Dio ci benedica e la Vergine ci protegga!
Ecco un breve commento alle letture della prossima domenica [1° Dicembre 2024]
Prima Lettura: Geremia 33, 14 – 16.
*Il linguaggio della speranza
“Ecco, verranno giorni in cui realizzerò la promessa di felicità che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda”. Troviamo queste parole nella prima lettura tratta dal libro di Geremia (33, 14-16); sono però considerate posteriori rispetto all’epoca del profeta e ritenute un’aggiunta alla versione dei Settanta che risale a circa il 250 a.C.; l’autore sarebbe probabilmente un discepolo, figlio spirituale di Geremia. Chi parla non è dunque Geremia, ma questo suo figlio spirituale che, in un periodo in cui regna disperazione per il futuro del popolo di Dio, ricorda le parole del profeta Geremia, vissuto alcuni secoli prima. Geremia aveva allora così profetizzato: “Farò nascere per Davide un Germoglio di giustizia”(23,5; 33,15). In questa profezia ci sono due simboli: il germoglio e il nome del nuovo re legato a ”giustizia”. Il germoglio è un simbolo che suggerisce un inizio del tutto gratuito da parte di Dio e si riferisce alla nascita di un nuovo re, discendente di Davide a Gerusalemme. In quel tempo era difficile credere a questa promessa annunciata da Geremia perché, dopo la morte di Davide, la sua dinastia si era praticamente estinta. C’era poi stata la deportazione babilonese, Gerusalemme occupata, il Tempio distrutto, il paese devastato e la popolazione decimata. Tra i superstiti quasi tutti furono fatti prigionieri ed esiliati a Babilonia, così che la piccola colonia giudaica sembrava destinata a morire lontano dalla propria terra. Sorgevano tante inquietudini: Israele scomparirà dalla carta geografica e dove finiranno le promesse dei profeti? Non aveva il profeta Natan annunciato a Davide e alla sua discendenza un regno eterno con un re che avrebbe instaurato sicurezza, pace e giustizia per tutti? Molti erano i problemi legati alla distruzione della monarchia davidica, ed erano nate divisioni e contrasti per cui poca gente era rimasta fedele alla Torah. Dinanzi a così tante angustie occorreva infondere speranza e questa è la ragione per cui s’insisteva nel sottolineare la fedeltà di Dio alle sue promesse, che è il fondamento della speranza. Alle tante persone scoraggiate che temevano che Israele non avanzasse verso il Regno di Dio, il profeta rispondeva: Abbiate fede, credete, perché è proprio nei momenti di oscurità che la fede deve restare salda. Ed è così nella nostra vita. Mai cedere allo scoraggiamento perché quando Dio promette, realizza sempre i suoi disegni di salvezza. Non sappiamo né quando né come, ma Dio interviene sempre. Il linguaggio della speranza è una sfida alla ragione e un atto di fede, una grande lezione di fiducia e un bell’esempio di parola profetica, che annuncia la luce anche e soprattutto nei giorni più bui. Tutti siamo a rischio quando ci lasciamo dominare dall’ansia dello scoramento di fronte alle difficoltà e in queste situazioni ci lasciamo assalire da pensieri del tipo: se Dio esiste perché non interviene per portare la pace, l’armonia e la fraternità nel mondo? Perché il Regno di Dio tarda a realizzarsi? Allora, come in ogni tempo, occorre continuare a sperare e poggiare Il linguaggio della speranza su due verità invincibili: anzitutto la certezza che Dio non viene mai meno alle promesse e in secondo luogo che Dio sempre porta a compimento i suoi progetti malgrado tutti gli ostacoli. L’altro simbolo è il nome che è nella frase a chiusura del brano: “Il Signore è la nostra giustizia” (Sedeq Yah), che è il nome del re Sedecìa “giustizia di Dio”. Quest’ultimo re di Giuda fu deportato in Babilonia, gli uccisero i suoi figli e lo accecarono con crudeltà e si pensava che tutto questo avvenne perché non aveva onorato la sua missione e non aveva ascoltato il profeta Geremia. Il testo profetico ribalta qui il significato del nome Sedecia che significa Giustizia di Dio espresso con la frase “Il Signore è la nostra giustizia”, per indicare che invece sorgerà il vero Re che incarnerà la giustizia biblica concernente la salvezza integrale dell’uomo e dell’umanità e la offrirà al popolo deluso, sofferente e stanco: sarà fedele, grande e duratura.
