Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Oggi il Vangelo presenta la celebre parabola del “buon samaritano” (cfr Lc 10,25-37). Interrogato da un dottore della legge su ciò che è necessario per ereditare la vita eterna, Gesù lo invita a trovare la risposta nelle Scritture e dice: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso» (v. 27). C’erano però diverse interpretazioni su chi si dovesse intendere come “prossimo”. Infatti quell’uomo chiede ancora: «E chi è il mio prossimo?» (v. 29). A questo punto, Gesù risponde con la parabola, questa bella parabola: invito tutti voi a prendere il Vangelo oggi, Vangelo di Luca, capitolo decimo, versetto 25. È una delle più belle parabole del Vangelo. E questa parabola è diventata paradigmatica della vita cristiana. È diventata il modello di come deve agire un cristiano. Grazie all’evangelista Luca, abbiamo questo tesoro.
Protagonista del breve racconto è un samaritano, che incontra lungo la strada un uomo derubato e percosso dai briganti e si prende cura di lui. Sappiamo che i giudei trattavano con disprezzo i samaritani, considerandoli estranei al popolo eletto. Non è dunque un caso che Gesù scelga proprio un samaritano come personaggio positivo della parabola. In questo modo vuole superare il pregiudizio, mostrando che anche uno straniero, anche uno che non conosce il vero Dio e non frequenta il suo tempio, è capace di comportarsi secondo la sua volontà, provando compassione per il fratello bisognoso e soccorrendolo con tutti i mezzi a sua disposizione.
Per quella stessa strada, prima del samaritano, erano già passati un sacerdote e un levita, cioè persone dedite al culto di Dio. Però, vedendo il poveraccio a terra, erano andati oltre senza fermarsi, probabilmente per non contaminarsi col suo sangue. Avevano anteposto una regola umana – non contaminarsi col sangue – legata al culto al grande comandamento di Dio, che vuole anzitutto la misericordia.
Gesù, dunque, propone come modello il samaritano, proprio uno che non aveva fede! Anche noi pensiamo a tanta gente che conosciamo, forse agnostica, che fa del bene. Gesù sceglie come modello uno che non era un uomo di fede. E questo uomo, amando il fratello come sé stesso, dimostra di amare Dio con tutto il cuore e con tutte le forze – il Dio che non conosceva! –, ed esprime nello stesso tempo vera religiosità e piena umanità.
Dopo aver raccontato questa parabola tanto bella, Gesù si rivolge di nuovo al dottore della legge che gli aveva chiesto «Chi è il mio prossimo?», e gli dice: «Chi di questi ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?» (v. 36). In questo modo opera un rovesciamento rispetto alla domanda del suo interlocutore, e anche alla logica di tutti noi. Ci fa capire che non siamo noi che, in base ai nostri criteri, definiamo chi è il prossimo e chi non lo è, ma è la persona in situazione di bisogno che deve poter riconoscere chi è il suo prossimo, cioè «chi ha avuto compassione di lui» (v. 37). Essere capaci di avere compassione: questa è la chiave. Questa è la nostra chiave. Se tu davanti a una persona bisognosa non senti compassione, se il tuo cuore non si commuove, vuol dire che qualcosa non va. Stai attento, stiamo attenti. Non ci lasciamo trascinare dall’insensibilità egoistica. La capacità di compassione è diventata la pietra di paragone del cristiano, anzi dell’insegnamento di Gesù. Gesù stesso è la compassione del Padre verso di noi. Se tu vai per la strada e vedi un senzatetto sdraiato lì e passi senza guardarlo o pensi: “Ma, effetto del vino. È un ubriaco”, domandati non se quell’uomo è ubriaco, domandati se il tuo cuore non si è irrigidito, se il tuo cuore non è diventato ghiaccio. Questa conclusione indica che la misericordia nei confronti di una vita umana in stato di necessità è il vero volto dell’amore. È così che si diventa veri discepoli di Gesù e si manifesta il volto del Padre: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). E Dio, nostro Padre, è misericordioso, perché ha compassione; è capace di avere questa compassione, di avvicinarsi al nostro dolore, al nostro peccato, ai nostri vizi, alle nostre miserie.
La Vergine Maria ci aiuti a comprendere e soprattutto a vivere sempre più il legame inscindibile che c’è tra l’amore per Dio nostro Padre e l’amore concreto e generoso per i nostri fratelli, e ci dia la grazia di avere compassione e crescere nella compassione.
[Papa Francesco, Angelus 14 luglio 2019]
(Mc 10, 2-16)
Concezione legalista e durezza di cuore
(Mc 10,1-12)
La polemica coi fanatici del diritto mette in rilievo la necessità di una nuova comunità messianica, che superi la concezione morale esclusivamente legalista.
Il tema scelto dai farisei si prestava a mettere Gesù in difficoltà sull’ideale dell’amore.
Il diritto matrimoniale imponeva alla moglie di farsi proprietà del marito.
Quindi in ogni caso il divorzio ridondava a sfavore della donna, sempre vista come essere inferiore.
Nella società del tempo, dominio maschilista ed emarginazione dei deboli erano situazioni assodate.
A tutela della libertà proprio della donna (Dt 24,1-4) la legge imponeva che il marito stufo [anche per una sciocchezza o capriccio] scrivesse comunque una “lettera” di divorzio che la sancisse libera.
A differenza della società romana, la moglie non aveva il medesimo diritto: una piaga sociale, che ne oscurava la dignità.
In pratica era come un oggetto, e schiava anche in casa propria.
Ma nel creare l’essere umano, non era questo l’intento del Creatore. Così Gesù toglie i privilegi - anche domestici - chiedendo massima uguaglianza di diritti e doveri.
Sapeva che gli stessi apostoli preferivano non sposarsi che rinunciare all’esclusiva del comando (Mt 19,10: «Se la situazione dell’uomo con la donna è così, non conviene sposarsi»).
Il Maestro non consente il dominio del forte sul debole, pertanto l’uomo deve perdere l’egemonia sulla donna.
La legge nuova è l'amore, e l'amore non consente possessi, sfruttamenti affettivi, catene fisse di comando.
Sia matrimonio che celibato sono scelte che riconoscono il valore della Persona.
Opzioni da stupore a motivo del Regno di Dio - non a servizio di alcun compromesso, supremazie, o altri interessi che accampino pretese.
Il progetto divino sull'umanità è trasparente, ampio e generoso. La stessa unione matrimoniale è chiamata a esprimere la mèta di una Pienezza.
Il più forte non acquista il più debole in proprietà, ma entrambi si arricchiscono a vicenda - con lealtà e anche nelle divergenze, colte come punte avanzate di una proposta di crescita e dilatazione.
Cristo pretende una nuova impostazione dell’etica. Ciò al di là delle regolamentazioni, che cercano di adattare all’ordine.
