don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Mercoledì, 10 Luglio 2024 06:58

Collocarsi negli eventi di persecuzione

Valori e indipendenza emotiva

(Mt 10,16-23)

 

Il corso della storia è tempo in cui Dio compone il confluire della nostra libertà e delle circostanze.

In tali pieghe c’è spesso un vettore di vita, un aspetto essenziale, una sorte definitiva, che ci sfugge.

Ma all’occhio non mediocre della persona di Fede, anche i soprusi e perfino il martirio sono un dono.

Per imparare le lezioni importanti della vita, ogni giorno il credente si avventura in ciò che ha paura di fare, superando i timori.

L’amore sponsale e gratuito ricevuto colloca in una condizione di reciprocità, d’attivo desiderio di unire la vita al Cristo - sebbene nell’esiguità delle nostre risposte.

Continuando invece a lamentarsi degli insuccessi, pericoli, calamità, tutti vedranno in noi donne come le altre e uomini comuni - e ogni cosa terminerà a questo livello.

Non saremo sull’altro lato.

Al massimo tenteremo di sottrarci alle asprezze, o si finirà per cercare alleati di circostanza (vv.19-20).

 

Mt intende aiutare le sue comunità a urtare la logica mondana e collocarsi negli eventi di persecuzione in maniera fervente.

Le angherie sociali non sono fatalità, bensì occasioni per la missione; luoghi di alta testimonianza eucaristica (vv.16-18).

I perseguitati non hanno bisogno di stampelle esterne, né devono vivere nell’angoscia del crollo.

Essi hanno il compito di essere segni del Regno di Dio, che man mano porta i lontani e gli stessi usurpatori a una diversa consapevolezza.

Nessuno è arbitro della realtà e tutti sono fuscelli soggetti a rovesci, ma nella condizione umanizzante degli apostoli traluce un’indipendenza emotiva.

Ciò avviene per il senso intimo, vivo, di una Presenza, e la lettura delle vicende esterne come azione eccezionale del Padre che si rivela.

In tale magma energetico plasmabile, ecco affiorare percorsi unici, inedite opportunità di crescita... anche nelle avversità.

Atteggiamento senz’alibi né certezze granitiche: con la sola convinzione che tutto verrà rimesso in gioco (non per sforzo: per aver spostato lo sguardo, semplicemente).

Tempo sacro e profano vengono a coincidere in un Patto fervente, che si annida e cova frutti persino nei momenti del travaglio e paradosso.

Qui unica risorsa necessaria è la forza spirituale di andare sino in fondo… nei paradossi d’altro versante.

 

Così anche la famiglia o il “clan” di appartenenza vanno condotti a un differente mondo di convinzioni; non senza contrasti laceranti (v.21).

La Torah stessa obbligava alla denuncia degli infedeli alla religione dei padri - perfino parenti strettissimi - sino a metterli a morte (Dt 13,7-12).

L’Annuncio non poteva che causare divisioni estreme, e su temi di fondo come il successo, o il progresso in questa vita - la visione di un mondo nuovo, dell’utopia di altre e altrui esigenze.

Tutto sembrerà congiurare e farsi beffe del nostro ideale (v.22).

 

Il riferimento al Nome allude alla vicenda storica di Gesù di Nazaret, col suo carico non solo di bontà ideale ed esplicita, ma pure di attività di denuncia contro l’istituzione ufficiale e le false guide che avevano messo sotto sequestro il Dio dell’Esodo.

Malgrado le interferenze, l’essere fraintesi, calunniati, messi in ridicolo, ricattati e odiati... ancorati a Cristo sperimenteremo che le tappe della storia e della vita procedono verso la Speranza.

La “protezione” di Dio non preserva da tinte cupe, né dal subire danni, ma garantisce che nulla vada perduto (v.22b). Introduce alla Felicità che fa consapevoli di esistere in tutta la personale realtà.

Nel tempo delle scelte epocali, dell’emergenza che sembra mettere tutto in scacco - ma vuole farci meno artificiali - tale consapevolezza può rovesciare il nostro giudizio di sostanza, sul piccolo e il grande.

Infatti, per l’avventura d’amore non c’è contabilità né clamore.

È nel Signore e nella realtà insidiosa o sommaria il “posto” per ciascuno di noi. Non senza lacerazioni.

Eppure traiamo energia spirituale dalla conoscenza del Cristo, dal senso di legame profondo con Lui e la realtà anche minuta e variegata, o temibile - sempre personale (v.22b).

Il “Cielo” vince la morte. Il destino dell’unicità non va in rovina: è prezioso e caro. 

Bisogna scorgerne la Bellezza, futura e già attuale.

Neppure conterà collocarsi sopra e davanti: piuttosto sullo sfondo, già ricchi e perfetti, nel senso intimo della pienezza di essere.

 

Gesù ci mette in guardia: non potremo contare su amicizie inattaccabili, né su potenze umane schierate a difesa della trama terrestre.

Anche colui che credevamo vicino ci scruterà con sospetto: il prezzo della verità sta sempre nella scelta contraria al mondo della menzogna (anche sacrale-datata o effimera) tutto coalizzato contro.

