Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Pane della Vita. Mistica della Visione e Fede
(Gv 6,35-40)
A fine primo secolo le chiese sentono il rischio del crollo. Lo sguardo ottuso dintorno alle prime fraternità sigillava già il Mistero.
Ma contrariamente al Primo Testamento (Es 33,22-23) per Fede ora si ‘vede’ Dio ‘e’ si vive, senza più paura (Es 3,6).
Chi «vede» il Figlio «ha» la stessa Vita dell’Eterno (v.40).
La Visione di Fede, la Visione del Figlio, la Visione dell’esito glorioso di colui che è stato rigettato dalle autorità religiose e considerato maledetto da Dio, fa divenire Uno con Lui.
È Risurrezione attuale, pur nell’esperienza rapida e greve dell’esistenza dispersiva.
L’Immagine considerata impossibile e che non si poteva reggere, cede il passo a un processo d’interpretazione, azione, riassetto, che attira futuro.
Cede il passo alla completezza del mondo umanizzante e diverso di Dio.
Lo spostamento di sguardo rompe la trama delle apparenze, delle convinzioni banali, ereditate o à la page.
Insomma: ‘coglierlo’ diventa motore di salvezza, fondamento che supera il pre-umano.
Percepirlo si fa Incontro; nella dimensione propria e perenne. Principio di eternità beata.
Secondo i credenti in Gesù la Sorgente della vita piena e indistruttibile [«Vita dell’Eterno»: v.40 testo greco] non è il pane materiale.
Già su questa terra l’Alimento totalizzante non sta in alcuna certezza banale.
Bisogna piuttosto «Vedere il Figlio» (v.40): cogliere nel Maestro una vicenda che non finisce nel fallimento.
Nonostante il rifiuto dei capi, l’esito della sua-nostra storia è la Gloria indistruttibile.
E «Credere in Lui» (v.40) non dipende dall’estrazione culturale o dalla posizione sociale concorde, ma da una elaborazione irripetibile.
‘Vedere’ e avere Fede è affidarsi alla luminosa [sembra assurda] Visione che si comunica nelle fibre più intime e fin dalla prima ‘Nascita’. Certi della piena sintonia e realizzazione in quella Figura sovreminente.
Si tratta di una Fede-Visione che legge il senso e abilita a un’appropriazione diretta: sorvola gli ostacoli insormontabili.
Una Fede-Gesto che zampilla, una Fede-Azione che diviene fermento di dilatazione, perché ha già suscitato acume, attenzione globale, intimo consenso.
Non aderiamo per entusiasmo o iniziative [la “Chiesa degli eventi”].
La vita dell’Eterno in noi inizia nell’occhio dell’anima; eco del Sogno primordiale.
Essa s’introduce nel cogliere la traiettoria del Padre. Egli vuole per i suoi minimi una pienezza d’impronta e carattere, senza conformismi.
Solo grazie al Dono nel quale ci riconosciamo fin dalle nostre radici e in essenza, intuiamo consonanze liete che identificano desideri, parole, azioni e tipo di cammino del Risorto stesso, che pulsa in noi.
La Persona del Cristo è l’unico Cibo senza omologazione.
Sostentati dal Pane-Persona possiamo evitare sia la ricerca di finte sicurezze che la smania di appoggi, preferendo il Pane Spezzato.
L’alimento della terra conserva la vita fisica, ma non può far rivivere attraverso Genesi personali uniche, né aprirci una strada valicando la morte.
Ciò conferisce valore ad ogni momento.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa significa per te ‘vedere’ il Figlio e ‘credere’ in Lui?
[Mercoledì 3.a sett. di Pasqua, 7 maggio 2025]
Ciò che conferisce valore ad ogni momento
(Gv 6,35-40)
Le parole di Gesù sottendono la netta dissimilitudine fra alimento ordinario e Pane che non perisce.
La distinzione è tratta da Dt 8,3 - in riferimento alla Manna-Parola del Signore (cibo sapienziale che libera e trasmette vita).
Sap 16,20-21.26 riconosce la manna del deserto essere cibo preparato da angeli, ma ciò che tiene davvero in vita è la Parola.
Quei frutti celesti, pur deliziosi e in grado di soddisfare ogni gusto, non saziano - non nutrono completamente.
Nel linguaggio simbolico usato da Cristo entrano anche paradigmi culturali che identificavano la manna con la sapienza.
Egli si autorivela così nel discorso sul Pane della Vita.
Venire al Signore non è alla nostra portata. Compiere le opere di legge, forse sì - con sforzo - ma compiere l’Opera di Dio non è innaturale.
Non dipende da un pensiero, da una scelta o da una pratica disciplinare.
Insomma, il Soggetto del cammino nello Spirito è Dio stesso, che opera in noi.
L’azione umana è in ogni frangente una risposta al suo autosvelamento e al suo stesso agire [cosmico e nell’anima di ciascuno; convergente o non].
