don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

XI Domenica del tempo Ordinario B (16 giugno 2024)

1. La prima lettura, tratta dal libro del profeta Ezechiele, potrebbe essere letta come una parabola di speranza per il popolo ebreo. Per capire bene occorre tener presente il contesto storico segnato dall’occupazione di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor che aveva deportato in Babilonia il re e una buona parte degli abitanti fra i quali lo stesso profeta Ezechiele e, come se ciò non bastasse, dopo poco tempo fu completamente distrutta Gerusalemme e spogliata di tutti i suoi abitanti resi schiavi a Babilonia. In quel momento Israele era in preda allo scoraggiamento totale perché aveva perso tutto: la terra, segno concreto della benedizione di Dio, il suo re mediatore fra Dio e il popolo, il tempio, luogo della presenza di Dio e percepiva la propria situazione come un albero reciso e destinato alla sterilità, cioè senza certezza né speranza di futuro. La domanda ricorrente era se Dio avesse dunque abbandonato il suo popolo e la fiducia di tutti fu messa a dura prova. 

Avviene però una sorta di miracolo perché nel cuore di una situazione così drammatica quale è la deportazione babilonese, la fede d’Israele si andò purificando per diventare più salda: avvenne uno straordinario sussulto della fede del popolo eletto ed Ezechiele ne fu uno degli artefici. In passato aveva cercato di ammonirlo prevedendo quanto poi si è verificato, ma ora che la catastrofe è caduta sul popolo, la sua missione è far rinascere la fiducia e quindi si fa portavoce di una parola di speranza. Utilizza a questo scopo la parabola del cedro gigantesco che abbiamo incontrato nella prima lettura. Perché proprio il cedro? Il cedro era il simbolo della dinastia dei re e quindi immagine del re in esilio diventato un albero morto da cui però il Signore stacca un ramoscello per trapiantarlo “sopra un alto monte d’Israele” che indica Gerusalemme. Vengono qui preannunciati ben due eventi di vittoria: il ritorno del popolo ebreo in patria e la restaurazione del regno di Gerusalemme che vedrà in seguito accorrere verso Gerusalemme gente da ogni parte del mondo e sarà allora il trionfo del Dio unico. 

Ciò prova che nulla è impossibile a Dio il quale conferma: “Io sono il Signore, che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso”. E ancora: “Io, il Signore ho parlato e lo farò”. 

Vediamo qui messi in luce due aspetti della fede ebraica: anzitutto Dio è onnipotente e porta a compimento tutto ciò che promette; in secondo luogo, Israele conserva la speranza perché nutre la certezza nell’intervento divino che porta a compimento ogni sua promessa. E in effetti si tratta qui dell’annuncio del Messia futuro, promessa che ha sorretto nel corso dei secoli la speranza d’Israele soprattutto nei momenti drammatici della sua storia e ad alimentare questa fiducia contribuisce la missione dei profeti di cui ci offre un grande esempio Ezechiele.

2. Il testo evangelico, come spesso avviene, richiama la prima lettura. Oggi è san Matteo a raccontarci la parabola del granellino di senape, il più piccolo di tutti i semi, che sepolto nella terra “germoglia e cresce” sino a diventare “più grande di tutte le piante dell’orto”.  Il ramoscello staccato dalla cima del cedro sterile della prima lettura e “il più piccolo dei semi” di cui leggiamo nel vangelo fanno pensare alla vita di ogni cristiano. Grazie al seme di Dio posto in noi il giorno del battesimo siamo diventati potenziali alberi di vita nuova chiamati a produrre e spargere frutti di amore e di bontà. In particolare la parabola evangelica sottolinea due aspetti della vita cristiana: ll seme posto dalla Trinità nel cuore dell’uomo cresce ogni giorno silenziosamente avvolto dalla terra e questo sta ad indicare che solamente Dio può assicurare la totale crescita e la piena realizzazione della nostra esistenza. L’accenno invece alla piccolezza del granellino di senape, addirittura il più piccolo di tutti, viene a sottolineare che anche noi, con la nostra pochezza e fragilità siamo in qualche modo partecipi e collaboratori indispensabili di questa crescita sorprendente. Ed allora è bene lasciarsi guidare dalla Provvidenza divina che ha posto a nostra disposizione due ali per volare verso il cielo: l’intervento di Dio e l’azione dell’uomo. La tradizione cristiana ha tradotto questa sinergia umano-divina in contemplazione e azione, evidenziando l’interconnessione esistente tra il pregare inteso come ascolto di Dio e l’agire come risposta alla volontà divina. Scrive al riguardo sant’Ignazio di Loyola: «Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo poi che in realtà tutto dipende da Dio» (cfr Pedro de Ribadeneira, Vita di S. Ignazio di Loyola, Milano 1998) e Gilbert Keith Chesterton sintetizza questo progetto umano-divino così: “Pregare come se tutto dipendesse da Dio; agire come se tutto dipendesse da noi”. 

Se talora Dio sembra assente dall’orizzonte della nostra esistenza, crediamo che Egli è sempre all’opera. Anzi laddove le tenebre diventano più dense, risplende ancor più la sua luce. Ne è esempio la vita di san Giovanni della Croce, grande santo riformatore dell’ordine carmelitano, che ebbe un’esistenza non travagliata ma assurdamente difficile. Tuttavia proprio nei momenti più oscuri, come ad esempio il tempo passato in un carcere isolato e abbandonato da tutti, anzi tradito persino dai suoi confratelli, egli ha scritto una delle sue opere di spiritualità più belle, alla quale molti continuano ad ispirarsi nel loro cammino di santificazione. E così si capisce che la vita cristiana è un cammino verso Dio. Se poi uno reca in sé un grande amore, questo amore gli dà quasi ali per sopportare più facilmente tutte le molestie, i contrasti e le ingiustizie di questo mondo, perché porta in sé la grande luce della fede che consiste nel sentirsi amati da Dio e nel lasciarsi amare da lui in Cristo Gesù. Grande tentazione è però la paura madre dello scoraggiamento e l’orgoglio padre della sfiducia.