La nostra vicenda non sarà come un romanzo facile e a lieto fine.

Ma avremo possibilità di testimoniare nel presente le più genuine radici antiche: che in ogni istante Dio chiama, si manifesta - e ciò che sembra fallimento diviene Cibo e sorgente di Vita.

Ostinati solo nel cambio di proporzioni, tra spogliamento ed elevazione. Nella contrapposizione dei criteri e dei fondamenti stessi del pensare.

 

 

 

Perseguitare e confinare, o Sincerità e Trasparenza

 

È questo di Mt 10,16-23 il medesimo passo di Vangelo della Festa di s. Stefano protomartire - ove celebriamo la forza disarmante del martirio dei figli. Scelta perfetta.

Il giorno successivo al Natale togliamo le tendine bianche del Tabernacolo per sostituirle con quelle rosse.

Paradossale consapevolezza: semplicità del Presepe e vicende di regalità-persecuzione s’intrecciano, per intima fedeltà alla Lieta Notizia (talora considerata una vera seccatura, proprio da chi ci ha fatto il callo).

Il passaggio è brusco, ma il senso è viscerale e acuto, anche per motivi storici e - diremmo così - teologici, cristologici, ecclesiali.

Infatti, gli amici biblisti discutono ancora sui reali responsabili della denuncia e dell’uccisione del leader della chiesa non giudaizzante: un fervoroso faccia tosta e impertinente, ma sincero e genuino - come una «colomba». 

Certo non a tutti è chiesto il martirio sino al momento cruento: spesso una lenta e anonima consumazione può assomigliarci al primo Testimone della Fede autentica.

Stefano osò infatti criticare le usanze, il monopolio del Tempio [cui la chiesa degli apostoli restava ancora legata] e l’interpretazione fondamentalista della Legge.

 

I testimoni critici urtano tutte le potestà della terra, anche le più prossime (v.21). Siamo esattamente la Parola squilibrata di Dio, che smantella le barriere tranquille.

Esse ci fanno strisciare; ma sembra una pazzia.

Se incapace di evolvere e desideroso di confinarsi, persino il potere famigliare si rivolterà contro, quando tenteremo di sostituire il calcolo tribale dei «lupi» con l’innocenza che elargisce e rinnova i rapporti.

Anche il clan di appartenenza va condotto a un differente mondo di convinzioni; non senza contrasti laceranti.

La Torah stessa obbligava i credenti in Dio alla denuncia degli infedeli alla religione dei padri - anche parenti strettissimi - sino a metterli a morte (Dt 13,7-12).

Per rimanere in sella e difendere il mondo antico in cui sono collocati, i poteri mondani della sinagoga e della reggia non esiteranno a usare esclusione, menzogna e intimidazioni: non hanno altro.

Gente come Stefano ha voluto che non solo la piramide dei culti, ma anche la situazione “ecclesiale” dominata dalle consuetudini ufficiali si capovolgesse.

Chi è chiamato a farsi alimento deve contare non sul potere d’influsso e sul timore della gerarchia, bensì sul Dono di sé credibile. Unica realtà amabile e convincente.

Il Testimone che riflette Gesù non può immaginare di giungere a compromesso, poi allearsi con gente che conta e ricorrere a sotterfugi, inganni, bustarelle o appoggi vergognosi (cf. vv.19-20).

Alleati di circostanza, per sottrarsi alle asprezze e mantenere la reputazione.

 

Mt intende aiutare le sue comunità - e noi oggi - a urtare la logica mondana o la guerra delle opinioni, e collocarsi negli eventi di persecuzione in maniera fervente.

Le angherie non sono fatalità, bensì occasioni per la Missione trasparente, senza espedienti; luoghi di alta testimonianza eucaristica.

I perseguitati non devono vivere nell’angoscia del crollo, perché hanno il compito di essere segni del Regno di Dio.

Essi man mano portano i lontani e gli stessi usurpatori interni a una diversa consapevolezza.

 

Dice il Tao Tê Ching (xvii):

«Dei grandi sovrani il popolo sapeva che esistevano; vennero poi quelli che amò ed esaltò, e poi quelli che temette, e poi quelli di cui si fece beffe: quando la sincerità venne meno, s’ebbe l’insincerità».

L’attrazione della Chiesa sta nel non trasformarsi in un potere come un altro, attaccato a egemonia e ricchezze.

Potestà ipocrita, molesta e sfruttatrice dell’ingenuità dei semplici, dei malfermi - rapidamente fatti sudditi e trattati da zerbino.

Più che in cosette pusillanimi [che non compromettono] o più che nella lotta e in un nuovo dirigismo, l’Altrove è solo nella trasparenza clemente e benevolente dello Spirito (v.20).

Per una Lealtà e Giustizia superiori: quelle disposte perfino a perdere amici, farsi deridere e rigettare. Tutelando solo l’essere se stessi, in naturalezza e semplicità.

Ma lasciando che nuove energie s’introducano, che spalanchino la porta al Mistero ineffabile.