Salmo Responsoriale 24 (25), 4-5, 8-9, 10. 14
*Ritrovare la propria strada
“Il Signore indica ai peccatori la via giusta” (v.8). Questo versetto ci introduce nel contesto del salmo 24/25: si è in una celebrazione penitenziale al Tempio di Gerusalemme e il linguaggio del cammino è tipico dei salmi penitenziali, perché il peccato è una strada sbagliata e la conversione richiede un autentico dietrofront. Nel libro del Deuteronomio Mosè invitava a camminare in tutto e per tutto per la via che il Signore ha prescritto (5, 32-33). Chi si pente riconosce di aver preso strade sbagliate e supplica Dio di ricondurlo sulla giusta via. Ma cos’è la via giusta? E’ l’osservanza della Legge di Dio e per rimarcarlo questo salmo è stato composto in un modo molto particolare. E’ infatti un salmo alfabetico, intenzionalmente strutturato come un acrostico e, controllando la colonna delle lettere, forma l’intero alfabeto ebraico dall’alto in basso. Questo modo di comporre i salmi, detti alfabetici, è in pratica una professione di fede e ruota sempre attorno allo stesso tema: l’amore di Israele per la Torah, l’amore di e per Dio è l’unica strada verso la felicità: l’amore per la Torah è “l’alfabeto della felicità”. Per l’ebreo credente la Legge non è un comando ma un dono di Dio, segno della sua tenerezza verso l’intera umanità. Il termine Legge (Torah) non deriva infatti da una radice che significa “prescrivere”, ma dal verbo “insegnare” e il tema “insegnami le tue vie” è molto presente in questo salmo. Se Dio ci ha dato la Legge è per la nostra felicità. La legge è il manuale di istruzioni della nostra libertà per essere felici, il codice della strada che ci porta alla felicità: “Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà per chi custodisce la sua alleanza e i suoi precetti” (v.10). “Signore insegnami i tuoi sentieri” (v.4). Il metodo alfabetico è un modo per confermare l’attaccamento alla Legge e il vero desiderio di seguirla; una professione di fede e nel contempo una risoluzione. Soprattutto dopo il ritorno da Babilonia, nella celebrazione penitenziale il popolo riconosceva la sua infedeltà all’Alleanza; era consapevole che le disgrazie sopravvenute ne erano la conseguenza e chiedeva perdono. Allo stesso tempo, aveva la certezza che la fedeltà è possibile in futuro solo con l’aiuto di Dio ed esprimeva quasi angoscia di non riuscirci chiedendo per questo aiuto, come leggiamo nell’ultimo versetto del salmo: “O Dio, libera Israele da tutte le sue angosce”.(v.22). Non si dimentichi che per gli ebrei il peccato più grande è l’idolatria e la prima conversione consiste nel rinnegare gli idoli per tornare all’unico Dio vivente. Sollecitati dal salmo 24/25 anche noi, all’inizio dell’Avvento, decidiamo di percorrere un cammino penitenziale che sia propedeutico alla vera gioia; gioia che la celebrazione del Natale ci farà pregustare.
Seconda Lettura: dalla Prima Lettera di san Paolo ai Tessalonicesi 3,12-4,2
*L’Avvento è un’occasione per rimettere la nostra vita nella giusta prospettiva
Quando circa vent’anni dopo la risurrezione di Cristo, Paolo arrivò a Tessalonica, porto commerciale e capitale della provincia di Macedonia sotto il dominio romano, vi erano molti stranieri e una nutrita comunità ebraica. La sua predicazione ottenne successo come leggiamo negli Atti degli Apostoli (At 17, 3-4) con gli ebrei e con i pagani che invitò a rigettare gli idoli. Quest’ultimo successo suscitò però l’ira dei Giudei ostili a Gesù, al punto da costringere Paolo a fuggire. Prevedendo che sarebbe sopravvenuta una persecuzione da parte dei Giudei, qualche tempo dopo Paolo inviò Timoteo alla comunità cristiana nascente di Tessalonica per sostenerne la fede perché nessuno vacillasse e Timoteo tornò con la “buona notizia” della loro perseveranza nella fede e del loro amore. I versetti dell’odierno brano della lettera parlano della commozione di Paolo quando apprese le notizie riportategli, dopo di che invita i tessalonicesi a continuare sulla strada giusta fino al giorno del ritorno di Cristo e precisa: “Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù” (3,12-4,2,), come dire: sapete come camminare e quindi camminate così. Ieri come oggi la sfida cristiana consiste nell’orientare l’intera esistenza nella prospettiva dell’attesa del ritorno di Cristo, il giorno in cui il Signore Gesù verrà con tutti i suoi santi. Quest’esortazione di Paolo risulta attuale in una società come la nostra, che sembra aver smarrito la direzione della sua marcia. Il cristiano, secondo l’insegnamento dell’apostolo, non resta a fissare il passato, ma guarda a Colui che è il nostro avvenire e che da senso al presente: “Il Signore vi faccia crescere nell’amore per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità davanti a Dio Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo con tutti i suoi santi” (3,13). E questo perché conoscere Dio significa in verità amare. Come scrive san Giovanni, Dio è amore e lui solo è capace di renderci santi nell’amore (1 Gv 4, 8).