La Venuta dall’alto è critica: suscita la relazione di Fede. Relazione personale, la quale non è semplice assenso e adempimento, bensì lettura e visione.
Azione in avanti e scoperta di risuscitazione - in particolare, dei lati in penombra che diventano risorse.
Così la Fede-amore dilata la vita, perché ha il suo input dalla generosità divina, dalla Grazia.
Essa diventa in tal guisa decisione, occupazione, responsabilità; dovere ineludibile e dirimente - malgrado ciò, personale.
Cristo è un Cibo che dev’essere mangiato, sminuzzato, per mezzo della Fede.
L’evocazione si fa eucaristica, realizzazione della «Vita dell’Eterno» (v.40 testo greco) anche difforme da maniere ricercate; qui e ora.
Morendo, senza ritardo alcuno Gesù consegna lo Spirito (Gv 19,30) che repentinamente suscita l’esperienza sacramentale (Gv 19,34).
La Vita dell’Eterno non è una pia speranza nell’aldilà: il termine designa la stessa vita intima di Dio, la quale si dispiega e irrompe nella storia [talora senza troppi complimenti] in modo poliedrico.
Energia, Alimento, Lucidità nuova: raggiunge donne e uomini che vedono e credono nel Figlio.
Si tratta di una Fede-Visione che legge il senso, e abilita a un’appropriazione diretta: sorvola gli ostacoli insormontabili.
Una Fede-Gesto che zampilla; una Fede-Azione che diviene fermento di dilatazione, perché ha già suscitato acume, attenzione globale, e intimo consenso.
Essa acutizza ed espande le risorse trasformative delle anime e degli stessi accadimenti.
Dona in prima persona abilità generanti complessive - esteriori e interiori, indistruttibili; che non perdono nulla [non più votate alla morte: v.39].
Lo sguardo ottuso dintorno alle prime fraternità sigillava già il Mistero.
Ma contrariamente al Primo Testamento (Es 33,22-23), per Fede ora si vede Dio e si vive, senza più paura (Es 3,6).
Chi «vede» il Figlio «ha» la stessa Vita dell’Eterno (v.40).
La Visione di Fede, la Visione del Figlio, la Visione dell’esito glorioso di colui che è stato rigettato dalle autorità religiose e considerato maledetto da Dio, fa divenire Uno con Lui.
È Risurrezione attuale, pur nell’esperienza rapida e greve dell’esistenza dispersiva.
L’Immagine considerata impossibile e che non si poteva reggere, cede il passo a un processo d’interpretazione, azione, riassetto, che attira futuro.
Cede il passo alla completezza del mondo umanizzante e diverso di Dio.
Lo spostamento di sguardo rompe la trama delle apparenze, delle convinzioni banali, ereditate o à la page.
Insomma: coglierlo diventa motore di salvezza, fondamento che supera il pre-umano.
Percepirlo si fa Incontro; nella dimensione propria e perenne. Principio di eternità beata.
A fine primo secolo le chiese sentono il rischio del crollo.
La progressiva divaricazione dalla religione pagana in genere e la devozione giudaizzante in particolare, comportava un ampio dibattito con risvolti di costume e interni, persino liturgici.
La battaglia con il purismo farisaico scatenava polemiche di ogni tipo, anche circa la segregazione o meno degli stranieri.
Sorgevano difformità di vedute addirittura sul canone stesso delle Scritture (per i cristiani, già da tempo in greco ellenistico).
Secondo i credenti in Gesù la Sorgente della vita piena e indistruttibile [«Vita dell’Eterno»: v.40 testo greco] non è il pane materiale.
Già su questa terra l’Alimento totalizzante non sta in alcuna certezza banale.
Bisogna piuttosto «Vedere il Figlio» (v.40).
Significa cogliere nel Maestro una vicenda che non finisce nel fallimento, perché nonostante il rifiuto dei capi, l’esito della sua-nostra storia è la condizione divina. Gloria indistruttibile.
E «Credere in Lui» (v.40) non dipende dall’estrazione culturale o dalla posizione sociale concorde, ma da un’elaborazione irripetibile.
Vedere e avere Fede è affidarsi alla luminosa [sembra assurda] Visione che si comunica nelle fibre più intime e fin dalla prima ‘Nascita’. Certi della piena sintonia e realizzazione in quella Figura sovreminente.
Non aderiamo per entusiasmo o iniziative [la “Chiesa degli eventi”, come dice Papa Francesco].
La vita dell’Eterno in noi inizia nell’occhio dell’anima; eco del Sogno primordiale.
Essa s’introduce nel cogliere la traiettoria del Padre. Egli vuole per i suoi minimi una pienezza d’impronta e carattere, senza conformismi.
Solo grazie al Dono nel quale ci riconosciamo fin dalle nostre radici e in essenza, intuiamo consonanze liete che identificano desideri, parole, azioni e tipo di cammino del Risorto stesso, che pulsa in noi.