Qui sacro e profano vengono a coincidere in un Patto fervente.

Alleanza che si annida e cova frutti, proprio nei momenti del travaglio e del paradosso.

Unica risorsa necessaria è la forza spirituale di andare sino in fondo.

 

L’Annuncio non poteva che causare divisioni estreme, e su temi di fondo come il successo, o il progresso in questa vita - in luogo della visione di un mondo nuovo; dell’utopia di altre e altrui esigenze.

E prima o poi forse tutto sembrerà congiurare e farsi beffe del nostro ideale.

Il riferimento al «Nome» (v.22) allude alla vicenda storica di Gesù di Nazaret, con tutto il suo carico non solo di bontà ideale ed esplicita, ma pure d’attività di denuncia contro l’istituzione ufficiale - e le false guide che avevano messo sotto sequestro il Dio dell’Esodo.

Malgrado le interferenze - l’essere fraintesi, calunniati, beffeggiati, ricattati e odiati... ancorati a Cristo sperimenteremo personalmente che le tappe della storia e della vita procedono verso una Speranza indispensabile, che scardina i blocchi.

[La cosiddetta “protezione” di Dio non ci preserva da tinte cupe, né dal subire danni, ma garantisce che nulla vada perduto].

Certo, Gesù ci mette in guardia: non potremo contare su amicizie inattaccabili, né su potenze umane schierate a difesa. Storia di autentica Incarnazione.

Anche colui che credevamo vicino scruterà con sospetto i testimoni critici.

Il prezzo della verità sta sempre nella scelta contraria al mondo della menzogna - anche sacrale omologante - tutto coalizzato contro.

La nostra vicenda non sarà come un romanzo facile e a lieto fine. Ma avremo la possibilità di manifestare che in ogni istante Dio si rivela, e ciò che sembra fallimento diviene Cibo e sorgente di Vita.

Solo questo è al di là del provvisorio ed ha forza di maturazione incisiva, rigenerante.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Che tipo di lettura fai, e come ti collochi negli eventi di persecuzione? 

Sei consapevole che gli intoppi non vengono per la disperazione, bensì per liberarti dalla chiusura in schemi culturali stagnanti (e non tuoi)?

 

 

 

Sull’altro versante del mondo

 

I cristiani devono dunque farsi trovare sempre sull’“altro versante” del mondo, quello scelto da Dio: non persecutori, ma perseguitati; non arroganti, ma miti; non venditori di fumo, ma sottomessi alla verità; non impostori, ma onesti.

Questa fedeltà allo stile di Gesù – che è uno stile di speranza – fino alla morte, verrà chiamata dai primi cristiani con un nome bellissimo: “martirio”, che significa “testimonianza”. C’erano tante altre possibilità, offerte dal vocabolario: lo si poteva chiamare eroismo, abnegazione, sacrificio di sé. E invece i cristiani della prima ora lo hanno chiamato con un nome che profuma di discepolato. I martiri non vivono per sé, non combattono per affermare le proprie idee, e accettano di dover morire solo per fedeltà al vangelo. Il martirio non è nemmeno l’ideale supremo della vita cristiana, perché al di sopra di esso vi è la carità, cioè l’amore verso Dio e verso il prossimo. Lo dice benissimo l’apostolo Paolo nell’inno alla carità, intesa come l’amore verso Dio e verso il prossimo. Lo dice benissimo l’Apostolo Paolo nell’inno alla carità: «Se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe» (1Cor 13,3). Ripugna ai cristiani l’idea che gli attentatori suicidi possano essere chiamati “martiri”: non c’è nulla nella loro fine che possa essere avvicinato all’atteggiamento dei figli di Dio.

A volte, leggendo le storie di tanti martiri di ieri e di oggi - che sono più numerosi dei martiri dei primi tempi -, rimaniamo stupiti di fronte alla fortezza con cui hanno affrontato la prova. Questa fortezza è segno della grande speranza che li animava: la speranza certa che niente e nessuno li poteva separare dall’amore di Dio donatoci in Gesù Cristo (cfr Rm 8,38-39).

Che Dio ci doni sempre la forza di essere suoi testimoni. Ci doni di vivere la speranza cristiana soprattutto nel martirio nascosto di fare bene e con amore i nostri doveri di ogni giorno. Grazie.

(Papa Francesco, Udienza Generale 28 giugno 2017)

