don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

XIV Domenica Tempo Ordinario (anno C)  [6 luglio 2025]

Iddio ci benedica e la Vergine ci protegga! Anche se entriamo nel tempo delle vacanze continuerò a farvi avere i commenti ai testi biblici di ogni domenica

 

*Prima Lettura dal Libro del profeta Isaia (66, 10-14)

Quando un profeta parla tanto di consolazione, significa che le cose vanno molto male per cui avverte il bisogno di consolare e tener viva la speranza: questo testo è dunque stato scritto in un momento difficile. L’autore, il Terzo Isaia, è uno dei lontani discepoli del grande Isaia e sta predicando agli esuli tornati dall’esilio babilonese verso il 535 a.C. Il loro ritorno, tanto sognato, si è rivelato deludente sotto ogni aspetto perché dopo 50 anni tutto era cambiato. Gerusalemme portava le cicatrici della catastrofe del 587 quando fu distrutta da Nabucodonosor; il Tempio era in rovina come buona parte della città e gli esuli non avevano ricevuto l’accoglienza trionfale come speravano.  Il profeta parla di lutto e di consolazione, ma a fronte dello scoraggiamento dominante, non si accontenta di parole di conforto, ma osa persino un discorso quasi trionfale: “Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l’amate. Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto” (v10). Da dove trarre quest’ottimismo? La risposta è semplice: dalla fede, o meglio dall’esperienza d’Israele che continua a sperare in ogni epoca perché ha certezza che Dio è sempre presente e, anche quando tutto sembra perduto, sa che nulla è impossibile a Dio. Già nei tempi di forte scoraggiamento durante l’Esodo si proclamava: “il braccio del Signore si è forse raccorciato?  (Nm 11,23), immagine  che ricorre più volte  nel libro di Isaia. Durante l’esilio, quando vacillava la speranza, il Secondo Isaia comunicava a nome di Dio: “È forse troppo corta la mia mano per liberare?» (Is 50,2) e dopo il ritorno, in un periodo di forte preoccupazione, il Terzo Isaia, che leggiamo oggi, riprende due volte la stessa immagine sia nel capitolo 59,1 sia nell’ultimo versetto dell’odierna lettura: “La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi” (v.14). Dio che ha liberato il suo popolo tante volte in passato, mai l’abbandonerà. Anche da solo il termine “mano” è un’allusione all’uscita dall’Egitto, quando Dio intervenne con mano potente e braccio teso. Il versetto 11 dell’odierno testo: “Sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni” richiama la terribile prova di fede che il popolo visse nel deserto quando ebbe fame e sete, e anche allora Dio gli assicurò ciò che era necessario.  Questo richiamo al libro dell’Esodo offre due lezioni: da una parte, Dio ci vuole liberi e sostiene tutti i nostri sforzi per instaurare la giustizia e la libertà; ma d’altra parte è importante e necessaria la nostra collaborazione. Il popolo è uscito dall’Egitto grazie all’intervento di Dio e questo Israele non lo dimentica mai, ma ha dovuto camminare verso la terra promessa a volte con grande fatica. Quando poi al versetto 13 Isaia promette da parte di Dio: “Io farò scorrere verso di essa come un fiume la pace” non significa che la pace si instaurerà magicamente. Il Signore è sempre fedele alle sue promesse: occorre continuare a credere che egli resta ed opera al nostro fianco in ogni situazione. Al tempo stesso è indispensabile che noi agiamo perché la pace, la giustizia, la felicità hanno bisogno del nostro apporto convinto e generoso. 

 

*Salmo responsoriale (65/66, 1-3a, 4-5, 6-7a, 16.20)

 Come spesso accade, l’ultimo versetto dà il senso di tutto il salmo: “Sia benedetto Dio che non ha respinto la mia preghiera, non mi ha negato la sua misericordia” (v.20). Il vocabolario impiegato mostra che questo salmo è un canto di ringraziamento: “Acclamate, cantate, dategli gloria… a te si prostri tutta la terra… narrerò quanto per me ha fatto” composto probabilmente per accompagnare i sacrifici nel Tempio di Gerusalemme e a parlare non è un individuo, bensì l’intero popolo che rende grazie a Dio. Israele ringrazia come sempre per la liberazione dall’Egitto con cenni molto chiari: “Egli cambiò il mare in terraferma… passarono a piedi il fiume”; oppure: “Venite e vedete le opere di Dio, terribile nel suo agire sugli uomini”. Anche l’espressione “le opere di Dio” nella Bibbia, indica sempre la liberazione dall’Egitto. Colpisce, del resto, la somiglianza tra questo salmo e il cantico di Mosè dopo il passaggio del Mar Rosso (Es 15), evento che illumina l’intera storia di Israele: l’opera di Dio per il suo popolo non ha altro scopo che liberarlo da ogni forma di schiavitù. Questo è il senso del capitolo 66 di  Isaia che leggiamo questa domenica nella prima lettura: in un’epoca molto buia della storia di Gerusalemme, dopo l’esilio babilonese, il messaggio è chiaro: Dio vi consolerà. Non si sa se questo salmo sia stato composto nella stessa epoca, in ogni caso il contesto è lo stesso perché è scritto per essere cantato nel Tempio di Gerusalemme e i fedeli che vi affluiscono per il pellegrinaggio prefigurano l’umanità intera che salirà a Gerusalemme alla fine dei tempi. E se il testo di Isaia annuncia la nuova Gerusalemme dove affluiranno tutte le nazioni, il salmo risponde: “Acclamate Dio, voi tutti tutta della terra… a te si prostri tutta la terra…a te canti inni al tuo nome”. La gioia promessa è il tema centrale di questi due testi: quando i tempi sono duri, occorre ricordarsi che Dio non vuole altro che la nostra felicità e un giorno la sua gioia riempirà tutta la terra, come scrive Isaia a cui il salmo risponde in eco: “Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio e narrerò quanto per me ha fatto” (vv16.20). I testi del profeta Isaia e del salmista sono immersi nella stessa atmosfera, ma non si trovano sullo stesso registro: il profeta esprime la rivelazione di Dio, mentre il salmo è la preghiera dell’uomo. Quando Dio parla si preoccupa della gloria e della felicità di Gerusalemme. Quando il popolo, attraverso la voce del salmista, parla rende a Dio la gloria che a lui solo spetta: “Acclamate Dio, voi tutti della terra, cantate la gloria del suo nome, dategli gloria con la lode” (vv1-3). Infine il salmo diventa voce di tutto Israele: “Sia benedetto Dio che non ha respinto la mia preghiera, non mi ha negato la sua misericordia” (v.20). Un modo meraviglioso per dire che sarà l’amore ad avere l’ultima parola

 

*Seconda Lettura dalla lettera di san Paolo ai Galati (6, 14-18)

“Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce “. Il fatto che Paolo insiste sulla croce come unico vanto, lascia intuire che c’è un problema. In effetti la lettera ai Galati inizia con un forte rimprovero perché molto in fretta i credenti erano passati da Cristo a un altro vangelo e alcuni seminavano confusione volendo capovolgere il vangelo di Cristo. A seminare zizzania erano ebrei convertiti al cristianesimo (giudeo-cristiani) che volevano obbligare tutti a praticare tutte le prescrizioni della religione ebraica, compresa la circoncisione. Paolo allora li mette in guardia perché teme che dietro la discussione sul sì o no alla circoncisione  si nasconda una vera eresia dato che ci salva solo la fede in Cristo concretizzata dal Battesimo e  imporre la circoncisione equivarrebbe a negarlo, ritenendo la croce di Cristo non  sufficiente. Per questo ricorda ai Galati che il loro unico vanto è la croce di Cristo. Ma, per comprendere Paolo, bisogna precisare che per lui la croce è un evento e non si concentra solo sulle sofferenze di Gesù: per lui è l’evento centrale della storia del mondo. La croce –cioè  Cristo crocifisso e risorto - ha riconciliato Dio e l’umanità, e ha riconciliato gli uomini tra loro. Scrivendo che per mezzo della croce di Cristo, “il mondo per me è stato crocifisso” intende dire che a a partire dall’evento della croce il mondo è definitivamente trasformato e nulla sarà più come prima, come scrive anche nella lettera ai Colossesi (Col 1, 19-20). La prova che la croce è l’evento decisivo della storia è che la morte è stata vinta: Cristo è risorto. Per Paolo, croce e risurrezione sono inseparabili trattandosi di un solo medesimo evento. Dalla croce è nata la creazione nuova, contrapposta al mondo antico.  In tutta questa lettera, Paolo ha contrapposto il regime della Legge mosaica con il regime della fede; la vita secondo la carne e la vita secondo lo Spirito; l’antica schiavitù e la libertà che riceviamo da Gesù Cristo. Aderendo per fede a Cristo, diventiamo liberi di vivere secondo lo Spirito. Il mondo antico è in guerra e l’umanità non crede che Dio sia amore misericordioso e di conseguenza, disobbedendo ai suoi comandamenti, crea rivalità e guerre per il potere e per il denaro. La creazione nuova, al contrario, è l’obbedienza del Figlio, la sua fiducia totale, il perdono ai suoi carnefici, la sua guancia tesa a chi gli strappa la barba, come scrive Isaia. La Passione di Cristo è stata un culmine di odio e di ingiustizia perpetrati in nome di Dio; Cristo però ne ha fatto un culmine di non-violenza, di dolcezza, di perdono. E noi, a nostra volta, innestati nel Figlio, siamo resi capaci della stessa obbedienza e dello stesso amore. Questa conversione straordinaria, che è opera dello Spirito di Dio, ispira a Paolo una formula particolarmente incisiva: Per mezzo della croce, il mondo è crocifisso per me e io per il mondo che vuol dire: Il modo di vivere secondo il mondo è abolito, ormai viviamo secondo lo Spirito e questo diventa  motivo di vanto per i cristiani. Proclamare la croce di Cristo non è facile e quando dice: “io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo” allude alle persecuzioni che egli stesso ha subito per aver annunciato il vangelo. Un’annotazione finale: questo è l’unico scritto paolino che termina con la parola “fratelli”. Dopo aver dibattuto polemicamente con i Galati alla fine Paolo ritrova nella sua comunità la fraternità che lega evangelizzatori a evangelizzati e l’unica sorgente dell’amore ritrovato è “nella grazia del Signore nostro Gesù Cristo” (v.18). 

