Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
XXVI Domenica del Tempo Ordinario B (29 settembre 2024)
1. La pagina evangelica odierna è alla fine del capitolo 9 del vangelo di Marco e chiude il discorso che Gesù tiene ai discepoli che li invita a ben riflettere sul loro modo di comportarsi nei confronti dei “piccoli che credono in me” usando toni molto decisi. Dice infatti che è preferibile restare senza una mano, un piede o cavarsi un occhio piuttosto che essere motivo di scandalo perché “è meglio entrare nel regno di Dio con un occhio solo anziché con due occhi essere gettati nella Geenna dove il loro verme non muore e il fuoco non lo estingue”. Qui si ferma il testo che questa domenica la liturgia propone alla nostra meditazione; se però continuiamo a leggere, troviamo negli ultimi due versetti del capitolo questa raccomandazione: “Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri”. A me sembra che quest’invito conclusivo ci permette di dare capire il senso e il valore dei consigli e precetti di Gesù che san Marco ha raccolto e che ci tiene a precisare sono rivolti proprio ai Dodici. Ma procediamo con ordine.
2. La scorsa domenica ci siamo soffermati a contemplare Gesù, che giunto a Cafarnao con gli apostoli, discorre della missione che sta per affidare loro e, sentendoli discutere su chi sarà il più grande, non afferma che è male aspirare a essere il primo, ma indica la strada per giungervi: farsi l’ultimo e il servo di tutti. Musica sgradevole per le loro orecchie come appare subito dalla replica di Giovanni, che Gesù soprannomina insieme al fratello Giacomo “i figli del tuono”: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo perché non ci seguiva”. Nel capitolo terzo del suo vangelo Marco annota che “Gesù chiamò a sé quelli che egli volle… ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (3,13-19). Il gruppo degli apostoli è dunque ben consapevole dell’autorità loro concessa e del potere ricevuto di scacciare i demoni a causa del loro legame con Gesù. Comprensibile allora è la reazione davanti alla pretesa di coloro, che non fanno parte del gruppo ma osano scacciare i diavoli persino in suo nome. Giovanni reagisce come il giovane Giosuè che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Cresciuto dall’infanzia con Mosè era in buona confidenza con lui per permettersi di fargli notare che quando egli tolse parte dello spirito che era su di lui e lo pose sopra i settanta anziani scelti come collaboratori, in verità mancavano due, Eldad e Medad, rimasti nell’accampamento e il problema, secondo lui, era che pure loro avevano cominciato a profetizzare. Non era giusto che quei due, nonostante non avessero risposto alla convocazione del capo, agissero ugualmente sotto l’azione dello spirito. Mosè invece se ne rallegra e lo rimprovera per la sua invidia. La stessa cosa fa Gesù che interdice agli apostoli di coltivare lo spirito dell’esclusione per cui a Giovanni, che lo informa di aver impedito a una persona che non era del gruppo di scacciare i demoni, risponde con fermezza: “Non glielo impedite”. Una pace straordinaria abita il cuore di Cristo: non pretende avere tutto sotto controllo e quando costata il bene che si fa, ammette che qualcuno possa compiere miracoli in suo nome anche se non fa parte di coloro che egli si è scelto come discepoli. Ed è come se riconoscesse che la sua stessa missione in qualche modo sfugge al suo controllo perché la condivide, a sua insaputa, con delle persone che nemmeno conosce. Invita così i Dodici a non tenere chiusa la porta del cuore: “Chi non è contro di noi è per noi”, un modo per sottolineare che ci sono persone “dei nostri” anche se non sono sulla nostra lista. Cogliamo qui un invito ad allargare la nostra visione di cristiani nel mondo: non abbiamo l’esclusiva; Dio opera come vuole ben oltre noi stessi e si serve, per i suoi piani di salvezza, di chiunque. Mi viene in mente il passo degli Atti degli Apostoli 18, 9-11 che narra come nella pagana e mondana Corinto, che era il cuore della Provincia romana dell’Acaia, san Paolo sperimenta una drammatica rottura con la comunità ebraica che rifiuta la sua testimonianza su Gesù Cristo. E’ triste e scoraggiato, ma nella notte, apparendogli in visione, il Signore gli dice: “Non aver