3. Insomma, la trappola satanica del sospetto che ingannò i progenitori nel giardino dell’Eden, è sempre all’opera e occorre restare in guardia, senza mai perdere la certezza che “è retto il Signore mia roccia: in lui non c’è malvagità” come ci fa pregare oggi il salmo responsoriale tratto dal salmo 91/92. Israele si riconosce colpevole avendo in diverse occasioni accusato il suo Signore. Ricorda bene quando nel deserto del Sinai in giorni di grande sete, il popolo si è ribellato contro Mosè accusando lui e il Signore di averli fatti uscire dall’Egitto per lasciarli poi morire di sete nel deserto. Si tratta del famoso episodio di Massa et Meriba (Es. 17,1-7). Eppure, anche in quell’occasione, malgrado la loro rivolta, Dio si mostrò più grande del risentimento e dei lamenti del popolo fuori di sé dall’ira, e fece sgorgare per tutti l’acqua dalla roccia. A ricordo di quest’evento Israele chiamerà Dio “sua roccia”, un modo per richiamare la fedeltà divina che è più forte d’ogni sospetto del suo popolo. Da questa roccia Israele lungo i secoli continuerà ad attingere l’acqua della sua sopravvivenza: sarà la sorgente della sua fede e della sua fiducia. 

Di fronte all’ingratitudine di Israele Dio proclama la sua fedeltà perché Egli è Misericordia infinita pronto a stringere alleanza con i suoi, Lui che è Dio d’amore e di fedeltà, lento alla collera e pieno di amore.  Dalla parola di Dio oggi riceviamo un invito a ben vigilare sulla nostra esistenza perché torna spesso nel corso della vita la trappola del sospetto: quando si ha sete, quando l’acqua non è buona, quando si è affamati di felicità e tutto sembra andare non come vorremmo ma per il verso sbagliato, si è tentati d’accusare Dio di averci ingannati e abbandonati. Attenzione a non dimenticare la lezione del giardino dell’Eden quando l’astuto satanico serpente è riuscito a far credere all’uomo e alla donna che Dio non è sincero verso di loro ed essi caddero nella trappola del sospetto: si ritrovarono nudi, cioè spogliati di tutto ciò che costituiva la loro ricca eredità divina.  

Come premunirsi contro la tentazione dell’inganno? Come proteggersi dalla trappola del sospetto ce lo indica Il salmo che oggi la liturgia ci fa meditare: è necessario restare ben piantati nel tempio di Dio come un cedro e non stancarsi di ripetere, pur nel buio di certe notti oscure, che “é bello rendere grazie al Signore e cantare al tuo nome o Altissimo” perché ricorrere con fiducia a Dio fa del bene a noi stessi. Afferma sant’Agostino: “Tutto ciò che l’uomo fa per Dio profitta all’uomo e non a Dio”. Pregare dunque e cantare per Dio, “annunciare al mattino il suo amore e la sua fedeltà nella notte” ci aiuta a proteggerci dall’inganno di satana, dalla paura e dalla sfiducia. L’esperienza di tanti santi mostra che solo la verità e la fiducia invincibile nel suo amore possono illuminarci in ogni situazione della vita, mentre la sfiducia e il sospetto falsano il nostro sguardo sulla realtà. Sospettare che Dio voglia imbrogliarci o ci abbandoni al nostro destino è la trappola in cui non dobbiamo cadere, perché può diventare una trappola mortale. Seguiamo piuttosto l’invito dell’apostolo Paolo nella seconda lettura: “finché abitiamo nel corpo - camminiamo infatti nella fede e non nella visione – siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore”. (2Cor 5,6-10).  Mentre siamo pellegrini verso il cielo, camminiamo con i piedi ben piantati su questa terra, ma il nostro cuore trovi la sua ragione di speranza e d’impegno nel Cristo che spalanca già per noi la porta dell’eterna felicità.  Buona domenica!

+ Giovanni D’Ercole

Lunedì, 10 Giugno 2024 12:42

Il Ritmo di Natura, fattore evolutivo

Lunedì, 10 Giugno 2024 12:35

Il Granello di Senape Francescano

Venerdì, 07 Giugno 2024 20:20

Riconoscere Dio al centro della vita

Commento Liturgia X Domenica T.O. (9 giugno 2024)

1. Nella vita due sono le scelte fondamentali possibili: vivere secondo Dio oppure scegliere di fare a meno di Dio. E’ l'opzione fondamentale, decisione che ha origine nel centro stesso della persona, dal cuore, visto come nucleo della sua personalità. Decisione fondamentale che condiziona tutte le altre scelte perché è l’orientamento di fondo che concerne l'intera esistenza. Di questo parla il libro della Genesi (cap.2-3), che presenta in linguaggio simbolico Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden loro affidato da Dio con il compito di coltivarlo e custodirlo. Al centro di questo giardino, si trova l’albero della vita e “l’albero della conoscenza del bene e del male” cioè il segreto della conoscenza di ciò che rende l’uomo felice oppure lo priva della felicità. Ed ecco la consegna di Dio: “potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui te ne mangerai, certamente dovrai morire”.  La verità qui espressa è che Dio creando la persona umana, l’ha arricchita di intelligenza e volontà libera, e ha fissato ciò che è bene e vitale per lei. Voler definire da noi stessi in modo radicale quanto è bene o male per noi, vuol dire farsi creatori di sé stessi e in altri termini volersi fare simili a Dio. Nel progetto divino la ragione della felicità umana è Dio stesso aderendo alla sua volontà, perché siamo creati per vivere in armonia con lui. Nel libro “Riconoscere Dio al centro della vita”, testi di meditazione per l'intero anno liturgico, Dietrich Bonhoeffer, teologo e pastore protestante morto per impiccagione il 9 aprile 1945 nel campo di concentramento di Flossenbürg, in Germania, scrive che “comprendere ogni mattina in maniera nuova l’antica fedeltà di Dio, poter cominciare quotidianamente una nuova vita nella compagnia di Dio: ecco il dono che Dio ci fa allo spuntare di ogni giorno”.  