 

*Dal vangelo secondo Luca (10, 1- 20)

 Questa pagina del vangelo presenta Gesù mentre si dirige verso Gerusalemme. Dopo aver superato tutte le tentazioni e aver vinto il principe di questo mondo, gli resta da trasmettere il testimone ai suoi discepoli che a loro volta dovranno consegnarlo ai loro successori. La missione è troppo importante e preziosa e va condivisa. In primo luogo c’è l’invito a pregare “il signore della messe perché mandi operai nella sua messe” (v.2).  Dio conosce tutto ma c’invita a pregare perché ci lasciamo illuminare da Lui. La preghiera non mira mai a informare Dio: sarebbe ben presuntuoso da parte nostra, ma ci prepara a lasciarci trasformare da lui. Invia così il folto gruppo dei discepoli in missione fornendo loro tutti i consigli necessari per affrontare prove e ostacoli a lui ben noti. Quando saranno rifiutati, come Gesù ha sperimentato in Samaria, non dovranno scoraggiarsi ma partendo annunceranno a tutti: “E’ vicino a voi il Regno di Dio” (v.9).  E aggiungeranno: «Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi” (v.11).  Ecco inoltre alcune specifiche consegne per i discepoli. “Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi” (v.3) e questo indica che occorre restare sempre miti come agnelli essendo la missione del discepolo recare la pace: “in qualsiasi casa entriate, dite prima: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui” (vv.5-6). Bisogna cioè credere a tutti i costi nel potere contagioso della pace perché quando auguriamo sinceramente la pace, realmente la pace cresce. E se qualcuno non vi accetta non lasciatevi appesantire dagli insuccessi e dai rifiuti. Ogni discepolo avrà vita difficile perché, se Gesù stesso non aveva dove posare il capo, questo toccherà pure ai suoi discepoli. E per questo dovranno imparare a vivere giorno per giorno senza preoccuparsi del domani, accontentandosi di mangiare e bere quello che sarà servito, come nel deserto il popolo di Dio poteva raccogliere la manna solo per il giorno stesso. Per evangelizzare porteranno con sé solo l’essenziale: “senza borsa, né sacca, né sandali” (v.4) e non passate di casa in casa.” (v.7). Ci saranno spesso scelte dolorose da compiere a causa dell’urgenza della missione e sarà importante resistere alla tentazione della vanità del successo:  ”Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli” (v.20). Da sempre il desiderio di notorietà insidia i discepoli, ma i veri apostoli non sono necessariamente i più famosi. Si può pensare che i settantadue discepoli abbiano superato bene la prova  perché al ritorno, Gesù potrà dire: “Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore” (v.18).  Intraprendendo la sua ultima marcia verso Gerusalemme, Gesù sente per questo un grande conforto; tanto che subito dopo Luca ci dice: “In quello stesso istante, esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.”

+Giovanni D’Ercole

Giu 29, 2025

Fede Calamita

Pubblicato in Commento breve

La Guarigione nella Fede personale

(Mt 9,18-26)

 

Nelle comunità di Mt i giudei convertiti venivano accusati dai fautori della religione antica di essere spergiuri delle costumanze dei padri e della grande Tradizione di Mosè. Non più «figli del precetto».

D’altro canto, non mancavano predicatori fedeli che annunciavano loro di non essere degli «addormentati» della Legge (v.24), bensì le uniche persone sveglie, viventi dello Spirito di essa (vv.25-26). I veri adulti.

Nel passo di Vangelo le icone di tale insegnamento sono tratte da ciò che i credenti in Cristo sperimentavano sotto i loro occhi. In specie: come ci si contiene quando il “diverso” bussa alla porta di casa e delle assemblee?

Secondo le credenze dell’oriente antico, sangue e morte erano icone d’impurità e fattori d’esclusione sociale. L’allontanamento dalla comunità [sinagoga dei sani e puri] era un obbligo religioso.

E chi fosse stato ritenuto affetto da tare d’imperfezione anche fisica non poteva accostarsi alla soglia delle assemblee, delle famiglie perbene, o della vita civile - e neppure chi avesse una qualsiasi relazione con loro.

Ma come si comporta Dio con chi ha problemi? Antepone doveri, procedure, riti di purificazione prescritti? Umilia proprio il bisognoso di comprensione? E con tutta una lunga trafila di discipline, penitenze o pubbliche verifiche?

No, cura per mezzo della Fede personale. Così annienta il potere della morte e il controllo ossessivo degli anziani del Tempio - legalisti, in tutt’altri impegni e calcoli affaccendati.

Con la sua proposta sconvolgente Gesù cura la malattia mortale del popolo intero: sia la «figlia» spirituale dei capi [per questo, ‘nazione’ già perita in partenza] che i considerati immondi.

Tutti ancora se si vuole «adolescenti» della religiosità, ossia impossibilitati a una vita piena, o mai diventati autonomi, sebbene in procinto di poterlo essere.

Nel momento della ‘guarigione’ la «folla» e gli apostoli - se inefficaci e devianti - devono sparire: vale solo la Fede (v.22), ossia il tu-per-tu col Signore, che porta Dio fra gli uomini e noi nel cuore del Padre.

Per questo è lecito tralasciare prescrizioni e sorprenderlo per iniziativa personale (vv.20-21) - mentre secondo i maestri ufficiali Gesù dovrebbe guardare e dirigersi altrove (v.22).

Solo per Fede irripetibile - personale e senza tormenti - si diventa «figli» (v.22) ossia membri puri di Chiesa autentica che congiunge la creatura al Creatore - incessantemente facendo scoccare un successivo rinnovamento e ulteriori diverse Genesi, man mano potenziate.

Grazie alla Fede, relazione d’amicizia che ha Visione, i veri ‘adulti’ superano i pensieri appannati, i gesti sommari e stagnanti delle concatenazioni scontate. Lo fanno in modo immediato, ininterrotto, crescente.

Qui il nostro credere diventa Via non intorpidita e Rinascita. Immagine dentro, che coglie nel mondo e nella Persona del Cristo nuove possibilità.

Fiducia fresca e intensa, invece che delusione. Calamita di ciò che si spera.

 

 

[Lunedì 14.a sett. T.O.  7 luglio 2025]

Fede Calamita

(Mt 9,18-26)

 

Nelle comunità di Mt i giudei convertiti venivano accusati dai fautori della religione antica di essere spergiuri delle costumanze dei padri e della grande Tradizione di Mosè. Non più «figli del precetto».

D’altro canto, non mancavano predicatori fedeli che annunciavano loro di non essere degli «addormentati» della Legge (v.24), bensì le uniche persone sveglie, viventi dello Spirito di essa (vv.25-26). I veri adulti.

Nel passo di Vangelo le icone di tale insegnamento sono tratte da ciò che i credenti in Cristo sperimentavano sotto i loro occhi. In specie: come ci si contiene quando il “diverso” bussa alla porta di casa e delle assemblee?

Secondo le credenze dell’oriente antico, sangue e morte erano icone d’impurità e fattori d’esclusione sociale. L’allontanamento dalla comunità (sinagoga dei sani e puri) era un obbligo religioso.

E chi fosse stato ritenuto affetto da tare d’imperfezione anche fisica non poteva accostarsi alla soglia delle assemblee, delle famiglie perbene o della vita civile - e neppure chi avesse una qualsiasi relazione con loro.

Ma come si comporta Dio con chi ha problemi? Antepone doveri, procedure, riti di purificazione prescritti? Umilia proprio il bisognoso di comprensione? E con tutta una lunga trafila di discipline, penitenze o pubbliche verifiche?

No, cura per mezzo della Fede personale. Così annienta il potere della morte e il controllo ossessivo degli anziani del Tempio - legalisti, in tutt’altri impegni e calcoli affaccendati.

Con la sua proposta sconvolgente Gesù cura la malattia mortale del popolo intero: sia la «figlia» spirituale dei capi [per questo, “nazione” già perita in partenza] che i considerati immondi.

Tutti ancora se si vuole «adolescenti» della religiosità, ossia impossibilitati a una vita piena, o mai diventati autonomi, sebbene in procinto di poterlo essere.

[Nel linguaggio biblico le icone di donna che richiamano la vicenda del popolo o di una comunità, derivano dal fatto che in ebraico il termine Israele è di genere femminile].

Nel momento della “guarigione” la «folla» e gli apostoli - se inefficaci e devianti - devono sparire: vale solo la Fede (v.22), ossia il tu-per-tu col Signore, che porta Dio fra gli uomini e noi nel cuore del Padre.

Per questo è lecito tralasciare prescrizioni e sorprenderlo per iniziativa personale (vv.20-21) - mentre secondo i maestri ufficiali Gesù dovrebbe guardare e dirigersi altrove (v.22).

Farsi controllare e sequestrare da false guide interessate significa autocondannarsi a non avere un rapporto pieno, colmo di smalto, faccia a faccia, autentico ed efficace, diretto - come nell’amore.

Solo per Fede irripetibile - personale e senza tormenti - si diventa «figli» (v.22) ossia membri puri di Chiesa autentica, che congiunge la creatura al Creatore - incessantemente facendo scoccare un successivo rinnovamento e ulteriori diverse Genesi, man mano potenziate.

Grazie alla Fede, relazione d’amicizia che ha Visione, i veri “adulti” superano i pensieri appannati, i gesti sommari e stagnanti delle concatenazioni scontate. Lo fanno in modo immediato, ininterrotto, crescente.

Qui il nostro credere diventa Via non intorpidita e Rinascita. “Immagine” dentro, che coglie nel mondo e nella Persona del Cristo nuove possibilità.

Fiducia fresca e intensa, invece che delusione. Calamita di ciò che si spera [cf. Eb 11,1].

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Ti senti giudicato ed emarginato? Come intrecci la tua vita con quella di Dio? Come risusciti dalla cappa di un mondo abitudinario e stagnante, assuefatto, pessimista e votato alla morte? Temi di essere un traditore?

 

 

Fonte del brano di Mt: l’episodio di Giairo e l’emorroissa (Mc 5)

 

La Fede è Azione, intraprendente; Forza di vita

 

Fede e Guarigione, o esclusione

(Mc 5,21-43)

 

A Roma, al tempo di Mc, la situazione di confusione generata dalla guerra civile sembrava potesse divenire letale per la sopravvivenza delle giovani comunità perseguitate, che alcuni deridevano (v.40).

I dodici anni di vita e di emorragia delle due donne si richiamano: nella cultura semitica la perdita di sangue indicava impurità [inizio di morte] e conseguente esclusione sociale.