paura; continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male: in questa città io ho un popolo numeroso”. Non capita talvolta pure a noi di sentire l’inutilità del nostro ministero quando vediamo calare il numero dei fedeli e costatare che alcuni escono dal nostro ovile e ottengono un successo che pretendiamo dover essere soltanto della nostra comunità? Oppure ci dà fastidio notare che all’interno della comunità esistono persone o gruppi che pensano e fanno cose diverse da noi? Gesù continua a ripeterci di non tormentarci con troppe crisi mentali perché egli – assicura – ha un “popolo numeroso” dappertutto. La Corinto di Paolo è ben l’immagine dell’attuale società pluralista, secolarizzata, libertaria, cosmopolita, opulenta e spesso disperata perché fa fatica a trovare una risposta ai tanti ‘perché’ della vita. “Vivere alla corinzia” all’epoca significava coltivare la piena libertà dei costumi e oggi non è da meno. Potrebbe allora crescere la tentazione di scoraggiarsi oppure il rischio di coltivare una certa malcelata invidia e gelosia che crea divisioni nella comunità. Gesù non smette di incoraggiarci: “Continuate a parlare”. Dio ha ovunque il suo popolo, non visibile spesso all’occhio umano, e come Padre di tutti fa diffondere l’azione fecondatrice dello Spirito in tutte le direzioni. A noi non è chiesto di avere sotto controllo la situazione, ma semplicemente di annunciare/testimoniare il Vangelo sempre. Resta tuttavia l’esigenza di un sano discernimento.
3. Nel vangelo di Matteo Gesù afferma che si riconosce l’albero dai suoi frutti: l’albero buono produce frutti buoni, mentre quello malato dà frutti cattivi (12,33) e conclude: ogni albero che non dà un buon frutto lo si taglia e lo si getta nel fuoco. Quest’esempio manca nel vangelo di Marco, anche se il testo odierno vuol dire esattamente la stessa cosa. Appare allora chiaro il legame, talora non immediatamente percepibile, fra tutte le affermazioni contenute nel discorso di Gesù. Egli vuol dire in primo luogo che ci sono buoni frutti anche oltre le nostre comunità, il che significa che esistono alberi buoni ovunque e noi non abbiamo il copyright del bene e di Dio, ma è Gesù il cuore dell’annuncio dei cristiani. Marco l’esprime con quest’esempio: “chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo non perderà la sua ricompensa”. Al contrario, possono esserci frutti cattivi anche dentro la nostra comunità e Gesù tira questa conclusione: se bisogna eliminare l’albero malato che produce frutti che fanno male, occorre sopprimere in maniera risoluta tutto ciò che nella comunità semina lo scandalo della divisione. E offre questo paragone volutamente esagerato: “Se la tua mano ti è motivo di scandalo tagliala, è meglio per te entrare nella vita con una mano solamente, anziché con le due mani andare nella Geenna”, uguale terapia per il piede, e l’occhio. La Geenna, che Gesù evoca, è la ben nota voragine che circonda Gerusalemme da sud a ovest dove si bruciava l’immondizia e al tempo dei re Acaz e Manasse si sacrificavano i bambini, pratica così duramente stigmatizzata dai profeti al punto che la Geenna divenne il simbolo del più grande orrore possibile e il segno del castigo degli empi nel giorno del giudizio universale. Si capisce che Gesù non consiglia la mutilazione fisica pur utilizzando espressioni enfaticamente violente. Se a questo ricorre è perché nessuno sottovaluti la gravità di ciò che è in gioco e cioè la comunità. Ricordiamo che il discorso a Cafarnao parte proprio dall’ambizione degli apostoli nella discussione su chi doveva essere il più grande (9,34) e alla fine appare evidente che in ogni comunità cristiana l’unica preoccupazione dei suoi membri dev’essere lasciarsi consumare dalla passione per lui e per il suo vangelo: non altro! In questa luce diventa facile capire la raccomandazione che chiude il capitolo: “Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri”.
Buona domenica! +Giovanni D’Ercole
Fratelli tutti e noi stessi
(Lc 11,27-28)
Nella mentalità antica la gioia della madre era la grandezza conclamata del figlio.
Gesù contesta che l’autenticità della Beatitudine possa essere legata a rapporti di clan e parentela fisica, o di strepito sociale.
Il Signore smonta ogni esteriorità. Rifiuta questo modo rozzo di concepire la fortuna della vita.