L’originale progetto di Dio fu però insidiato dal serpente tentatore che, con astuzia menzognera, provocò Eva insinuando che Dio aveva proibito di mangiare di ogni albero del giardino. La donna replicò giustamente che secondo la consegna del Creatore possono essere mangiati i frutti d’ogni albero, eccetto di quello della conoscenza del bene e del male. Dice una cosa giusta, ma senza rendersene conto entrando in contatto con il serpente, ammaliata dalla prospettiva di diventare come Dio senza bisogno di Dio e con un semplice gesto magico, si lascia convincere: prese il frutto e ne mangiò condividendolo con Adamo, riconoscendo poi: “Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato”.  

Al di là del linguaggio simbolico, qui è detta una verità di fondo: l’uomo distaccandosi da Dio rischia di non comprendere più nemmeno sé stesso e gli altri. La conseguenza fu infatti drammatica: gli occhi di entrambi si aprirono e si resero conto di essere nudi e pieni di vergogna l’una dell’altro compromettendo l’armonica trasparenza delle loro relazioni. Satana è riuscito a trarre in inganno l’essere umano e a rovinargli l’armonia originaria della creazione.

2. Da quest’episodio biblico possiamo trarre qualche utile considerazione: la vita umana sarà ormai sottoposta alle tentazioni del maligno, che in tutti i modi tenderà di separare l’uomo dal Creatore. Tuttavia, per quanto perversa possa diventare l’umana natura umana, la Bibbia insegna che il male non è intrinseco all’uomo; è piuttosto a lui esteriore e, solo quando ci si lascia sedurre e ingannare, si aprono per lui percorsi pericolosi e lastricati di tristezza e d’infelicità. Dopo il peccato originale la vita è una lotta per tutti e lungo l’intera storia della salvezza i profeti hanno sempre messo in guardia il popolo eletto dalle seduzioni ingannatrici di satana. Ma Dio non abbandona a sé stessa la creatura umana: laddove c’è il peccato brilla ancor più la misericordia divina. Dio condanna il serpente: “Poiché tu hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici”. Maledice il male e la sua collera nella Bibbia è sempre contro ciò che distrugge l’uomo, poiché il male non viene da Dio e né fa parte essenzialmente della natura umana. L’aspirazione di Adamo e di Eva di essere come Dio era ben giusta ed è anche la nostra, dato che il Creatore ci ha strutturati a sua immagine e somiglianza e il soffio divino è il nostro respiro. Sotto l’inganno satanico, i nostri progenitori hanno però creduto una propria conquista essere come Dio e non un dono gratuito da coltivare in armonia fiduciosa on lui. L’adesione dei progenitori alla tentazione del serpente ci ha resi tutti influenzabili dal male. Ma non tutto è perduto perché Dio rivolgendosi al serpente assicura: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”.  Viene prevista dunque una lotta di cui si conosce già l’esito: sarà alla fine Cristo a vincere e il male non potrà mai avere l’ultima parola.  La teologia cristiana definisce questo testo della Genesi (3,15), con il temine di protovangelo e lo considera una profezia del futuro Messia, chiamato qui "progenie della donna", che avrebbe redento la stessa umanità, strappandola alla condanna meritata a causa del peccato commesso. Dio, che mai abbandona l’umana creatura uscita dalle sue mani, manifesta in questo modo la sua infinita misericordia, tanto quanto egli, nella condanna dell'umanità, aveva manifestato la sua giustizia.

3. “O Padre, che hai mandato il tuo Figlio a liberare l’uomo dal potere di satana, aumenta in noi la fede e la libertà vera”. Così preghiamo all’inizio della messa di questa X Domenica del Tempo Ordinario. Gesù Cristo è venuto nel mondo per redimere l’umanità dalla schiavitù del male. Comprendiamo meglio questo messaggio di speranza analizzando l’odierna pagina del vangelo di Marco. Stranamente il comportamento e i miracoli compiuti da Gesù appaiono per alcuni sorprendenti, persino choccanti e ognuno cerca di fornire una spiegazione: Gesù è pazzo per i suoi parenti, invece per le autorità religiose ha addirittura stretto un patto con il diavolo. Gesù non si mette a discutere con coloro che lo ritengono un pazzo, ma prende sul serio l’accusa di essere posseduto dal demonio. E così ragiona: se l’unione fa la forza, una famiglia o un gruppo diviso al suo interno sarà preda facile per i nemici. Se dunque voi dite che io scaccio i demoni per mezzo del loro capo Beelzebul vuol dire che satana lavora contro sé stesso,  e allora andrà facilmente in rovina. Segue poi una breve parabola che troviamo più diffusa nel vangelo di Luca (11,14-26): ”Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa”.  L’uomo forte in questo caso è satana e, se Gesù diventa padrone della casa avendo espulso i demoni, significa che è più forte di satana: è lui il trionfatore sul male. Nella prima lettura si preannunciava la vittoria e qui Gesù si presenta come colui che la realizza. Poi però segue un avvertimento: “In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna”. Anzitutto, ancora una volta siamo rassicurati che la misericordia di Dio è infinita e la solennità del Sacro Cuore che abbiamo celebrato venerdì scorso ce lo ha ben ricordato.