Mercoledì, 10 Luglio 2024 06:53

Caratteristica del martirio cristiano

Bisogna sempre rimarcare questa caratteristica distintiva del martirio cristiano: esso è esclusivamente un atto d’amore, verso Dio e verso gli uomini, compresi i persecutori. Perciò noi oggi, nella santa Messa, preghiamo il Signore che ci insegni "ad amare anche i nostri nemici sull’esempio di [Stefano] che morendo pregò per i suoi persecutori" (Orazione "colletta"). Quanti figli e figlie della Chiesa nel corso dei secoli hanno seguito questo esempio! Dalla prima persecuzione a Gerusalemme a quelle degli imperatori romani, fino alle schiere dei martiri dei nostri tempi. Non di rado, infatti, anche oggi giungono notizie da varie parti del mondo di missionari, sacerdoti, vescovi, religiosi, religiose e fedeli laici perseguitati, imprigionati, torturati, privati della libertà o impediti nell’esercitarla perché discepoli di Cristo e apostoli del Vangelo; a volte si soffre e si muore anche per la comunione con la Chiesa universale e la fedeltà al Papa. Nella Lettera Enciclica Spe salvi (cfr n. 37), ricordando l’esperienza del martire vietnamita Paolo Le-Bao-Thin (morto nel 1857), faccio notare che la sofferenza è trasformata in gioia mediante la forza della speranza che proviene dalla fede. Il martire cristiano, come Cristo e mediante l’unione con Lui, "accetta nel suo intimo la croce, la morte e la trasforma in un’azione d’amore. Quello che dall’esterno è violenza brutale, dall’interno diventa un atto d’amore che si dona totalmente. La violenza così si trasforma in amore e quindi la morte in vita" (Omelia a Marienfeld - Colonia, 21 agosto 2005). Il martire cristiano attualizza la vittoria dell’amore sull’odio e sulla morte.

Preghiamo per quanti soffrono a motivo della fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa. Maria Santissima, Regina dei Martiri, ci aiuti ad essere testimoni credibili del Vangelo, rispondendo ai nemici con la forza disarmante della verità e della carità.

[Papa Benedetto, Angelus 26 dicembre 2007]

Mercoledì, 10 Luglio 2024 06:45

Fortezza di confessare

Siamo chiamati alla fortezza dinanzi agli uomini e, nello stesso tempo, al timore dinanzi a Dio stesso, e questo deve essere il timore dell’amore, il timore filiale. E solo quando tale timore penetra nei nostri cuori, possiamo essere veramente forti con la fortezza degli apostoli, dei martiri, dei confessori. Forti con la fortezza dei pastori. L’invito alla fortezza si collega, in modo particolarmente profondo, con la tradizione del cardinalato, che, anche col colore della veste, ricorda il sangue dei martiri.

4. Cristo chiede da noi soprattutto la fortezza di confessare. dinanzi agli uomini, la sua verità, la sua causa, senza tener conto se questi uomini siano benevoli o meno nei riguardi di questa causa, se a questa verità apriranno le orecchie e i cuori o se “li chiuderanno” così da non poter sentire. Non possiamo scoraggiarci dinanzi ad alcun programma di chiusura delle orecchie e dell’intelletto. Dobbiamo confessare ed annunziare nella più profonda obbedienza allo Spirito di Verità. Egli stesso troverà le vie per giungere al profondo delle coscienze e dei cuori.

Noi invece dobbiamo confessare e rendere testimonianza con tale forza e capacità, che non cada su di noi la responsabilità per il fatto che la nostra generazione abbia rinnegato Cristo davanti agli uomini. Dobbiamo anche essere prudenti “come serpenti e semplici come colombe” (Mt 10, 16).

Dobbiamo infine essere umili, con quell’umiltà della verità interiore, che permette all’uomo di vivere ed operare con magnanimità. Poiché “Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia” (Gc 4, 6). Quella magnanimità, fondata sull’umiltà, frutto della cooperazione con la grazia di Dio, è un segno particolare del nostro servizio nella Chiesa.

[Papa Giovanni Paolo II, Concistoro 30 giugno 1979]

Mercoledì, 10 Luglio 2024 06:37

Il fiuto dei cristiani

In una società contaminata dallo «smog della corruzione», il cristiano deve essere «furbo» e avere «fiuto»: infatti «non può permettersi di essere ingenuo» perché custodisce un «tesoro che è lo Spirito Santo». La riflessione proposta da Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta la mattina di venerdì 10 novembre, ha toccato una delle ferite aperte dell’uomo contemporaneo. E, nel rivolgersi alla coscienza di ogni persona, ha interpellato in particolare quanti nella società hanno responsabilità collettive di governo e di amministrazione.

Punto di partenza dell’omelia è stato il brano evangelico del giorno, nel quale Luca (16, 1-8) passa dalle «tre parabole della misericordia» a un argomento «totalmente diverso» attraverso la parabola dell’amministratore disonesto. Mentre le precedenti descrivevano «la storia di Dio, la storia dell’amore, la storia della misericordia», qui si arriva a «una storia di corruzione».

Il Pontefice ha riassunto la vicenda nella quale si parla di un uomo ricco che «aveva sentito come si amministrava la sua azienda» e si era accorto di «qualche cosa di sospetto nei confronti dell’amministratore». Un personaggio disonesto che, evidentemente, «aveva la mano lunga» e, sapendo ben destreggiarsi nelle truffe, «andò avanti tanto tempo, fino al momento che l’uomo ricco se ne accorse». E come ha reagito l’amministratore?. È lo stesso racconto evangelico, riportato dal Papa, a scandagliare i suoi pensieri: «Ma adesso con questa abitudine che io ho di guadagno facile, devo tornare a lavorare? A guadagnarmi il pane col sudore? Alzarmi tutti i giorni alle sei del mattino? No, no, no».