La Felicità piena dipende dalla percezione delle proprie radici essenziali e della unicità preziosa che siamo - non viene a noi dal ricalco sociale, o per l’appartenenza da sempre.
Proprio qui la Parola di Dio introduce nella comprensione del motivo irripetibile per cui siamo nati, e trascina in modo energetico integrale; facendoci nuovi ogni giorno.
La Parola vive nel nostro lato Eterno; è oltre il tempo, e sembra faccia diventare stranieri. Eppure non è una rivale disarmonica.
Viaggiando verso la Mèta che non sappiamo, avanziamo assieme ad essa. Senza prima le definizioni.
Così i fratelli; ciascuno nel Verbo dispiegato e originale, per la crescita. Senza prima i giudizi.
La sacra Scrittura è chiave di lettura degli accadimenti; un evento che ci attraversa e insieme una sorta di codice genetico.
Fiuto il quale consente a ciascuno di rivivere Cristo in modo sereno e fiducioso, malgrado eventuali lati logori della personalità.
Ogni letizia dei rapporti umani nel focolare domestico diventa così piattaforma per il nostro balzo verso la più vasta Famiglia umana. Uno stupore.
In tale Esodo gli affetti particolari sono via via integrati dalla scoperta, da una impensata missione, dalla vita qualitativa di condivisione universale.
«Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e [la] custodiscono» (v.28).
Maria ha generato il Messia, ma ancor più ha fatto Persona non comune la Parola.
Il suo vero titolo di gloria - ciò che le vale - è aver saputo accogliere la proposta d’un cammino di crescita che ha riscritto le aspettative e la storia.
Nei loro processi, la vita segreta con Dio e i codici dell’anima acquistano respiro e godono del venir meno di vantaggi già riconosciuti.
In tal guisa, persino nella devozione alla Madre di Dio vogliamo riconoscere il valore d’un cammino in fieri.
La capacità di poter mettere in campo i lati insoliti, i caratteri distinti; fare spazio dentro, poi generarli, e nutrirli.
Spesso, infatti, costumi o convinzioni fisse non sbloccano le situazioni difficili, né consentono di attivare svolte di trasformazione.
Diventano lacci a nodo scorsoio.
Viceversa, la Via dell’Esodo nel Signore dona un’esperienza di scoperta e rilancio di virtù cui ancora non abbiamo dato fioritura completa.
Come per la Madre: nella Gioia integrale, non attraverso quietismi - né con rivincite che allontanino dai fratelli tutti e da noi stessi.
[Sabato 27.a sett. T.O. 12 ottobre 2024]
Fratelli tutti e noi stessi
(Lc 11,27-28)
«All’inizio l’attaccamento potrà sembrare amore, ma a mano a mano che si sviluppa diventa sempre più chiaramente l’opposto, caratterizzato dall’aggrapparsi, dal tenere sotto controllo, dalla paura» (Jack Kornfield).
Nella mentalità antica la gioia della madre era la grandezza conclamata del figlio.
Gesù contesta che l’autenticità della Beatitudine possa essere legata a rapporti di clan e parentela fisica, o di strepito sociale.
Il Signore smonta ogni esteriorità. Rifiuta questo modo rozzo di concepire la fortuna della vita.
Non si è felici per il cognome illustre o per il sangue. Anche essere nipote di cardinale o re non significherebbe nulla.
La Felicità piena dipende dalla percezione delle proprie radici essenziali e della unicità preziosa che siamo - non viene a noi da una tribù, dal ricalco sociale, o per l’appartenenza da sempre.
Proprio qui la Parola di Dio introduce nella comprensione del motivo irripetibile per cui siamo nati, e trascina in modo energetico integrale; facendoci nuovi ogni giorno.
La Parola vive nel nostro lato Eterno; è oltre il tempo, e sembra faccia diventare stranieri. Eppure non è una rivale disarmonica.
Viaggiando verso la Mèta che non sappiamo, avanziamo assieme ad essa. Senza prima le definizioni.
Così i fratelli; ciascuno nel Verbo dispiegato e originale, per la crescita. Senza prima i giudizi.
La sacra Scrittura è chiave di lettura degli accadimenti; un evento che ci attraversa e insieme una sorta di codice genetico.
Fiuto il quale consente a ciascuno di rivivere Cristo in modo sereno e fiducioso, malgrado eventuali lati logori della personalità.