4. C’è però un peccato imperdonabile che Gesù definisce la bestemmia contro lo Spirito Santo. All’inizio del vangelo Marco racconta che la fama di Gesù si era sparsa in tutta la regione giungendo sino a Gerusalemme: guariva i malati e i posseduti dal demonio venivano liberati. Guarigioni e soprattutto espulsioni dei demoni erano i segni che il regno di Dio era giunto (Cf. Lc.11,20).  Alcuni scribi e dottori della legge erano però talmente lontani da Dio da non riconoscere l’opera del Signore in questi prodigi. Ed è proprio quest’attitudine ad essere presa di mira dal Signore perché è quella di satana, il serpente che insinuò ad Adamo ed Eva che Dio li imbrogliava perché non li amava. Gesù non è molto lontano dal trattare gli scribi come serpenti velenosi, condanna la loro attitudine perché non riconoscono l’opera di Dio. Attribuire a Dio intenzioni cattive e ingannatrici, ecco cosa Gesù chiama “bestemmia contro lo Spirito Santo”. Infatti nel momento stesso in cui Gesù guarisce o espelle un demone, gli scribi lo trattano come un demone egli stesso, invece di riconoscerlo come il vincitore di satana. E’ il rifiuto dell’amore e l’amore può donarsi solo se viene accolto. Gesù definisce questo peccato imperdonabile: non perché sia Dio a rifiutare il suo amore e il suo perdono, ma perché sono i cuori degli scribi ermeticamente chiusi a diventare refrattari cioè indifferenti, insensibili, restii, riluttanti, sordi, all’amore di Dio.  E la conclusione dell’odierno vangelo ci fa capire chi sono i veri amici e familiari di Cristo: “Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre”.  Sullo sfondo suonano come un avvertimento queste parole del prologo del IV vangelo: “Venne tra i suoi e i suoi non l’hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). 

Una domanda per chiudere: quanti oggi accogliendo Cristo nella loro vita, sono sinceramente disposti a lottare contro il serpente satanico che in tanti modi continua ad ingannare l’umanità? 

+ Giovanni D’Ercole

 

P.S. “Mio caro Malacoda, ho notato con profondo dispiacere che il tuo paziente s’è fatto cristiano. Non nutrire speranza alcuna di sfuggire alle punizioni che si sogliono infliggere in simili casi”. Ecco un passaggio del libro che mi permetto di consigliare: “Le lettere di Berlicche (titolo originale The Screwtape Letters), un racconto epistolario scritto da C.S. Lewis e pubblicato la prima volta nel 1942.

Funzionario di Satana di lunga esperienza e grande efficienza, Berlicche invia al giovane nipote Malacoda, diavolo apprendista, una serie di lettere per istruirlo nell’arte di conquistare (e dannare) il suo “paziente”. Ogni manifestazione della vita, dal pensiero alla preghiera, dall’amore all’amicizia, dal divertimento alla vita sociale, dal piacere al lavoro e alla guerra: tutto viene distorto a scopo diabolico e diventa un espediente per perdere gli uomini. Il libro è molto corto – poco più di un centinaio di pagine – e si presenta come un epistolario di Berlicche, diavolo di lunga data, a dialogo con il giovane nipote Malacoda. Dello scambio, come si intuisce dal titolo, noi abbiamo solo la parte di Berlicche. Lewis per non far perdere l’orientamento al lettore apre ogni lettera di Berlicche facendo fare al diavolo un piccolo riassunto di quanto ricevuto dal nipote Malacoda. Un buon espediente per rendere il filo narrativo più lineare. Prima delle lettere troviamo una premessa in cui l’autore dichiara di non voler narrare le circostanze in cui ha ricevuto l’epistolario e coglie l’occasione per ricordare ai lettori che il Diavolo è bugiardo e li invita a non credere a Berlicche. Infine, afferma che le lettere non sono state messe in ordine cronologico quindi ci potrebbero essere delle incongruenze temporali. Nonostante la brevità del libro, Le lettere di Berlicche non sono facili da digerire. Le pagine sono pregne di elementi di filosofia, morale, etica e religione. Dio – o Il Nemico, come viene chiamato – è il cattivo della storia. Una divinità che non ha realmente a cuore gli uomini ma che, per come ha costruito il proprio “marketing”, ha fatto passare messaggi come Carità e misericordia. L’obiettivo di Berlicche è quello di crescere Malacoda come un abile diavolo in grado di perpetrare l’arte della tentazione e portare le sue vittime sulla cattiva (buona dal loro punto di vista) strada. Lo fa dando consigli e approfondendo i meccanismi non solo della mente umana ma anche di come funziona la tentazione stessa. Tenendo conto delle tematiche complesse, le lettere di Berlicche offrono una riflessione sull’uomo, sul peccato, sulla religione cristiano-cattolica. È un piccolo trattato nascosto sotto una modalità narrativa all’apparenza leggera ma che cela una profondità di contenuto difficile da ritrovare in altre opere di Clive Staples Lewis.

*Clive Staples Lewis nasce a Belfast, in Irlanda, il 29 novembre 1898. La sua carriera inizia dall’insegnamento della Lingua e Letteratura Inglese presso l’Università di Oxford, dove diviene amico intimo dello scrittore J.R.R. Tolkien, autore di Il Signore degli anelli. Con Tolkien e altri (tra cui anche Charles Williams) fonda il circolo informale letterario degli “Inklings”. C.S. Lewis non è solo conosciuto per la serie di Le Cronache di Narnia (composta da 7 libri), ma anche per i suoi libri di riflessione religiosa: Il Cristianesimo così com’è e Sorpreso dalla gioia. Sempre sulla scia del fantasy, C.S. Lewis realizza una trilogia, scritta tra il 1938 e il 1945, composta dai volumi Lontano dal pianeta silenzioso, Perelandra e Quell’orribile forza. Clive Staples Lewis muore a Oxford il 22 novembre 1963.

