Le nostre cecità, tra senso religioso e Fede
(Lc 18,35-43)
Il cieco senza nome e accovacciato ai bordi ci rappresenta: non è biologicamente cieco, ma uno che si regola a casaccio.
Non riesce a «guardare in su» [il verbo-chiave ai vv.41-43 è «aná-blèpein»] perché non coltiva ideali; si accontenta di quel che passa il contorno, che lo anestetizza.
Conseguenza: le vittime di un’ideologia indolente possono confondere il Figlio di Dio che dona tutto di sé e trasmette vitalità, con il ‘figlio di Davide’ (vv.38-39) - che non dà, bensì toglie vita.
L’equivoco ha pesanti conseguenze.
Inizialmente ogni cercatore di Dio rischia di scambiare il Signore con un superuomo e capitano fenomenale che benedice e favorisce gli amici ad es. nelle loro aspettative di tranquillità, noncuranza e stasi mediocre.
Un bel difetto di vista, perché s’invertono affatto i criteri dell’esistenza sapiente e solida - rischiando di conficcarla in una pozzanghera; al massimo, trascinarla rasoterra.
Se ci si ritrova a questo livello di miopia, meglio «sollevare lo sguardo» ripiegato sul proprio ombelico, per piccinerie da tornaconto a breve.
Chi non “vede bene” diventa uomo abitudinario, viene accompagnato agli stessi posti ogni giorno dalle medesime persone.
Sta fermo, «seduto» (v.35) ai margini di una strada dove la gente procede e non si limita come lui a sopravvivere rassegnata, senza scatti.
Tali impacciati per scelta - tutto si attendono dal riconoscimento altrui; vivono solo di questua. E non fanno che ripetere parole e gesti sempre identici.
Il loro orizzonte a portata di mano non consente di entrare nel flusso della Via, dove le persone si danno da fare edificando, evolvendo, esprimendo se stesse, provvedendo ai fratelli meno fortunati.
Una esistenza trascinata ai margini di qualsiasi interesse che non sia il proprio neghittoso sacchetto.
Vivono del movimento altrui; campano di piccole benevolenze e opinioni barattate da chi passa, per svogliatezza mai riesaminate e fatte proprie.
La Parola del Nazareno [nel linguaggio dei Vangeli l’epiteto “essere di Nazaret” significava “rivoluzionario, testa calda, sovversivo”] fa scattare lo svogliato.
Il contatto personale con Gesù ha corretto lo sguardo, gli ha fatto recuperare l’ottica ideale - trasmettendo un modello diametralmente opposto di uomo riuscito.
Insomma, Gesù corregge la miopia inerte di chi è affezionato al suo ‘posto’.
Religiosità o Fede personale: è scelta dirimente. Per partire via da lì, reinventarsi la vita, abbandonare il mantello [cf. Mc 10,50] sul quale si raccoglievano commenti e oboli comuni.
Aprendo gli occhi e «sollevandoli», come farebbe un uomo già divino. Intascando null’altro che perle di luce, invece di elemosine.
In tal guisa, il Vangelo invita a uno sguardo prospettico, che non si adatta.
Anche l’enciclica Fratelli Tutti propone visuali che suscitano decisione e azione: occhi nuovi, energetici, visionari, temerari, ricolmi di ‘passaggio’ e Speranza.
Su strade fangose ci si può sporcare e si è incerti, ma vi possiamo procedere in contezza: sulla via che ci appartiene; nel movimento del Sacerdozio di Cristo.
Con ‘percezione’ sana.
[Lunedì 33.a sett. T.O. 18 novembre 2024]