Ogni letizia dei rapporti umani nel focolare domestico diventa così piattaforma per il nostro balzo verso la più vasta Famiglia umana. Uno stupore.
In tale esodo gli affetti particolari sono via via integrati dalla scoperta, da una impensata missione, dalla vita qualitativa e beata di condivisione universale.
Maria ha generato il Messia, ma ancor più ha fatto Persona non comune la Parola.
Il suo vero titolo di gloria - ciò che Le vale - è aver saputo accogliere la proposta d’un cammino di crescita che ha riscritto le aspettative e la storia.
Chi si attacca agli aspetti più ordinari dell’esistere materiale, o di consorteria - e alle sicurezze tutto sommato scadenti [cui però ci aggrappiamo volentieri] rischia di entrare in crisi terribile quando tante assicurazioni si sgretolano.
La differenza personale e sociale tra religiosità mediocre e traiettoria ideale di Fede?
Nei loro processi, la vita segreta con Dio e i codici dell’anima acquistano respiro e godono del venir meno di vantaggi già riconosciuti!
«Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e [la] custodiscono» (v.28).
La «Beatitudine», pienezza di essere e di umanizzazione, chiede un distacco da situazioni abitudinarie, anche di piccolo vincolo parentale - cui siamo aggrappati.
Talora anche i pregiudizi di ‘carisma’ istituzionale (o di “cordata”) non vengono a capo di nulla.
I modi usuali, le domesticazioni da routine, tante emozioni imprigionate, ma anche i codici di gruppo... possono essere di ostacolo allo sviluppo e fioritura della semenza interiore che più ci appartiene.
In tal guisa, persino nella devozione a Maria vogliamo riconoscere il valore d’un cammino in fieri.
Desideriamo cogliere come dare il benvenuto alla Vocazione - sia essa individuale, di relazione, comunitaria, e al Logos stesso di Dio.
E come cercare di comprenderli nel profondo, lasciando che ci plasmino la destinazione.
Cerchiamo allora in che modo fare spazio dentro, rispettando i caratteri distinti.
In aggiunta, proprio riallacciando i nodi dell’essere, potremmo intuire come ritessere l’identità-carattere personale con apporto creativo.
In quale maniera poi partorire l’altro al suo procedere. Come allattarlo e nutrirlo con cibo via via più solido, e accompagnarlo, sostenerlo.
Infine irradiarlo, affinché anche attorno a sé trabocchi e scateni lo Spirito della Vita che nobilita la dignità creaturale - esaltandone le aspirazioni.
La pietà antica rimandava a un progetto di convivenza unilaterale, che pur nutriva l’anima individuale in modo intimo.
Ma talora il troppo “saper stare al mondo” [attorno] non metteva in campo i lati insoliti, che pure chiedevano spazio.
Vale anche per noi; in specie nel tempo della crisi globale.
Evitare ciò che sorprende non costruisce comunione nella Novità epocale dello Spirito divino: ossia, convivialità delle differenze.
Ebbene, quantunque situati nell’era dell’emergenza, l’azzardo largo della Fede ci ripropone invece un ‘fuoco’ di vita, di passione.
Ecco un’ebbrezza alternativa, davvero appagante. Un brio che supera le tacite convinzioni di ripiego, soffocanti.
La vita di Fede vuole appunto rompere l’uniformità conformista e il suo tran tran di blocchi, linguaggi e lacciuoli (a nodo scorsoio).
Costumi o pareri che non sbloccano le situazioni difficili, né consentono di attivare svolte di trasformazione.
Diventano appunto [è bene ribadire] lacci a nodo scorsoio.
Viceversa, la Via dell’Esodo nel Signore dona un’esperienza di scoperta e rilancio di virtù cui ancora non abbiamo dato fioritura completa.
Come per la Madre: nella Gioia integrale, non attraverso quietismi - né con rivincite che allontanino dai ‘fratelli tutti’ e da noi stessi.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Ritieni che la tua vicenda personale giaccia ancora nella morte, e non sia ancora riscattata da una vittoria di Pasqua?
Per quale motivo?
A quale Speranza piena o idea di fortuna - a cosa e Chi - sei legato?
O ti lasci sedurre da quietismi, da manipolatori, e mentalità vincenti?