Quindi l’insegnamento del Signore fa qui appello all’Atto creativo divino che nella natura di persona ha inciso una capacità di dono e crescita - e non può essere regolato da clausole di contratto, né sottomesso a condizionamenti e soggezioni.
Il passo della Fede costruisce persone e comunità, completandole senza troppe accelerazioni, o restrizioni d’imperio. Per un Amore che senza posa ci origina.
La Famiglia diventa così una ‘piccola Chiesa domestica’ perché insieme autonoma e comprensiva; senza più nomenclature, compromessi, maschere, bavagli o camicie di forza.
Allora la complementarietà vissuta in modo autentico - senza esteriorità - può andare oltre le casistiche degli ordinamenti.
In tal guisa essa ha buoni esiti personali e sociali, evocando la stessa Presenza di Dio nel mondo.
Lasciate che gli esclusi a ruota libera vengano a Me
La rinuncia all’orgoglio e il Fiuto senza cittadinanza
(Mc 10,13-16)
«Nel cammino sinodale, l’ascolto deve tener conto del sensus fidei, ma non deve trascurare tutti quei “presentimenti” incarnati dove non ce l’aspetteremmo: ci può essere un “fiuto senza cittadinanza”, ma non meno efficace. Lo Spirito Santo nella sua libertà non conosce confini, e non si lascia nemmeno limitare dalle appartenenze. Se la parrocchia è la casa di tutti nel quartiere, non un club esclusivo, mi raccomando: lasciate aperte porte e finestre […] Non siate disincantati, preparatevi alle sorprese» (Papa Francesco, Discorso alla Diocesi di Roma 18/09/ 2021).
Gesù s’identifica con i malfermi (v.16). E senza mezzi termini intende addirittura proporli ai seguaci veterani!
Questo proprio per indicare il tipo di credente che sogna diventino (v.15): la persona che riconosce legittimi i desideri degli altri, e non fa troppe storie se si vede diminuito nella considerazione sociale.
I responsabili di chiesa non di rado già dai primi tempi si sentivano esperti e autosufficienti…
Viceversa, devono essere pronti in Cristo Gesù a ‘nascere’ sempre di nuovo, altrimenti il loro occhio resterà malato d’una visione del Regno caricaturale e bloccata.
Il “piccolo” ha invece assai meno riserve mentali - nonché meno zavorre pratiche: si getta in modo genuino ed entusiasta nelle imprese dell’avventura di Fede.
Il Signore non ha schifo di «toccare» direttamente (v.13) i considerati impuri, le donne, i piccoli o le loro mamme: obbrobrio secondo le norme rituali dell’epoca.
Donne e ragazzini - insieme ai pagani - erano valutati esseri inaffidabili e impuri per natura, anzi contaminanti.
Il Maestro non ha alcun timore di trasgredire la legge religiosa, o di essere valutato Egli stesso un infetto!
Cristo abbraccia, benedice, mette la sua mano sui servetti - come a riconoscerli e consacrarli davvero: vi si rispecchia come fosse uno di loro.
Vuol dire che la preoccupazione dei discepoli non dev’essere quella della “rieducazione” comune a tutti i vari credo più o meno misterici dell’epoca.
Anzi, il segno più eloquente del Regno di Dio sulla terra è proprio lo spirito di accoglienza dei marginali: coloro che neppure sanno cosa significhi rivendicare diritti solo per se stessi.
La qualità di Vita nello Spirito si commisura sulla capacità di recuperare i lati opposti in ciascun fedele che ha desiderio di camminare verso la propria stessa completezza.
Così, in Comunità tale dinamica di ripresa incrementa e rimonta grazie alla ‘integrazione’ che diviene convivialità feconda delle differenze.
Accogliere, ospitare deboli, lontani, piccoli ed esclusi è arricchimento personale e comune - segno eloquente della stessa vita e caratura divina in noi e nella Chiesa.
Non un’istituzione vincente, bensì servitrice dell’umanità bisognosa di tutto.
E proprio i ‘piccoli’ diventano in Cristo professori degli adulti.
Questa la modestia angelica e la ‘piccolezza’ evangelica che ci fa emancipati e subito all’altezza; ma soprattutto felici, contenti di essere «minori» anche malconsiderati.
[27.a Domenica T.O. (B) 6 ottobre 2024]
Mt 19,3-12 (cf. Gen 2,18-24)
Conosciamo le oscillazioni della nostra emotività: la persona che ora mi fa perdere la testa, tra una settimana forse mi darà urto di nervi. Ogni mattina ci alziamo con umore differente; dopo un po’ la psiche dà segnali opposti, quindi torna sulle posizioni precedenti.
Ovvio che il filo invisibile del rapporto di coppia non possa riuscire felice e saldo, se i presupposti sono unicamente seduttivi: si finirà in una escalation di apatia o discussioni.
La Parola di Dio propone uno spunto di discernimento assai sapiente per i fidanzati: la nuova Nascita.
Una ragazza lascerà il padre se nella fiammante relazione scopre una prospettiva di migliorate sicurezze, e paternità o possibilità di protezione inedite ancora maggiori; un giovane lascerà sua madre se nella fiaccola del nuovo rapporto scorge un principio di accoglienza, ascolto e comprensione ignoti o superiori alla propria mamma.
Nuova Genesi: è la prospettiva vocazionale irrinunciabile, unica in grado d’integrare la fatica del mettersi in gioco e accogliere l’idea a due di poter anche uscire dalle proprie posizioni - perfino quelle d’inizio relazione.
Nell’innamoramento ci si lascia attivare e attraversare da una Forza misteriosa che [persino al di là del fascino del partner] vuole condurci a una sorta di sprigionamento delle energie nascoste, nell’incessante ricerca dell’identità-carattere.
L’amore ci origina, fa compiere un sentiero non privo d’interruzioni, che costringono incessantemente all’Inizio; a ri-scegliere i valori su cui ci siamo giocati. Quindi nascere e principiare di nuovo, inopinatamente diventando sempre più “giovani”.
Quella fiaccola ardente ci farà fare incontri straordinari, anzitutto nella direzione significativa dell’intimo rigenerato; così non ci sarà più bisogno di catturare il coniuge, per tenerlo fermo o vicino a sé.
È il desiderio sacro che ci crea; poi - a Due - esso diventa ancor più efficacemente sostanza di ciò che ciascuno è chiamato a essere - attraverso passi di felicità che preparano un nuovo originarsi, un distinto abbozzo e destino.
Tutto ciò affinché di onda in onda, di nascita in nascita, e sotto lo stimolo del continuo Dialogo, la nostra essenza si compia, lasciando fiorire la Chiamata per Nome profonda.
La naturale complementarietà può consumarsi con l’età, la fatica, le frustrazioni. Invece un riflesso di Amore assoluto, che rimanda e dà le vertigini [perché ci colloca in trame fuori del tempo] è spettacolo che scuote, commuove e conquista.
