Il semplice Mistero (Eucaristico)
(Mt 15,29-37)
«L’uomo è l’essere-limite che non ha limite» (Fratelli Tutti n.150).
Nel cuore abbiamo un gran desiderio di appagamento e Felicità. Il Padre ce lo ha messo, Lui stesso lo soddisfa - ma ci vuole associati alla sua opera - dentro e fuori di noi.
Il Figlio riflette il disegno di Dio nella compassione per le folle bisognose di tutto (vv.30.32) e - malgrado la pletora di maestri ed esperti - prive di qualsiasi insegnamento autentico [cf. Mt 9,36. 14,14].
La sua soluzione è diversissima da quella di tutte le guide “spirituali”, perché non ci sorvola con un paternalismo indiretto [cf. Mt 14,16] che asciughi le lacrime, rimargini le ferite, cancelli le umiliazioni.
Invita a utilizzare in prima persona ciò che siamo e abbiamo, sebbene possa apparire cosa ridicola. Ma insegna in modo assolutamente netto che spostando le energie si realizzano risultati prodigiosi.
Così rispondiamo in Cristo ai grandi problemi del mondo: recuperando la condizione dell’uomo ‘viator’ - essere di passaggio, sua impronta essenziale - e condividendo i beni; non lasciando che ciascuno si arrangi [cf. Mt 14,15].
La nostra reale nudità, le peripezie e l’esperienza dei molti fratelli, diversi, sono risorse da non valutare con diffidenza, «come concorrenti o nemici pericolosi» della nostra realizzazione (FT n.152).
Non solo quel poco che rechiamo basterà a saziarci: avanzerà per altri e con identica pienezza di verità, umana, epocale [vv.34.37: il brano insiste sulla simbologia semitica del numero “sette”].
In Mt Gesù è il nuovo Mosè che sale su «il Monte» dei rapporti autentici - per inaugurare un Tempo alternativo, che contrassegna la storia vera.
La gente non rimane più a fondovalle ad aspettare: si riunisce intorno a Lui, giungendo così com’è, col carico dei tanti bisogni differenti.
Il nuovo popolo di Dio non è una folla stanziale, di eletti, scelti e puri.
Ognuno reca con sé il suo percorso, i suoi affanni e problemi, che il Signore guarisce - curando non con una soluzione dal di sopra o dal di fuori.
Insomma: un altro mondo è possibile, però attraverso lo spezzare il proprio (anche misero) ‘pane’.
Soluzione sapiente, ininterrotta, efficace, se la si fa emergere da ‘dentro’, in cammino, e stando in mezzo - non davanti, non a capo, non in alto (v.36).
Il luogo della Rivelazione di Dio doveva essere quello dei fulmini, su un ‘monte’ fumante come di fornace (Es 19,18)... ma infine persino lo zelo violento di Elia aveva dovuto ricredersi (1Re 19,12).
Anche ai pagani, il Figlio rivela un Padre il quale non semplicemente cancella le infermità: le fa capire come luogo che sta preparando uno sviluppo personale, e quello della Comunità.
S’immaginava che nei tempi del Messia, zoppi, sordi e ciechi sarebbero scomparsi (Is 35,5ss.). «Età dell’oro»: tutto al vertice, nessun abisso.
In Gesù - Pane distribuito - si manifesta una pienezza dei tempi inconsueta, apparentemente nebulosa e fragile, ma reale e in grado di riavviare persone e relazioni.
Lo Spirito di Dio agisce non calandosi come un fulmine dall’alto, bensì attivando in noi capacità che appaiono impalpabili, eppure in grado di raggranellare il nostro essere disperso, classificato inconsistente - che coinvolge il sommario di tutti i giorni - e lo rivaluta.
L’Incarnazione ci ritessere il cuore, in dignità e promozione; si dispiega realmente, perché non solo trascina via gli ostacoli, ma poggia su di essi.