Di più, quella Luce nell’intimo dei Pastorelli, che proviene dal futuro di Dio, è la stessa che si è manifestata nella pienezza dei tempi ed è venuta per tutti: il Figlio di Dio fatto uomo. Che Egli abbia il potere di infiammare i cuori più freddi e tristi, lo vediamo nei discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,32). Perciò la nostra speranza ha fondamento reale, poggia su un evento che si colloca nella storia e al tempo stesso la supera: è Gesù di Nazaret. E l’entusiasmo suscitato dalla sua saggezza e dalla sua potenza salvifica nella gente di allora era tale che una donna in mezzo alla moltitudine – come abbiamo ascoltato nel Vangelo – esclama: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato». Tuttavia Gesù rispose: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11, 27.28). Ma chi ha tempo per ascoltare la sua parola e lasciarsi affascinare dal suo amore? Chi veglia, nella notte del dubbio e dell’incertezza, con il cuore desto in preghiera? Chi aspetta l’alba del nuovo giorno, tenendo accesa la fiamma della fede? La fede in Dio apre all’uomo l’orizzonte di una speranza certa che non delude; indica un solido fondamento sul quale poggiare, senza paura, la propria vita; richiede l’abbandono, pieno di fiducia, nelle mani dell’Amore che sostiene il mondo.
«Sarà famosa tra le genti la loro stirpe, […] essi sono la stirpe benedetta dal Signore» (Is 61,9) con una speranza incrollabile e che fruttifica in un amore che si sacrifica per gli altri ma non sacrifica gli altri; anzi – come abbiamo ascoltato nella seconda lettura – «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,7). Di ciò sono esempio e stimolo i Pastorelli, che hanno fatto della loro vita un’offerta a Dio e una condivisione con gli altri per amore di Dio. La Madonna li ha aiutati ad aprire il cuore all’universalità dell’amore. In particolare, la beata Giacinta si mostrava instancabile nella condivisione con i poveri e nel sacrificio per la conversione dei peccatori. Soltanto con questo amore di fraternità e di condivisione riusciremo ad edificare la civiltà dell’Amore e della Pace.
[Papa Benedetto, omelia a Fatima 13 maggio 2010]
20. Il vangelo di Luca registra il momento in cui «una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse», rivolgendosi a Gesù: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!» (Lc 11,27). Queste parole costituivano una lode per Maria come Madre di Gesù secondo la carne. La Madre di Gesù non era forse conosciuta personalmente da questa donna; infatti, quando Gesù iniziò la sua attività messianica, Maria non lo accompagnava e continuava a rimanere a Nazareth. Si direbbe che le parole di quella donna sconosciuta l'abbiano fatta in qualche modo uscire dal suo nascondimento. Attraverso quelle parole è balenato in mezzo alla folla, almeno per un attimo, il vangelo dell'infanzia di Gesù. È il vangelo in cui Maria è presente come la madre che concepisce Gesù nel suo grembo, lo dà alla luce e lo allatta maternamente: la madre-nutrice, a cui allude quella donna del popolo. Grazie a questa maternità, Gesù - Figlio dell'Altissimo (Lc 1,32) - è un vero figlio dell'uomo. È «carne», come ogni uomo: è «il Verbo (che) si fece carne» (Gv 1,14). È carne e sangue di Maria!43 Ma alla benedizione, proclamata da quella donna nei confronti della sua genitrice secondo la carne, Gesù risponde in modo significativo: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano» (Lc 11,28). Egli vuole distogliere l'attenzione dalla maternità intesa solo come un legame della carne, per orientarla verso quei misteriosi legami dello spirito, che si formano nell'ascolto e nell'osservanza della parola di Dio. Lo stesso trasferimento nella sfera dei valori spirituali si delinea ancor più chiaramente in un'altra risposta di Gesù, riportata da tutti i Sinottici. Quando viene annunciato a Gesù che «sua madre e i suoi fratelli sono fuori e desiderano vederlo», egli risponde: «Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,20). Questo disse «girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno», come leggiamo in Marco (Mc 3,34) o, secondo Matteo (Mt 12,49), «stendendo la mano verso i suoi discepoli». Queste espressioni sembrano collocarsi sulla scia quel che Gesù dodicenne rispose a Maria e a Giuseppe, quando fu ritrovato dopo tre giorni nel tempio di Gerusalemme. Ora, quando Gesù partì da Nazareth e diede inizio alla sua vita pubblica in tutta la Palestina, era ormai completamente ed esclusivamente «occupato nelle cose del Padre» (Lc 2,49). Egli annunciava il Regno: «Regno di Dio» e «cose del Padre», che danno anche un; nuova dimensione e un nuovo senso a tutto ciò che è umano e, quindi, ad ogni legame umano, in relazione ai fini e ai compiti assegnati a ogni uomo. In questa nuova dimensione anche un legame, come quello della «fratellanza», significa qualcosa di diverso dalla «fratellanza secondo la carne», derivante dalla comune origine dagli stessi genitori. E persino la «maternità», nella dimensione del Regno di Dio, nel raggio della paternità d Dio stesso, acquista un altro senso. Con le parole riportate da Luca Gesù insegna proprio questo nuovo senso della maternità. Si allontana per questo da colei che è stata la sua genitrice secondo la carne? Vuole forse lasciarla nel l'ombra del nascondimento, che ella stessa ha scelto' Se così può sembrare in base al suono di quelle parole si deve però rilevare che la nuova e diversa maternità di cui parla Gesù ai suoi discepoli, concerne proprio Maria in modo specialissimo. Non è forse Maria la prima tra «coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica»? E dunque non riguarda soprattutto le quella benedizione pronunciata da Gesù in risposta alle parole della donna anonima? Senza dubbio, Maria è degna di benedizione per il fatto che è divenuta Madre di Gesù secondo la carne («Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte»), ma anche e soprattutto perché già al momento dell'annunciazione ha accolto la parola di Dio, perché vi ha creduto, perché fu obbediente a Dio, perché «serbava» la parola e «la meditava nel suo cuore» (Lc 1,45); (Lc 2,19) e con tutta la sua vita l'adempiva. Possiamo dunque affermare che la beatitudine proclamata da Gesù non si contrappone, nonostante le apparenze, a quella formulata dalla donna sconosciuta, ma con essa viene a coincidere nella persona di questa Madre-Vergine, che si è chiamata solo «serva del Signore» (Lc 1,38). Se è vero che «tutte le generazioni la chiameranno beata» (Lc 1,48), si può dire che quell'anonima donna sia stata la prima a confermare inconsapevolmente quel versetto profetico del Magnificat di Maria e a dare inizio al Magnificat dei secoli. Se mediante la fede Maria è divenuta la genitrice del Figlio datole dal Padre nella potenza dello Spirito Santo, conservando integra la sua verginità, nella stessa fede ella ha scoperto ed accolto l'altra dimensione della maternità, rivelata da Gesù durante la sua missione messianica. Si può dire che questa dimensione della maternità apparteneva a Maria sin dall'inizio, cioè dal momento del concepimento e della nascita del Figlio. Fin da allora era «colei che ha creduto». Ma a mano a mano che si chiariva ai suoi occhi e nel suo spirito la missione del Figlio, ella stessa come Madre si apriva sempre più a quella «novità» della maternità, che doveva costituire la sua «parte» accanto al Figlio. Non aveva dichiarato fin dall'inizio: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38)? Mediante la fede Maria continuava ad udire ed a meditare quella parola, nella quale si faceva sempre più trasparente, in un modo «che sorpassa ogni conoscenza» (Ef 3,19), l'autorivelazione del Dio vivo. Maria madre diventava così, in un certo senso, la prima «discepola» di suo Figlio, la prima alla quale egli sembrava dire: «Seguimi», ancor prima di rivolgere questa chiamata agli apostoli o a chiunque altro (Gv 1,43).