Mercoledì, 05 Giugno 2024 12:35

Gesù Francesco fuori di sé, fuori di casa

Mercoledì, 05 Giugno 2024 12:26

Gesù fuori di sé, fuori di casa

Solennità del Corpo e del Sangue di Cristo (2 Giugno 2024)

1. L’odierna celebrazione del corpo e sangue di Cristo riassume in sé l’intero mistero della nostra salvezza e possiamo ben dire che l’Eucaristia è il cuore della Chiesa, il volto sulla Terra della santissima Trinità. Con l’odierna solennità i cristiani proclamano che il Cristo, unigenito Figlio di Dio fattosi uomo è realmente presente sotto i segni del pane e del vino consacrati. E’ tanto vero tutto questo, che anche i più grandi doni mistici, l’esperienza dei veggenti e i miracoli compiuti dai santi valgono assai meno di una comunione ricevuta con devozione e fede sincera. Gesù Eucaristia è l’unico grande e straordinario miracolo che purtroppo passa spesso inosservato per via dell’abitudine e della facilità con cui ci possiamo accostare alla comunione e partecipare alla celebrazione della santa messa. Proprio per aiutarci a non dimenticare che tutta la vita va orientata a Cristo, la Chiesa ha voluto l’odierna solennità del Corpus Domini, che ci riconduce al Cenacolo dove il Giovedì Santo venne istituita l’Eucaristia, Pane che, come scrive Origene,“è la salvezza del mondo” (panis pro mundi salute). Il pane e il vino elementi di base del nostro nutrimento sono stati scelti dal Signore per questo mistero di comunione fra cielo e terra. Papa Benedetto XVI, nella festa del Corpus Domini (15 giugno 2006), invitò a vedere nel segno del pane il pellegrinaggio di Israele durante i quarant'anni nel deserto. L'Ostia è la nostra manna con la quale il Signore ci nutre ed è il vero pane dal cielo, mediante il quale Egli dona se stesso.  Prima grande verità: “Con ognuno dei due segni (il pane e il vino) – nota Benedetto XVI - Gesù si dona interamente, non solo una parte di sé. Il Risorto non è diviso. Egli è una persona che, mediante i segni, si avvicina a noi e si unisce a noi. I segni però rappresentano, a modo loro, ciascuno un aspetto particolare del mistero di Lui e, con il loro tipico manifestarsi, vogliono parlare a noi, affinché noi impariamo a comprendere un po' di più del mistero di Gesù Cristo”.

2. Anzitutto il pane! In molte parrocchie oggi, se non ha avuto già luogo giovedì scorso, per le strade delle città e dei paesi sfila la solenne processione eucaristica mostrando a tutti il vero tesoro della Chiesa: il Santissimo Sacramento. In altre processioni si portano le statue di Maria e dei santi secondo le devozioni popolari, quest’oggi invece tutti guardano e tendono all’Ostia consacrata, recata solennemente dal vescovo o dal sacerdote. La processione diventa così un tempo di adorazione e di lode itinerante contemplando l’Ostia che è il tipo più semplice di pane e di nutrimento, fatto soltanto di un po' di farina e acqua. Il pane, diceva papa Benedetto, “è frutto della terra e insieme del cielo… pane dei poveri, che ci appare come una sintesi della creazione. Cielo e terra come anche attività e spirito dell'uomo concorrono”. Cominciamo così a capire perché il Signore sceglie questo pezzo di pane come suo segno. Ma per entrare veramente nel mistero di Cristo, dobbiamo tornare con la mente alla richiesta che alcuni Greci fecero: quella di poterlo vedere, incontrare. In quell’occasione, a pochi giorni dalla sua passione e morte Gesù disse: "In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Gv 12, 24). Nel pane fatto di chicchi di grano macinati si cela il mistero della Passione. “La farina, il grano macinato, - nota papa Benedetto - presuppone il morire e risuscitare del chicco. Nell'essere macinato e cotto esso porta poi in sé ancora una volta lo stesso mistero della Passione… Attraverso il suo soffrire e morire liberamente, Gesù è diventato pane per tutti noi, e… ci accompagna in tutte le nostre sofferenze fino alla morte”. C’è di più: i chicchi macinati formano insieme un solo pane e questo è un segno per ogni comunità. “Noi stessi, dai molti che siamo, dobbiamo diventare un solo pane, un solo corpo”, afferma san Paolo (1 Cor 10,17). Così, il segno del pane diventa insieme speranza e compito di fedeltà per ogni battezzato, chiamato a vivere dell’Eucaristia e a testimoniare la gioia di far parte del popolo che si nutre di Cristo. “Ecco Il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli: non deve essere gettato” (Dall’odierna Sequenza prima del vangelo).