Irradiare Dio che crea (dentro di noi e nella relazione), riflettere una grande incessante Origine dentro l’unità umana, ci fa essere insieme - a due ma con noi stessi presenti, ed essere-Con la nostra Radice.
Una Sorgente innata che non si esprime in camicie di forza o in una identificazione: dona senso e respiro anche al secondario, al ripetitivo e quotidiano che insidia - e sembra voler farci sfiorire nel disincanto.
Se l’idea del Principio è sempre di casa, non sarà più necessario che la scorza della vita di tutti i giorni modifichi, né che troppe situazioni cambino: è quello sguardo sull’Eternità che fa ri-nascere nel progetto umano (personale ma completo) di Genesi.
È una Presenza… e una Fonte che genera, e l’Orizzonte vitale di Chi si mette dentro le cose… che cambia tanto le nostre piccole cose.
L’Azione di Colui che partorisce alla luminosità antica e nuova dell’anima ci fa crescere e rinascere ancora, per stare sia con se stessi che più saldamente insieme.
La Famiglia diventa una piccola «chiesa domestica» dalla quale «nascono i nuovi cittadini della società umana» (Lumen Gentium n.11).
Essa così manifesta e dispiega l’icona di un Dio che non si esprime in modo rigido, ma nel creare.
Grazie a Genitori in grado di secondare la «vocazione propria di ognuno», nei nuovi albori e nell’incalzare di successivi getti e gemme ciascun virgulto «lascerà suo padre e sua madre».
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
L’esperienza ecclesiale cosa ti ha dato in più nella comprensione del rapporto uomo-donna? E circa la comunione e l’autonomia?
Concezione legalista e durezza di cuore
(Mt 19,3-12)
La polemica coi fanatici del diritto mette in rilievo la necessità di una nuova comunità messianica, che superi la concezione morale esclusivamente legalista.
Il tema scelto dai farisei si prestava a mettere Gesù in difficoltà sull’ideale dell’amore.
Il diritto matrimoniale del tempo imponeva alla moglie di farsi proprietà del marito.
Quindi in ogni caso il divorzio ridondava a sfavore della donna, sempre vista come essere inferiore.
Nella società del tempo, dominio maschilista ed emarginazione dei deboli erano situazioni assodate.
A tutela della libertà proprio della donna (Dt 24,1-4) la legge imponeva che il marito stufo [anche per una sciocchezza o capriccio] scrivesse comunque una “lettera” di divorzio che la sancisse libera.
A differenza della società romana, la moglie non aveva il medesimo diritto: una piaga sociale, che ne oscurava la dignità. In pratica era come un oggetto e una schiava anche in casa propria.
Ma nel creare l’essere umano, non era questo l’intento del Creatore. Così Gesù toglie i privilegi - anche domestici - chiedendo massima uguaglianza di diritti e doveri.
Sapeva che gli stessi apostoli preferivano non sposarsi che rinunciare all’esclusiva del comando, anche solo per scapricciarsi: «Se la situazione dell’uomo con la donna è così, non conviene sposarsi» (Mt 19,10).
Il Maestro non consente il dominio del forte sul debole; pertanto l’uomo deve perdere l’egemonia sulla donna.
La legge nuova è l'amore, e l'amore non consente possessi, sfruttamenti affettivi, catene fisse di comando.
Sia matrimonio che celibato sono scelte che riconoscono il valore della Persona. Opzioni da stupore a motivo del Regno di Dio - non a servizio di alcun compromesso, supremazie, o altri interessi che accampino pretese.
Il progetto divino sull'umanità è trasparente, ampio e generoso. La stessa unione matrimoniale - senza per questo sentirsi vincolati a dominazioni o settori - è chiamata a esprimere la mèta di una Pienezza.
Il più forte non acquista il più debole in proprietà, ma [sfumando da quelle rigide posizioni, senza ipocrisie e compromessi di campo] entrambi si arricchiscono a vicenda - con lealtà e anche nelle divergenze, colte come punte avanzate di una proposta di crescita e dilatazione.
Cristo pretende una nuova impostazione dell’etica [un tempo “a giurisdizione”], ora segnata dai valori primari. Ciò al di là delle regolamentazioni, che cercano di adattare all’ordine... arginando forse le nostre parodie, o mediocrità.
Quindi l’insegnamento di Cristo fa qui appello all’Atto creativo divino che nella natura di persona ha inciso una capacità di dono e crescita - e che non può essere regolato da clausole di contratto, né sottomesso a condizionamenti e soggezioni.
Il seme dell’amore va affidato alla terra, anche melmosa; consci della propria debolezza e della potenza di altre forze provvidenziali.
Anche col terreno scosceso o incerto, se non ci si precipita in pregiudizi artificiosi (o lamenti d’ingratitudine) l’intreccio stesso delle radici produrrà genuinamente la sua fioritura.
In tale corrente energetica spontanea, non subordinata, si edificherà una differente abnegazione - ove il dato di fatto da regolare diviene superamento che sprigiona altre virtù o visuali.
Qui il passo di Fede costruisce persone e comunità, completandole (senza troppe accelerazioni, o restrizioni d’imperio). Per un Amore che senza posa ci origina.
La Famiglia diventa così una ‘piccola Chiesa domestica’ perché insieme autonoma e comprensiva; senza più nomenclature, compromessi, maschere, bavagli o camicie di forza.
Allora la complementarietà vissuta in modo autentico - senza esteriorità - può andare oltre le casistiche degli ordinamenti: essa ha buoni esiti personali e sociali, evocando la stessa Presenza di Dio nel mondo.
Lasciate che gli esclusi vengano a Me
La rinuncia all’orgoglio e il Fiuto senza cittadinanza
(Mc 10,13-16)
Dopo i sorprendenti consigli sull’uguaglianza nella relazione fra uomo e donna, Gesù rincara la dose proclamando non solo la dignità dei rapporti fra adulti e figli, ma anche tra veterani di comunità e incipienti.
Per i primi della classe, il Regno di Dio era cosa loro e opera loro. Non veniva all’umanità come Dono - anzitutto da ricevere - ma (secondo schema) era necessario raggiungerlo con osservanze e meriti corrispondenti.
Nel passo di Vangelo Cristo non parla d’infantilismo irresponsabile - criterio purtroppo abusato nell’ascetica (e che rende sguarniti)...
Nessuno può occupare il ruolo del Signore sulla terra, semplicemente perché Egli resta Presente e Veniente; non manipolatore.
Se diventiamo semplici e bambini lo siamo unicamente davanti a Dio: nessun istituto può essere in grado di surrogare Gesù.
In passato, una Cristologia umanamente evasiva ha fatto purtroppo il paio con l’ecclesiologia trionfalista.
Davanti ad essa - soprattutto nei territori di provincia o missione - il popolo considerato puerile poteva adempiere talora con fideismo acritico. Al massimo, pronunciare qualche balbettio (mistico o da formulario).