La Persona del Cristo è l’unico Cibo senza omologazione.
Sostentati dal Pane-Persona possiamo evitare sia la ricerca di finte sicurezze che la smania di appoggi. Ad es. conoscenze, finanziatori, istituzioni ragguardevoli che garantiscano privilegi; così via.
Preferendo il Pane Spezzato.
L’alimento della terra conserva la vita fisica, ma non può far rivivere attraverso Genesi personali uniche, né aprirci una strada valicando la morte.
Ciò conferisce valore ad ogni momento.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa significa per te vedere il Figlio e credere in Lui?
Non proiettare su Dio l’immagine del rapporto servi-padrone
La moltiplicazione dei pani e dei pesci è segno del grande dono che il Padre ha fatto all’umanità e che è Gesù stesso!
Egli, vero «pane della vita» (v. 35), vuole saziare non soltanto i corpi ma anche le anime, dando il cibo spirituale che può soddisfare la fame profonda. Per questo invita la folla a procurarsi non il cibo che non dura, ma quello che rimane per la vita eterna (cfr v. 27). Si tratta di un cibo che Gesù ci dona ogni giorno: la sua Parola, il suo Corpo, il suo Sangue. La folla ascolta l’invito del Signore, ma non ne comprende il senso – come capita tante volte anche a noi – e gli chiede: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?» (v. 28). Gli ascoltatori di Gesù pensano che Egli chieda loro l’osservanza dei precetti per ottenere altri miracoli come quello della moltiplicazione dei pani. E’ una tentazione comune, questa, di ridurre la religione solo alla pratica delle leggi, proiettando sul nostro rapporto con Dio l’immagine del rapporto tra i servi e il loro padrone: i servi devono eseguire i compiti che il padrone ha assegnato, per avere la sua benevolenza. Questo lo sappiamo tutti. Perciò la folla vuole sapere da Gesù quali azioni deve fare per accontentare Dio. Ma Gesù dà una risposta inattesa: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato» (v. 29). Queste parole sono rivolte, oggi, anche a noi: l’opera di Dio non consiste tanto nel “fare” delle cose, ma nel “credere” in Colui che Egli ha mandato. Ciò significa che la fede in Gesù ci permette di compiere le opere di Dio. Se ci lasceremo coinvolgere in questo rapporto d’amore e di fiducia con Gesù, saremo capaci di compiere opere buone che profumano di Vangelo, per il bene e le necessità dei fratelli.
Il Signore ci invita a non dimenticare che, se è necessario preoccuparci per il pane, ancora più importante è coltivare il rapporto con Lui, rafforzare la nostra fede in Lui che è il «pane della vita», venuto per saziare la nostra fame di verità, la nostra fame di giustizia, la nostra fame di amore.
(Papa Francesco, Angelus 5 agosto 2018)
Il Vangelo che è stato proclamato in questa celebrazione ci aiuta a vivere più intensamente il triste momento del distacco dalla vita terrena del nostro compianto Fratello. Il dolore per la perdita della sua persona viene mitigato dalla speranza nella risurrezione, fondata sulla parola stessa di Gesù: "Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv 6, 40). Dinanzi al mistero della morte, per l'uomo che non ha fede tutto sembrerebbe andare irrimediabilmente perduto. È la parola di Cristo, allora, a rischiarare il cammino della vita e a conferire valore ad ogni suo momento. Gesù Cristo è il Signore della vita, ed è venuto per risuscitare nell'ultimo giorno tutto quello che il Padre gli ha affidato (cfr. Gv 6, 39). Questo è anche il messaggio che Pietro annuncia con grande forza nel giorno di Pentecoste (cfr. At 2, 14.22b-28). Egli mostra che Gesù non poteva essere trattenuto dalla morte. Dio lo ha sciolto dalle sue angosce, perché non era possibile che essa lo tenesse in suo potere. Sulla croce Cristo ha riportato la vittoria, che si doveva manifestare con un superamento della morte, cioè con la sua risurrezione.
[Papa Benedetto, omelia esequie card. Poggi 7 maggio 2010]
Gesù lega la fede nella risurrezione alla sua stessa Persona: "Io sono la Risurrezione e la Vita" (Gv 11,25). In Lui, infatti, grazie al mistero della sua morte e risurrezione, si adempie la divina promessa del dono della "vita eterna", che implica una piena vittoria sulla morte: "Viene l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la voce [del Figlio] e ne usciranno: quanti fecero il bene, per una risurrezione di vita..." (Gv 5,28-29). "Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv 6,40).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 28 ottobre 1998]
Egli esorta: «Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna che il Figlio dell’uomo vi darà (v. 27). Cioè cercate la salvezza, l’incontro con Dio.