3. C’è poi il segno del vino anch’esso assai eloquente per la nostra vita. Annota Benedetto XVI: “Mentre il pane rimanda alla quotidianità, alla semplicità e al pellegrinaggio, il vino esprime la squisitezza della creazione: la festa di gioia che Dio vuole offrirci alla fine dei tempi e che già ora sempre di nuovo anticipa a modo di accenno mediante questo segno”.  Il vino richiama però anche la Passione e il significato e il valore della sofferenza. Ogni vite va potata ripetutamente per essere purificata perché possa produrre frutti abbondanti. La vendemmia rappresenta un destino simile a quello della mietitura: essere schiacciati per saziare l’uomo e inebriarlo. Soffre la vite sotto la mano del vignaiolo, si sente mutilare i suoi tralci che stanno crescendo rigogliosi, ma solo così potrà essere in grado di offrire grappoli di uva ricchi e gustosi. Partecipando all’Eucaristia anche noi impariamo a restare pazienti e fiduciosi nelle mani di Dio che misteriosamente ci pota attraverso le difficoltà, le sofferenze, gli eventi e ogni occasione dell’esistenza. Impariamo la docilità dei chicchi dell’uva che maturano sotto il sole e la pioggia, sono poi raccolti e pigiati, cioè schiacciati perché divengano vino. Solamente così, unendoci a Cristo nella sua passione, possiamo essere trasformati in “vino pregiato che rallegra il cuore dell’uomo” (Cf. Salmo 104, 15). Nella Bibbia la vite simboleggia il benessere e la fecondità alla quale è strettamente collegato il vino, come simbolo di gioia, di festa, di banchetto. Ed è l’evangelista Giovanni a dare un nuovo significato alla vite, identificandola con Gesù, quando nel cenacolo parla del “calice del mio sangue”. Nel vangelo leggiamo che Gesù prese un calice di vino rosso e disse: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue” (1Cor 11,25), nel mio sangue versato. Quando il sangue è versato in un incidente, per un intervento chirurgico o in un delitto non ha più alcun valore perché è perso e lo si deve gettare. Quando invece è prelevato da un donatore, viene raccolto con cura e conservato perché può servire a salvare la vita di un’altra persona. Il sangue può essere versato anche in sacrificio religioso e in tal caso viene scelto perché si sacrifica il meglio che si ha: sangue versato e raccolto perché possa essere offerto. Il “calice” ci fa comprendere di quale sangue si tratti nell’Eucaristia: sangue prezioso, raccolto per essere offerto in un calice e condiviso con tutti perché ciascuno ne beva. “Il sangue della nuova alleanza versato in un calice” significa dunque il dono della vita e del sangue di Cristo, offerto al Padre come sacrificio di valore infinito e donato ai cristiani in comunione di salvezza. E’ “il calice della benedizione” (1 Cor 10, 16) che sostituisce in modo definitivo “il calice dell’ira” (Ger 25,15ss) e che riempie l’animo del credente di gioia e di pace. “O Sangue di vita, di unità e di pace, mistero d’amore e sorgente di grazia, inebria i nostri cuori del Santo Spirito”.(Dalla preghiera dei Missionari del Preziosissimo Sangue). Concludo con quest’invocazione di Benedetto XVI: “Nella processione noi seguiamo questo segno (l’Ostia consacrata) e così seguiamo Lui stesso. E lo preghiamo: Guidaci sulle strade di questa nostra storia! Mostra alla Chiesa e ai suoi Pastori sempre di nuovo il giusto cammino! Guarda l'umanità che soffre, che vaga insicura tra tanti interrogativi; guarda la fame fisica e psichica che la tormenta! Dà agli uomini pane per il corpo e per l'anima! Dà loro lavoro! Dà loro luce! Dà loro te stesso! Purifica e santifica tutti noi! Facci comprendere che solo mediante la partecipazione alla tua Passione, mediante il "sì" alla croce, alla rinuncia, alle purificazioni che tu ci imponi, la nostra vita può maturare e raggiungere il suo vero compimento. Radunaci da tutti i confini della terra. Unisci la tua Chiesa, unisci l'umanità lacerata! Donaci la tua salvezza! Amen!

+ Giovanni D’Ercole

N.B. Quale pane e quale vino vanno utilizzati per la messa? Nel 2017 l’allora Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti in una lettera circolare ai vescovi sul pane e il vino per l’Eucaristia precisò che: a) «Il pane utilizzato nella celebrazione del santo Sacrificio eucaristico deve essere azzimo, esclusivamente di frumento e preparato di recente, in modo che non ci sia alcun rischio di decomposizione. Ne consegue, dunque, che quello preparato con altra materia, anche se cereale, o quello a cui sia stata mescolata materia diversa dal frumento, in quantità tale da non potersi dire, secondo la comune estimazione, pane di frumento, non costituisce materia valida per la celebrazione del sacrificio e del sacramento eucaristico. È un grave abuso introdurre nella confezione del pane dell’Eucaristia altre sostanze, come frutta, zucchero o miele. Va da sé che le ostie devono essere confezionate da persone che non soltanto si distinguano per onestà, ma siano anche esperte nel prepararle e fornite di strumenti adeguati» (n. 48). b) «Il vino utilizzato nella celebrazione del santo Sacrificio eucaristico deve essere naturale, del frutto della vite, genuino, non alterato, né commisto a sostanze estranee. […] Con la massima cura si badi che il vino destinato all’Eucaristia sia conservato in perfetto stato e non diventi aceto. È assolutamente vietato usare del vino, sulla cui genuinità e provenienza ci sia dubbio: la Chiesa esige, infatti, certezza rispetto alle condizioni necessarie per la validità dei sacramenti. Non si ammetta, poi, nessun pretesto a favore di altre bevande di qualsiasi genere, che non costituiscono materia valida» (n. 50).  Quanti confezionano il pane e producono il vino per la celebrazione devono nutrire la coscienza che la loro opera è orientata al Sacrificio Eucaristico e ciò domanda loro onestà, responsabilità e competenza”.