Sangue e morte erano qua e là fattori di emarginazione persino nelle piccole fraternità, che in quel periodo segnato da un pensiero e costumi ancora giudaizzanti impedivano qualsiasi partecipazione, anche agli appuntamenti comuni.

Sotto la diseducazione ossessiva delle guide spirituali, in particolare sul senso di peccato e indegnità - in aggiunta, il terrore religioso dei demoni - tutto sembrava seminasse panico.

Le paure assorbivano gran parte delle risorse emotive. In tal guisa, peggiorando la situazione delle persone (v.26).

Come superare il cumulo di ostacoli, che sembrava non avesse vie d’uscita? Bisognava fare l’esatto contrario di quanto inculcavano le autorità religiose!

Tra l'altro, le donne, del tutto soggiogate, in coscienza non erano affatto d’accordo coi capi.

Esse trovavano persino nel tipo di folla maschile appiccicata a Cristo un impedimento al contatto personale col Signore...

Dunque sapevano che avrebbero dovuto inventarsi qualcosa. E ci provavano di soppiatto.

 

La “donna” si muove cogliendo il Maestro «da dietro» (v.27) - appunto, di nascosto! Ma il suo non è affatto un sacrilegio.

Gesù si accorge del tocco dei minimi, non solo della solita ressa misogina attorno.

Così, i seguaci che già immaginavano di averlo sequestrato, timorosi della sua sensibilità verso gli ultimi e le non persone - lo trattano da imbecille e scriteriato (v.31).

I discepoli [dirigisti e maschi] stanno sempre accanto al Figlio di Dio, ma non sono affatto d’accordo con Lui. Vogliono solo sequestrarlo per loro.

Caro Rabbi, come ti permetti di avere una reazione diversa da quella che ti dettiamo? E come ti viene in mente di fare attenzione a chi andrebbe solo avversato e condannato - per l’indecente iniziativa che si è messo in testa? Vuoi rovinarci? Ci siamo noi, tanto basta; agli altri, morte e inferno; se possibile, anticipati.

Per Gesù, invece, la qualità della vita e delle nostre attese in questo mondo è importante: non basta pensare all’aldilà [del genere: Qui abbozza, e alla fine meriterai...].

Non conta solo il Cielo.

Pertanto, la trasgressione dei (considerati) contaminati - i quali addirittura seguono la loro coscienza [a quel tempo una vergogna] - è colta dal Signore come espressione di Fede viva (v.34)!

«Figlia»: Cristo accoglie la donna nella sua Chiesa, e in Lei valorizza tutti coloro che gli habitué tengono a distanza di sicurezza.

Neppure pretende che vada al Tempio a offrire ai sacerdoti il sacrificio prescritto dalla Legge!

Solo dice: «La tua Fede ti ha salvata. Va’ in Pace».

Ossia: procedi pure verso la gioia di una vita piena, senza più sul groppone il giudizio d’inadeguatezza [e le solite tare ingannevoli].

 

In effetti, anche il capo della devozione antica non può che generare “figli” [ossia, tutto un popolo spirituale] già morti in partenza (v.35).

Ma dal momento in cui egli si volge all’autentico Maestro, inizia a compiere il passaggio dalla religiosità elementare alla Fede (v.36).

In tale relazione sponsale intima, senza più il timore del castigo, la fine prematura rigenera vita, giovinezza, felicità.

La lezione non è solo per la sinagoga tradizionale, bensì anche per i massimi esponenti della Chiesa nascente: gli orgogliosi Pietro, Giacomo e Giovanni (v.37).

Proprio perché autoritari, precipitosi e testardi - tutti gli altri fedeli di comunità è bene che stiano a distanza da un ambente che strepita disperato, perché ancora immagina la morte fisica quale steccato invalicabile (v.38).

E qui sorge una nuova trasgressione religiosa: il libro del Levitico proibiva di toccare un cadavere (v.41).

Con tale incredibile gesto Cristo ribadisce: chi osserva la legge che non umanizza produce egli stesso morte e va incontro alla morte.

 

Unico valore non negoziabile è il bene concreto della persona reale. Dio non guarda meriti [supposti, da osservanze inventate] ma i bisogni.

E la Fede personale è l’Oro divino che realizza la visione interiore.

Qualità di Relazione indistruttibile: tale Azione-compassione oltrepassa la morte che guasta tutto.

Appunto, attirando e compiendo ciò che lo stesso gesto crede (vv.23.28.34.36.39).

 

«Giovanetta, ti dico: Alzati!» (v.41).

San Girolamo commenta: «Fanciulla, alzati per me: non per merito tuo, ma per la mia grazia. Alzati dunque per me: il fatto di essere guarita non è dipeso dalle tue virtù» [Omelie sul Vangelo di Marco, 3].

Nei Vangeli i verbi Vivere, Salvare e Morire sono ambivalenti e descrivono sia salute e vita fisica che salvezza spirituale, del cuore (v.34).

La narrazione della Parola di oggi ci aiuta a superare la visione meccanicistica della vita: nel Mistero dell’Eros fondante che anima e rinnova l’onda vitale, c’è il modo di battere i problemi.

In Cristo la nostra redenzione totale è risposta divina a una Fiducia anche un poco primitiva - forse incipiente - ma appassionata, che guida a rigenerare.

 

Nella Bibbia ebraica non esiste il termine «immortalità».

La lentezza d’Israele nel credere alla vita senza fine è illuminante: fa comprendere che prima di credere nel mondo futuro, è necessario dare valore e amare l’esistenza in questo mondo.

E averne passione allo stesso modo del Padre.

Il contatto con il Figlio, le sue parole, e gli stessi cenni, trasmettono una potenza di guarigione e rinascita che rinnova sia la carne che lo spirito; sia le luci che l’ombra.

Neppure la morte si erge come barriera definitiva e conclusiva.

 

Ancora oggi la cura divina, la sua memoria e forza di consolazione sono resi attuali nei segni della Chiesa.

Ma non limitiamoci a essere spettatori che fanno ressa attorno, senza vero Contatto col Risorto.

Apriamo l’orecchio e rendiamoci conto che non siamo chiamati a ricalcare presenze ingombranti, estranee, altrui.

Parliamogli personalmente, e chiediamo in tutto che intervenga sulle nostre infermità, o cali momentanei.

Ed ecco sorgere il silenzio d’uno spazio nostro, irripetibile, fragrante, segreto; che sboccia da una Sintonia genuina.

Allora Egli ci trasformerà, si comunicherà a noi (v.43), ci farà simili a Lui e in grado di sostenere le sfide.

Infine capaci di sciogliere nodi di morte e aiutare le sospensioni degli altri.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Qual è il richiamo delle azioni di Gesù per te, per la tua famiglia e la comunità?

Gesù ha dimostrato un potere assoluto nei confronti di questa morte: lo si vede quando ridona la vita al giovane figlio della vedova di Nain (cfr Lc 7,11-17) e alla fanciulla di dodici anni (cfr Mc 5,35-43). Proprio di lei disse: "Non è morta, ma dorme" (Mc 5,39), attirandosi la derisione dei presenti. Ma in verità è proprio così: la morte del corpo è un sonno da cui Dio ci può ridestare in qualsiasi momento.

Questa signoria sulla morte non impedì a Gesù di provare sincera com-passione per il dolore del distacco. Vedendo piangere Marta e Maria e quanti erano venuti a consolarle, anche Gesù "si commosse profondamente, si turbò" e infine "scoppiò in pianto" (Gv 11,33.35). Il cuore di Cristo è divino-umano: in Lui Dio e Uomo si sono perfettamente incontrati, senza separazione e senza confusione. Egli è l’immagine, anzi, l’incarnazione del Dio che è amore, misericordia, tenerezza paterna e materna, del Dio che è Vita. Perciò dichiarò solennemente a Marta: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno". E aggiunse: "Credi tu questo?" (Gv 11,25-26). Una domanda che Gesù rivolge ad ognuno di noi; una domanda che certamente ci supera, supera la nostra capacità di comprendere, e ci chiede di affidarci a Lui, come Lui si è affidato al Padre. Esemplare è la risposta di Marta: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo" (Gv 11,27). Sì, o Signore! Anche noi crediamo, malgrado i nostri dubbi e le nostre oscurità; crediamo in Te, perché Tu hai parole di vita eterna; vogliamo credere in Te, che ci doni una speranza affidabile di vita oltre la vita, di vita autentica e piena nel tuo Regno di luce e di pace.

Affidiamo questa preghiera a Maria Santissima. Possa la sua intercessione rafforzare la nostra fede e la nostra speranza in Gesù, specialmente nei momenti di maggiore prova e difficoltà.

[Papa Benedetto, Angelus 9 marzo 2008]

Cari giovani del Cile,

1. Ho desiderato vivamente questo incontro che mi offre l’opportunità di condividere direttamente la vostra gioia, il vostro affetto, il vostro desiderio di una società più conforme alla dignità propria dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1, 26). So che sono queste le aspirazioni dei giovani cileni e per questo rendo grazie a Dio.

Ho letto le vostre lettere e ascoltato con grande attenzione e commozione le vostre testimonianze, da cui non emergono solo le inquietudini, i problemi e le speranze della gioventù cilena nelle diverse regioni, ambienti e condizioni sociali.

 Avete voluto manifestare quello che pensate della nostra società e del nostro mondo, indicando i sintomi di debolezza, di infermità e perfino di morte spirituale. Certo: il nostro mondo ha bisogno di un profondo miglioramento, di una profonda resurrezione spirituale. Anche se il Signore sa tutto questo, vuole che, con la stessa fede del capo della Sinagoga Giairo - che gli comunica la gravità dello stato di suo figlia: “la mia figlioletta è agli estremi” (Mc 5, 23) - gli diciamo quali sono i nostri problemi tutto quello che ci preoccupa o ci rattrista. E il Signore spera che gli rivolgiamo la stessa supplica di Giairo, quando gli chiedeva la salute di sua figlia: “Vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva” (Mc 5, 23). Vi invito, dunque, ad unirvi alla preghiera per la salvezza del mondo intero, affinché tutti gli uomini rinascano ad una vita nuova in Cristo Gesù. Esiste il Cile, ma esiste anche tutto il mondo; esistono tanti paesi, tanti popoli, tante nazioni che non possono morire. Si deve pregare per vincere la morte. Si deve pregare per ottenere una vita nuova in Cristo Gesù. Egli è la vita; Egli è la verità; Egli è la via.