E con queste parole, ci vuol far capire che, oltre alla fame fisica l’uomo porta in sé un’altra fame – tutti noi abbiamo questa fame – una fame più importante, che non può essere saziata con un cibo ordinario. Si tratta di fame di vita, di fame di eternità che Lui solo può appagare, in quanto è «il pane della vita» (v. 35). Gesù non elimina la preoccupazione e la ricerca del cibo quotidiano, no, non elimina la preoccupazione di tutto ciò che può rendere la vita più progredita. Ma Gesù ci ricorda che il vero significato del nostro esistere terreno sta alla fine, nell’eternità, sta nell’incontro con Lui, che è dono e donatore, e ci ricorda anche che la storia umana con le sue sofferenze e le sue gioie deve essere vista in un orizzonte di eternità, cioè in quell’orizzonte dell’incontro definitivo con Lui. E questo incontro illumina tutti i giorni della nostra vita. Se noi pensiamo a questo incontro, a questo grande dono, i piccoli doni della vita, anche le sofferenze, le preoccupazioni saranno illuminate dalla speranza di questo incontro. «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (v. 35). E questo è il riferimento all’Eucaristia, il dono più grande che sazia l’anima e il corpo. Incontrare e accogliere in noi Gesù, “pane di vita”, dà significato e speranza al cammino spesso tortuoso della vita. Ma questo “pane di vita” ci è dato con un compito, cioè perché possiamo a nostra volta saziare la fame spirituale e materiale dei fratelli, annunciando il Vangelo ovunque. Con la testimonianza del nostro atteggiamento fraterno e solidale verso il prossimo, rendiamo presente Cristo e il suo amore in mezzo agli uomini.
La Vergine Santa ci sostenga nella ricerca e nella sequela del suo Figlio Gesù, il pane vero, il pane vivo che non si corrompe e dura per la vita eterna.
[Papa Francesco, Angelus 2 agosto 2015]
(Gv 6,30-35)
Ciò cui allude il termine «Pane» usato da Gesù in questa pericope deriva dal termine ebraico «Lechem», la cui radice [consonanti «l-h-m»] evoca il suo «essere macinato» e «vagliato» nella Passione d’amore; quindi riguarda in filigrana il dono completo sulla Croce.
Secondo una credenza giudaica, l’avvento del Messia sarebbe stato accompagnato da una pioggia di Manna dal cielo - detta Manna del secondo Redentore - per soddisfare gli appetiti materiali.
Pane che non dura.
Vi erano anche speculazioni rabbiniche le quali riflettevano altre pretese, non di necessità fisica; e narravano del «pane» disceso dall’alto in figura sapienziale (Dt 8,3: «l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore»; cf. Sap 16,26).
Per soddisfare le esigenze esistenziali e i grandi accorati interrogativi di senso, Gesù si rivela e presenta come Pane della Vita indistruttibile.
Ci sono domande cui non riusciamo a dare risposta: per quale motivo il dolore e le umiliazioni, perché ci sono persone fortunate e altre che senza colpa vivono infelici; per quale grande compito siamo nati e perché malgrado gli agi non ci sentiamo ancora compiuti.
La nostra esperienza è come avvolta nella confusione dei quesiti di fondo... e spesso manca perfino l’occhio e il calore di un Testimone.
Cerchiamo allora una Persona che traduca tutto in Relazione, e desideriamo ardentemente il suo Alimento sapienziale - un fondamento, il tepore umanizzante, e una sintesi di ogni verità, di tutta la storia.
Solo Gesù e la sua vicenda donano significato ai molti accadimenti; anche a limiti, ferite, confini, precarietà.
Egli è Sogno, Senso, Azione e Voce del Padre. Chiave, Centro e Destinazione di ciascuno e dell’umanità. Unico Cibo per la ‘fame’ e unica Fonte per la ‘sete’ della donna e dell’uomo sottoposti a prove e interrogativi.
Ai tempi di Gesù, per devozione diffusa Mosè continuava a essere il grande condottiero cui credere e aderire. Ma secondo il Signore quella dell’Esodo dei “padri” si configura come proposta che non ha futuro: non garantisce orientamento, sussistenza e vita gioiosa, solida e piena.
Essa non permane neppure come un ceppo dell’adesso. È solo un seme arcaico, un’escrescenza particolare disfatta in favore del mistico e rinnovato Frumento che fa procedere sulla Via autentica.
Il costume pio e inattuale - con tutte le sue fatiche - non aveva assicurato il grande cambiamento: l’accesso alla ‘terra della libertà’.
Il Dono dal Cielo preparava e disponeva un’altra Nascita, sconvolgente fin dalla radice il nutrimento leggero, tedioso e insipido; qualunque, per tutte le stagioni.
Nessuna ricetta rassicurante ci sovviene, perché la ‘seconda Genesi’ e crescita nello Spirito ha carattere, ma non accade una volta per tutte.