Al tempo di Gesù l’inosservanza delle norme di purità escludeva dal culto e dalla vita sociale sia gl’infanti che i considerati infedeli o frammisti, malgrado dessero palese testimonianza di solida carità.
Il termine greco usato - paidìon-paidìa diminutivo di pàis - indicava un’età compresa fra 8-12 anni, tipica dei garzoni di bottega e dei servetti che in casa dovevano scattare a seguito degli ordini altrui (anche di estranei).
Il Maestro assume questi ragazzini come esempio di disponibilità, in primis per i suoi zelanti Apostoli.
Questi ultimi infatti non entravano subito e spontaneamente nel modo di vedere dei famigliari di Dio… come farebbe un autentico credente in quello del Padre.
Solo chi ha l’apertura dei fanciulli può accogliere la salvezza, perché si sente piccolo, permane ricettivo, umilmente sa ricominciare daccapo e perfino da sottozero.
Gesù s’identifica con i malfermi (v.16). E senza mezzi termini intende addirittura proporli di fatto ai seguaci veterani!
Questo proprio per indicare il tipo di credente che sogna diventino (v.15): la persona che riconosce legittimi i desideri degli altri, e non fa troppe storie se si vede diminuito nella considerazione sociale.
I responsabili di chiesa non di rado già dai primi tempi si sentivano esperti e autosufficienti…
Viceversa, devono essere pronti in Cristo Gesù a nascere sempre di nuovo, altrimenti il loro occhio resterà malato d’una visione del Regno caricaturale e bloccata.
Coloro che non si fidano del disegno del Padre, non procederanno con spontaneità e generosità: si smuoveranno solo se rassicurati a monte, recitando un personaggio stagnante, o una mansione ben ricambiata.
Il piccolo e insufficiente ha invece assai meno riserve mentali - nonché meno zavorre pratiche: si getta in modo genuino ed entusiasta nelle imprese dell’avventura di Fede.
Tutto ciò mentre per gli “eletti” (anche della Chiesa ufficiale) gli “incerti” non contano né rappresentano nulla - se non una cornice talora utile per fare numero, ma spesso anche seccante.
Prima che i lontani potessero accostarsi all’accoglienza interna effettiva (o alla semplice considerazione) i giudaizzanti volevano sottoporre coloro che si avvicinavano alla soglia delle chiese ad una lunga verifica artificiosa.
Si trattava di una sorta di disciplina dell’arcano (tipica delle varie devozioni) e una snervante trafila di correzioni a codice e casistica - tutte da verificare nel tempo.
Gesù invece non ha schifo di «toccare» direttamente (v.13) i considerati impuri, le donne, i piccoli o le loro mamme: obbrobrio secondo le norme rituali dell’epoca.
Donne e ragazzini - insieme ai pagani - erano valutati esseri inaffidabili e impuri per natura, anzi contaminanti.
Il Maestro non ha alcun timore di trasgredire la legge religiosa, o di essere valutato Egli stesso un infetto!
Il Regno non appartiene agli sterilizzati che ossessionano la vita di altri con precetti d’impurità legale; minuzie futili, esterne, ipocrite, insensate.
Cristo abbraccia, benedice, mette la sua mano sui servetti - come a riconoscerli e consacrarli davvero - assumendo in sé i non promossi delle “sinagoghe” del tempo: vi si rispecchia come fosse uno di loro.
Vuol dire che la preoccupazione dei discepoli non dev’essere quella della rieducazione tradizionale, comune a tutti i vari credo più o meno misterici dell’epoca.
Anzi, il segno più eloquente del Regno di Dio sulla terra è proprio lo spirito di accoglienza dei marginali: coloro che neppure sanno cosa significhi rivendicare diritti solo per se stessi.
Fra l’altro - come ben sperimentiamo semplicemente osservando le nostre stesse realtà - non di rado gli scartati sono meglio introdotti nella pratica della carità anche sommaria, rispetto a coloro che ricoprono ruoli di prestigio disincarnato.
Le pretese e le sole sofisticazioni degradano la concretezza del discepolato. Esse escludono il valore specifico del nuovo Regno, sino a trasformarlo e corromperlo - capovolgendolo nella caricatura.
La qualità di Vita nello Spirito si commisura sulla capacità di recuperare i lati opposti in ciascun fedele che ha desiderio di camminare verso la propria stessa completezza.
Così, in Comunità tale dinamica di ripresa incrementa e rimonta grazie all’integrazione che diviene convivialità feconda delle differenze.
Accogliere, ospitare deboli, lontani, piccoli ed esclusi è arricchimento personale e comune - segno eloquente della stessa vita e caratura divina in noi e nella Chiesa. Non istituzione vincente, bensì servitrice dell’umanità bisognosa di tutto.
E proprio i piccoli - totalmente privi dello spirito di autarchia - diventano in Cristo professori degli adulti, ossia dei dirigenti vitalizi, capi, reduci e superApostoli.
Questa la modestia angelica e la piccolezza evangelica che ci fa emancipati e subito all’altezza; ma soprattutto felici, contenti di essere minori (anche malconsiderati).
Insomma il Regno non è ambiente per adultoidi che bastano a se stessi.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Cosa hai imparato dai lontani e dal loro appello? E la tua comunità è pronta all’accoglienza, all’ospitalità?
O si ritiene autosufficiente, e si pone solo come gran protagonista di elemosine - che trasforma gli altri in oggetti di paternalismo?
Il Fiuto senza cittadinanza
Nel cammino sinodale, l’ascolto deve tener conto del sensus fidei, ma non deve trascurare tutti quei “presentimenti” incarnati dove non ce l’aspetteremmo: ci può essere un “fiuto senza cittadinanza”, ma non meno efficace. Lo Spirito Santo nella sua libertà non conosce confini, e non si lascia nemmeno limitare dalle appartenenze. Se la parrocchia è la casa di tutti nel quartiere, non un club esclusivo, mi raccomando: lasciate aperte porte e finestre, non vi limitate a prendere in considerazione solo chi frequenta o la pensa come voi – che saranno il 3, 4 o 5%, non di più. Permettete a tutti di entrare… Permettete a voi stessi di andare incontro e lasciarsi interrogare, che le loro domande siano le vostre domande, permettete di camminare insieme: lo Spirito vi condurrà, abbiate fiducia nello Spirito. Non abbiate paura di entrare in dialogo e lasciatevi sconvolgere dal dialogo: è il dialogo della salvezza.
Non siate disincantati, preparatevi alle sorprese. C’è un episodio nel libro dei Numeri (cap. 22) che racconta di un’asina che diventerà profetessa di Dio. Gli ebrei stanno concludendo il lungo viaggio che li condurrà alla terra promessa. Il loro passaggio spaventa il re Balak di Moab, che si affida ai poteri del mago Balaam per bloccare quella gente, sperando di evitare una guerra. Il mago, a suo modo credente, domanda a Dio che fare. Dio gli dice di non assecondare il re, che però insiste, e allora lui cede e sale su un’asina per adempiere il comando ricevuto. Ma l’asina cambia strada perché vede un angelo con la spada sguainata che sta lì a rappresentare la contrarietà di Dio. Balaam la tira, la percuote, senza riuscire a farla tornare sulla via. Finché l’asina si mette a parlare avviando un dialogo che aprirà gli occhi al mago, trasformando la sua missione di maledizione e morte in missione di benedizione e vita.