Martedì, 28 Maggio 2024 20:16

Corpus Domini Mc breve

Martedì, 28 Maggio 2024 20:14

Corpus Domini Francescano

Solennità della Santissima Trinità - Domenica 26 maggio 2024

1. Chi è Dio? Questa domanda l’umanità se la pone da sempre e ci sono varie piste per cercare una risposta. Due specialmente: affannarsi da soli, ma questo suppone che il mistero di Dio sia alla nostra portata, il che appare altamente improbabile, oppure lasciare che sia Dio stesso a manifestarsi.  Nell'Antico Testamento il Signore crea l’uomo attraverso il “ruah”, soffio che dà vita, soffio divino che rivela a poco a poco chi è Dio in un processo graduale che giunge, al culmine del percorso, al mistero della Trinità: Dio Uno e Trinità.  Israele, scelto per essere il popolo di Dio, ha dovuto percorrere il lungo cammino dell’Antico Testamento, grazie a un'opera incessante dei profeti, per liberarsi dal politeismo e giungere a credere nel Dio unico. Tuttavia il monoteismo puro non fu raggiunto in un colpo solo e una tappa intermedia fu quella dell'enoteismo: si professava cioè un Dio unico d'Israele, intendendo che gli altri popoli avevano i loro dei. Fu durante l'esilio babilonese che probabilmente si scoprì il Dio di Abramo e di Mosè come l'unico Dio dell'intero universo. La professione di fede “Shema Israel, Ascolta Israele, il nostro Dio è il Signore Uno” ha allora assunto tutto il suo valore. Ma questa unicità di Dio appare del tutto incompatibile con il riconoscimento dello Spirito “ruah” come persona. Questo avverrà con la Pentecoste e segnerà l’esperienza delle prime comunità cristiane. Quanto al Figlio di Dio, questo titolo dato solitamente a ciascun re il giorno della sua incoronazione, non significava in alcun modo un legame generazionale. È stato Gesù stesso a rivelarlo, ma anche le sue parole sono state comprese solo alla luce della Pentecoste.

2. La comprensione del mistero della Trinità, nonostante ogni umano sforzo, permane sempre non percepibile totalmente con l’intelligenza, ma lo si accoglie soltanto nell’adesione della fede. La Santissima Trinità - Unico Dio è così l’ultima tappa dell’autorivelazione di Dio e aiuta a comprendere al tempo stesso la struttura trinitaria della nostra stessa esistenza personale: siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio, corpo, anima e spirito. 

Nella prima lettura, tratta dal libro del Deuteronomio, composto in epoca tardiva della Bibbia, viene presentato il progetto divino della sua rivelazione: Egli è al tempo stesso Dio del popolo eletto e il Dio di tutti i popoli perché è il solo e unico vero Dio. Per Israele, liberato dal politeismo, era impossibile concepire un Dio Uno e tre Persone e la prima tappa della pedagogia divina, che segna l’intero Antico Testamento, fu l’autorivelazione di Dio come Dio Unico.  Nel brano del Deuteronomio (la prima lettura) è riassunto in poche parole il catechismo del popolo d’Israele, cioè la prima tappa della pedagogia divina: “Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è un altro”.  In altre parole: non ci sono tanti dei, ma Dio solo è Dio, senza dare di Dio una definizione né una descrizione. Si narrano invece i prodigi e le opere meravigliose da lui compiuti: “Interroga pure i tempi antichi in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità all’altra dei cieli vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? “. Dio darà al suo popolo la terra promessa e i comandamenti come codice di felicità: “Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi perché sia felice tu e i tuoi figli”. Il popolo reagisce a quest’inattesa rivelazione di Dio con meraviglia e sorpresa. Si poteva pensare a un Dio creatore e potente, ma come immaginare un Dio che si rivela, che parla di sé, che si sceglie un popolo e interessandosi ad esso, interviene a suo favore in molti modi? Eppure Dio non si è fatto conoscere come il Dio lontano e il Dio della potenza l’Elohim, bensì come il Signore, cioè il Dio della presenza che svela a Mosè il suo nome composto di quattro consonanti: “YHVH”. Resterà da capire che questa sua presenza non è soltanto per Israele, ma per tutti i popoli e il popolo eletto dovrà comprendere che è stato scelto non per conquistare gli altri, ma per porsi al servizio dell’intera umanità.  Come popolo dell’alleanza Israele è destinato – annota André Chouraqui - a diventare lo strumento futuro dell’alleanza dei popoli.

3. La pagina conclusiva del vangelo di Matteo, che oggi meditiamo, presenta Gesù alla fine della sua permanenza sulla Terra, mentre affida agli apostoli il compito di proseguire la sua stessa missione: “Andate e fate discepoli tutti i popoli” e li rassicura: “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Il Maestro si fida di inviarli in tutte le parti del mondo per una missione che dovrà durare fino alla fine dei tempi, una missione piena di rischi per testimoniare Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo. In effetti annunciare Gesù Cristo morto e risorto come Dio, era per gli ebrei uno scandalo e una bestemmia, mentre i pagani lo ritenevano umana stoltezza, come annota san Paolo nella prima Lettera ai Corinti: “Cristo crocifisso è scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani, ma per chi crede è potenza, sapienza di Dio!” (1,23-24).  

Il Maestro chiude la sua missione terrena affidando ai suoi seguaci il compito d’incendiare il mondo col fuoco del suo amore: ”Andate e battezzate tutti i popoli nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo”. Abbiamo qui la prima presentazione del mistero della Santissima Trinità. Utilizzando l’espressione nel nome del Padre, che ricorre spesso nella Bibbia, si evidenza chiaramente che si tratta d’un solo Dio; al tempo stesso le tre Persone vengono nominate ben distinte: nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo. Nel linguaggio biblico il nome indica la persona e il verbo battezzare significa immergere: si comprende quindi che il battesimo c’immerge per sempre, come in un bagno di salvezza eterna, nel mistero della Trinità Santissima. Inoltre il comando di Gesù è preciso e perentorio: “Andate!”. Come infatti non essere presi dalla fretta quando si comprende una missione tanto importante ed appassionante che costituisce il segreto dell’umana felicità e che è per ogni persona di culture e razze diverse, fino alla fine dei tempi?