Anche le piaghe e gl’incerti della vita diventano una ‘chiamata’ a nutrirsi della Persona di Cristo. Ma reinterpretandolo con risposte nuove a domande nuove; per generarsi ancora e crescere in Lui e di Lui.
Così siamo negli episodi, eppure fuori del tempo; nell’Amore che nasce, ancora nuovo.
Possiamo provare il gusto di vivere, invece della condanna di sentirsi sempre insidiati.
Per questa unione sponsale e sempre inedita, la portata immensa della sua Persona sminuzzata, ruminata, fatta propria come si fa con un cibo, diventa Vita stessa dell’Eterno (v.33).
Unzione che non decade, che chiama insieme a Concelebrare.
[Martedì 3.a sett. di Pasqua, 6 maggio 2025]
(Gv 6,30-35)
Ciò cui allude il termine «Pane» usato da Gesù in questa pericope deriva dal termine ebraico «Lechem», la cui radice [consonanti «l-h-m»] evoca il suo «essere macinato» e «vagliato» nella Passione d’amore; quindi riguarda in filigrana il dono completo sulla Croce.
Secondo una credenza giudaica, l’avvento del Messia sarebbe stato accompagnato da una pioggia di Manna dal cielo - detta Manna del secondo Redentore - per soddisfare gli appetiti materiali.
Pane che non dura.
Vi erano anche speculazioni rabbiniche le quali riflettevano altre pretese, non di necessità fisica; e narravano del «pane» disceso dall’alto in figura sapienziale (Dt 8,3: «l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore»; cf. Sap 16,26).
Per soddisfare le esigenze esistenziali e i grandi accorati interrogativi di senso, Gesù si rivela e presenta come Pane della Vita indistruttibile.
Nelle speranze messianiche di età dell’oro e liberazione si annidavano le medesime aspettative che si celano nelle pieghe del nostro andare, anche più in là di quelle soddisfatte da Mosè.
Cerchiamo cibo eminente.
Ci sono infatti domande cui non riusciamo a dare risposta: per quale motivo il dolore e le umiliazioni, perché ci sono persone fortunate e altre che senza colpa vivono infelici; per quale grande compito siamo nati, e perché malgrado gli agi non ci sentiamo ancora compiuti.
La nostra esperienza è come avvolta nella confusione dei quesiti di fondo... e spesso manca perfino l’occhio e il calore di un Testimone.
Cerchiamo allora una Persona che traduca tutto in Relazione, e desideriamo ardentemente il suo Alimento sapienziale - un fondamento, il tepore umanizzante, e una sintesi di ogni verità e di tutta la storia.
Solo Gesù e la sua vicenda donano significato ai molti accadimenti; anche a limiti, ferite, confini, precarietà: Egli è Sogno, Senso, Azione e Voce del Padre. Chiave, Centro e Destinazione di ciascuno e dell’umanità.
Unico Nutrimento per la ‘fame’ e sola vera Fonte per la ‘sete’ della donna e dell’uomo sottoposti a prove e interrogativi.
Ai tempi di Gesù, per devozione diffusa Mosè continuava a essere il grande condottiero cui credere e aderire.
Ma secondo il Signore quella dell’Esodo dei “padri” si configura come proposta che non ha futuro: non garantisce orientamento, sussistenza e vita gioiosa, solida e piena.
Essa non permane neppure come un ceppo dell’adesso. È solo un seme arcaico, un’escrescenza particolare disfatta in favore del mistico e rinnovato Frumento che ci fa procedere sulla Via autentica.
Il grande condottiero antico si era fermato alla dimensione religiosa e alle sue requisitorie. Mancava il balzo della Fede accesa per la rivelazione del cuore del Padre, nell’insegnamento, nella vicenda, e nella Persona del Cristo.
Accettare Gesù come autentico motivo e motore, sostegno e alimento che davvero avrebbe tolto di mezzo la fame, è inseparabile dall’accoglienza della sua proposta:
«Vuoi unire la tua vita alla Mia?». Corpo Unico, fra noi e Lui - che brucia.
In tale approccio, neppure il cielo era stato in grado di saziare i dubbi - una fame paradossalmente crescente e un’arsura che obbligava a tornare ad attingere, invece di riuscire a dissetare il popolo.
L’approccio della semplice religiosità affliggeva la vita delle donne e degli uomini, in modo crescente.
Gente nervosa, scostante e insoddisfatta. Un Banchetto nuziale privo di festosità, a motivo d’una dottrina e disciplina fredde, distanti, impersonali, resistenti allo Spirito.
Il costume pio e inattuale, vetusto - con tutte le sue fatiche - non aveva assicurato e neppure oggi garantisce il grande cambiamento che ci sostiene nel cammino e sollecita senza posa, accendendo il cuore di Amicizia: l’accesso alla ‘terra della libertà’, quindi dell’amore.