Questa storia ci insegna ad avere fiducia che lo Spirito farà sentire sempre la sua voce. Anche un’asina può diventare la voce di Dio, aprirci gli occhi e convertire le nostre direzioni sbagliate. Se lo può fare un’asina, quanto più un battezzato, una battezzata, un prete, un Vescovo, un Papa. Basta affidarsi allo Spirito Santo che usa tutte le creature per parlarci: soltanto ci chiede di pulire le orecchie per sentire bene.
(Papa Francesco, Discorso 18 settembre 2021)
Cf 19(s) ok; 27 B (2)
Cari fratelli e sorelle! In questa domenica, il Vangelo ci presenta le parole di Gesù sul matrimonio. A chi gli domandava se fosse lecito al marito ripudiare la propria moglie, come prevedeva un precetto della legge mosaica (cfr Dt 24, 1), Egli rispose che quella era una concessione fatta da Mosè a motivo della "durezza del cuore", mentre la verità sul matrimonio risaliva "all'inizio della creazione", quando "Dio - come sta scritto nel Libro della Genesi - li creò maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola" (Mc 10, 6-7; cfr Gn 1, 27; 2, 24). E Gesù aggiunse: "Sicché non sono più due, ma una carne sola. L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto" (Mc 10, 8-9). È questo il progetto originario di Dio, come ha ricordato anche il Concilio Vaticano II nella Costituzione Gaudium et spes: "L'intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale... Dio stesso è l'autore del matrimonio" (n. 48).
Il mio pensiero va a tutti gli sposi cristiani: ringrazio con loro il Signore per il dono del Sacramento del matrimonio, e li esorto a mantenersi fedeli alla loro vocazione in ogni stagione della vita, "nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia", come hanno promesso nel rito sacramentale. Consapevoli della grazia ricevuta, possano i coniugi cristiani costruire una famiglia aperta alla vita e capace di affrontare unita le molte e complesse sfide di questo nostro tempo. C'è oggi particolarmente bisogno della loro testimonianza. C'è bisogno di famiglie che non si lascino travolgere da moderne correnti culturali ispirate all'edonismo e al relativismo, e siano pronte piuttosto a compiere con generosa dedizione la loro missione nella Chiesa e nella società.
Nell'Esortazione apostolica Familiaris consortio, il servo di Dio Giovanni Paolo II ha scritto che "il sacramento del matrimonio costituisce i coniugi e i genitori cristiani testimoni di Cristo "fino agli estremi confini della terra", veri e propri "missionari" dell'amore e della vita" (cfr n. 54). Questa missione è diretta sia all'interno della famiglia - specialmente nel servizio reciproco e nell'educazione dei figli -, sia all'esterno: la comunità domestica, infatti, è chiamata ad essere segno dell'amore di Dio verso tutti. È missione, questa, che la famiglia cristiana può portare a compimento solo se sorretta dalla grazia divina. Per questo è necessario pregare senza mai stancarsi e perseverare nel quotidiano sforzo di mantenere gli impegni assunti il giorno del matrimonio. Su tutte le famiglie, specialmente su quelle in difficoltà, invoco la materna protezione della Madonna e del suo sposo Giuseppe. Maria, Regina della famiglia, prega per noi!
[Papa Benedetto, Angelus 8 ottobre 2006]
Carissimi Fratelli e Sorelle!
1. Anche quest'oggi vorrei proseguire nella riflessione sul matrimonio, la famiglia e la legge naturale. Alla base della famiglia c'è l'amore tra un uomo e una donna: un amore inteso come dono di sé, reciproco e profondo, espresso anche nell'unione sessuale, coniugale.
Alla Chiesa si rimprovera talvolta di fare del sesso un "tabù". La verità è ben altra! Nel corso della storia, in contrasto con le tendenze manichee, il pensiero cristiano ha sviluppato una visione armonica e positiva dell'essere umano, riconoscendo il ruolo significativo e prezioso che la mascolinità e la femminilità svolgono nella vita dell'uomo.
Del resto il messaggio biblico è inequivocabile: "Dio creò l'uomo a sua immagine . . . Maschio e femmina li creò" (Gen 1, 27). In questa affermazione, è scolpita la dignità di ogni uomo e di ogni donna, nella loro uguaglianza di natura, ma anche nella loro diversità sessuale. Essa è un dato che tocca profondamente la costituzione dell'essere umano. "Dal sesso infatti la persona umana deriva le caratteristiche che sul piano biologico, psicologico e spirituale la fanno uomo o donna" (Congr. pro Doctrina Fidei, Persona humana, 1).
L'ho ribadito di recente nella Lettera alle famiglie: "L'uomo è creato "sin dal principio" come maschio e femmina: la vita dell'umana collettività - delle piccole comunità come dell'intera società - porta il segno di questa dualità originaria. Da essa derivano la "mascolinità" e la "femminilità" dei singoli individui, così come da essa ogni comunità attinge la propria caratteristica ricchezza nel reciproco completamento delle persone" (Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, n. 6).
2. La sessualità appartiene dunque al disegno originario del Creatore, e la Chiesa non può fare a meno di averne una grande stima. Al tempo stesso, neppure può fare a meno di chiedere a ciascuno di rispettarla nella sua natura profonda.
Quale dimensione inscritta nella totalità della persona, la sessualità costituisce un "linguaggio" a servizio dell'amore, e non può dunque essere vissuta come pura istintualità. Essa va governata dall'uomo quale essere intelligente e libero.
Ciò non vuol dire, tuttavia, che essa possa essere manipolata ad arbitrio. Essa possiede infatti una sua tipica struttura psicologica e biologica, finalizzata sia alla comunione tra uomo e donna che alla nascita di nuove persone. Rispettare tale struttura e tale inscindibile connessione non è "biologismo" o "moralismo", è l'attenzione alla verità dell'essere uomo, dell'essere persona. E’ in forza di tale verità, percepibile anche alla luce della ragione, che sono moralmente inaccettabili il cosiddetto "libero amore", l'omosessualità, la contraccezione. Si tratta infatti di comportamenti che stravolgono il significato profondo della sessualità, impedendole di porsi al servizio della persona, della comunione e della vita.
3. La Vergine Santa, modello di femminilità, di tenerezza e di dominio di sé, aiuti gli uomini e le donne del nostro tempo a non banalizzare il sesso, in nome di una falsa modernità. A Lei guardino i giovani, le donne, le famiglie. Voglia Maria, Madre castissima, illuminare i rappresentanti delle nazioni perché nella prossima riunione a Il Cairo assumano decisioni ispirate agli autentici valori umani, che sono alla base dell'auspicata civiltà dell'amore.
