Ciò che conferisce valore ad ogni momento
(Gv 6,35-40)
Le parole di Gesù sottendono la netta dissimilitudine fra alimento ordinario e Pane che non perisce.
La distinzione è tratta da Dt 8,3 - in riferimento alla Manna-Parola del Signore (cibo sapienziale che libera e trasmette vita).
Sap 16,20-21.26 riconosce la manna del deserto essere cibo preparato da angeli, ma ciò che tiene davvero in vita è la Parola.
Quei frutti celesti, pur deliziosi e in grado di soddisfare ogni gusto, non saziano - non nutrono completamente.
Nel linguaggio simbolico usato da Cristo entrano anche paradigmi culturali che identificavano la manna con la sapienza.
Egli si autorivela così nel discorso sul Pane della Vita.
Venire al Signore non è alla nostra portata. Compiere le opere di legge, forse sì - con sforzo - ma compiere l’Opera di Dio non è innaturale.
Non dipende da un pensiero, da una scelta o da una pratica disciplinare.
Insomma, il Soggetto del cammino nello Spirito è Dio stesso, che opera in noi.
L’azione umana è in ogni frangente una risposta al suo autosvelamento e al suo stesso agire [cosmico e nell’anima di ciascuno; convergente o non].
La Venuta dall’alto è critica: suscita la relazione di Fede. Relazione personale, la quale non è semplice assenso e adempimento, bensì lettura e visione.
Azione in avanti e scoperta di risuscitazione - in particolare, dei lati in penombra che diventano risorse.
Così la Fede-amore dilata la vita, perché ha il suo input dalla generosità divina, dalla Grazia.
Essa diventa in tal guisa decisione, occupazione, responsabilità; dovere ineludibile e dirimente - malgrado ciò, personale.
Cristo è un Cibo che dev’essere mangiato, sminuzzato, per mezzo della Fede.
L’evocazione si fa eucaristica, realizzazione della «Vita dell’Eterno» (v.40 testo greco) anche difforme da maniere ricercate; qui e ora.
Morendo, senza ritardo alcuno Gesù consegna lo Spirito (Gv 19,30) che repentinamente suscita l’esperienza sacramentale (Gv 19,34).
La Vita dell’Eterno non è una pia speranza nell’aldilà: il termine designa la stessa vita intima di Dio, la quale si dispiega e irrompe nella storia [talora senza troppi complimenti] in modo poliedrico.
Energia, Alimento, Lucidità nuova: raggiunge donne e uomini che vedono e credono nel Figlio.
Si tratta di una Fede-Visione che legge il senso, e abilita a un’appropriazione diretta: sorvola gli ostacoli insormontabili.
Una Fede-Gesto che zampilla; una Fede-Azione che diviene fermento di dilatazione, perché ha già suscitato acume, attenzione globale, e intimo consenso.
Essa acutizza ed espande le risorse trasformative delle anime e degli stessi accadimenti.
Dona in prima persona abilità generanti complessive - esteriori e interiori, indistruttibili; che non perdono nulla [non più votate alla morte: v.39].
Lo sguardo ottuso dintorno alle prime fraternità sigillava già il Mistero.
Ma contrariamente al Primo Testamento (Es 33,22-23), per Fede ora si vede Dio e si vive, senza più paura (Es 3,6).
Chi «vede» il Figlio «ha» la stessa Vita dell’Eterno (v.40).
La Visione di Fede, la Visione del Figlio, la Visione dell’esito glorioso di colui che è stato rigettato dalle autorità religiose e considerato maledetto da Dio, fa divenire Uno con Lui.
È Risurrezione attuale, pur nell’esperienza rapida e greve dell’esistenza dispersiva.
L’Immagine considerata impossibile e che non si poteva reggere, cede il passo a un processo d’interpretazione, azione, riassetto, che attira futuro.
Cede il passo alla completezza del mondo umanizzante e diverso di Dio.
Lo spostamento di sguardo rompe la trama delle apparenze, delle convinzioni banali, ereditate o à la page.
Insomma: coglierlo diventa motore di salvezza, fondamento che supera il pre-umano.
Percepirlo si fa Incontro; nella dimensione propria e perenne. Principio di eternità beata.
A fine primo secolo le chiese sentono il rischio del crollo.
La progressiva divaricazione dalla religione pagana in genere e la devozione giudaizzante in particolare, comportava un ampio dibattito con risvolti di costume e interni, persino liturgici.