Il Dono dal Cielo preparava e disponeva un’altra Nascita, sconvolgente fin dalla radice il rapporto religioso comune - nutrimento leggero, tedioso e insipido; qualunque, e che non si addensa mai: “buono” per tutte le stagioni.
Tutto ciò era affiancato a una prospettiva di Felicità rimandata all’aldilà, dopo la morte, e sulla base dei meriti esterni.
Un clima paludoso di energie compresse e stagnanti, che non facevano vibrare di gioia.
Con Gesù, il semplice credere diventa Fede - non più assenso e ripetizione avvilente, che ci scaglia e trascina oltre il nostro «centro» - bensì azione unica, inedita e creativa. Anzitutto di Dio stesso in noi; per una realizzazione completa: da figli.
Nessuna ricetta rassicurante sovviene, perché la “seconda” Genesi e crescita nello Spirito ha carattere, ma non accade una volta per tutte.
Unicamente in tal senso, l’espressione «Io Sono» (v.35) sottolinea l’esclusività del «discorso di rivelazione».
Cristo reinterpreta totalmente, e capovolge, l’idea di trascendenza della condizione divina nell’umano.
L’Altissimo viene accolto e assimilato in vista della germinazione e della somiglianza, non più dell’imitazione e dell’obbedienza esterne.
“Troppa” è solo la Sapienza della sua Rivelazione, che libera da dubbi perché li rende fecondi e propulsivi; affatto umilianti al pari dei vacillamenti antichi.
Anche le piaghe e gl’incerti della vita diventano una ‘chiamata’ a nutrirsi della Persona di Cristo. Ma reinterpretandolo con risposte nuove a domande nuove; per generarsi ancora e crescere in Lui e di Lui.
Coì siamo negli episodi, eppure fuori del tempo; nell’Amore che nasce, nuovo.
La nostra identità - meglio: ‘impronta’ - non è quella dei finti conoscitori [ciò che non estingue la sete dell’anima] bensì quella di essere amati.
In tal guisa non abbiamo più bisogno di tacitare tutte le esigenze normali.
Possiamo provare il gusto di vivere, invece della condanna di sentirsi sempre insidiati.
Per questa unione sponsale e sempre inedita, la portata immensa della sua Persona sminuzzata, ruminata e fatta propria come si fa con un cibo, diventa Vita stessa dell’Eterno (v.33).
Unzione che non decade, che chiama insieme a Concelebrare.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
La mia anima ha fame di pietosi uffici sul corpo o di rinascite, di senso, e d’un percorso di libertà?
12. Anche se finora abbiamo parlato prevalentemente dell'Antico Testamento, tuttavia l'intima compenetrazione dei due Testamenti come unica Scrittura della fede cristiana si è già resa visibile. La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti — un realismo inaudito. Già nell'Antico Testamento la novità biblica non consiste semplicemente in nozioni astratte, ma nell'agire imprevedibile e in certo senso inaudito di Dio. Questo agire di Dio acquista ora la sua forma drammatica nel fatto che, in Gesù Cristo, Dio stesso insegue la « pecorella smarrita », l'umanità sofferente e perduta. Quando Gesù nelle sue parabole parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare. Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo — amore, questo, nella sua forma più radicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cfr 19, 37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: « Dio è amore » (1 Gv 4, 8). È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l'amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare.
13. A questo atto di offerta Gesù ha dato una presenza duratura attraverso l'istituzione dell'Eucaristia, durante l'Ultima Cena. Egli anticipa la sua morte e resurrezione donando già in quell'ora ai suoi discepoli nel pane e nel vino se stesso, il suo corpo e il suo sangue come nuova manna (cfr Gv 6, 31-33). Se il mondo antico aveva sognato che, in fondo, vero cibo dell'uomo — ciò di cui egli come uomo vive — fosse il Logos, la sapienza eterna, adesso questo Logos è diventato veramente per noi nutrimento — come amore. L'Eucaristia ci attira nell'atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione. L'immagine del matrimonio tra Dio e Israele diventa realtà in un modo prima inconcepibile: ciò che era lo stare di fronte a Dio diventa ora, attraverso la partecipazione alla donazione di Gesù, partecipazione al suo corpo e al suo sangue, diventa unione. La « mistica » del Sacramento che si fonda nell'abbassamento di Dio verso di noi è di ben altra portata e conduce ben più in alto di quanto qualsiasi mistico innalzamento dell'uomo potrebbe realizzare.
[Deus Caritas est]
Come pellegrino al 46° Congresso Eucaristico Internazionale, dirigo i primi passi verso l'antichissima Cattedrale di Wrocław , per inginocchiarmi con fede davanti al Santissimo Sacramento è il "Pane della vita". Lo faccio con profonda commozione e con il cuore colmo di gratitudine, nei riguardi della Divina Provvidenza, per il dono di questo Congresso e perchè esso si svolge proprio qui, a Wrocław , in Polonia - nella mia Patria.