Da questa consapevolezza, ha spiegato il Pontefice, nasce l’escamotage dell’amministratore che incomincia a fare «la cordata con altri corrotti». E se pure «alcuni di questi non erano corrotti», però gli è ugualmente «piaciuta la proposta ed è entrato nella corruzione». Ha commentato Francesco: «Sono potenti questi! Quando fanno le cordate della corruzione sono potenti; persino arrivano anche ad atteggiamenti mafiosi». E ha sottolineato che quanto descritto in questa parabola «non è una favola», non è «una storia che dobbiamo cercare nei libri di storia antica: la troviamo tutti i giorni sui giornali, tutti i giorni». Infatti, ha aggiunto, «questo succede anche oggi, soprattutto con quelli che hanno la responsabilità di amministrare i beni del popolo». Del resto «con i propri beni nessuno è corrotto, li difende».

La conclusione del brano evangelico ha aperto la strada alle considerazioni del Pontefice. Innanzitutto si legge «che il padrone lodò quell’amministratore disonesto perché aveva agito con scaltrezza». Infatti, ha spiegato il Papa, i corrotti in genere «sono furbi», sanno portare avanti bene la loro condotta disonesta: «Anche con cortesia, con guanti di seta, ma la fanno bene». E, soprattutto, nel racconto c’è la chiosa finale di Gesù che dice: «I figli di questo mondo infatti, verso i loro pari, con i pari, sono più scaltri dei figli della luce». Ecco allora «la conseguenza che Gesù prende da questa storia, che è una storia quotidiana. La scaltrezza di questi».

Proprio da qui Francesco ha iniziato ad approfondire la sua riflessione chiedendosi: «Ma se questi sono più scaltri dei cristiani — ma non dirò cristiani, perché anche tanti corrotti si dicono cristiani —, se questi sono più scaltri di quelli fedeli a Gesù, io mi domando: ma c’è una scaltrezza cristiana?».

La parabola ha quindi offerto al Papa lo spunto per considerare la vita concreta del cristiano, che quotidianamente deve confrontarsi con la piaga della corruzione. Francesco è partito da una questione: «Esiste un atteggiamento per quelli che vogliono seguire Gesù» in modo che «non finiscano male, che non finiscano mangiati vivi — come diceva mia mamma: “Mangiati crudi” — dagli altri»?. Qual è, insomma, «la scaltrezza cristiana», una scaltrezza, cioè, «che non sia peccato, ma che serva per portarmi avanti al servizio del Signore e anche all’aiuto degli altri?». Esiste «una furbizia cristiana»?

La risposta, ha detto il Papa, viene direttamente dal Vangelo, dove si incontrano «alcune parole, alcuni detti che ci aiutano a capire se esiste — io dirò — il fiuto cristiano per andare avanti senza cadere nelle cordate della corruzione». Gesù, infatti, a tale scopo utilizza delle «contrapposizioni», come quella tra «agnelli» e «lupi» («Io vi invio come agnelli tra i lupi») con la quale si capisce che «il cristiano è un agnello che deve cavarsela con i lupi». E perciò, attraverso un «altro paradosso», gli viene dato un consiglio: «Siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come la colomba».

Ma, ha proseguito Francesco, «come si fa per arrivare a questo atteggiamento di prudenza come i serpenti e di semplicità come le colombe?». Di nuovo il suggerimento viene da Gesù, che «ripete tante volte nel Vangelo: “State attenti, state attenti. Guardate, guardate i segni del tempo: quando l’albero dei fichi incomincia a fare delle foglie è perché è vicina la primavera; quando il mandorlo fiorisce è vicina la primavera». Occorre, cioè, stare «attenti a quello che succede», guardare bene, tenere «gli occhi aperti».

È proprio questo, ha spiegato il Pontefice, il primo atteggiamento che ci porta alla «scaltrezza cristiana»: l’attenzione a quello che succede. Coltivare, cioè, quel «senso della sfiducia sana», che ci porta, ad esempio, a dire: «Di questo non mi fido, parla troppo, promette troppo...». Come accade quando qualcuno propone: «Fa’ l’investimento nella mia banca io ti darò un interesse doppio di quello che danno gli altri” — “Oh, che bello!”». E invece lo scaltro capisce che «questo è troppo». Il cristiano, quindi, «sta attento, guarda i segni del tempo».

C’è poi un secondo suggerimento: «riflettere». Bisogna, ha suggerito Francesco, «non essere veloci nell’accettare certe proposte, perché il diavolo sempre fa così con noi; viene con una finta umiltà». La stessa cosa è accaduta a Eva: «Ma guarda questa mela, è bella, eh!” — “No, ma non posso mangiarla” — “Ma guarda, se tu la mangi diventerai...”». Una storia che tutti conoscono e che parla della «seduzione» del diavolo. Occorre quindi «stare attenti e riflettere», tenendo conto che «il diavolo sa per quale porta entrare nel nostro cuore, perché conosce le nostre debolezze. Ognuno ha la propria. E bussa a quella porta, entra per quella porta».