2. Desidero ricordarvi che Dio conta sui giovani e le giovani del Cile per cambiare il mondo. Il futuro della vostra patria dipende da voi. Voi stessi siete il futuro, che si configurerà come presente secondo come si configura ora la vostra vita. Nella lettera che indirizzai ai giovani e alle giovani di tutto il mondo in occasione dell’Anno Internazionale della Gioventù, vi dicevo: “Da voi dipende il futuro, da voi dipende il termine di questo Millennio e l’inizio del nuovo. Non siate, dunque, passivi; assumetevi le vostre responsabilità in tutti i campi a voi aperti nel nostro mondo!” (Ioannes Pauli PP. II, Epistula Apostolica ad iuvenes Internationali vertente Anno Iuventuti dicato, 16, die 31 mar. 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII/1 [1985] 800). Ora, in questo stadio, luogo di competizioni, ma anche di dolore e sofferenza in epoche passate, desidero tornare a ripetere ai giovani cileni: assumetevi le vostre responsabilità! Siate disposti, animati dalla fede nel Signore, a dare ragione della vostra speranza (cf. 1 Pt 3, 15).

Il vostro sguardo attento al mondo e alle realtà sociali, come pure il vostro autentico senso cristiano che deve portarvi ad analizzare e a valutare con discernimento le condizioni attuali del vostro Paese, non possono esaurirsi nella semplice denuncia dei mali esistenti. Nella vostra mente giovane devono nascere, e prendere forma, proposte di soluzioni, anche audaci, non solo compatibili con la vostra fede, ma anche richieste da essa. Un sano ottimismo cristiano sottrarrà in questo modo il terreno al pessimismo sterile e vi darà fiducia nel Signore.

3. Qual è il motivo della vostra fiducia? La vostra fede, il riconoscimento e l’accettazione dell’immenso amore che Dio continuamente manifesta agli uomini: “Dio Padre che ama ciascuno di noi da tutta l’eternità, che ci ha creato per amore e tanto ha amato noi peccatori fino a dare il suo figlio unigenito perché fossero perdonati i nostri peccati, e potessimo essere riconciliati con Lui, e vivere con Lui una comunione di amore che non avrà mai fine” (Ioannis Pauli PP. II, Nuntius ad iuvenes, 2, die 30 nov. 1986: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX/2 [1986] 1820). Sì, Gesù Cristo morto, Gesù Cristo risorto è per noi la prova definitiva dell’amore di Dio per tutti gli uomini. Gesù Cristo, “è lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb 13, 8), continua a mostrare per i giovani lo stesso amore che descrive il Vangelo quando si incontra con un giovane e una giovane.

Così possiamo contemplarlo nella lettura biblica che abbiamo ascoltato: la resurrezione della figlia di Giairo, la quale - puntualizza San Marco - “aveva dodici anni” (Mc 5, 42). Vale la pena di soffermarsi a contemplare tutta la scena. Gesù, come in tante altre occasioni, stava lungo il mare, circondato dalla folla. Dalla moltitudine esce Giairo, che con franchezza espone al Maestro la sua pena, l’infermità di sua figlia e con insistenza supplica la sua guarigione: “La mia figlioletta è agli estremi: vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva” (Mc 5, 23).

“Gesù andò con lui” (Mc 5, 24). Il cuore di Cristo, che si commuove di fronte al dolore umano di quest’uomo e della sua giovane figlia, non resta indifferente di fronte alle nostre sofferenze. Cristo ci ascolta sempre, ma ci chiede che ricorriamo a lui con fede.

Poco più tardi vennero a dire a Giairo che sua figlia era morta. Umanamente non vi era più rimedio. “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?” (Mc 5, 36).

L’amore che Gesù sente per gli uomini, per noi, lo spinge ad andare alla casa del capo della sinagoga. Tutti i gesti e le parole del Signore esprimono questo amore. Vorrei soffermarmi particolarmente sulle testuali parole uscite dalla bocca di Gesù: “La bambina non è morta, ma dorme”. Queste parole, profondamente rivelatrici, mi inducono a pensare alla misteriosa presenza del Signore della vita in un mondo che sembra soccombere all’impulso distruttore dell’odio, della violenza e dell’ingiustizia; ma no. Questo mondo, che è vostro, non è morto, ma dorme. Nel vostro cuore, cari giovani si avverte il forte palpito della vita, dell’amore di Dio. La gioventù non è morta quando è vicina al Maestro. Sì, quando è vicina a Gesù: voi tutti siete vicini a Gesù. Ascoltate tutte le sue parole, tutte le parole, tutto. Giovane, ama Gesù, cerca Gesù. Incontrati con Gesù.

Successivamente Cristo entrò nell’abitazione dove ella giaceva, le prese la mano e le disse: “Fanciulla, io ti dico, alzati!” (Mc 5, 41). Tutto l’amore e tutta la potenza di Cristo - la potenza del suo amore - ci si rivelano in questa delicatezza e in questa autorità con cui Gesù ridà la vita a questa bambina e le ordina di alzarsi. Ci commuove il constatare l’efficacia della parola di Cristo: “Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare” (Mc 5, 42). In quest’ultima disposizione di Gesù, prima di congedarsi - “di darle da mangiare” (Mc 5, 43) - scopriamo fino a che punto Cristo, vero Dio e vero uomo, conosce e si preoccupa di tutte le nostre necessità spirituali e materiali.

Dalla fede nell’amore di Cristo per i giovani nasce l’ottimismo cristiano che manifestate in questo incontro.

4. Solo Cristo può dare la vera risposta alle vostre difficoltà! Il mondo ha bisogno della vostra risposta personale alle Parole di vita del Maestro: “Io ti dico, alzati!”.

Vediamo come Gesù va incontro all’umanità, nelle situazioni più difficili e penose. Il miracolo compiuto nella casa di Giairo ci mostra il suo potere sul male. È il Signore della vita, il vincitore della morte.

Paragoniamo il caso della figlia di Giairo con la situazione dell’attuale società. Tuttavia non possiamo dimenticare che, secondo quanto ci insegna la fede, la causa prima del male, dell’infermità, della stessa morte, è il peccato sotto le sue diverse forme.

Nel cuore di ciascuno e di ciascuna sta questa infermità che ci colpisce tutti: il peccato personale, sempre più radicato nelle coscienze, nella misura in cui si perde il senso di Dio; nella misura in cui si perde il senso di Dio! Non si può vincere il male con il bene se non si ha questo senso di Dio, della sua azione, della sua presenza che ci invita a scommettere sempre per la grazia, per la vita, contro il peccato, contro la morte. È in gioco la sorte dell’umanità: “L’uomo può costruire un mondo senza Dio, ma questo mondo finirà per ritorcersi contro l’uomo” (Ioannis Pauli PP. II, Reconciliatio et Paenitentia, 18).

Da qui la necessità di vedere le implicazioni sociali del peccato per edificare un mondo degno dell’uomo. Vi sono mali sociali che danno vita ad una vera e propria “comunione del peccato”, in quanto, insieme all’anima, avviliscono la Chiesa e in certo qual modo il mondo intero (cf. Ivi, 16). È giusta la reazione dei giovani di fronte a questa funesta comunione nel peccato che avvelena il mondo.

Amati giovani. Lottate con coraggio contro il peccato, contro le forze del male in tutte le sue forme, lottate contro il peccato. Combattete la buona battaglia della fede per la dignità dell’uomo, per la dignità dell’amore, per una vita nobile, di figli di Dio. Vincere il peccato mediante il perdono di Dio è una guarigione, una risurrezione. Fatelo con piena coscienza della vostra responsabilità irrinunciabile.

5. Se sondate il vostro intimo scoprirete senza dubbio difetti, desideri di bene non soddisfatti peccati, ma vi accorgerete anche che nella vostra intimità giacciono forze rimaste inattive, virtù non esercitate a sufficienza, capacità di reazione non esaurite.

Queste energie sono come nascoste nell’anima di un giovane o di una giovane; quante aspirazioni giuste e profondi aneliti che è necessario ridestare, portare alla luce! energie e valori che molte volte i comportamenti e le pressioni che vengono dalla secolarizzazione soffocano, e che possono essere ridestati solo dall’esperienza di fede, dall’esperienza di Cristo vivo, di Cristo crocifisso, di Cristo morto e risorto.

Giovani cileni non abbiate paura di guardare a Lui! Guardate al Signore: che cosa vedete? È solo un uomo saggio? No! È più di questo! È un profeta? Sì! Ma è ancora di più! È un riformatore sociale? Molto più di un riformatore, molto di più. Guardate al Signore con sguardo attento e scoprirete in Lui il volto stesso di Dio. Gesù è la Parola che Dio doveva dire al mondo. È Dio stesso che è venuto a condividere la nostra esistenza, l’esistenza di ciascuno di noi.

Al contatto di Gesù germoglia la vita. Lontano da Lui non vi è che oscurità e morte. Voi avete sete di vita. Di vita eterna! Di vita eterna? Cercatela e trovatela in Colui che non solo dà la vita ma è la Vita stessa.

6. Questo è, amici miei, il messaggio di vita che il Papa vuole trasmettere ai giovani cileni: cercate Cristo! guardate a Cristo! vivete in Cristo! Questo è il mio messaggio: “Che Gesù sia “la pietra angolare (cf. Ef 2, 20) della vostra vita e della nuova civiltà che nella solidarietà generosa e condivisa dovete costruire. Non vi può essere autentico sviluppo umano nella pace e nella giustizia, nella verità e nella libertà, se Cristo non si fa presente con la sua forza salvifica” (Ioannis Pauli PP. II, Nuntius ad iuvenes, 3, die 30 nov. 1986, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX/2 [1986] 1821). Che cosa significa costruire la vostra vita in Cristo? Significa lasciarvi impegnare dal suo amore. Un amore che chiede coerenza nel proprio comportamento, che esige l’adeguare la propria condotta alla dottrina e ai comandamenti di Gesù Cristo e della sua Chiesa; un amore che riempie la nostra vita di una felicità e di una pace che il mondo non può dare (cf. Gv 14, 27), malgrado ne abbia tanto bisogno. Non abbiate paura delle esigenze dell’amore di Cristo. Temete, al contrario, la pusillanimità, la leggerezza, la comodità, l’egoismo; tutto quello che vuole ridurre al silenzio la voce di Cristo che, rivolgendosi a ciascuno, ripete “Io ti dico, alzati!” (Mc 5, 41).

