a Tito (2, 11-14). Questa lettura è presente anche nella Messa dell’aurora (3, 4-7 ).

 *Il battesimo c’immerge nella Grazia di Dio 

La lettera a Tito contiene i consigli che Paolo, fondatore della comunità, dispensa a Tito che ne assume la responsabilità. Per ragioni di stile e persino di cronologia, molti esperti delle lettere paoline ritengono che la lettera a Tito, come le due a Timoteo, siano state scritte solo alla fine del I secolo, circa trent’anni dopo la morte dell’apostolo, seguendo il suo pensiero e per sostenerne l’opera. In mancanza di certezze, si continua a parlare di san Paolo come l’autore della lettera di cui risulta utile conoscere a chi è diretta: sono gli abitanti di Creta, i Cretesi, che avevano una pessima reputazione al tempo di Paolo, come li descriveva Epimenide di Cnosso,un poeta locale già nel VI secolo a.C.: “Cretesi, bugiardi perenni, bestie malvagie, ventri oziosi”. E Paolo, citandolo, conferma: “Questa testimonianza è vera!”. Tuttavia, fu proprio ai Cretesi pieni di difetti che Paolo annunciò il vangelo  e questo non fu facile. Lasciò poi a Tito, rimasto sul posto, il compito di organizzare la giovane comunità cristiana.  Indipendentemente dall’epoca in cui la lettera fu scritta, appare chiaro che le difficoltà dei Cretesi persistevano. La lettera a Tito è molto breve, solo tre pagine di cui leggiamo nella messa della Notte la fine del capitolo 2, mentre l’inizio del capitolo 3 è proposto per la Messa dell’Aurora e l’intero brano per la Festa del Battesimo del Signore, anno C. Tutto ciò che precede e segue questo brano consiste in pratiche raccomandazioni dirette ai membri della comunità: anziani e giovani, uomini e donne, padroni e schiavi compresi i responsabili ai quali raccomanda di essere irreprensibili: “Bisogna che il vescovo sia irreprensibile come amministratore di Dio: non arrogante, non violento, non avaro di guadagni illeciti. Deve essere ospitale, amante del bene, ponderato, giusto, santo, padrone di sé, saldo nella Parola”. Insomma non è difficile capire che c’è da lavorare parecchio e da buon pedagogo san Paolo non si azzarda a dare consigli superflui. Da tenere ben presente il legame tra i consigli di ordine morale che dispensa e il passaggio che ci interessa oggi, che è un’esposizione teologica sul mistero della fede. Il messaggio è chiaro: Per Paolo, è il Battesimo che ci rende uomini nuovi e tutti i consigli che dispensa sono giustificati con la sola ragione che “apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro e il suo amore per gli uomini”.  Anzi il testo biblico inizia in realtà con “quando” e qualche edizione pone “perché”. Quindi: “quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia”. In altre parole, comportatevi bene, perché la grazia di Dio si è manifestata per la salvezza di tutti gli uomini. Questo significa che la morale cristiana si radica nell’evento centrale della storia del mondo: la nascita di Cristo. Quando Paolo scrive: “è apparsa la grazia di Dio che porta salvezza a tutti gli uomini” vuol dire che Dio si è fatto uomo. E da quel momento, il nostro modo di essere uomini è trasformato “con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo” (3,5). Da quel momento, tutto è cambiato e di conseguenza anche il nostro comportamento deve mutare e occorre lasciarci trasformare perché il mondo attende la nostra testimonianza. Non si tratta di  conquistare dei meriti (egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia), ma testimoniare con la vita che Dio vuole la salvezza di tutta l’umanità anche attraverso di noi: “apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro e il suo amore per gli uomini”. Il progetto di Dio, previsto dall’eternità, prevede il riunirsi di tutti attorno a Gesù Cristo sì da diventare una cosa sola con Lui, superando le divisioni, le rivalità, gli odi, facendo di tutti noi in lui un unico uomo. Sicuramente resta ancora un lungo cammino da percorrere e per molti si tratta di un’utopia, ma come credenti sappiamo che ogni promessa di Dio è una certezza. Paolo lo dice chiaramente: “nell’attesa  della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo” , e l’uso del verbo attendere indica la convinzione che presto o tardi succederà.  Nella celebrazione eucaristica il sacerdote lo ripete dopo il Padre Nostro: “Nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo”. E’ un vero atto di fede che si fa speranza: osiamo affermare che l’amore di Cristo avrà l’ultima parola in ogni situazione. Questa certezza e questa attesa sono il cuore pulsante di tutta la liturgia: durante la celebrazione, noi cristiani non abbiamo gli occhi rivolti al passato, ma siamo già in Cristo “un solo uomo” che scruta il futuro e quando giungerà la fine dei tempi chi ci guarda potrà scrivere: “eccoli sono tutti come un solo uomo e quest’uomo è Gesù Cristo”, quel che noi chiamiamo il Cristo totale.  