Vangelo secondo Luca ( 21, 25-28, 34-36)
*Lo stile apocalittico
L’anno liturgico B si è chiuso domenica scorsa con il genere letterario apocalittico e si apre il nuovo anno C con il medesimo stile. Il discorso apocalittico spaventa e il termine “apocalisse” ha una pessima reputazione essendo sinonimo di orrore, mentre in verità, nel contesto biblico, esprime il contrario. Occorre allora tener conto di quest’osservazione previa ricordando che il racconto non va mai preso alla lettera. Il verbo greco apocaluptô vuol dire “sollevare il velo” e in latino si traduce con “revelare” cioè rivelare. Può essere utile una breve riflessione su questo genere letterario di cui evidenziamo almeno quattro caratteristiche particolari:
1.Il genere apocalittico tratta di scritti di angoscia, guerre, occupazione da parte di stranieri, di persecuzione come nel libro di Daniele (II secolo a.C.). Presenta nemici e persecutori come mostri terribili ed è naturale che, per tale ragione, “apocalisse” diventa sinonimo di eventi spaventosi.
2.L’Apocalisse presenta pure parole e scritti di consolazione per rafforzare la fedeltà dei credenti e incoraggiarli a sperare e resistere di fronte al martirio poiché siamo in tempi di dure persecuzioni.
3.Apocalisse assume inoltre un significato diverso nei testi biblici perché rivelano il lato nascosto della storia annunciando la vittoria finale di Dio e in questa luce invitano a guardare al futuro con fiducia. Le descrizioni di cambiamenti cosmici sono infatti immagini simboliche del capovolgimento delle situazioni con un unico messaggio: in ogni situazione Dio ha sempre l’ultima parola.
4.Infine, lo stile apocalittico riveste in ogni testo un invito alla vigilanza attiva rigettando l’attesa passiva e inerte, per cui occorre vivere ogni giorno alla luce della speranza.
Queste quattro tipologie sono tutte presenti nel vangelo di oggi.
1. Vediamo descritti tempi di angoscia con segni spaventosi per indicare che il mondo presente sta passando (vv. 25-26);
2. emerge una parola di consolazione, che invita a resistere: “La vostra liberazione è vicina (v.28)
3. La parola di Cristo rivela il senso occulto della storia annunciando la venuta del Figlio dell’uomo (v.27). L’espressione “Figlio dell’uomo” indica ciò che Daniele chiama “il popolo dei santi di Dio” (Dn 7,12). Dopo la risurrezione i discepoli compresero che il titolo di Figlio dell’uomo che Gesù si attribuisce è perché lui è insieme uomo e Dio, il primogenito della nuova umanità, il Capo che fa di noi un unico Corpo. Alla fine della storia, saremo tutti come “un solo uomo, innestati in lui e quindi “il popolo dei santi dell’Altissimo”.
4. Apocalisse infine vuol dire anche che è indispensabile una vigilanza attiva: “Risollevatevi e alzate il capo … state attenti a voi stessi …vegliate in ogni momento pregando”(v.36).
Nel vangelo sono evidenziati due modi di vivere: chi non crede si rassegna a un destino inevitabile e purtroppo alcuni vivono praticamente così; il credente/fedele invece non si lascia sorprendere perché conosce il senso ultimo della storia, ed è certo che è ormai vicina la liberazione e il male sarà sconfitto per sempre. E questa è la sfida cristiana, testimonianza/martirio richiesta a chi vuole essere discepolo di Cristo crocifisso e risorto. All’inizio dell’Avvento questi testi biblici ci spronano a iniziare con vigile attesa un nuovo anno liturgico e ad accompagnarci sarà san Luca, l’evangelista della misericordia, della gioia, dell’universalità della salvezza, con un’attenzione peculiare alla figura di Maria, alla preghiera e all’azione dello Spirito Santo.
Buon avvio dell’Avvento!
+Giovanni D’Ercole