Guardate a Cristo con coraggio, contemplando la sua vita attraverso la lettura serena del Vangelo; cercandolo con fiducia nell’intimità della vostra preghiera, nei sacramenti, specialmente nell’Eucaristia, dove offre se stesso per noi ed è realmente presente. Non trascurate di formare la vostra coscienza in profondità, seriamente, sulla base degli insegnamenti che Cristo ci ha lasciato e che la sua Chiesa conserva e interpreta con l’autorità che da lui ha ricevuto.

Se cercate Cristo, anche voi udrete nell’intimo della vostra anima le richieste del Signore, le sue continue esortazioni. Gesù continua a rivolgersi a voi ripetendovi: “lo ti dico, alzati!” (Mc 5, 41), specialmente quando non siete fedeli alle opere che professate con le parole. Cercate, dunque, di non allontanarvi da Cristo, conservando nella vostra anima la grazia divina che riceveste nel Battesimo, ricorrendo, quando è necessario, al sacramento della riconciliazione e del perdono.

7. Se lottate per mettere in pratica questo programma di vita radicato nella fede e nell’amore a Gesù Cristo, sarete in grado di trasformare la società, di costruire un Cile più umano, più fraterno, più cristiano. Tutto questo sembra essere sintetizzato nella schietta frase del Vangelo: “Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare” (Mc 5, 42). Con Cristo anche voi camminerete sicuri e porterete la sua presenza in tutte le strade, in tutte le attività di questo mondo, in mezzo a tutte le ingiustizie di questo mondo. Con Cristo riuscirete a far sì che la vostra società cominci a percorrere nuove vie, fino a fare di essa la nuova civiltà della verità e dell’amore, ancorata ai valori propri del Vangelo e soprattutto al precetto della carità, il precetto che è il più divino e il più umano.

Cristo ci chiede di non restare indifferenti di fronte all’ingiustizia, di impegnarci responsabilmente nella costruzione di una società più cristiana, di una società migliore. Per questo è necessario che allontaniamo dalla nostra vita l’odio: che riconosciamo come ingannevole, falsa, incompatibile con la sua sequela, ogni ideologia che proclami la violenza e l’odio come rimedi per conseguire la giustizia. L’amore vince sempre, come Cristo ha vinto; l’amore ha vinto, sebbene talvolta, di fronte ad avvenimenti e a situazioni concrete, possa sembrarci inefficace. Anche Cristo dava l’impressione di non potercela fare. Dio sempre può di più.

Nell’esperienza di fede con il Signore, scoprite il volto di colui che, essendo nostro maestro, è l’unico che può esigere totalmente, senza limiti. Optate per Gesù e rifiutate le idolatrie del mondo, gli idoli che cercano di sedurre la gioventù. Solo Dio è adorabile. Solo Lui merita il vostro dono totale.

È vero che volete rinunciare all’idolo della ricchezza, alla brama di possedere, al consumismo, al denaro facile?

È vero che volete rifiutare l’idolo del potere, come dominio sugli altri invece dell’atteggiamento di servizio fraterno di cui Gesù diede l’esempio? È vero?

È vero che volete rifiutare l’idolo del sesso, del piacere, che frena il vostro desiderio di seguire Cristo per il cammino della croce che porta alla vita? L’idolo che può distruggere l’amore.

Con Cristo, con la sua grazia, saprete essere generosi perché tutti i vostri fratelli gli uomini, e specialmente i più bisognosi, partecipino dei beni materiali e di una formazione e di una cultura adeguata al nostro tempo, che permetta loro di sviluppare i talenti naturali che Dio ha loro concesso. In questo modo sarà più facile conseguire quegli obiettivi di sviluppo e benessere imprescindibili perché tutti possano condurre una vita degna e propria dei figli di Dio.

8. Giovane, alzati e partecipa, insieme alle molte migliaia di uomini e donne nella Chiesa, nell’infaticabile missione di annunciare il Vangelo, di guidare con tenerezza coloro che soffrono in questa terra e cercare modi di costruire un paese giusto, un paese che viva nella pace. La fede in Cristo ci insegna che vale la pena di lavorare per una società più giusta, che vale la pena di difendere l’innocente, l’oppresso e il povero, che vale la pena di soffrire per alleviare la altrui sofferenza.

Giovane, alzati! sei chiamato a cercare appassionatamente la verità, a coltivare instancabilmente la bontà, un uomo o una donna con vocazione di santità. Che le difficoltà che ti trovi a vivere non siano di ostacolo al tuo amore e alla tua generosità, ma una forte sfida. Non stancarti di servire, non tacere la verità, supera i tuoi timori, sii cosciente dei tuoi limiti personali. Devi essere forte e coraggioso, lucido e perseverante in questo lungo cammino.

Non lasciarti sedurre dalla violenza e dalle mille ragioni che sembrano giustificarla. Sbaglia chi afferma che solo passando attraverso di essa si conseguiranno la giustizia e la pace.

Giovane, alzati, abbi fede nella pace, compito arduo, compito di tutti. Non cadere nell’apatia di fronte a quello che sembra impossibile. In te germogliano i semi della vita per il Cile del domani. Il futuro della giustizia, il futuro della pace passa per le tue mani e nasce dal profondo del tuo cuore. Sii protagonista nella costruzione di una nuova convivenza di una società più giusta, sana e fraterna.

9. Concludo invocando nostra Madre. Maria Santissima, sotto la protezione della Vergine del Carmine, Patrona della vostra Patria. Tradizionalmente a questa protezione sono ricorsi sempre gli uomini del mare, chiedendo alla Madre di Dio asilo e protezione per le loro lunghe e spesso difficili traversate. Mettete anche voi sotto la sua protezione la “navigazione” della vostra vita, della vostra vita giovane non esente da difficoltà ed Ella vi condurrà al porto della Vita vera. Amen.

[Papa Giovanni Paolo II, ai giovani di Santiago del Cile, 2 aprile 1987]

Il Vangelo di questa domenica (cfr Mc 5,21-43) presenta due prodigi operati da Gesù, descrivendoli quasi come una sorta di marcia trionfale verso la vita.

Dapprima l’Evangelista narra di un certo Giairo, uno dei capi della sinagoga, che viene da Gesù e lo supplica di andare a casa sua perché la figlia di dodici anni sta morendo. Gesù accetta e va con lui; ma, lungo la strada, giunge la notizia che la ragazza è morta. Possiamo immaginare la reazione di quel papà. Gesù però gli dice: «Non temere, soltanto abbi fede!» (v. 36). Arrivati a casa di Giairo, Gesù fa uscire la gente che piangeva - c’erano anche le donne prefiche che urlavano forte - ed entra nella stanza solo coi genitori e i tre discepoli, e rivolgendosi alla defunta dice: «Fanciulla, io ti dico: alzati!» (v. 41). E subito la ragazza si alza, come svegliandosi da un sonno profondo (cfr v. 42).

Dentro il racconto di questo miracolo, Marco ne inserisce un altro: la guarigione di una donna che soffriva di emorragie e viene sanata appena tocca il mantello di Gesù (cfr v. 27). Qui colpisce il fatto che la fede di questa donna attira – a me viene voglia di dire “ruba” – la potenza salvifica divina che c’è in Cristo, il quale, sentendo che una forza «era uscita da lui», cerca di capire chi sia stato. E quando la donna, con tanta vergogna, si fa avanti e confessa tutto, Lui le dice: «Figlia, la tua fede ti ha salvata» (v. 34).

Si tratta di due racconti ad incastro, con un unico centro: la fede; e mostrano Gesù come sorgente di vita, come Colui che ridona la vita a chi si fida pienamente di Lui. I due protagonisti, cioè il padre della fanciulla e la donna malata, non sono discepoli di Gesù eppure vengono esauditi per la loro fede. Hanno fede in quell’uomo. Da questo comprendiamo che sulla strada del Signore sono ammessi tutti: nessuno deve sentirsi un intruso, un abusivo o un non avente diritto. Per avere accesso al suo cuore, al cuore di Gesù, c’è un solo requisito: sentirsi bisognosi di guarigione e affidarsi a Lui. Io vi domando: ognuno di voi si sente bisognoso di guarigione? Di qualche cosa, di qualche peccato, di qualche problema? E, se sente questo, ha fede in Gesù? Sono i due requisiti per essere guariti, per avere accesso al suo cuore: sentirsi bisognosi di guarigione e affidarsi a Lui. Gesù va a scoprire queste persone tra la folla e le toglie dall’anonimato, le libera dalla paura di vivere e di osare. Lo fa con uno sguardo e con una parola che li rimette in cammino dopo tante sofferenze e umiliazioni. Anche noi siamo chiamati a imparare e a imitare queste parole che liberano e questi sguardi che restituiscono, a chi ne è privo, la voglia di vivere.

In questa pagina evangelica si intrecciano i temi della fede e della vita nuova che Gesù è venuto ad offrire a tutti. Entrato nella casa dove giace morta la fanciulla, Egli caccia fuori quelli che si agitano e fanno lamento (cfr v. 40) e dice: «La bambina non è morta, dorme» (v. 39). Gesù è il Signore, e davanti a Lui la morte fisica è come un sonno: non c’è motivo di disperarsi. Un’altra è la morte di cui avere paura: quella del cuore indurito dal male! Di quella sì, dobbiamo avere paura! Quando noi sentiamo di avere il cuore indurito, il cuore che si indurisce e, mi permetto la parola, il cuore mummificato, dobbiamo avere paura di questo. Questa è la morte del cuore. Ma anche il peccato, anche il cuore mummificato, per Gesù non è mai l’ultima parola, perché Lui ci ha portato l’infinita misericordia del Padre. E anche se siamo caduti in basso, la sua voce tenera e forte ci raggiunge: «Io ti dico: alzati!». E’ bello sentire quella parola di Gesù rivolta a ognuno di noi: “Io ti dico: alzati! Vai. Alzati, coraggio, alzati!”. E Gesù ridà la vita alla fanciulla e ridà la vita alla donna guarita: vita e fede ad ambedue.

Chiediamo alla Vergine Maria di accompagnare il nostro cammino di fede e di amore concreto, specialmente verso chi è nel bisogno. E invochiamo la sua materna intercessione per i nostri fratelli che soffrono nel corpo e nello spirito.

[Papa Francesco, Angelus 1 luglio 2018]

E smuovere i vicini

(Lc 10,1-12.17-20)

 

Gesù constata che gli Apostoli non sono persone libere (cf. Lc 9). Il loro modo di essere è talmente fondato su atteggiamenti standard e comportamenti obbligati da tradursi in armature mentali impermeabili.