Infine, un terzo elemento: «pregare». Se si hanno questi tre atteggiamenti, ha affermato il Papa, «stai sicuro che arriverai a questa scaltrezza cristiana che non si lascia ingannare, non si lascia vendere un pezzettino di vetro credendo che siano pietre preziose. E così saremo, come dice Gesù: “Prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”». E «avremo il fiuto cristiano davanti alle cose che succedono».

In conclusione, come di consueto, il Pontefice ha suggerito un’intenzione di preghiera legata alla meditazione appena compiuta: «Preghiamo oggi il Signore che ci dia questa grazia di essere furbi, furbi cristiani, di avere questa scaltrezza cristiana», perché «se c’è una cosa che il cristiano non può permettersi è essere ingenuo». Infatti «come cristiani abbiamo un tesoro dentro: il tesoro che è Spirito Santo. Dobbiamo custodirlo». Chi «si lascia rubare lo Spirito» è un ingenuo. E un cristiano «non può permettersi di essere ingenuo».

Chiedere al Signore «questa grazia della scaltrezza cristiana e del fiuto cristiano», ha concluso il Papa, è anche «una buona occasione per pregare per i corrotti». Del resto, ha detto Francesco, «si parla dello smog che causa inquinamento», ma esiste anche «uno smog di corruzione nella società». Perciò «preghiamo per i corrotti: poveretti, che trovino l’uscita da quel carcere nel quale loro sono voluti entrare».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 11.11.2017]

Martedì, 09 Luglio 2024 06:34

Sperimentare il rovesciamento

Rientrare per rigenerare: stendardi a contrario

(Mt 19,27-29)

 

Secondo s. Ignazio [Meditazione delle due bandiere], l’avidità delle cose fa nascere in noi il vano onore del mondo, e da esso si genera un’immensa superbia, che recide ogni possibilità d’interiorizzare.

Ma il distacco da certi vessilli è impossibile presso gli uomini. Gli stessi Apostoli sembrano restare legati alla mentalità del contraccambio: «che ne avremo?» [v.27].

L’idea di retribuzione era tipica della cultura religiosa arcaica. Purtroppo, il tornaconto affossava l’Amore, annientava la gratuità dei gesti, rinnegava il significato del Patto di Alleanza.

In tal guisa, nella sua libera proposta Gesù vuol far subentrare il sostegno di una convinzione intima e apparentemente irragionevole, ma che sgorga nitida dalle sorgenti dell’essere.

Affiora qui l’Eros fondante della Chiamata. Non tanto il carattere (placido e dimesso) del credente, bensì un Dono personale superiore: quello d’un discernimento irripetibile per ciascuno, legato alla natura profonda.

Per rigenerare [«palingenesi» v.28] bisogna rientrare con maggiore convinzione nelle proprie motivazioni.

 

«Monaco» è un termine che deriva dal greco «mònos», “unico” (in senso di «semplice» e «unito»); forse da «mènein», “rimanere”. Sembra anche affine al latino «mìnus», “meno”.

Quello dei contemplativi è un tipo di sapere che incontra la Sapienza di ogni cultura. Essi ritengono che lo Strumento ineffabile della propria crescita centuplicata sia l’assurdità di farsi valutare insignificanti.

L’Imitazione di Cristo sottolinea: «Ama nesciri et pro nihilo reputari».

Il nascondimento custodisce ciò che ci appartiene; la mancanza di fama ci stabilisce nella quintessenza - invece che sull’esteriore.

Anche la ricerca filosofica naturale di ogni tempo e latitudine ammette il distacco dalle opinioni, che tagliano il senso del Mistero e della Scoperta personale.

Lao-tzū ad es. distingue la realizzazione e il destino individuale sia dalle attese che dai propositi, i quali appunto rinchiudono il senso della vita in ciò che è già rappresentato:

«La Via che può esser detta, non è l’eterna Via» [Tao Tê Ching, i].

«Il santo pospone la sua persona, e la sua persona vien premessa; apparta la sua persona, e la sua persona perdura. Non è perché spoglio d’interessi? Per questo può realizzare il suo interesse» [vii].

 

Quando Dio vuole realizzare un progetto sorvola sempre le situazioni esterne. È un problema di senso, di radici della nostra scelta, di vitalità dal basso e «rinnovamento di tutte le cose» [v.28].

Una vita di obblighi o attaccamenti blocca la creatività, moltiplica gli idoli e le preoccupazioni artificiose; crea una camera buia, ove non si coglie ciò che ci appartiene. Via i retroscena.

Il significato dell’unicità monastica è dunque in ordine al mutamento e Risveglio sperato, qualitativo: quello del Cento per Uno, forza dei deboli. 

Paradossale allargamento di prospettiva.

 

 

[11 luglio 2024,  s. Benedetto abate, patrono d’Europa]

Martedì, 09 Luglio 2024 06:29

Paura di lasciar entrare Cristo dentro

Non abbiamo forse tutti in qualche modo paura - se lasciamo entrare Cristo totalmente dentro di noi, se ci apriamo totalmente a lui – paura che Egli possa portar via qualcosa della nostra vita? Non abbiamo forse paura di rinunciare a qualcosa di grande, di unico, che rende la vita così bella? Non rischiamo di trovarci poi nell’angustia e privati della libertà? Ed ancora una volta il Papa [Giovanni Paolo] voleva dire: no! chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla – assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in quest’amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera. Così, oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a partire dall’esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete la vera vita. Amen.