Dopo la moltiplicazione miracolosa del pane, Cristo dice alle folle che lo cercavano: "In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perchè avete visto dei segni, ma perchè avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà" (Gv 6, 26-27). Come era difficile, a chi ascoltava Gesù, questo passaggio dal segno al mistero indicato da quel segno, dal pane quotidiano a quel pane "che dura per la vita eterna"! Ciò non è facile neppure per noi, uomini del XX secolo. I Congressi Eucaristici vengono celebrati proprio per questo, per ricordare questa verità a tutto il mondo: "Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna".
Gli interlocutori di Cristo, continuando il dialogo, domandano giustamente: "Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?" (Gv 6, 28). E Cristo risponde: "Questa è l'opera di Dio [l'opera intesa da Dio]: credere in colui che egli ha mandato" (Gv 6, 29). E' un'esortazione ad aver fede nel Figlio dell'uomo, nel Datore del cibo che non perisce. Senza la fede in colui che il Padre ha mandato, non è possibile riconoscere ed accettare questo Dono che non passa. Proprio per questo siamo qui - qui, a Wrocław , al 46° Congresso Eucaristico Internazionale. Siamo qui per confessare, insieme con tutta la Chiesa, la nostra fede in Cristo-Eucaristia, in Cristo-Pane vivo e Pane che dà la vita. Diciamo con san Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16, 16) ed ancora: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Gv 6, 68).
2. "Signore, dacci sempre questo pane" (Gv 6, 34).
La moltiplicazione miracolosa del pane non aveva destato l'attesa risposta della fede nei testimoni oculari di quell'evento. Essi pretendevano un nuovo segno: "Quale segno dunque tu fai perchè vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo" (Gv 6, 30-31). I discepoli che circondano Gesù attendono dunque un segno simile alla manna, che i loro avi avevano mangiato nel deserto. Gesù, tuttavia, li esorta ad aspettarsi qualcosa di più di un'ordinaria ripetizione del miracolo della manna, di aspettarsi un cibo di un altro tipo. Cristo dice: "Non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo" (Gv 6, 32-33).
Oltre alla fame fisica l'uomo porta in sè ancora un'altra fame, una fame più fondamentale, che non può essere saziata con un cibo ordinario. Si tratta qui di fame di vita, di fame di eternità. Il segno della manna era l'annuncio dell'avvento di Cristo, che avrebbe soddisfatto la fame di eternità da parte dell'uomo diventando Lui stesso il "pane vivo" che "dà la vita al mondo". Ed ecco: coloro che l'ascoltano chiedono a Gesù di compiere ciò che veniva annunziato dal segno della manna, forse senza rendersi conto di quanto lontano andava quella loro richiesta: "Signore, dacci sempre questo pane" (Gv 6, 34). Quanto è eloquente questa richiesta! Quanto generoso e quanto sorprendente è il suo compimento. "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete . . . Perchè la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui" (Gv 6, 35.55-56). "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv 6, 54).
Quale grande dignità ci è stata elargita! Il Figlio di Dio si dona a noi nel Santissimo Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Quanto infinitamente grande è la liberalità di Dio! Risponde ai nostri più profondi desideri, che non sono soltanto desideri di pane terreno, ma raggiungono gli orizzonti della vita eterna. Questo è il grande mistero della fede!
3. "Rabbi [Maestro], quando sei venuto qui?" (Gv 6, 25).
Posero a Gesù questa domanda coloro che lo cercavano dopo la moltiplicazione miracolosa del pane. Anche noi poniamo oggi, a Wrocław , la stessa domanda. La pongono tutti i partecipanti al Congresso Eucaristico Internazionale. E Cristo ci risponde: sono venuto quando i vostri avi ricevettero il battesimo, ai tempi di Mieszko I e di Boleslao il Prode, quando i vescovi e i sacerdoti iniziarono a celebrare in questa terra il "mistero della fede" che riuniva tutti coloro che avevano fame del cibo che dà la vita eterna.
In questo modo Cristo giunse a Wrocław oltre mille anni fa, quando qui nacque la Chiesa, e Wrocław divenne sede vescovile, una delle prime nei territori dei Piast. Nel corso dei secoli Cristo è giunto in tutti i luoghi del globo terrestre di dove provengono i partecipanti al Congresso Eucaristico. E da allora continua la sua presenza nell'Eucaristia, sempre ugualmente silenziosa, umile e generosa. Davvero, "dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13, 1).