 

Vangelo secondo Luca ( 2,1-14)

*Nella povertà della mangiatoia sta il segreto dell’Incarnazione

La notte di Betlemme riecheggia di un meraviglioso annuncio: “Pace agli uomini amati dal Signore”, da ben comprendere perché non esistono persone che Dio non ama, e per questo è meglio intendere: “Pace agli uomini perché Dio li ama”. In fondo è il progetto di Dio, espresso ancora una volta: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16) e non c’è nulla da temere. “Non temete “: dicono gli angeli ai pastori e in fondo perché bisogna aver paura quando nasce un bambino? Proviamo a credere che Dio ha probabilmente scelto proprio di farsi neonato per ridestare nel nostro cuore l’amore per lui, abbandonando ogni forma di paura e di vergogna. Come Isaia con Achaz, anche l’angelo annuncia la nascita di un re: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo Signore”. Ecco, è nato finalmente l’atteso da molti secoli e all’epoca era nella mente di tutti la profezia di Natan al re Davide: “Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu riposerai con i tuoi padri, susciterò un tuo discendente, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno” (2 Sam 7,11-12).

Questo è il motivo per cui Luca precisa le origini di Giuseppe, padre del bambino: “Anche Giuseppe dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea, alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e della famiglia di Davide”. Inoltre, secondo la profezia di Michea, il Messia doveva nascere a Betlemme: “E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele… Egli si leverà e pascerà con la forza del SIGNORE, con la maestà del nome del Signore suo Dio… ed egli stesso sarà la pace” (Mi 5,1.4). 

Dunque gli angeli annunciano ai pastori una buona notizia, una grande gioia e si capisce perché le schiere celesti cantino la gloria di Dio. Sorprende sempre però il contrasto tra la grandezza del destino promesso al Messia e la piccolezza di un bambino, nato nelle più umili e precarie circostanze. “la forza del braccio di Dio”, che libera il suo popolo, di cui parla il Salmo 88/89, sta misteriosamente nelle piccole mani di un bambino nato in una povera famiglia tra tante altre. Quanto straordinaria è la povertà di una mangiatoia! Eppure proprio là si manifesta il segno di Dio: incontriamo Gesù nella quotidianità più semplice, persino nella povertà ed è questo il mistero, anzi il segreto dell’Incarnazione.

“L’erede di tutte le cose”, come leggiamo nella lettera agli Ebrei (1,2), nasce tra i poveri; colui che san Giovanni chiama “la luce del mondo” trova la sua culla nella mangiatoia di una oscura stalla; colui che è la Parola di Dio, che ha creato il mondo, è venuto al mondo come ogni altra creatura e, come tutti, dovrà con il tempo imparare a parlare. Si può allora capire e non meravigliarsi se “i suoi non lo hanno accolto e riconosciuto” e non ci stupisce il fatto che invece siano stati proprio i poveri e i piccoli ad accogliere con più facilità il suo messaggio. E’ il Dio della Misericordia che va incontro a ogni tipo di povertà e nutre compassione della nostra miseria. Questa notte santa c’invita a non avere paura a volgere lo sguardo su una povera mangiatoia perché proprio qui scopriamo la maniera più vera per rassomigliare a Gesù e in tal modo ricevere in dono il potere di “diventare figli di Dio” (Gv 1,12).