La battaglia con il purismo farisaico scatenava polemiche di ogni tipo, anche circa la segregazione o meno degli stranieri.
Sorgevano difformità di vedute addirittura sul canone stesso delle Scritture (per i cristiani, già da tempo in greco ellenistico).
Secondo i credenti in Gesù la Sorgente della vita piena e indistruttibile [«Vita dell’Eterno»: v.40 testo greco] non è il pane materiale.
Già su questa terra l’Alimento totalizzante non sta in alcuna certezza banale.
Bisogna piuttosto «Vedere il Figlio» (v.40).
Significa cogliere nel Maestro una vicenda che non finisce nel fallimento, perché nonostante il rifiuto dei capi, l’esito della sua-nostra storia è la condizione divina. Gloria indistruttibile.
E «Credere in Lui» (v.40) non dipende dall’estrazione culturale o dalla posizione sociale concorde, ma da un’elaborazione irripetibile.
Vedere e avere Fede è affidarsi alla luminosa [sembra assurda] Visione che si comunica nelle fibre più intime e fin dalla prima ‘Nascita’. Certi della piena sintonia e realizzazione in quella Figura sovreminente.
Non aderiamo per entusiasmo o iniziative [la “Chiesa degli eventi”, come dice Papa Francesco].
La vita dell’Eterno in noi inizia nell’occhio dell’anima; eco del Sogno primordiale.
Essa s’introduce nel cogliere la traiettoria del Padre. Egli vuole per i suoi minimi una pienezza d’impronta e carattere, senza conformismi.
Solo grazie al Dono nel quale ci riconosciamo fin dalle nostre radici e in essenza, intuiamo consonanze liete che identificano desideri, parole, azioni e tipo di cammino del Risorto stesso, che pulsa in noi.
La Persona del Cristo è l’unico Cibo senza omologazione.
Sostentati dal Pane-Persona possiamo evitare sia la ricerca di finte sicurezze che la smania di appoggi. Ad es. conoscenze, finanziatori, istituzioni ragguardevoli che garantiscano privilegi; così via.
Preferendo il Pane Spezzato.
L’alimento della terra conserva la vita fisica, ma non può far rivivere attraverso Genesi personali uniche, né aprirci una strada valicando la morte.
Ciò conferisce valore ad ogni momento.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa significa per te vedere il Figlio e credere in Lui?
Non proiettare su Dio l’immagine del rapporto servi-padrone
La moltiplicazione dei pani e dei pesci è segno del grande dono che il Padre ha fatto all’umanità e che è Gesù stesso!
Egli, vero «pane della vita» (v. 35), vuole saziare non soltanto i corpi ma anche le anime, dando il cibo spirituale che può soddisfare la fame profonda. Per questo invita la folla a procurarsi non il cibo che non dura, ma quello che rimane per la vita eterna (cfr v. 27). Si tratta di un cibo che Gesù ci dona ogni giorno: la sua Parola, il suo Corpo, il suo Sangue. La folla ascolta l’invito del Signore, ma non ne comprende il senso – come capita tante volte anche a noi – e gli chiede: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?» (v. 28). Gli ascoltatori di Gesù pensano che Egli chieda loro l’osservanza dei precetti per ottenere altri miracoli come quello della moltiplicazione dei pani. E’ una tentazione comune, questa, di ridurre la religione solo alla pratica delle leggi, proiettando sul nostro rapporto con Dio l’immagine del rapporto tra i servi e il loro padrone: i servi devono eseguire i compiti che il padrone ha assegnato, per avere la sua benevolenza. Questo lo sappiamo tutti. Perciò la folla vuole sapere da Gesù quali azioni deve fare per accontentare Dio. Ma Gesù dà una risposta inattesa: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato» (v. 29). Queste parole sono rivolte, oggi, anche a noi: l’opera di Dio non consiste tanto nel “fare” delle cose, ma nel “credere” in Colui che Egli ha mandato. Ciò significa che la fede in Gesù ci permette di compiere le opere di Dio. Se ci lasceremo coinvolgere in questo rapporto d’amore e di fiducia con Gesù, saremo capaci di compiere opere buone che profumano di Vangelo, per il bene e le necessità dei fratelli.
Il Signore ci invita a non dimenticare che, se è necessario preoccuparci per il pane, ancora più importante è coltivare il rapporto con Lui, rafforzare la nostra fede in Lui che è il «pane della vita», venuto per saziare la nostra fame di verità, la nostra fame di giustizia, la nostra fame di amore.
(Papa Francesco, Angelus 5 agosto 2018)