[Papa Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater]
Le parole di Gesù suscitano un grande scandalo: Egli sta dicendo che Dio ha scelto di manifestare sé stesso e di attuare la salvezza nella debolezza della carne umana. È il mistero dell’incarnazione. E l’incarnazione di Dio è ciò che suscita scandalo e che rappresenta per quella gente – ma spesso anche per noi – un ostacolo. Infatti, Gesù afferma che il vero pane della salvezza, che trasmette la vita eterna, è la sua stessa carne; che per entrare in comunione con Dio, prima di osservare delle leggi o soddisfare dei precetti religiosi, occorre vivere una relazione reale e concreta con Lui. Perché la salvezza è venuta da Lui, nella sua incarnazione. Questo significa che non bisogna inseguire Dio in sogni e immagini di grandezza e di potenza, ma bisogna riconoscerlo nell’umanità di Gesù e, di conseguenza, in quella dei fratelli e delle sorelle che incontriamo sulla strada della vita. Dio si è fatto carne. E quando noi diciamo questo, nel Credo, il giorno del Natale, il giorno dell’annunciazione, ci inginocchiamo per adorare questo mistero dell’incarnazione. Dio si è fatto carne e sangue: si è abbassato fino a diventare uomo come noi, si è umiliato fino a caricarsi delle nostre sofferenze e del nostro peccato, e ci chiede di cercarlo, perciò, non fuori dalla vita e dalla storia, ma nella relazione con Cristo e con i fratelli. Cercarlo nella vita, nella storia, nella vita nostra quotidiana. E questa, fratelli e sorelle, è la strada per l’incontro con Dio: la relazione con Cristo e i fratelli.
[Papa Francesco, Angelus 22 agosto 2021]
Pro e contro, e il Dito di Dio
(Lc 11,15-26)
Il pregiudizio intacca l’unione, e nessuno può mettere Gesù sotto sequestro, tenendolo in ostaggio. Egli è il forte che nessuna cittadella arroccata può arginare.
Chi teme di perdere il comando e smarrire il proprio prestigio artefatto ha già perduto. Non c’è armatura o bottino che tenga.
Non c’è costume né compromesso o gendarmeria in cui confidare, che possa resistere all’assedio della Libertà in Cristo.
Le Scritture formano una unità inscindibile. Tuttavia, solo in Lui la Tradizione non blocca i carismi, non ci sminuisce, non causa ansietà, né porta allo scrupolo - bensì acquista il suo risvolto vitale.
L’amicizia col Risorto è infatti straordinariamente originale, e ha rispetto delle unicità. Sta in una continuità e insieme nella rottura con la mente antica. Monoteismo vitale d’uno Spirito nuovo, che accoglie i Doni.
Le autorità erano attaccate al finto prestigio conquistato e preoccupatissime del fatto che Gesù fosse fedele al proprio compito unico.
In Lui, anche l’attività della sua Chiesa opera esorcismi: emancipa da forze-condizionamenti-strutture disumanizzanti. Si muove non su un piano legalista, ma di credo-amore operante che garantisce a ciascuno quel cammino di spontaneità e pienezza desiderate nell’intimo.
Col superamento di antiche convinzioni che mettevano fra parentesi la realtà delle persone e ne accentuavano i blocchi, la comunità dei figli nel Risorto è chiamata a diventare ‘potenza’ di Dio.
Segno palese della presenza intraprendente dello Spirito personale e solerte [«il dito di Dio»: v.20] che surclassa la spiritualità vuota e indolente.
E come mai Gesù sottolinea che la seconda caduta è più rovinosa della prima (vv.24-26)?
Mentre Lc redige il Vangelo, a metà anni 80 si registravano non poche defezioni, a motivo delle persecuzioni.
I credenti avvilivano, costernati dal disprezzo sociale - così molti vedevano impallidire l’ebbrezza entusiastica dei primi tempi.
I modi di fare non spostavano il quadro normale di riferimento, mentre le difficoltà facevano cadere le braccia ad alcuni.
Afflizioni che parevano mettere una pietra tombale sulla speranza di poter effettivamente edificare una società alternativa.
Ma il Vangelo ribadisce che non è previsto un atteggiamento neutrale (v.23) a distanza di sicurezza. Nella vocazione non ci sono mezze misure: solo scelte chiare, e niente esigenze represse.
Il battezzato in Cristo vive attitudini piene, indipendentemente da circostanze favorevoli o meno; rimane ben distante da timori puerili, gode d’un cuore libero. È fermo nell’azione.
Mette in preventivo di poter essere ‘viandante’ posto sotto assedio dal sistema che non sopporta cambiamenti veri (v.22).
In ciò riposa, sempre chiamando in causa le proprie radici naturali e caratteriali - dove sono custodite le energie primordiali dell’anima e i sogni innati [che curano e guidano].
Del resto, il suo itinerario è contromano e sicuramente punteggiato di dure lezioni. Ma i momenti difficilissimi saranno ulteriori ‘chiamate’ alla trasformazione.