La grande gioia del Natale che gli angeli recano ai pastori, gli esclusi della società, da oltre due millenni ormai risuona in ogni angolo del mondo. Dinanzi a tanta gioia e così grande mistero di vita rinnovata tante domande sorgono nel cuore: come mai in alcune parti del mondo dove quest’annuncio è risuonato persiste la divisione e la guerra? Perché tante comunità sembrano stanche di attendere e si ripiegano su altri interessi che portano spesso lontano dall’attesa del Salvatore? Perché lo stupore per la nascita di un bimbo non è più per alcuni il segno d’un amore che si apre alla vita? Tanti perché per un Natale di Cristo che rischia di essere soffocato dal grido chiassoso di una società preoccupata da mille diverse questioni e minacciata dalla tristezza se non talora persino dalla disperazione. La storia della nascita di Cristo trovò allora molti incuranti perché occupati alle questioni d’ogni giorno. Pochi pastori, esclusi e impuri della società, furono i primi e gli unici ad accorrere prontamente. Un segno e un messaggio: il trionfo di un Dio che per amore si fa piccolo bambino è conforto e sostegno per coloro che continuano ad attendere il suo ritorno e sanno che, al di là d’ogni umana previsione, quest’umile re di gloria avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia è il nostro salvatore, Cristo Signore. È dunque una « buona notizia, una grande gioia » quella che gli angeli annunciano ai pastori, ma può trasformarsi in pace solamente nel cuore di chi esce e va a incontrarlo nell’umile stalla di Betlemme. 

 

 

25 Dicembre Messa del Giorno 

 

Lettura dal libro del profeta Isaia 52,7-10

*ll Signore consola il suo popolo 

“Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme”. Il riferimento alle rovine di Gerusalemme permette di collocare in modo preciso il testo di Isaia. Gerusalemme fu devastata dalle truppe di Nabucodonosor nel 587 a.C. che fecero di tutto: saccheggi, distruzioni, violenze, profanazioni. Uomini e le donne validi furono deportati a Babilonia mentre lasciarono dei contadini per nutrire gli occupanti, e l’esilio durò cinquant’anni, un periodo sufficiente per scoraggiarsi e perdere la speranza di rivedere la propria terra. In questo quadro così fosco il profeta annuncia il ritorno, lui che aveva cominciato a predicare così: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio” (Is 40,1) e qui, immaginando  di vedere il messaggero che annuncia la grande notizia a Gerusalemme e la sentinella che, dalle colline della città, vede arrivare i deportati, riprende sempre lo stesso verbo consolare: “il Signore ha consolato il suo popolo” volendo significare che il Signore ha già agito e che il ritorno è ormai imminente. Parla di un messaggero a piedi e di una sentinella, due figure scomparse nell’era delle telecomunicazioni e della fibra ottica, ma a quei tempi si affidava il compito di trasmettere notizie a un corridore. L’esempio più famoso è quello della maratona: nel 490 a.C., dopo la vittoria degli Ateniesi sui Persiani a Maratona, un corridore percorse i 42 km fino ad Atene per annunciare la vittoria, esclamò Vittoria!  e poi si accasciò. Mentre gli atleti/messaggeri correvano, le sentinelle appostati sulle mura delle città scrutavano l’orizzonte. Qui Isaia immagina una sentinella che appostata sulle mura di Gerusalemme vede il messaggero avvicinarsi da collina a collina e annuncia: “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie, che annuncia la salvezza”, e quando arriva il messaggero grida a Sion, la città santa: “Regna il tuo Dio”. Il popolo finalmente è salvo e la città viene ricostruita da coloro che ritornano: ecco perché le rovine di Gerusalemme sono invitate a esultare di gioia. In Israele le sconfitte del popolo erano considerate sconfitte del suo Dio, ma ora il popolo è liberato e il suo Dio ha mostrato la sua potenza, come afferma il profeta: “Il Signore ha snudato il suo santo braccio”. Ha liberato il suo popolo come dall’Egitto, “con mano potente e braccio teso” (Dt 4,34). E non finisce qui la visione del profeta perché dietro il messaggero, la sentinella vede il corteo trionfale e ”il ritorno del Signore a Sion”, il quale cammina in mezzo al suo popolo e sarà di nuovo presente a Gerusalemme. Isaia afferma che il Signore “ha riscattato Gerusalemme”, termine molto forte per descrivere l’azione di Dio. Nella Bibbia, riscattare, redimere significa liberare.  Nella tradizione del popolo ebraico, il Go’el è il parente più prossimo che riscatta un familiare caduto in schiavitù o che ha venduto la propria casa per pagare i debiti e il profeta applica questo ruolo a Dio, un modo per sottolineare che il Signore è il parente più prossimo del suo popolo e lo libera, lo riscatta, lo redime. “Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutte le nazioni; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio”. Anche qui va evidenziato qualcosa di molto importante: durante l’esilio babilonese c’è stata una evoluzione importante nella teologia ebraica perché Israele ha capito che Dio ama tutta l’umanità e non solo il popolo che si è scelto. Anzi il suo popolo sa ora che la propria elezione è una missione al servizio della salvezza di tutti. Ascoltiamo questo testo a Natale e le parole del profeta “Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutte le nazioni; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio” assumono per noi un significato nuovo. Anche noi abbiamo la missione di annunciare e testimoniare la pace; siamo messaggeri del vangelo che è per tutti e in questo giorno gridiamo al mondo intero: “Il tuo Dio è re, regna il tuo Dio”.