E non li cancella affatto: così li surclassa, ma trasmutando - ponendo nuova vita.
Linfa che trae succo e germoglia Fiori dall’unico terreno melmoso e fecondo, e li comunica.
Solidarietà cui sono invitati tutti, non solo quelli ritenuti in condizione di perfezione e compattezza.
Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, bensì assunte, poste nelle mani del Figlio e dinamizzate (v.36).
Le stesse cadute possono essere un segnale prezioso: in Cristo, non sono più umiliazioni riduttive, bensì indicatori di percorso.
Forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse.
Così i crolli possono trasformarsi rapidamente in risalite - differenti, non confezionate - e ricerca di completamento totale nella Comunione.
Quindi, nell’ideale di realizzare la Vocazione e intuire il tipo di contributo da porgere, nulla di meglio d’un ambiente vivo che non tarpi le ali: una fraternità vivace nello scambio e convivenza.
Non tanto per attutirci gli scossoni, ma perché siamo messi in grado di edificare magazzini sapienziali non tarati da nomenclature - cui tutti possono attingere, persino i diversi e lontani da noi.
Se poi anche qui verrà a trovarci una manchevolezza, sarà per insegnare a essere presenti al mondo secondo magari altre e ulteriori direzioni, o per far emergere la missione e una maturazione creativa - non per rimanere fissati su parzialità e minuzie.
L’allusione ai sette pani moltiplicati perché divisi conforta le citazioni relative al magma plasmabile delle icone bibliche.
Qui Mosè ed Elia su «il Monte»: figure dei ‘cinque Libri’ del Pentateuco [i primi Alimenti], più le ‘due’ sezioni di Profeti e Scritti.
Tutti insieme «sette pani»: Pienezza di cibo e saggezza per l’anima, chiamata a procedere oltre le siepi circonvicine, rompendo gli argini della mentalità asservita al contorno.
È il nutrimento-base dello spirito umano-divino, cui però si aggiunge un giovane e fresco alimento “companatico” che appunto ci coinvolge (v.34).
[Come diceva s. Agostino: «La Parola di Dio che ogni giorno viene a voi spiegata e in un certo senso “spezzata” è anch’essa Pane quotidiano» (Sermo 58, IV: PL 38,395)].
Alimento completo: cibo base e appunto companatico - storico e ideale, in codice e in atto.
Qui diventiamo in Cristo come un corpus attualizzato e propulsivo di testimoni (e Scritture!) sensibile.
Certo ridotto, non ancora affermato - e privo di eroici fenomeni, ma accentuatamente sapienziale e pratico.
Annunciatori e condivisori, senza clamorosi proclami di autosufficienza.
Mai rinchiusi entro steccati arcaici: sempre in fieri - perciò in grado di percepire binari sconosciuti.
E «spezzare il Pane»... ossia attivarsi, procedere oltre, dividere il poco - per alimentare, straripare [moltiplicando l’ascolto e l’azione di Dio] e far riconquistare stima anche ai disperati.
Siamo figli: come pochi e piccoli pesci (v.34), ma che non sguazzano in competizioni che rendono tossica la vita.
Anzi: chiamati in prima persona a scrivere una singolare, empatica e sacra, «Parola-evento».
‘Infanti’ nel Signore, nuotiamo in questa differente Acqua. A volte forse esteriormente velata o melmosa e torbida…
Infine fatta trasparente anche solo perché arrendevole, compassionevole (v.32) e benevola.
La vecchia pozzanghera esclusiva della religione che non osa il rischio della Fede (v.33) non ci avrebbe aiutato ad assimilare la proposta del Gesù Messia, Figlio di Dio, Salvatore - acrostico del termine greco «Ichtys» [pesce].
Egli è l’Iniziativa-Risposta del Padre, sostegno nel poco etereo Viaggio alla ricerca della Speranza dei poveri - di tutti noi ‘indigenti in attesa’.