[Papa Giovanni Paolo II, Angelus 26 giugno 1994]
Il Vangelo di questa domenica (cfr Mc 10,2-16) ci offre la parola di Gesù sul matrimonio. Il racconto si apre con la provocazione dei farisei che chiedono a Gesù se sia lecito a un marito ripudiare la propria moglie, così come prevedeva la legge di Mosè (cfr vv. 2-4). Gesù anzitutto, con la sapienza e l’autorità che gli vengono dal Padre, ridimensiona la prescrizione mosaica dicendo: «Per la durezza del vostro cuore egli – cioè l’antico legislatore – scrisse per voi questa norma» (v. 5). Si tratta cioè di una concessione che serve a tamponare le falle prodotte dal nostro egoismo, ma non corrisponde all’intenzione originaria del Creatore.
E qui Gesù riprende il Libro della Genesi: «Dall’inizio della creazione (Dio) li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola» (vv. 6-7). E conclude: «Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (v. 9). Nel progetto originario del Creatore, non c’è l’uomo che sposa una donna e, se le cose non vanno, la ripudia. No. Ci sono invece l’uomo e la donna chiamati a riconoscersi, a completarsi, ad aiutarsi a vicenda nel matrimonio.
Questo insegnamento di Gesù è molto chiaro e difende la dignità del matrimonio, come unione di amore che implica la fedeltà. Ciò che consente agli sposi di rimanere uniti nel matrimonio è un amore di donazione reciproca sostenuto dalla grazia di Cristo. Se invece prevale nei coniugi l’interesse individuale, la propria soddisfazione, allora la loro unione non potrà resistere.
Ed è la stessa pagina evangelica a ricordarci, con grande realismo, che l’uomo e la donna, chiamati a vivere l’esperienza della relazione e dell’amore, possono dolorosamente porre gesti che la mettono in crisi. Gesù non ammette tutto ciò che può portare al naufragio della relazione. Lo fa per confermare il disegno di Dio, in cui spiccano la forza e la bellezza della relazione umana. La Chiesa, da una parte non si stanca di confermare la bellezza della famiglia come ci è stata consegnata dalla Scrittura e dalla Tradizione; nello stesso tempo, si sforza di far sentire concretamente la sua vicinanza materna a quanti vivono l’esperienza di relazioni infrante o portate avanti in maniera sofferta e faticosa.
Il modo di agire di Dio stesso con il suo popolo infedele – cioè con noi – ci insegna che l’amore ferito può essere sanato da Dio attraverso la misericordia e il perdono. Perciò alla Chiesa, in queste situazioni, non è chiesta subito e solo la condanna. Al contrario, di fronte a tanti dolorosi fallimenti coniugali, essa si sente chiamata a vivere la sua presenza di amore, di carità e di misericordia, per ricondurre a Dio i cuori feriti e smarriti.
Invochiamo la Vergine Maria, perché aiuti i coniugi a vivere e rinnovare sempre la loro unione a partire dal dono originario di Dio.
[Papa Francesco, Angelus 7 ottobre 2018]
XXV Domenica del tempo ordinario B (22 settembre 2024)
1. Ogni pagina del vangelo, anzi ogni parola di Gesù produce risonanze diverse in chi ascolta perché non è come leggere o ascoltare una notizia chiusa nel tempo, ma ricevere un messaggio personalizzato sempre nuovo: insomma, attraverso il vangelo, Gesù parla nel contesto concreto nel quale ti trovi secondo l’apertura e l’attesa del tuo cuore. Prova pertanto a chiederti cosa ti dice oggi il Vangelo (Mc 9,30-37). Abbiamo già sentito l’apostolo Pietro scandalizzarsi dell’annuncio della morte in croce del suo Maestro e ricevere un duro rimprovero proprio dopo la sua professione di fede. Pietro - ha intimato con autorità Gesù – torna indietro “satana”, riprendi il tuo posto e lascia che io ti schiarisca le idee che non corrispondono ai piani di Dio. Oggi avviene la stessa cosa con tutti i discepoli che sulla strada verso Cafarnao discutono tra loro di chi sarà il più importante quando il Messia instaurerà il suo regno. Certo sono molto lontani dalla realtà se Gesù deve ripetere quanto già in precedenza aveva detto. E in effetti l’evangelista precisa che “insegnava ai suoi discepoli e diceva loro: il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”. Vale la pena soffermarsi sull’espressione “Il Figlio dell'uomo consegnato nelle mani degli uomini”. Il mistero di un Dio Figlio dell’uomo che si consegna nelle mani dell’uomo è il cuore di tutta la rivelazione. Ma da dove ha origine l’espressione “Figlio dell’uomo”? In verità si tratta di un titolo che presenta diverse sfumature di significato nell'Antico e nel Nuovo Testamento. L’espressione "Figlio dell’uomo" compare nell’Antico Testamento, principalmente nel libro del profeta Ezechiele e nel libro di Daniele. In Ezechiele Dio si rivolge al profeta chiamandolo "figlio dell'uomo" più di 90 volte e il termine sembra indicare semplicemente un essere umano di cui evidenzia la fragilità e la mortalità. Nel libro del profeta Daniele troviamo invece il passo chiave per il significato messianico dell'espressione "Figlio dell'uomo". In una visione il profeta vede “venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio dell'uomo; giunse fino al Vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto” (7:13-14). Qui, il "Figlio dell'uomo" non è solo un essere umano, ma una figura celeste a cui è conferito il dominio eterno e universale. Ecco il Messia, l’inviato di Dio per instaurare il suo regno, che avanza su nubi di gloria: descrizione che richiama la divinità e il giudizio finale. Nei vangeli Gesù utilizza l'espressione "Figlio dell'uomo" attribuendola a sé stesso più di 80 volte e tale titolo riveste almeno tre principali significati. Chiamandosi “Figlio dell’uomo”, si identifica come vero essere umano ed è per dire che, pur essendo il Messia il Figlio di Dio, è uomo e condivide la nostra la condizione umana. Quando poi fa riferimento alla visione del profeta Daniele vuole indicare il suo ruolo messianico. Ad esempio il "Figlio dell'uomo" che viene "con le nubi del cielo" (Mt 24,30), si identifica con la figura gloriosa e divina di Daniele e questo titolo sottolinea la sua definitiva apparizione quale giudice e sovrano universale. Ma Cristo usa il termine "Figlio dell'uomo" anche per parlare della sua passione e morte, predicendo che sarà consegnato a degli uomini e verrà ucciso, ma il terzo giorno risorgerà. Quindi il collegamento tra il Figlio dell’uomo e la sofferenza (che non era presente in Daniele) è un aspetto unico del modo in cui Gesù interpreta la propria missione. In definitiva, l'espressione "Figlio dell'uomo" Gesù l’attribuisce a sé stesso, combinando l'idea della sua umanità con il suo ruolo di Messia glorioso e la sua missione redentrice attraverso la sofferenza e la passione. Nei momenti della passione colpisce il verbo “consegnare” = tradire: Giuda lo consegna ai capi e ai soldati (Mc 14, 10.44), i capi a Pilato (Mc 15,1) e Pilato ai crocifissori (Mc 15,15), ma il cuore di tutto, che costituisce il paradosso, è che Dio stesso lo consegna e Gesù a sua volta si consegna a noi. In questo consegnarsi/donarsi a tutti, anche a chi lo rifiuta, lo rinnega e lo tradisce, la rivelazione di Dio come amore si mostra totale, incondizionata, definitiva e per sempre.