 

Salmo responsoriale 97 (98),1-6

 *Il Popolo dell’Alleanza

“Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio”. A cantare è Israele che rivendica il rapporto privilegiato di un piccolo popolo con il Dio dell’universo, ma ha compreso, poco a poco, che la sua missione non è quella di custodire gelosamente questa relazione speciale, bensì di annunciare l’amore di Dio per tutti, affinché l’intera umanità entri gradualmente nell’Alleanza. E’ un salmo che mostra i due amori di Dio: il suo amore per il popolo eletto, Israele, e il suo amore per tutta l’umanità, che il salmista chiama le genti. “Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza, agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia” (v.2) e subito dopo, richiamando l’elezione di Israele, “Egli si è ricordato del suo amore, della sua fedeltà alla casa di Israele” (v.3). Le parole amore (chesed) e fedeltà (emet) richiamano l’Alleanza e sono le stesse con cui il Signore si è fatto conoscere nel deserto al popolo che ha scelto: “Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco di amore e fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni” (Es 34,6-7). Qui Dio si definisce con caratteri fondamentali che vale la pena ricordare: misericordioso (rachum); pietoso(chanun), ricco di amore (chesed) e fedeltà (emet). Questa descrizione di Dio “amore e fedeltà” diventa un punto cardine della fede di Israele che si ritrova spesso nei salmi, nei profeti per evidenziare il legame fedele e pieno di amore tra Dio e il suo popolo lungo il cammino nel deserto. Israele è pertanto davvero il popolo eletto, ma la sua elezione non è per un godimento egoistico, bensì per diventare il fratello maggiore dell’umanità. Come diceva André Chouraqui, “il popolo dell’Alleanza è destinato a diventare lo strumento dell’Alleanza tra i popoli”. Uno dei grandi insegnamenti della Bibbia è che Dio ama tutti gli uomini d’ogni razza e cultura, non solo Israele e questo salmo – che abbiamo modo di ritrovare spesso nella liturgia - lo dimostra anche nella sua struttura: i versetti 2 e 3 sono costruiti secondo lo schema dell’inclusione che è una tecnica letteraria usata nella Bibbia. Si fa come una cornice per porre in evidenza il testo centrale che è il versetto riguardante Israele: “Egli si è ricordato del suo amore, della sua fedeltà alla casa d’Israele”, e le frasi che lo racchiudono parlano delle nazioni: “Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza, agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia”, tutti i confini della terra- che sostituisce le genti - hanno veduto la vittoria del nostro Dio”. L’elezione di Israele è centrale, posta in una cornice che sottolinea la missione universale di Israele: essere luce per tutti i popoli del mondo. Quando il popolo di Israele, durante la festa delle Capanne a Gerusalemme, acclama Dio come re, sa già di farlo a nome di tutta l’umanità. Cantando, immagina il giorno in cui Dio sarà riconosciuto come re da tutta la terra.