La Fede operante ha dunque per emblema l’Eucaristia, Rivoluzione della sacralità. Sembra strano, per noi che ci abbiamo fatto il callo.
Infatti scopo dell’evangelizzazione è partecipare ed emancipare l’essere completo da tutto ciò che lo minaccia, non solo nel limite estremo: anche nella sua azione di ogni giorno - fino a cercare la «comunione» dei beni.
In Mc (7,31-37) il prodigio è collocato dopo l’apertura dei “sensi”. Qui dopo le guarigioni presso il lago di Galilea (vv.29-31).
Il Segno Fonte e Culmine della comunità dei figli è un gesto ‘creativo’ che impone uno spostamento di visione, un occhio assolutamente nuovo.
Di fronte all’indigenza di molti - causata dall’avidità di pochi - l’atteggiamento della Chiesa autentica non si compiace di emblemi e fervorini, né di parziali chiamate a distinguersi nell’elemosina.
Lo spezzare del Pane subentra alla Manna calata dall’alto nel deserto (Mt 15,33) e comporta la sua distribuzione - non solo in situazioni particolari.
Non c’è da accontentarsi, nel moltiplicare la vita per tutti.
Questa l’attitudine del Corpo vivente del Cristo taumaturgico [non il facitore di miracoli] che si sente chiamato ad attivarsi in ogni circostanza.
In tal guisa, se la partecipazione eucaristica non suscita solo elemosina puntuale, pietismo esterno e assistenzialismo di maniera, ecco il Risultato:
Donne e uomini mangeranno, rimarranno sazi, e avanzerà alimento per altri ancora (non tutti i convitati da Dio previsti sono ancora presenti...).
Notiamo che ai discepoli non era neanche passato per la testa che la soluzione potesse venire dalla gente stessa e dal loro spirito.
Non solo dal paternalismo dei capi, o da qualche singolo benefattore.
Soluzione inattesa. Da ribadire: la questione dell’alimento si risolve non dall’alto, ma a partire dall’interno delle persone e con i pochi pani portati con sé.
Non c’è soluzione col verbo “moltiplicare” - ossia “incrementare”…relazioni che contano, accrescere proprietà, ammucchiare astuzie.
Unica terapia è «spezzare», «dare», «porgere» (v.36). E tutti sono coinvolti, nessuno privilegiato.
A quel tempo la competitività e la mentalità di classe caratterizzava la società dell’impero - e iniziava a infiltrarsi già nella piccola comunità, appena agli inizi.
Come se il Signore e il Dio del tornaconto potessero convivere uno a fianco all’altro, ancora.
È la comunione dei bisognosi che viceversa sale in cattedra, nella Chiesa non artefatta.
La condivisione reale fa da professore degli onnipresenti direttori e principi, smaliziati e pretenziosi, unici a doversi ancora convertire.
Il germe della loro “durata” dovrebbe essere non la posizione in quota e il ruolo, bensì l’amore.
Tale l’unico senso dei gesti sacri; non altri progetti venati da prevaricazioni, o dall’apparire.
Gli “appartenenti” sbalordiscono.
Per il Signore i lontani - sebbene ancora in bilico nelle scelte - sono pienamente partecipi del banchetto messianico; senza preclusioni, né discipline dell’arcano con attese snervanti.
Viceversa, quella Mensa urge in favore di altri che ancora devono essere chiamati. Per una sorta di ristabilimento dell’Unità originale.
Insomma, la Redenzione non appartiene alle élites preoccupate della stabilità del loro dominio - che sono addirittura i deboli a dover sostenere.
Insomma, la vita da salvati Viene a noi per Incorporazione.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Hai mai spezzato il tuo pane, trasmesso felicità e compiuto recuperi che rinnovano i rapporti, rimettendo in piedi le persone che neppure hanno stima di sé? O hai privilegiato disinteresse, catene, e atteggiamenti di élite?