La loro prevedibilità è troppo limitante: non dà respiro al cammino di coloro che invece vogliono riattivarsi, scoprire, valorizzare sorprese dietro i lati segreti della realtà e della personalità.

Ciò che rimane vincolato ad antiche costumanze e soliti protagonisti non fa sognare, non è apparizione e testimonianza stupefacente d’Altrove; toglie ricchezza espressiva all’Annuncio e alla vita.

Il Signore si vede costretto a chiamare i Samaritani [gli eretici della religione] raccolti altrove, non provenienti da osservanze “corrette”, ma in grado di camminare, comprendere e non fare gli schizzinosi.

I nuovi inviati vanno sulla strada indifesi. Non potendo contare sulle consuete astuzie, vengono sicuramente danneggiati, defraudati e - se toccano tutti i nervi scoperti - sbranati.

Ma il loro essere dimesso e poco saccente fa pensare, suscita nuovi saperi e consapevolezze. Così la loro amicizia spontanea e innocente.

 

Poi, in situazioni bloccate sarà questo ‘disordine’ di nuovi stupefatti a introdurre rinnovato fascino, evocare potenzialità, allargare occasioni espressive e il campo d’azione di tutti.

 

Giunti in un territorio, sarà bene non passare di casa in casa: da una sistemazione di fortuna all’appartamento, alla villa e poi al palazzo, perché la ricerca di migliori agi fa sparire la Novità di Dio.

La cura dei malati e delle devianze è punto fermo della Missione, perché proprio dalle insicurezze o eccentricità germoglia un ‘regno’ diverso, quello che si accorge e si fa carico - nell’amore di chi non abbandona.

E non si perda tempo a pettinare l’ambiente seduto: anche un volontario allontanamento educa alla gratuità.

Lo slancio della vita desterà le coscienze e prevarrà sul negativo: nel cammino che ci appartiene le accuse conteranno sempre meno.

 

A differenza dell’azione infruttuosa degli Apostoli (Lc 9 passim), il ritorno dei nuovi evangelizzatori è pieno di gioia e risultati (vv.17-20).

Sono gli ultimi e diversi a far cadere dal “cielo” - e sostituire - i nemici dell’umanità e della nostra Letizia (vv.5-6).

Nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalom] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci completano e realizzano anche spiritualmente.

Ora la Salvezza [vita da salvati] che fiorisce è a portata di mano di tutti (v.9), non più un privilegio.

I lati giudicati pazzeschi, estranei o materialmente inconcludenti stanno apprestando i nostri nuovi percorsi.

 

Nel grande Mistero di percepirsi come un ‘essere nel Dono’ - «due a due» (v.1) per vivere in pienezza - il sé comprende le opposte polarità della sua essenza.

Solo così ‘dilatati’ diventiamo un essere Con e Per l'altro. In cammino sulla Via, nella forma di Croce.

 

 

[14.a Domenica T.O. (anno C), 6 luglio 2025]

Oltre i Dodici: altri 72 insicuri (ma trasparenti) nell’incertezza di lupi

(Lc 10,1-20)

 

E io e Te

«La Verità non è affatto ciò che ho. Non è affatto ciò che hai. Essa è ciò che ci unisce nella sofferenza, nella gioia. Essa è figlia della nostra Unione, nel dolore e nel piacere partoriti. Né io né Te. E io e Te. La nostra opera comune, stupore permanente. Il suo nome è Saggezza».

(Irénée Guilane Dioh)

 

Gesù constata che gli Apostoli non sono persone libere, per questo non emancipano nessuno e addirittura impediscono qualsiasi svolta (cf. Lc 9).

Il loro modo di essere è talmente fondato su atteggiamenti standard e comportamenti obbligati da tradursi in armature mentali impermeabili.

La loro prevedibilità è troppo limitante: non dà respiro al cammino di coloro che invece vogliono riattivarsi, scoprire e valorizzare sorprese dietro i lati segreti della realtà e della personalità.

Ciò che rimane vincolato ad antiche costumanze e soliti protagonisti non fa sognare, non è apparizione e testimonianza stupefacente d’Altrove; toglie ricchezza espressiva all’Annuncio e alla vita.

Il Signore si vede costretto a chiamare i samaritani (gli eretici della religione) raccolti altrove, non provenienti da osservanze “corrette” - ma in grado di camminare, comprendere e non fare gli schizzinosi.

Almeno loro non smentiscono la Parola che proclamano con una vita dietro le quinte: quello che vedi, sono.

È praticamente indotto a sorvolare i Dodici, con «72» insicuri ma trasparenti, nell’incertezza dei (molti) lupi che si sentono destabilizzati.

I nuovi inviati vanno sulla strada indifesi. Non potendo contare sulle consuete astuzie, vengono sicuramente danneggiati, defraudati e - se toccano tutti i nervi scoperti - sbranati.

Ma il loro essere dimesso e poco saccente fa pensare, suscita nuovi saperi e consapevolezze. Così la loro amicizia spontanea e innocente.

Poi, in situazioni bloccate sarà questo “disordine” di nuovi stupefatti a introdurre rinnovato fascino; evocare potenzialità, allargare le possibili inclinazioni espressive, e il campo d’azione di tutti.

Sono i testimoni critici a trasmutare il mondo e guidare le persone alla lode (perché magari si sono semplicemente riappropriati di risorse che neanche sapevano di possedere o avevano perso di vista).

Coloro che non cessano di sorprendere devono stare attenti ai falsi e profittatori che si sentono disturbati dal sorriso dei nuovi ingenui - e molto attenti. Solo qui bisogna fare i difficili: non ci siano altri scrupoli!

Giunti in un territorio, sarà bene non passare di casa in casa: da una sistemazione di fortuna all’appartamento, alla villa, poi al palazzo, perché la ricerca di migliori agi fa sparire la Novità di Dio.

La cura dei malati e delle devianze è punto fermo della Missione, perché è proprio dalle insicurezze o eccentricità che germoglia un regno diverso, quello che si accorge e si fa carico - nell’amore di chi non abbandona.

E non si perda tempo a pettinare l’ambiente seduto sulla falsa ideologia tronetto-altare: anche un volontario allontanamento educa alla gratuità. Anzi fa sbalordire e riflettere proprio i capi religiosi [all’antica e non] e i loro devoti di cerchia, che restano legati a posizioni di visibilità sociale, all’idolo del posto, alla malattia del titolo (senza il quale non si sentono personaggi).

Sono manipolatori, e ci riempiono la testa di venticelli.

Lo spione del sovrano - il «satana» [i suoi accoliti sono molti e insospettabili] nemico del progresso dell’umanità - non avrà più rilievo.

Lo slancio della vita desterà le coscienze e prevarrà sul negativo: nel cammino che ci appartiene le accuse dei sorveglianti interessati conteranno sempre meno.

A differenza dell’azione scrupolosa ma triste e deviante degli Apostoli [Lc 9 passim] il ritorno dei nuovi evangelizzatori aggregati per Chiamata diretta e senza ritualità intermedie è pieno di brio e risultati (vv.17-20).

Sono gli ultimi e diversi - non i più noti e autoreferenziali aggregati - a far cadere dal “cielo” e sostituire i satana-funzionari, nemici dell’umanità e della Gioia inclusiva (vv.5-6).

Nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalôm] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci compiono e realizzano anche spiritualmente.

Ora la Salvezza che fiorisce [vita da salvati, conclusiva] è per tutti a portata di mano (v.9), non più un privilegio.

I lati giudicati malaticci, squilibrati, sofferenti, invalidi, pazzeschi o materialmente inconcludenti stanno apprestando i nostri nuovi percorsi.

 

Nella dinamica vocazionale il punto fermo non risiede in una soddisfacente adesione a criteri di ragione, né in qualche geniale elaborazione di novità.

Neppure si colloca nella eroicità o fissità di comportamenti conformi, pur convinti.

La nostra certezza stupisce d’una sorpresa che Viene.

Essa ci desta, ma risiede unicamente in una percezione dell’occhio interiore: nella leggera immagine ricorrente che c’inabita e misteriosamente si affaccia, trascina e guida.

E cura le paure.

Unica sicurezza sarà quella lieve visione che - corrispondendo e ribadendo le sue venute - volge ciascuno al suo desiderio personale inespresso, tessendo un dialogo ineffabile con l’anima e la sua Via.

Il Dono s’impone allo scenario intimo, per volgere ogni Nome a destinazione.

Per attirare e attualizzare Futuro. Beninteso: non il ritorno alla situazione precedente che molti propugnano; oggi, anche in tempo di crisi globale.

Non esiste altro punto fermo che la nostra Chiamata.

Essa giunge per allacciare una relazione sponsale con l’opera imprevedibile e inedita della personale Fede-calamita.

Attrazione che seduce l'anima, la libera dalle insicurezze infondendole passione, e chiede di farsi rispettare.

Solo in senso vocazionale e intimamente forte, l’appello del Sogno che affiora alla percezione del cuore, ci fa tenaci.

E rianima un’esistenza vagante tra le bufere - come quella d’un pianeta alla deriva - intrecciando la vita al Cristo.

È la nostra Pace nel caos, che pure invita all’introspezione.

“Magnete-contro” nell’artificio esterno del farsi condurre da obbiettivi altrui.

Non basta neppure trovare un antidoto moderno alla frenesia che ci punge, ancora peggiorando il nostro vagabondare.

Né imponendosi uno stile conflittuale con l’indipendenza dello spirito personale.

Non è sufficiente una parentesi per annientare la tensione della vita contemporanea.

Tutto sommato non ci manca un’oasi per riflettere sul mondo, comprendere se stessi, e gli amici o i lontani.

 

«Non ho pace» - ci sentiamo ripetere da persone che si sentono alla deriva. E questo sentimento è contagioso; oggi dilagante.

Come proclamare armonia e conciliazione nelle case (v.5), in un mondo assediato da provocazioni, da malanni e competizioni globali, che se considerate in modo responsabile fanno subito tremare i polsi?

In un discorso di auguri d’inizio anno al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Giovanni Paolo II sintetizzò quattro emergenze epocali per il nuovo millennio:

«Vita, pane, pace e libertà: ecco le grandi sfide dell’umanità di oggi».

Un fuori scala per la nostra natura.