(Papa Benedetto, omelia inizio ministero petrino, 24 aprile 2005)

O san Benedetto abate!
Tu che non hai insegnato
diversamente da come sei vissuto,
fa’ sentire a noi tutti
la perenne attualità del tuo insegnamento,
perché continui a essere ispiratore di bene
per l’uomo contemporaneo.
O santa Scolastica,
a te affidiamo le fanciulle, le giovani,
le Religiose, le Madri,
perché sappiano vivere oggi
la loro dignità d’essere donne,
secondo il disegno di Dio.
Amen.

(Giovanni Paolo II)

 

Dio dei nostri Padri,grande e misericordioso,
tu hai progetti di pace
e non di afflizione,
condanni le guerre
e abbatti l’orgoglio dei violenti.
Tu hai inviato il tuo Figlio Gesù
ad annunziare la pace ai vicini e ai lontani,
a riunire gli uomini
di ogni razza e di ogni stirpe
in una sola famiglia.
Ascolta il grido unanime dei tuoi figli,
supplica accorata di tutta l’umanità:
mai più la guerra,
avventura senza ritorno,
mai più la guerra,
spirale di lutto e di violenza!
Parla ai cuori
dei responsabili delle sorti dei popoli,
ferma la logica della ritorsione
e della vendetta,
concedi al nostro tempo
giorni di pace!
Amen.

(Giovanni Paolo II)

Martedì, 09 Luglio 2024 06:11

Papa Francesco e San Benedetto da Norcia

Raccogliamo anche qualcosa dalla lunga tradizione monastica. All’inizio essa favorì in un certo modo la fuga dal mondo, tentando di allontanarsi dalla decadenza urbana. Per questo i monaci cercavano il deserto, convinti che fosse il luogo adatto per riconoscere la presenza di Dio. Successivamente, san Benedetto da Norcia volle che i suoi monaci vivessero in comunità, unendo la preghiera e lo studio con il lavoro manuale (Ora et labora).
Questa introduzione del lavoro manuale intriso di senso spirituale si rivelò rivoluzionaria. Si imparò a cercare la maturazione e la santificazione nell’intreccio tra il raccoglimento e il lavoro. Tale maniera di vivere il lavoro ci rende più capaci di cura e di rispetto verso l’ambiente, impregna di sana sobrietà la nostra relazione con il mondo. (LS 126)

RIFLESSIONE
Come vivo gli incarichi che mi vengono affidati dai miei superiori?
In che modo il Signore mi chiede di svolgerli in modo “rivoluzionario”, che vada al di là del “si è sempre fatto così”, per un magis?

PREGHIERA
Donaci Padre la capacità di essere avere uno sguardo di attenzione verso l’ambiente e i nostri fratelli nel realizzare i compiti che ci sono stati affidati. Donaci Signore la Grazia di avere la consapevolezza di «essere una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo» (EG 273).

(https://www.assisiofm.it/news-papa-francesco-e-san-benedetto-da-norcia.html)

Lunedì, 08 Luglio 2024 08:01

Invio di Sobri, ma con i sandali

Lunedì, 08 Luglio 2024 07:24

Il Regno si è fatto Vicino

Emergenza grande, per piccolo Nome

(Mt 10,1-7)

 

Nessuno degli apostoli era per sé degno della Chiamata; eppure viene interpellato, e può accogliere il suo Mandato - come fosse già perfetto!

Gran parte di loro ha nomi tipici del giudaismo, addirittura del tempo dei patriarchi - il che indica un’estrazione culturale e spirituale radicata più nella religione che nella Fede... non facile da gestire.

Pietro smaniava per farsi avanti, ma pure retrocedendo spesso (marcia indietro) sino a diventare per Gesù un «satàn» [nella cultura dell’oriente antico, un funzionario del gran sovrano, inviato a fare il controllore e delatore - praticamente un accusatore]. Giacomo di Zebedeo e Giovanni erano fratelli, accesi fondamentalisti, e istericamente volevano il Maestro solo per loro. Filippo non sembrava un tipo molto pratico, né svelto o formato a cogliere le cose di Dio. Andrea pare invece cavarsela bene: persona inclusiva. Bartolomeo era probabilmente aperto ma perplesso, perché il Messia non gli corrispondeva granché. Tommaso era un poco dentro e un po’ fuori. Matteo un collaborazionista, avido complice del sistema oppressivo. Simone il Cananeo una testa calda. Giuda Iscariota uno che si autodistrugge fidandosi delle vecchie guide spirituali, impregnate di un’ideologia nazionalista, d’interesse privato, opportunismo e potere. Altri due (Giacomo figlio di Alfeo e Giuda Taddeo) forse semplici discepoli di non grande rilievo o capacità d’iniziativa.