Qualche ulteriore annotazione. Questo salmo vuole porre in evidenza due temi: il primo è l’insistenza sui due amori di Dio: per Israele, il popolo eletto, e per l’intera umanità; il secondo è la proclamazione della regalità di Dio. Nel Tempio di Gerusalemme si cantava: “Acclami il Signore tutta la terra, gridate, esultate, cantate inni” anche se il verbo cantare è riduttivo: in ebraico, il salmo usa un linguaggio che richiama un grido di vittoria (teru‘ah), come quello che si innalzava sul campo di battaglia dopo una vittoria e il termine “vittoria”  appare tre volte nei primi versetti: “Gli ha dato vittoria la sua destra e il suo braccio santo”(v.1); “Il Signore ha fatto conoscere la sua vittoria, agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia”(v 2); “Tutti i confini della terra hanno veduto  la vittoria del nostro Dio”(v 3).

Si evidenzia una duplice vittoria: 1.la liberazione dall’Egitto: “ha dato vittoria la sua destra e il suo braccio santo” richiama l’impresa divina della liberazione dalla schiavitù d’Egitto e la traversata del Mar Rosso. Nel Deuteronomio leggiamo: “Il Signore ti ha fatto uscire dall’Egitto con mano forte e braccio teso” (5,15), simbolo della salvezza e anche l’espressione del salmo “ha compiuto meraviglie” (v 1) è un riferimento ai prodigi della liberazione dall’Egitto.  2.La vittoria finale sul male: Il salmo guarda anche alla futura vittoria definitiva, quando Dio trionferà su tutte le forze del male e in quel giorno sarà acclamato re non alla maniera dei re terreni che deludono, perché la sua vittoria sarà definitiva e non deluderà mai. Noi cristiani possiamo acclamare Dio con ancora più vigore, perché i nostri occhi contemplano a Natale il re del mondo, l’Incarnazione del Figlio, e sappiamo che il Regno di Dio, il regno dell’amore, è già iniziato. E contemplando l’inerme Bambinello nel presepe non possiamo non pensare che in questo momento la forza salvifica del braccio di Dio si trova nelle due minuscole mani di un neonato. 

 

Lettura dalla lettera agli Ebrei (1,1-6)