Come può l’uomo di Fede annunciare equilibrio e prosperità, se la debolezza non è protetta, se il criterio di natura sembra oggi volatile, se il nutrimento non è abbondante e vario per tutti, se la fraternità non si scorge neppure in ambienti protetti [al massimo viene scambiata per generica simpatia a scopo pubblicitario, in una chiesa degli eventi - come dice Papa Francesco], o se il belligerare può avere motivazioni teologiche (pur di non accettare le esigenze vitali altrui)… se non si riconosce a ciascuno di potersi realizzare «in maniera rispondente alla sua natura»?

Quest’ultimo a mio parere il punto cardine: prerogativa della Vocazione e dell’immaginario interiore che suscita; della nostra risposta di fiducia sponsale personale e creativa.

Diceva Giovanni Paolo: la libertà è luce «perché permette di scegliere responsabilmente le proprie mete e la via per raggiungerle».

Non un lume che abbaglia, bensì che si posa, e tesse trame.

Una luce redenta, che diviene rapporto, possibilità di condivisione; Presenza che trasmette senso.

Il libero arbitrio impallidisce, a braccetto col nostro volontarismo, e non ci basta neppure la capacità di autodeterminarci per il bene. Lo sappiamo da sempre.

 

Nella sua seconda Satira, Giovenale scrive:

«Le pratiche t’han dato questa tigna/

E a molti la daran, come di pecore/

O di porci in un branco un sol comunica/

A tutti gli altri la scabbia e la forfora/

E basta un chicco per guastare un grappolo/

Da questa moda a più brutte faccende/

Adagio adagio passerai: la scala/

Dei vizi non discendesi d’un salto/

In breve ti faranno uno dei loro/

Quelli che in casa cingonsi la fronte».

 

Bisogna vivere di Comunione, anche con se stessi, o non c’è autentica vita.

Nel grande Mistero di percepirsi come un “essere nel Dono” - «due a due» (v.1) - per godere pienezza, il sé comprende le opposte polarità della sua essenza.

Solo così dilatati diventiamo un essere “con” e “per” l'altro.

 

Non di rado la proposta sacrale ci isola o colloca in compartimenti stagni unilaterali, che troncano i sogni [non le fantasie disincarnate, che ne sono corollario].

I bei costumi antichi, o gli schemi di sociologia astratta, e stilemi o costumi locali, determinano i binari della nostra corsa: i soliti totem di costume. O le mode altrui; i manierismi esterni.

Gesù (appunto) nota l’insuccesso dei suoi, che non riescono a liberare le persone - e addirittura pretendono d’impedirlo [Lc 9].

Così chiama anche i samaritani (v.1), ossia i male indottrinati, meticci e bastardi.

Insomma, allarga l’orizzonte delle tribù designate, facendo appello a nazioni pagane, per un compito universale.

Il Signore sa che la Fede “laicale” non è di cerchia.

Essa non si adegua volentieri a modelli senza forza intima; quindi non blocca l’evoluzione, perché fa vivere di Relazione e carattere.

Ciò, in mezzo a tutte le sfaccettature dell’essere e della storia: appunto con e per gli altri, ma non all’esterno - bensì saldi in se stessi.

In tal guisa, nell’amicizia di sé e del prossimo, diventiamo per Grazia e genuinamente assai più affidabili di coloro che sono animati da articolate convinzioni o forti volontarismi di club.

Queste i ultimi spesso illusioni pericolosissime, se non riconoscono come valore assoluto il bene concreto dell’uomo reale, il diritto alla sua Felicità.

Totalità o integrazione derivante dal benessere d’un completamento nell’essere, non più ridotto.

Presenza Messianica [Annuncio dello Shalôm] che non svaluta; non permane unilaterale.

 

 

Lo spione che cade, e i piccoli cervelli

 

Lo spione del “sovrano” - il «satana» [i suoi accoliti sono molti e insospettabili], nemico del progresso dell’umanità - non avrà più rilievo.

Detronizzato dalla condizione di potere sugli uomini, esso precipita nel baratro (v.18).

Significa che grazie alla missione in Cristo, lo slancio della vita prevarrà sul negativo.

Nel cammino che ci appartiene, le accuse dei sorveglianti interessati conteranno zero.

I vecchi Re e Profeti avevano solo sospirato la pienezza del Messia. Si sentivano dei grandi, ma non avevano incontrato l’Eterno in sovrabbondanza di Persona.

Erano ancora schiavi di elementi cosmici, talora sottomessi al potere irrazionale del male; spesso vinti dal pensiero comune, dalla miseria propria e altrui, dalle attrattive della realtà mondana circostante.

I «piccoli» invece anche oggi restano aperti al Mistero e ricevono un essere rinnovato.

I sapientoni suppongono che l’unica vita si trovi dalla loro parte; si pensano potenti e convincenti. Non hanno bisogno di luce, né di un Amico.

Su questo piano viene formulata una delle rivelazioni definitive sull’Uomo autentico che manifesta la condizione divina.

Il Figlio benedice il Padre per il dono concesso agli insignificanti della società, e scopre il punto nodale del Mistero della nostra comunicazione con l’Altissimo: lo spirito di sapersi in Famiglia, a pieno titolo.

 

La santità religiosa antica poggiava sulla separazione [Qadosh-Santo: è attributo del Dio che dimora in luoghi distinti, remoti, inaccessibili] non sull’essenza.

Il nuovo nome della santità (domestica) riflessa nella Persona del Cristo e in quella dei suoi fratelli non è più sinonimo di “tagliato dagli altri e messo a parte”, bensì «Unito».

Malgrado le stampelle che porta, resta in sé “dignitoso” e addirittura “chiamato”; quindi abilitato a essere promosso, senza ulteriori condizioni di purità ideologica o cultuale.

Padre e Figlio costituiscono un Mistero di reciprocità e dedizione nel quale penetrano solo coloro che vogliono ricevere e accogliersi nella scaturigine - in Dio, per lasciarsi avvolgere da una Amicizia che raggranella tutto l’essere.

Dialogo ch’espande le pur minime qualità, sublima in Perle i lati ignoti e oscuri della personalità; per dilatare l’onda dell’esistere, senza inseguire le voci del mondo esterno [solo apparentemente vitale].

Così l’Invio e Missione hanno come nucleo il dispiegamento della qualità intensa, della stessa realtà intima e indistruttibile divina: l’Amore.

Unico Fuoco che annienta le potenze logoranti, nelle persone, nelle nazioni, nella storia.

 

Appunto, a differenza dell’opera scrupolosa ma triste e deviante degli Apostoli [Lc 9 passim], il ritorno dei nuovi evangelizzatori aggregati per Chiamata diretta e senza ritualità intermedie è pieno di gioia e risultati (vv.17-20).

Ricordiamo Tagore: «Se i cristiani fossero come il loro Maestro, avrebbero tutta l’India ai loro piedi».

Sono gli ultimi e diversi - i nuovi protagonisti dell’Annuncio.

Non i più noti e autoreferenziali cooptati riescono a far cadere dal cielo e sostituire i satana-funzionari, nemici dell’umanità e della nostra Gioia democratica (vv.5-6).

Nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalôm] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci completano, includono e realizzano anche spiritualmente.

Ora la Salvezza [vita da salvati] che fiorisce è a portata di mano di tutti coloro che hanno spirito attento e virtù da famigliari. Non più privilegio di cerchie che si sentono sicure [ma perdono l’unicità].

Ancora Tagore: «Benignamente, volutamente fattoti piccolo, vieni in questa piccola dimora [...] Come amico, come padre, come madre fattoti piccolo, vieni nel mio cuore. Io pure con le mie mani mi farò piccolo davanti al padrone dell’universo; con la mia piccola intelligenza ti conoscerò e ti farò conoscere».

Il Mistero resiste ai «dotti» che fanno professione di alta saggezza (v.21). 

Viceversa il Regno si apre ai non imprigionati da idee conformi e interposte - schiavi di pensieri e convenzioni.

Ecco l’Inno di Giubilo (vv.21-24) che introduce il Comandamento dell’Amore (vv.25ss).

Ricordo il mio professore agostiniano di Patristica: insisteva nel ripeterci che uno dei nomignoli conquistati dai primi cristiani era quello di «piccoli cervelli».

Erano persone semplici ma ricolme di attitudini alla pienezza, e di sapienti nuove consapevolezze, che sbalordivano i professori e i filosofi del mondo antico.

 

Anche noi ci chiediamo: cosa fa tornare vicini a ciò che siamo chiamati a fare?

Ebbene, forse ne abbiamo già contezza: la sufficienza di coloro che fanno professione di dottrina cerebrale - in realtà - conduce solo a precipitare dal cielo.

Annienta l’umile percezione di sé, fa impallidire la capacità di accorgersi; chiude al perdono, all’accoglienza benevolente, all’ascolto dell’anima e degli altri, alla disponibilità. Perfino all’acume dei saperi innati, quelli che ci appartengono e risolverebbero i veri problemi.

Proprio i lati giudicati pazzeschi o materialmente inconcludenti - anche nella trama di piccole cose - farebbero affrontare gli eventi esterni che attanagliano… come occasioni di crescita.

Stanno infatti preparando i nostri nuovi percorsi, e un germe di società alternativa.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

Cosa è successo in te quando hai accettato la modesta (e piena) condizione di figlio?

Quali nuove consapevolezze di te stesso e del mondo hai acquisito?

Hai scoperto anche slanci di gratuità, oltre che di gratitudine?

 

 

La Missione (Effusione) raggiunge tutte le frontiere

 

Perché l’Annuncio, senza nodi alla gola

(Lc 10,13-16)

 

La differenza tra religiosità e Fede è nel Soggetto, della Vita nello Spirito: non siamo noi a disporre, allestire, cieli e terra nuovi - bensì la Grazia che silenziosamente dissoda e precede.

Ecco perché nell’Annuncio non siamo orfani, e con tanti nodi alla gola.

Il Maestro stesso non è solo. La testimonianza anche dei non discepoli si inserisce nella Via del Cristo verso il Padre.

Strada che Viene. Non è l’impegno “interno” assodato che edifica un mondo più autentico, dai tratti divini.

È piuttosto il Regno - effusivo in se stesso - che dà origine al cammino verso i “lontani”, e attiva scenari impensabili.

Essi giungono a noi come proposta di Pace: apertura a un Disegno più vasto, e giustizia interumana.

L’esperienza variegata, l’ambiente pieno di sorprese dei non seguaci, genera fioriture, di ciascuno - nella scoperta del limite, dei propri stati profondi - per la comunione.

Nessuna riserva elettiva; nessun diritto di prelazione. Salvezza secondo il Padre, non “a modo nostro”.