 

Ma il Regno è «vicino» [v.7: «si è fatto vicino»]: Dio è nella nostra storia - già lo si sperimentava negli albori, nella sua prima comunità di figli.

Nella devozione antica, l’idea di un Dio distante produceva separazioni, gerarchie piramidali, coltivazione d’interessi interni di cerchia.

L’idea di un Eterno condottiero e vendicatore lasciava prolificare una classe sacerdotale che invece di conciliare e integrare, trascurava e abbandonava le persone ininfluenti.

Il fatto di credere a una Presenza divina legata all’abbondanza materiale ottundeva le menti e la capacità di lettura della Redenzione.

[L’idea di vantaggio e svantaggio, floridezza e penuria, hanno sempre origine in noi oppure nella mentalità convenzionale, delle opinioni].

Pertanto, è fondamentale prima maturare, ovunque viviamo.

Infatti non di rado ci sono motivi poco nobili per voler giungere ovunque, correre dappertutto, diffondere, incrementare e farlo subito.

Non per distinguere il momento della Chiamata da quello dell’Invio.

È la ‘via dell’intimo’ che compenetra sul serio la via delle periferie. Infatti, solo amando la forza si preferisce partire dal troppo distante.

Unico modo di scrutare lontano è attenersi alla ragione delle cose, principio che si conosce se non fuorviati dalla dispersione.

Intesa la natura di sé e delle creature, tutti vengono ispirati a completarsi.

Insomma, la Strada del Cielo è intrecciata alla Via della Persona, non dell’eccellenza; non dei modelli - o saremo «pescatori» da strapazzo.

Il Regno si è fatto ‘vicino e per Nome, sin dai primordi (vv.2-4): non c’è Missione autentica e sanante più incisiva.

 

 

[Mercoledì 14.a sett. T.O.  10 luglio 2024]

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Luke’s passage puts before the eyes a double slavery: that of man «with his hand paralyzed, slave of his illness», and that of the «Pharisees, scribes, slaves of their rigid, legalistic attitudes» (Pope Francis)
Il racconto di Luca mette davanti agli occhi una duplice schiavitù: quella dell’uomo «con la mano paralizzata, schiavo della sua malattia», e quella «dei farisei, degli scribi, schiavi dei loro atteggiamenti rigidi, legalistici» (Papa Francesco)
There is nothing magical about what takes place in the Sacrament of Baptism. Baptism opens up a path before us. It makes us part of the community of those who are able to hear and speak [Pope Benedict]
Il Sacramento del Battesimo non possiede niente di magico. Il Battesimo dischiude un cammino. Ci introduce nella comunità di coloro che sono capaci di ascoltare e di parlare [Papa Benedetto]
Thus in communion with Christ, in a faith that creates charity, the entire Law is fulfilled. We become just by entering into communion with Christ who is Love (Pope Benedict)
Così nella comunione con Cristo, nella fede che crea la carità, tutta la Legge è realizzata. Diventiamo giusti entrando in comunione con Cristo che è l'amore (Papa Benedetto)
«Francis was reproaching his brothers too harsh towards themselves, and who came to exhaustion by means of vigils, fasts, prayers and corporal penances» [FS 1470]
«Francesco muoveva rimproveri ai suoi fratelli troppo duri verso se stessi, e che arrivavano allo sfinimento a forza di veglie, digiuni, orazioni e penitenze corporali» [FF 1470]
From a human point of view, he thinks that there should be distance between the sinner and the Holy One. In truth, his very condition as a sinner requires that the Lord not distance Himself from him, in the same way that a doctor cannot distance himself from those who are sick (Pope Francis)
Da un punto di vista umano, pensa che ci debba essere distanza tra il peccatore e il Santo. In verità, proprio la sua condizione di peccatore richiede che il Signore non si allontani da lui, allo stesso modo in cui un medico non può allontanarsi da chi è malato (Papa Francesco)
The life of the Church in the Third Millennium will certainly not be lacking in new and surprising manifestations of "the feminine genius" (Pope John Paul II)
Il futuro della Chiesa nel terzo millennio non mancherà certo di registrare nuove e mirabili manifestazioni del « genio femminile » (Papa Giovanni Paolo II)
And it is not enough that you belong to the Son of God, but you must be in him, as the members are in their head. All that is in you must be incorporated into him and from him receive life and guidance (Jean Eudes)
E non basta che tu appartenga a Figlio di Dio, ma devi essere in lui, come le membra sono nel loro capo. Tutto ciò che è in te deve essere incorporato in lui e da lui ricevere vita e guida (Giovanni Eudes)
This transition from the 'old' to the 'new' characterises the entire teaching of the 'Prophet' of Nazareth [John Paul II]
Questo passaggio dal “vecchio” al “nuovo” caratterizza l’intero insegnamento del “Profeta” di Nazaret [Giovanni Paolo II]
And this is the problem: when the People put down roots in the land and are the depository of the Law, they are tempted to place their security and joy in something that is no longer the Word of God: in possessions, in power, in other ‘gods’ that in reality are useless, they are idols [Pope Benedict]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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