*Dio ha parlato ai padri per mezzo dei profeti 

“Dio ha parlato ai padri per mezzo dei profeti”: grazie a questa frase s’intuisce che i destinatari della Lettera agli Ebrei sono ebrei diventati cristiani perché una caratteristica di Israele è proprio la convinzione che Dio si è rivelato progressivamente al popolo che si è scelto. Non essendo Dio alla portata dell’uomo occorre che lui stesso prenda l’iniziativa di rivelarsi, come percepiamo anche dalla Lettera agli Efesini: “Dio ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà” (Ef 1,9) perché da soli mai avremmo potuto scoprirlo e quindi incontrarlo. E questo è avvenuto in maniera progressiva uguale all’educazione di un bambino al quale i genitori comunicano secondo il suo sviluppo e in maniera graduale come capire la realtà, sé stesso e la società che lo circonda. Allo stesso modo Mosè spiega la pedagogia di Dio nel libro del Deuteronomio: “Come un uomo educa suo figlio, così il Signore, tuo Dio, ti educa” (Dt 8,5). Dio ha affidato quest’educazione progressiva del suo popolo in ogni epoca ai profeti che parlavano a suo nome e utilizzavano una maniera comprensibile alla mentalità delle persone e del tempo perché Dio utilizza con il suo popolo una pedagogia molto graduale parlandogli “molte volte e in diversi modi” (Eb 1,1). I profeti venivano così ritenuti la “bocca di Dio”, come ascoltiamo nella celebrazione della messa: “Molte volte hai offerto agli uomini la tua alleanza e per mezzo dei profeti hai insegnato a sperare nella salvezza” (Preghiera Eucaristica IV). L’autore della Lettera agli Ebrei sa che la salvezza si è già compiuta e per tale motivo divide la storia dell’umanità in due periodi: prima di Cristo è tutto ciò che chiama passato; dopo Cristo sono i giorni che stiamo vivendo, il tempo cioè del compimento, poiché in Gesù è già iniziato il nuovo mondo ed è Cristo il compimento del progetto di Dio, che chiamiamo il disegno della benevolenza divina. A partire dalla risurrezione di Cristo, che ha stupito il cuore dei primi credenti, la convinzione dei cristiani delle primitive comunità si è andata formando gradualmente sino a comprendere che Gesù di Nazaret è veramente il Messia atteso dal popolo ebraico anche se in maniera molto diversa dall’idea che in passato si erano fatti. Tutto il Nuovo Testamento ruota su tale sorprendente scoperta: c’era chi aspettava un Messia-re, altri un Messia-profeta, altri ancora un Messia-sacerdote e nella Lettera agli Ebrei, come leggiamo nel passo di oggi, si dice che Gesù Cristo è tutto questo.

il Cristo è dunque veramente Sacerdote, Profeta e Re

1. Gesù, il Messia-Profeta. L’autore della Lettera agli Ebrei afferma: “Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio”. Gesù è il profeta per eccellenza: se i profeti dell’Antico Testamento erano ritenuti la “bocca di Dio”, lui è la Parola stessa di Dio, Parola creatrice “mediante il quale ha fatto anche il mondo” (Eb 1,2); anzi è “irradiazione della sua gloria”, cioè di Dio (Eb 1,3) come avvenne nell’episodio della Trasfigurazione. Gesù ai discepoli nel cenacolo disse: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,9), quindi l’espressione perfetta dell’essere di Dio.

2. Gesù, il Messia-Sacerdote. Il sommo sacerdote aveva il ruolo d’intermediario tra Dio e il popolo peccatore e Gesù, in totale e perfetta relazione filiale d’amore con il Padre, ristabilisce l’Alleanza tra Dio e l’umanità. Egli è dunque il sommo sacerdote per eccellenza, che realizza la “purificazione dei peccati”, purificazione che Gesù ha compiuto, come l’autore spiegherà più avanti nella sua lettera, vivendo tutta la vita in un perfetto dialogo d’amore e obbedienza con il Padre.

3. Gesù, il Messia-Re. Nella Lettera agli Ebrei sono qui attribuiti a Gesù titoli e profezie che riguardavano il Messia: l’immagine del trono regale, “sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli”, e soprattutto “Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato”, il titolo di Figlio di Dio veniva conferito al nuovo re nel giorno della sua consacrazione, espressione che troviamo anche nel salmo numero 2. Il profeta Natan aveva annunciato: “Io sarò per lui un padre, ed egli sarà per me un figlio” (2 Sam 7,14). A differenza dei re della terra, Gesù è re su tutta la creazione, persino sugli angeli: “divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato” (Eb 1,4), e “Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: Lo adorino tutti gli angeli di Dio” (Eb 1,6). L’autore afferma che Cristo è Dio stesso, dato che solamente Dio ha diritto all’adorazione degli angeli.