4. Con il battesimo ognuno di noi è stato immerso in Dio, Trinità Santissima: Padre e Figlio e Spirito Santo, e siamo rinati a vita immortale per testimoniare che Cristo è vivo. Fin dall’inizio la formula trinitaria del battesimo ha rappresentato una vera rivoluzione per le prime comunità cristiane, che, come si legge negli Atti degli Apostoli, ebbero a subire incomprensioni e persecuzioni da parte dei giudei, persecuzioni che apparivano persino inevitabili proprio per difendere l’unicità del Dio. Gesù l’aveva ben previsto: vi cacceranno dalle sinagoghe e vi perseguiteranno; anzi peggio vi uccideranno immaginando di rendere così vero culto a Dio. E faranno tutto questo perché non hanno conosciuto né me né il Padre (cf Gv 16,2-3). Allora come oggi la missione che il Maestro affida ai cristiani è umanamente una follia e resta impossibile spiegare con ragionamenti umani come Dio sia Uno e Trino. E allora? Ogni vera conversione avviene quando, pur ritenendo necessaria la ricerca di Dio con l’umana intelligenza, si riconosce umilmente che essa è inadeguata a carpire il mistero di Dio Uno e Trino e con fiducia ci si abbandona nel cuore di Dio lasciandosi trasformare dal suo amore: Trinità Santissima vita dell’amore e sentiero dei santi. Sant’Anselmo d’Aosta, nell’anno 1000, facendo sua un’espressione di sant’Agostino, conclude così la sua ricerca: “Credo per comprendere, non comprendo per credere”. E aggiunge pregando: “Signore, Insegnami a cercarti e a mostrarti a me che ti cerco. Io non posso cercarti se tu non m'insegni, né trovarti se tu non ti mostri. Che io ti cerchi desiderandoti, che ti desideri cercandoti, che ti trovi amandoti, e che ti ami trovandoti.”

 + Giovanni D’Ercole 

 

P.S. Concludo con un episodio della vita di san Giovanni XXIII. Qualche giorno dopo la sua elezione a papa – siamo nell’ottobre del 1958- riceve la visita di un amico che gli dice: ”Santità quanto è pesante il carico che ha accettato di portare!”.  Gli risponde il Papa: “E’ vero, la sera quando vado a dormire penso “Angelo tu sei il papa” e faccio fatica a dormire; ma, dopo qualche minuto dico a me stesso “Angelo, quanto sei stupido, il responsabile della Chiesa non sei tu, ma lo Spirito Santo e poco dopo mi giro dall’altra parte e mi addormento”. Anche se non arriviamo a comprendere il mistero della Santissima Trinità possiamo dormire tranquillamente senza farci prendere dall’angoscia. L’evangelizzazione è la nostra missione, ma Gesù ha ben precisato che ogni potere gli è stato dato in cielo e sulla terra. E aggiunge per rassicurarci: Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo. Il Dio che a Mosè ha rivelato la sua presenza nel rovento ardente e l’Emmanuele, il Dio con noi, promesso nelle profezie di Isaia altro non sono che lo Spirito dell’Amore che li unisce, lo Spirito che guida la Chiesa e la missione d’ogni credente. L’impegno è rendere visibile con la vita questa presenza d’amore di Dio-Trinità.

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Luke’s passage puts before the eyes a double slavery: that of man «with his hand paralyzed, slave of his illness», and that of the «Pharisees, scribes, slaves of their rigid, legalistic attitudes» (Pope Francis)
Il racconto di Luca mette davanti agli occhi una duplice schiavitù: quella dell’uomo «con la mano paralizzata, schiavo della sua malattia», e quella «dei farisei, degli scribi, schiavi dei loro atteggiamenti rigidi, legalistici» (Papa Francesco)
There is nothing magical about what takes place in the Sacrament of Baptism. Baptism opens up a path before us. It makes us part of the community of those who are able to hear and speak [Pope Benedict]
Il Sacramento del Battesimo non possiede niente di magico. Il Battesimo dischiude un cammino. Ci introduce nella comunità di coloro che sono capaci di ascoltare e di parlare [Papa Benedetto]
Thus in communion with Christ, in a faith that creates charity, the entire Law is fulfilled. We become just by entering into communion with Christ who is Love (Pope Benedict)
Così nella comunione con Cristo, nella fede che crea la carità, tutta la Legge è realizzata. Diventiamo giusti entrando in comunione con Cristo che è l'amore (Papa Benedetto)
«Francis was reproaching his brothers too harsh towards themselves, and who came to exhaustion by means of vigils, fasts, prayers and corporal penances» [FS 1470]
«Francesco muoveva rimproveri ai suoi fratelli troppo duri verso se stessi, e che arrivavano allo sfinimento a forza di veglie, digiuni, orazioni e penitenze corporali» [FF 1470]
From a human point of view, he thinks that there should be distance between the sinner and the Holy One. In truth, his very condition as a sinner requires that the Lord not distance Himself from him, in the same way that a doctor cannot distance himself from those who are sick (Pope Francis)
Da un punto di vista umano, pensa che ci debba essere distanza tra il peccatore e il Santo. In verità, proprio la sua condizione di peccatore richiede che il Signore non si allontani da lui, allo stesso modo in cui un medico non può allontanarsi da chi è malato (Papa Francesco)
The life of the Church in the Third Millennium will certainly not be lacking in new and surprising manifestations of "the feminine genius" (Pope John Paul II)
Il futuro della Chiesa nel terzo millennio non mancherà certo di registrare nuove e mirabili manifestazioni del « genio femminile » (Papa Giovanni Paolo II)
And it is not enough that you belong to the Son of God, but you must be in him, as the members are in their head. All that is in you must be incorporated into him and from him receive life and guidance (Jean Eudes)
E non basta che tu appartenga a Figlio di Dio, ma devi essere in lui, come le membra sono nel loro capo. Tutto ciò che è in te deve essere incorporato in lui e da lui ricevere vita e guida (Giovanni Eudes)
This transition from the 'old' to the 'new' characterises the entire teaching of the 'Prophet' of Nazareth [John Paul II]
Questo passaggio dal “vecchio” al “nuovo” caratterizza l’intero insegnamento del “Profeta” di Nazaret [Giovanni Paolo II]
And this is the problem: when the People put down roots in the land and are the depository of the Law, they are tempted to place their security and joy in something that is no longer the Word of God: in possessions, in power, in other ‘gods’ that in reality are useless, they are idols [Pope Benedict]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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