 

Il Vangelo supera le barriere di popoli e se necessario lascia indietro la sua culla di culture attenuanti, chiuse in una mentalità ingessata, forse intollerante; seccata di tutto.

Chi in piena avvertenza e deliberato consenso rigetta la Parola perché il mondo non sarà più “come prima”, si ritrova d’improvviso senza speranza, senza figli, senza possibilità di vita e d’espandersi.

Senza Presenza, senza la Spiritualità del Patto - che concatena ogni testimone al Figlio e al Padre. E solo Dio può superare la forza degli ostacoli; potenze interne ed esterne.

Unicamente nella fiaccola della condizione divina [autentica Sorgente, misura che Cristo vive e ci stupisce] si apprende il senso del nostro essere, comunicare, andare.

L’inaccessibile interroga, e diventa vicinissimo. Annienta le zavorre esclusive, che permangono invano.

Così l’Annuncio scatena lo Spirito, spalanca porte inusitate: anche una finestra sul mondo interiore. Dove gli opposti hanno già diritto di esistere. Anzi, chiamano all’Alleanza nuova, che insegna a stare coi lati che non piacciono.

 

In tal guisa indagheremo e scopriremo: la lotta dei blocchi, delle paure di ciò che non vogliamo vedere all’esterno e dentro di noi, deve cessare.

Le tendenze che pensavamo dovessero essere negate diventano fonte imprevedibile di altre luci e virtù, intime e nei rapporti.

Anche e soprattutto le ombre chiamano l’Esodo, un nuovo Patto - dove non siamo assolutamente soli e unilaterali, bensì più completi.

Insomma, il Mistero che ci abita oltrepassa i lacci delle convinzioni, ci rende meno divisi. A partire dalla scaturigine dell’essere.

Si fa trascendenza-immanenza reale, stringente; per tutti. Consapevolezza di Vita Nuova.

«Chi ascolta voi ascolta me e chi disprezza voi disprezza me ma chi disprezza me disprezza Colui che mi ha mandato» (v.16).

«Il Padre infatti non giudica nessuno ma ha dato ogni giudizio al Figlio affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato» (Gv 5,22-23).

 

 

Scienziati e Piccoli

(Lc 10,21-24)

 

A differenza dell’azione infruttuosa degli Apostoli [Lc 9 passim], il ritorno dei nuovi evangelizzatori è pieno di gioia e risultati (vv.17-20). Perché?

Ciò che rimane vincolato ad antiche costumanze e soliti protagonisti non fa sognare, non è apparizione e testimonianza stupefacente d’Altrove; toglie ricchezza espressiva all’Annuncio e alla vita.

I capi guardavano la religiosità con scopi d’interesse. I professori di teologia erano abituati a valutare ogni virgola partendo dal proprio sapere, ridicolo ma supponente - estraneo alle vicende reali.

I nuovi inviati vanno sulla strada indifesi.

Il Maestro si rallegra della loro e della sua stessa esperienza, che reca una gioia non epidermica e un insegnamento dallo Spirito - su chi è ben disposto a comprendere le profondità del Regno nelle cose comuni.

Insomma, dopo un primo momento di folle entusiaste, il Maestro approfondisce le tematiche e si ritrova tutti contro, tranne Dio e i minimi: i senza peso, ma con tanta voglia di cominciare da zero.

Barlume del Mistero che lievita la storia - senza farne un possesso.

A conclusione dell’enciclica Fratelli Tutti, Papa Francesco cita la figura e l’esperienza di Charles de Foucauld, il quale - sovvertendo i conformismi - «solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti» (n.287).

In un primo tempo anche Gesù rimane sbalordito per il rifiuto di chi si riteneva già soddisfatto della struttura religiosa ufficiale e non attendeva più nulla che potesse destare abitudini e tornaconto.

Poi comprende, loda e benedice il disegno del Padre.

Comprende che la persona autentica nasce dai bassifondi, comunque da un’altra elaborazione e genesi, che sconvolgono il rapporto religioso consolidato, inerte e rassicurante - mai profondo né decisivo per le sorti umane.

Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza.

L’Eterno non è il padrone del creato che si manifesta attraverso le potenze incontenibili della natura.

È Ristoro che rinfranca, perché fa sentire completi e amabili; ci cerca, si fa attento al linguaggio del cuore.

Egli è Custode del mondo, anche dei non istruiti - degli «infanti» (v.21) spontaneamente vuoti di spirito borioso, ossia di coloro che non restano chiusi nella loro sufficiente appartenenza.

Il rapporto Padre-Figlio viene comunicato ai poveri di Dio: coloro che sono dotati di un’attitudine da famigliari (v.22).

Insignificanti e invisibili privi di grandi doti, ma che si abbandonano alle proposte della vita provvidente che viene, come bimbi in braccio a dei genitori.

Spirito di pietas che favorisce chi si lascia colmare, e non procede sulle vie del pensiero o dell’iniziativa calcolante, bensì della Sapienza innata.

Unica realtà che ci corrisponde e non presenta il “conto”: essa non procede sulle vie del pensiero funzionale, dell’iniziativa calcolante.

Essa trasmette freschezza nella disponibilità a ricevere - accogliere e ritemprare personalmente - sia la Verità come Dono... che l’entusiasmo spontaneo stesso, in grado di realizzarla.

Una preghiera di benedizione semplice e per i semplici - questa di Gesù (v.21) - che ci fa crescere nella stima, calza perfettamente con la nostra esperienza, e va d’accordo con noi stessi.

Ma che stranamente i «dotti» i quali non vivono «lo spirito del vicinato» (FT n.152) però rivendicano posizioni e giocano sempre d’astuzia, non ci hanno voluto trasmettere così volentieri.

Perché tale Berakah non presuppone l’energia dei ‘modelli’, né la potenza aggressiva dei “pezzi grossi”.

Appunto, nella prospettiva della Pace-Felicità [Shalom] da annunciare, quelli che erano sempre sembrati imperfezioni e difetti diventano energie preparatorie, che ci completano e realizzano anche spiritualmente.

E invece che solo con il “grande” ed esterno, bisogna in tal guisa vivere di Comunione pur con il ‘piccolo’ di sé, o non c’è amabilità, né autentica vita.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa provi quando ti senti dire: «Tu non conti»? Rimane un disprezzo umiliante o la consideri una grande Luce ricevuta, come ha fatto Gesù?

Pagina 1 di 38
"The girl is not dead, but asleep". These words, deeply revealing, lead me to think of the mysterious presence of the Lord of life in a world that seems to succumb to the destructive impulse of hatred, violence and injustice; but no. This world, which is yours, is not dead, but sleeps (Pope John Paul II)
“La bambina non è morta, ma dorme”. Queste parole, profondamente rivelatrici, mi inducono a pensare alla misteriosa presenza del Signore della vita in un mondo che sembra soccombere all’impulso distruttore dell’odio, della violenza e dell’ingiustizia; ma no. Questo mondo, che è vostro, non è morto, ma dorme (Papa Giovanni Paolo II)
Today’s Gospel passage (cf. Lk 10:1-12, 17-20) presents Jesus who sends 72 disciples on mission, in addition to the 12 Apostles. The number 72 likely refers to all the nations. Indeed, in the Book of Genesis 72 different nations are mentioned (cf. 10:1-32) [Pope Francis]
L’odierna pagina evangelica (cfr Lc 10,1-12.17-20) presenta Gesù che invia in missione settantadue discepoli, in aggiunta ai dodici apostoli. Il numero settantadue indica probabilmente tutte le nazioni. Infatti nel libro della Genesi si menzionano settantadue nazioni diverse (cfr 10,1-32) [Papa Francesco]
Christ reveals his identity of Messiah, Israel's bridegroom, who came for the betrothal with his people. Those who recognize and welcome him are celebrating. However, he will have to be rejected and killed precisely by his own; at that moment, during his Passion and death, the hour of mourning and fasting will come (Pope Benedict)
Cristo rivela la sua identità di Messia, Sposo d'Israele, venuto per le nozze con il suo popolo. Quelli che lo riconoscono e lo accolgono con fede sono in festa. Egli però dovrà essere rifiutato e ucciso proprio dai suoi: in quel momento, durante la sua passione e la sua morte, verrà l'ora del lutto e del digiuno (Papa Benedetto)
Peter, Andrew, James and John are called while they are fishing, while Matthew, while he is collecting tithes. These are unimportant jobs, Chrysostom comments, "because there is nothing more despicable than the tax collector, and nothing more common than fishing" (In Matth. Hom.: PL 57, 363). Jesus' call, therefore, also reaches people of a low social class while they go about their ordinary work [Pope Benedict]
Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati mentre stanno pescando, Matteo appunto mentre riscuote il tributo. Si tratta di lavori di poco conto – commenta il Crisostomo -  “poiché non c'è nulla di più detestabile del gabelliere e nulla di più comune della pesca” (In Matth. Hom.: PL 57, 363). La chiamata di Gesù giunge dunque anche a persone di basso rango sociale, mentre attendono al loro lavoro ordinario [Papa Benedetto]
The invitation given to Thomas is valid for us as well. We, where do we seek the Risen One? In some special event, in some spectacular or amazing religious manifestation, only in our emotions and feelings? [Pope Francis]
L’invito fatto a Tommaso è valido anche per noi. Noi, dove cerchiamo il Risorto? In qualche evento speciale, in qualche manifestazione religiosa spettacolare o eclatante, unicamente nelle nostre emozioni e sensazioni? [Papa Francesco]
A life without love and without truth would not be life. The Kingdom of God is precisely the presence of truth and love and thus is healing in the depths of our being. One therefore understands why his preaching and the cures he works always go together: in fact, they form one message of hope and salvation (Pope Benedict)
Una vita senza amore e senza verità non sarebbe vita. Il Regno di Dio è proprio la presenza della verità e dell’amore e così è guarigione nella profondità del nostro essere (Papa Benedetto)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

duevie.art

don Giuseppe Nespeca

Tel. 333-1329741


Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge N°62 del 07/03/2001.
Le immagini sono tratte da internet, ma se il loro uso violasse diritti d'autore, lo si comunichi all'autore del blog che provvederà alla loro pronta rimozione.
L'autore dichiara di non essere responsabile dei commenti lasciati nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell'immagine o dell'onorabilità di persone terze, il cui contenuto fosse ritenuto non idoneo alla pubblicazione verranno insindacabilmente rimossi.