Questo testo biblico non rivela solo la grandezza di Cristo, ma anche la nostra vocazione: con il battesimo siamo diventati sacerdoti chiamati a vivere in comunione con Dio e a intercedere per il mondo; profeti la cui missione è testimoniare con la vita il vangelo a tutti; re impegnati a regnare sul peccato e a contribuire all’avvento del Regno di Dio. Meditare questa pagina biblica il giorno del Natale di Cristo è un invito a contemplare il mistero della nascita di Cristo e prendere consapevolezza che il bambino adagiato nella mangiatoia è il Verbo eterno, venuto per farci figli e figlie di Dio, sacerdoti, profeti e re, chiamati a partecipare alla gloria del Padre per tutta l’eternità. 

 

Vangelo secondo Giovanni (1,1-18)

 *La creazione è il frutto dell’amore 

“In principio”. L’evangelista Giovanni riprende di proposito la prima parola della Genesi  Bereshit ed è necessario percepirne la profondità  perché non è un semplice riferimento cronologico perché “ciò che ha inizio” è “ciò che guida” tutta la storia umana, è cioè l’origine e il fondamento di tutte le cose. “In principio era il Verbo”: tutto è posto sotto il segno della Parola, Parola d’Amore anzi Dialogo e senso della vita: sta qui l’origine e l’inizio di tutte le cose. “E il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio” (v. 2-3): in greco è “pros ton Theon” che letteralmente significa “rivolto verso Dio”, il Verbo era rivolto verso Dio: è l’attitudine del dialogo. Se dico: “Ti amo” sto veramente dialogando con qualcuno, sto faccia a faccia con te, rivolto verso colui con cui parlo; se invece volto le spalle il dialogo è interrotto ed è necessario tornare indietro per ristabilirlo. San Giovanni afferma qualcosa di essenziale: dato che nulla è stato fatto senza il Verbo, tutta la creazione è frutto del dialogo d’amore tra il Padre e il Figlio. Ognuno di noi è stato creato in questo dialogo e per questo dialogo: siamo il frutto di un dialogo d’amore. Generati dall’amore possiamo dire che siamo il frutto dell’amore di Dio e la vocazione dell’umanità, di Adamo, per usare il termine della Genesi, è vivere un perfetto dialogo d’amore con il Padre. La storia dell’umanità dimostra però il contrario come leggiamo nel racconto della caduta di Adamo ed Eva. Il secondo capitolo della Genesi mostra chiaramente che il dialogo è stato interrotto; l’uomo e la donna non si sono fidati di Dio, anzi hanno sospettato che Dio non avesse buone intenzioni nei loro confronti: è l’opposto del dialogo d’amore. Conosciamo per esperienza che quando il sospetto invade le nostre relazioni, il dialogo si avvelena. L’intera storia della relazione personale di ciascuno di noi con Dio potrebbe essere rappresentata così: a volte siamo rivolti verso di Lui, altre volte ci allontaniamo, e allora dobbiamo fare ritorno affinché Egli possa ristabilire il dialogo. Questo è esattamente il significato nella Bibbia della parola conversione “shùv”, che significa ritornare, volgersi indietro, tornare a casa.