2. Torniamo al testo evangelico odierno dove i discepoli “non capivano e avevano timore di interrogarlo”. Tre di loro, Pietro Giacomo e Giovanni, lo hanno visto trasfigurato, come narra l’evangelista poco prima proprio all’inizio di questo stesso capitolo e già sognavano di entrare nella gloria con il Messia sfolgorante di luce. Gli altri apostoli, al racconto che i tre fanno della loro esperienza sul Tabor, reagiscono mettendosi a competere su “chi fosse il più grande” per occupare il primo posto nel regno che il Messia sta per instaurare. Gesù li spiazza: “se uno vuole esser il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti” e preso un bambino aggiunge: “chi accoglie uno di questi bambini nel nome mio accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”. Proviamo a immaginare la confusione nella testa dei discepoli che non riescono a conciliare la gloria del trionfo messianico con lo scandalo della croce e per i tre discepoli che hanno assistito alla trasfigurazione di Gesù, questo appare ancor più inaccettabile e inverosimile. In loro permane lo splendore della trasfigurazione, le loro orecchie hanno sentito che Gesù è il Figlio amato, colui che bisogna ascoltare, come fanno ad ammettere quel che ora lui annuncia: tradimento e odio degli uomini, sofferenze e morte in croce, e questo in maniera certa e ineluttabile? Nel pensiero degli apostoli come dei loro contemporanei e probabilmente anche in noi gloria e croce non sono una coppia felice. C’è inoltre un’ulteriore contraddizione: prima dice che sarà ucciso e trattato come un rifiuto dagli uomini, poi che risuscitato trionferà: quindi non soltanto la gloria e la croce sono inseparabili, ma per giungere alla gloria si deve passare attraverso la croce. Uno sconosciuto monaco e teologo del XVII secolo scrive:“Sic decet per crucem ad gloriam, per angusta ad augusta penetrare, et per aspera ad astra” (J.Heidfeld [†1624]).
3. Come se non bastasse, Gesù confonde ancor più gli apostoli perché, prima afferma che “se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”, poi, prendendo in braccio un bambino (solo qui nel vangelo di Marco compie questo gesto), mostra come modello da imitare proprio il bambino, un essere umano vulnerabile e indifeso e bisognoso di cura. In quel momento i discepoli non muoiono dal desiderio di essere ultimi e anche il gesto di Gesù che addita il bambino come modello da considerare li mette in agitazione perché sono nella piena problematica della rivalità del potere, di cui parla san Giacomo nell’odierna seconda lettura (Gc3,16-4,3). Insomma è Il mondo alla rovescia: non ci si può meravigliare se i discepoli fanno fatica a capirlo perché anche per noi questo ci mette in crisi. Gesù però è paziente e in verità non afferma che è un male aspirare a essere i primi, anzi offre persino il mezzo per arrivarci, cioè farsi ultimi. E così in questo testo si passa da una meraviglia all’altra perché l’unico modo per diventare primi è semplice per Gesù ed è alla portata di chiunque: chi vuole essere il primo si metta all’ultimo posto e si metta a servire tutti come si farebbe con un bambino. Non basta: solo così facendo si accoglie Gesù e aggiunge lui: anche “colui che mi ha mandato”. Nostro modello è dunque Gesù che nel cenacolo lava i piedi ai discepoli, come narra il vangelo di Giovanni, e lasciamo risuonare nel nostro cuore le sue parole: “Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (13, 12-15).
+Giovanni D’Ercole buona domenica a tutti
XXIV Domenica del Tempo Ordinario B (15 settembre 2024)
1. La liturgia di questa domenica ben si collega con la festa dell’esaltazione della Croce che ieri abbiamo celebrato e che ci ha portati a meditare sulla morte gloriosa di Cristo. Dall’alto della Croce è lui stesso a rivolgerci la domanda che, come leggiamo nell’odierno vangelo, pose un giorno ai suoi discepoli: Chi sono io per voi? Chi è Gesù, il Cristo? Questa è la questione fondamentale della nostra fede e provoca tutti, mentre attende una risposta personale: o lo accetti o lo rifiuti perché non sono ammessi compromessi e mezze misure. Gesù di Nazaret, che i cristiani adorano come vero Dio e vero uomo, continua a far discutere e inquieta la coscienza di molti. Come infatti restare indifferenti dinanzi a Cristo, vero Dio e vero, che si svuota della sua divinità non solo fino a farsi uomo, ma addirittura a morire abbandonato e disprezzato su una croce come uno schiavo? E come se non bastasse, si rende pane spezzato per nutrire i fedeli della sua vita immortale nel sacramento dell’eucarestia? San Marco, che dopo aver lasciato san Paolo segue e vive per lungo tempo accanto all’apostolo Pietro, trasmette di quest’apostolo la certezza della fede in Gesù il Cristo; una fede passata però attraverso un lungo travaglio spirituale che tiene in conto anche il suo triplice rinnegamento durante la passione del suo Maestro. L’evangelista si fa nostro “pedagogo” per insegnarci come incontrare Cristo e conoscerlo facendoci comprendere che non è necessario capire per seguirlo, ma al contrario occorre seguirlo per conoscerlo. Nel brano evangelico di questa domenica il nostro sguardo si focalizza su san Pietro che dopo aver appena fatto per la prima volta una bella professione di fede: ”Tu sei il Cristo” riceve un duro rimprovero : “va dietro di me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Perché una reazione così decisa e persino violenta al punto da apostrofarlo come “satana”? Cominciamo a meglio capirlo leggendo l’episodio di cui parla oggi il brano evangelico, avvenuto mentre il Maestro con i discepoli vanno a Cesarea di Filippo, terra di confine tra il popolo eletto e i pagani. Se finora i discepoli e tutta la gente si sono posti la domanda: Chi è costui che fa miracoli, che parla in maniera coinvolgente, che è capace di calmare il mare in tempesta e scaccia i demoni? Non è forse il Messia atteso? Qui, dopo la prima professione di Pietro “Tu sei il Cristo” Gesù comincia sa svelare gradualmente il mistero della sua identità.