Ora, alla soglia del terzo millennio, vogliamo dare una particolare espressione alla nostra gratitudine. Questo Congresso Eucaristico di Wrocław ha una dimensione internazionale. Vi prendono parte non solo i fedeli della Polonia, ma quelli di tutto il mondo. Tutti insieme vogliamo esprimere la nostra profonda fede nell'Eucaristia e la nostra ardente gratitudine per il cibo eucaristico di cui da quasi duemila anni si nutrono intere generazioni di credenti in Cristo. Quanto inesauribile ed a tutti aperto è il tesoro dell'Amore di Dio! Quanto enorme è il debito contratto nei riguardi di Cristo-Eucaristia! Ci rendiamo conto di questo e insieme a san Tommaso d'Aquino esclamiamo: "Quantum potes, tantum aude: quia maior omni laude, nec laudare sufficis", "Quanto puoi, tanto osa, perchè Egli supera ogni lode, nè vi è canto che sia degno" (Lauda Sion).
Queste parole esprimono molto bene l'atteggiamento dei partecipanti al Congresso Eucaristico. In questi giorni cerchiamo di dare al Signore Gesù nell'Eucaristia l'onore e la gloria che Egli merita. Cerchiamo di rendergli grazie per la sua presenza, perchè da quasi duemila anni ormai Egli rimane con noi.
"Ti ringraziamo, o Padre nostro . . .
a noi hai fatto grazia
di un cibo e di una bevanda spirituale
e della vita eterna
per opera di Gesù, tuo servo.
A te sia gloria nei secoli!" (cfr Didachè).
[Giovanni Paolo II, omelia a Wroclaw 31 maggio 1997]
سَلامي أُعطيكُم – My peace I give to you! (Jn 14:27). This is the true revolution brought by Christ: that of love […] You will come to know inconceivable joy and fulfilment! To answer Christ’s call to each of us: that is the secret of true peace (Pope Benedict)
سَلامي أُعطيكُم [Vi do la mia pace!]. Qui è la vera rivoluzione portata da Cristo, quella dell'amore [...] Conoscerete una gioia ed una pienezza insospettate! Rispondere alla vocazione di Cristo su di sé: qui sta il segreto della vera pace (Papa Benedetto)
Spirit, defined as "another Paraclete" (Jn 14: 16), a Greek word that is equivalent to the Latin "ad-vocatus", an advocate-defender. The first Paraclete is in fact the Incarnate Son who came to defend man (Pope Benedict)
Spirito, definito "un altro Paraclito" (Gv 14,16), termine greco che equivale al latino "ad-vocatus", avvocato difensore. Il primo Paraclito infatti è il Figlio incarnato, venuto per difendere l’uomo (Papa Benedetto)
The Lord gives his disciples a new commandment, as it were a Testament, so that they might continue his presence among them in a new way: […] If we love each other, Jesus will continue to be present in our midst, to be glorified in this world (Pope Benedict)
Quasi come Testamento ai suoi discepoli per continuare in modo nuovo la sua presenza in mezzo a loro, dà ad essi un comandamento: […] Se ci amiamo gli uni gli altri, Gesù continua ad essere presente in mezzo a noi, ad essere glorificato nel mondo (Papa Benedetto)
St Teresa of Avila wrote: “the last thing we should do is to withdraw from our greatest good and blessing, which is the most sacred humanity of Our Lord Jesus Christ” (cf. The Interior Castle, 6, ch. 7) [Pope Benedict]
Santa Teresa d’Avila scrive che «non dobbiamo allontanarci da ciò che costituisce tutto il nostro bene e il nostro rimedio, cioè dalla santissima umanità di nostro Signore Gesù Cristo» (Castello interiore, 7, 6) [Papa Benedetto]
Dear friends, the mission of the Church bears fruit because Christ is truly present among us in a quite special way in the Holy Eucharist. His is a dynamic presence which grasps us in order to make us his, to liken us to him. Christ draws us to himself, he brings us out of ourselves to make us all one with him. In this way he also inserts us into the community of brothers and sisters: communion with the Lord is always also communion with others (Pope Benedict)
Cari amici, la missione della Chiesa porta frutto perché Cristo è realmente presente tra noi, in modo del tutto particolare nella Santa Eucaristia. La sua è una presenza dinamica, che ci afferra per farci suoi, per assimilarci a Sé. Cristo ci attira a Sé, ci fa uscire da noi stessi per fare di noi tutti una cosa sola con Lui. In questo modo Egli ci inserisce anche nella comunità dei fratelli: la comunione con il Signore è sempre anche comunione con gli altri (Papa Benedetto)
Jesus asks us to abide in his love, to dwell in his love, not in our ideas, not in our own self-worship. Those who dwell in self-worship live in the mirror: always looking at themselves. He asks us to overcome the ambition to control and manage others. Not controlling, serving them (Pope Francis)
Gesù ci chiede di rimanere nel suo amore, abitare nel suo amore, non nelle nostre idee, non nel culto di noi stessi. Chi abita nel culto di sé stesso, abita nello specchio: sempre a guardarsi. Ci chiede di uscire dalla pretesa di controllare e gestire gli altri. Non controllare, servirli (Papa Francesco)
don Giuseppe Nespeca
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