Gesù vive questo dialogo nel quotidiano in maniera perfetta e si fa carico di guidare l’umanità: si potrebbe dire che Egli è il “sì” dell’intera umanità e proprio, attraverso di Lui, siamo reinseriti nel dialogo primordiale con Dio: “A quanti però lo hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome”. “Diventare figli di Dio” vuol dire ritrovare la relazione filiale, fiduciosa, senza ombre con lui e l’unico scopo di Cristo è far sì che l’umanità intera possa entrare in questo dialogo d’amore; “quelli che credono nel suo nome” sono coloro che si affidano a Cristo e si pongono con fiducia alla sua sequela. Il pensiero va al cenacolo dove Gesù esprime il suo ardente desiderio: “Che tutti siano uno, come tu, Padre, sei in me e io in te. Che anch’essi siano in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato » (Gv 17,21) e mi torna in mente ciò che scrive Kierkegaard: “Il contrario del peccato non è la virtù, il contrario del peccato è la fede”. “Credere” è fidarsi del Padre; è sapere in ogni circostanza, qualunque cosa accada, che Dio mi ama; è non sospettare mai di Lui e mai dubitare del suo amore per noi e per il mondo e di conseguenza riuscire a guardare il mondo con lo sguardo di Dio. Ecco il messaggio che ci viene dal Natale del Verbo fatto carne: osservare il mondo con gli occhi di Dio. “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi: se Lui è venuto per stare qui con noi, non è necessario fuggire dal mondo per incontrare Dio, anzi è nella “carne”, cioè nella realtà di ogni giorno che possiamo leggere e vivere la sua presenza. Come Giovanni Battista, ognuno di noi è mandato a essere testimone di questa presenza. Ogni Natale ci richiama questo dono e ci incoraggia a condividerlo con quante più persone possiamo.

 

+ Giovanni D’Ercole

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

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“They found”: this word indicates the Search. This is the truth about man. It cannot be falsified. It cannot even be destroyed. It must be left to man because it defines him (John Paul II)
“Trovarono”: questa parola indica la Ricerca. Questa è la verità sull’uomo. Non la si può falsificare. Non la si può nemmeno distruggere. La si deve lasciare all’uomo perché essa lo definisce (Giovanni Paolo II)
Thousands of Christians throughout the world begin the day by singing: “Blessed be the Lord” and end it by proclaiming “the greatness of the Lord, for he has looked with favour on his lowly servant” (Pope Francis)
Migliaia di cristiani in tutto il mondo cominciano la giornata cantando: “Benedetto il Signore” e la concludono “proclamando la sua grandezza perché ha guardato con bontà l’umiltà della sua serva” (Papa Francesco)
The new Creation announced in the suburbs invests the ancient territory, which still hesitates. We too, accepting different horizons than expected, allow the divine soul of the history of salvation to visit us
La nuova Creazione annunciata in periferia investe il territorio antico, che ancora tergiversa. Anche noi, accettando orizzonti differenti dal previsto, consentiamo all’anima divina della storia della salvezza di farci visita
People have a dream: to guess identity and mission. The feast is a sign that the Lord has come to the family
Il popolo ha un Sogno: cogliere la sua identità e missione. La festa è segno che il Signore è giunto in famiglia
“By the Holy Spirit was incarnate of the Virgin Mary”. At this sentence we kneel, for the veil that concealed God is lifted, as it were, and his unfathomable and inaccessible mystery touches us: God becomes the Emmanuel, “God-with-us” (Pope Benedict)
«Per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria». A questa frase ci inginocchiamo perché il velo che nascondeva Dio, viene, per così dire, aperto e il suo mistero insondabile e inaccessibile ci tocca: Dio diventa l’Emmanuele, “Dio con noi” (Papa Benedetto)
The ancient priest stagnates, and evaluates based on categories of possibilities; reluctant to the Spirit who moves situationsi
Il sacerdote antico ristagna, e valuta basando su categorie di possibilità; riluttante allo Spirito che smuove le situazioni
«Even through Joseph’s fears, God’s will, his history and his plan were at work. Joseph, then, teaches us that faith in God includes believing that he can work even through our fears, our frailties and our weaknesses. He also teaches us that amid the tempests of life, we must never be afraid to let the Lord steer our course. At times, we want to be in complete control, yet God always sees the bigger picture» (Patris Corde, n.2).
«Anche attraverso l’angustia di Giuseppe passa la volontà di Dio, la sua storia, il suo progetto. Giuseppe ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca. A volte noi vorremmo controllare tutto, ma Lui ha sempre uno sguardo più grande» (Patris Corde, n.2).
Man is the surname of God: the Lord in fact takes his name from each of us - whether we are saints or sinners - to make him our surname (Pope Francis). God's fidelity to the Promise is realized not only through men, but with them (Pope Benedict).

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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