2. Si usa spesso dire che il Vangelo di Marco si snoda in una dinamica che parte proprio dall’oscurità dell’inizio e giunge allo splendore luminoso finale della risurrezione. Occorrerà ancora percorrere della strada e soltanto alla fine, mentre Gesù muore, le parole della confessione del centurione sotto la croce: “Veramente quest’uomo era figlio di Dio” (15,39) mostreranno chi Egli è veramente e la luce della resurrezione, cioè la vittoria della vita sulla morte, distruggerà l’oscurità mostrando in pienezza la vera identità di Cristo, il Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. Dopo, il messaggio evangelico comincerà a diffondersi in tutte le regioni del mondo, anche se occorrerà coraggio, pazienza e soprattutto fede perché diventi vita vissuta, come testimoniano le comunità cristiane grazie ai numerosi martiri e ai santi del cristianesimo. Il rapporto tra l’oscurità e la luce è connesso al cosiddetto “segreto messianico”, che caratterizza la graduale rivelazione dell'identità di Gesù e della sua missione nel vangelo di Marco. Inizia proprio dal primo capitolo: “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” (1,1), Gesù è Cristo e Signore (1,3); mentre viene battezzato una voce dal cielo lo dichiara “Figlio amato” (1,11). La sua identità viene confermata dagli spiriti impuri con il titolo di “Santo di Dio” o “Figlio di Dio” (cf. 1,24; 3,11; 5,7), mentre le folle che lo incontrano chiedono: “chi è questo Gesù di Nazaret? sino al capitolo settimo quando la donna siro-fenicia lo chiama Gesù “Signore” (7,28).
3. Siamo così giunti al capitolo ottavo, alla pagina odierna del vangelo. Se sinora possiamo tutto riassumere nella domanda: “Ma tu chi sei? Sei il Messia?”, oggi Gesù risponde a Pietro e conferma che egli è il Messia, ma precisa di non esserlo secondo le aspettative umane, e preannuncia la sua passione e morte. Nel cuore dei discepoli si fa più vivo il contrasto oscurità/luce e guidati dalla pazienza del divino Maestro dall’incomprensione iniziale giungeranno gradualmente alla scoperta della sua vera identità. Annunciando il vangelo e compiendo miracoli invitava sempre a tacere e non voleva che se ne facesse propaganda perché era facile fraintenderlo. Messia era in effetti un titolo che si prestava a varie interpretazioni e pur confermando di esserlo, come fece con Pietro, Gesù si presenta non un Messia trionfante ma sofferente e anche per i discepoli, che conoscevano la storia del loro popolo, si tratta di qualcosa di paradossale e inconcepibile. La loro fragile fede aveva bisogno di essere purificata e illuminata ed è per questo che Gesù chiede loro “di non parlare di lui a nessuno” e li sgrida come prima aveva fatto con i demoni. Insieme ai discepoli lasciamoci anche noi prendere per mano dall’evangelista e seguiamolo nel lungo cammino che porterà a incontrare chi è in verità il Messia. Da questo momento in poi la domanda sarà infatti: “Chi sono io per te”? E’ il Maestro a interpellarci e ci aiuta ad entrare nell’intimità del suo amore parlando della sua passione e morte in croce. Siamo di fronte a una novità assoluta che manifesta il suo pieno vigore nell’estrema fragilità della croce. Se vogliamo incontrare Gesù non superficialmente dobbiamo accettare di seguirlo dovunque egli ci conduce, ed essere suoi discepoli significa continuare a camminare dietro di lui. Indica pure le tre condizioni di questa sequela: anzitutto “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso”; in secondo luogo “prenda la sua croce e mi segua” ovunque, se necessario sino ad essere con lui crocifissi e finalmente “chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”. Il messaggio è duro e chiaro, ma liberante e felice: se perdi la vita per Cristo la salvi perché non la fondi su te stesso ma su lui, il Cristo. E questa è la vera saggezza dei santi.
Buona domenica!
+Giovanni D’Ercole
«Too pure water has no fish». Accepting ourselves will complete us: it will make us recover the co-present, opposite and shadowed sides. It’s the leap of profound Faith. And seems incredible, but the Rock on which we build the way of being believers is Freedom
«L’acqua troppo pura non ha pesci». Accettarsi ci completerà: farà recuperare i lati compresenti, opposti e in ombra. È il balzo della Fede profonda. Sembra incredibile, ma la Roccia sulla quale edifichiamo il modo di essere credenti è la Libertà
Our shortages make us attentive, and unique. They should not be despised, but assumed and dynamized in communion - with recoveries that renew relationships. Falls are therefore also a precious signal: perhaps we are not using and investing our resources in the best possible way. So the collapses can quickly turn into (different) climbs even for those who have no self-esteem
Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, ma assunte e dinamizzate in comunione - con recuperi che rinnovano i rapporti. Anche le cadute sono dunque un segnale prezioso: forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse. Così i crolli si possono trasformare rapidamente in risalite (differenti) anche per chi non ha stima di sé
God is Relationship simple: He demythologizes the idol of greatness. The Eternal is no longer the master of creation - He who manifested himself strong and peremptory; in his action, again in the Old Covenant illustrated through nature’s irrepressible powers
Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza. L’Eterno non è più il padrone del creato - Colui che si manifestava forte e perentorio; nella sua azione, ancora nel Patto antico illustrato attraverso le potenze incontenibili della natura
Starting from his simple experience, the centurion understands the "remote" value of the Word and the magnet effect of personal Faith. The divine Face is already within things, and the Beatitudes do not create exclusions: they advocate a deeper adhesion, and (at the same time) a less strong manifestation
Partendo dalla sua semplice esperienza, il centurione comprende il valore “a distanza” della Parola e l’effetto-calamita della Fede personale. Il Cospetto divino è già dentro le cose, e le Beatitudini non creano esclusioni: caldeggiano un’adesione più profonda, e (insieme) una manifestazione meno forte
What kind of Coming is it? A shortcut or an act of power to equalize our stormy waves? The missionaries are animated by this certainty: the best stability is instability: that "roar of the sea and the waves" Coming, where no wave resembles the others.
Che tipo di Venuta è? Una scorciatoia o un atto di potenza che pareggi le nostre onde in tempesta? I missionari sono animati da questa certezza: la migliore stabilità è l’instabilità: quel «fragore del mare e dei flutti» che Viene, dove nessuna onda somiglia alle altre.
The words of his call are entrusted to our apostolic ministry and we must make them heard, like the other words of the Gospel, "to the end of the earth" (Acts 1:8). It is Christ's will that we would make them heard. The People of God have a right to hear them from us [Pope John Paul II]
Queste parole di chiamata sono affidate al nostro ministero apostolico e noi dobbiamo farle ascoltare, come le altre parole del Vangelo, «fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8). E' volontà di Cristo che le facciamo ascoltare. Il Popolo di Dio ha diritto di ascoltarle da noi [Papa Giovanni Paolo II]
don Giuseppe Nespeca
Tel. 333-1329741
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