Rinati in Cristo che tutela e promuove la nostra eccezionale originalità, non possiamo “morire” perdendo l’Incontro irripetibile e tornando a essere fotocopie - senza Viaggio dell’anima.
Liberi verso la Terra Promessa che ci appartiene, non cerchiamo perfezioni di circostanza, bensì Pienezza.
[Venerdì 27.a sett. T.O. 11 ottobre 2024]
Pro e contro, e il Dito di Dio
(Lc 11,15-26)
Il pregiudizio intacca l’unione, e nessuno può mettere Gesù sotto sequestro, tenendolo in ostaggio. Egli è il forte che nessuna cittadella arroccata può arginare.
Chi teme di perdere il comando e smarrire il proprio prestigio artefatto ha già perduto. Non c’è armatura o bottino che tenga.
Non c’è costume né compromesso o gendarmeria in cui confidare, che possa resistere all’assedio della Libertà in Cristo.
Le Scritture formano una unità inscindibile. Tuttavia, solo in Lui la Tradizione non blocca i carismi, non ci sminuisce, non causa ansietà, né porta allo scrupolo - bensì acquista il suo risvolto vitale.
L’amicizia col Risorto è infatti straordinariamente originale, e ha rispetto delle unicità. Sta in una continuità e insieme nella rottura con la mente antica.
Monoteismo vitale d’uno Spirito nuovo, che accoglie i Doni.
Chi non s’impegna a dilatare l’opera creativa del Padre, chi non ce la mette tutta a capire e vivificare situazioni o persone - persino nel rispetto delle eccentricità che prima non avevano campo e sembravano incomunicabili - aleggia sulle illusioni, disperde se stesso, intacca tutto l’ambiente.
Dice il Tao Tê Ching (LXV): «In antico chi ben praticava il Tao, con esso non rendeva perspicace il popolo, ma con esso si sforzava di renderlo ottuso: il popolo con difficoltà si governa, perché la sua sapienza è troppa».
La gente normale accetta il caos, non elude la vita.
I missionari sono allenati a trovare in ogni fatica, in qualsiasi errore o imperfezione, un nuovo assetto, ordinato e segreto. Nulla di esteriore.
In ogni incertezza sussiste una certezza, in ogni insicurezza una sicurezza maggiore, in qualsiasi lato in ombra una Perla inattesa, in ciascun disordine un cosmo: è il segreto della vita, della felicità, dell’esperienza di Fede.
Le autorità erano attaccate al finto prestigio conquistato e preoccupatissime del fatto che Gesù fosse fedele al proprio compito unico, e potesse riuscire a sottrarre loro il popolo adescato - ma ora liberato - dalla religione delle paure.
Egli [la sua comunità] rimaneva più convincente perché avverava il Regno, iniziava a mostrarlo; non in fantasie di cataclismi che mettessero le anime a guinzaglio, ma vivo ed efficiente, passo dopo passo, persona persona.
Esso veniva incontro al desiderio di completezza umana che abitava ogni cuore, così non faceva leva su ossessioni e parossismi o sulla Legge, bensì sul bene reale, la guarigione, la vita sempre diversa.
La cura delle infermità individuali e di relazione non era più un fatto secondario: così ad es. la liberazione d’un singolo infelice iniziava a sembrare un evento che avesse valore assoluto, definitivo.
La scena della terra non poteva più essere dominata da catechismi adattati e da una consuetudine pia che negasse tutto meno i timori.
Insomma, Cristo stesso è l’uomo forte che vede lontano, segno della venuta efficace di Dio tra gli uomini.
Con lui declina il regno delle illusioni e posizioni fisse; subentra il mondo contrario al disfacimento dell’esistenza concreta, nel rispetto dell’unicità e convivialità delle differenze.
L’attività della sua Chiesa opera esorcismi: emancipa da forze-condizionamenti-strutture disumanizzanti.
Nel Signore, essa si muove non su un piano legalista, ma di credo-amore operante, che garantisce a ciascuno quel cammino di spontaneità e pienezza desiderate nell’intimo.
Anche oggi la comunità fraterna deve farsi consapevole d’essere strumento di redenzione e presenza energica di Dio fra le donne e gli uomini normali, di ogni estrazione culturale.
Cospetto, esistenza, partecipazione. Per condurre, accompagnare verso un presente-futuro che doni respiro non solo al gruppo, ma anche all’inclinazione individuale, per nome.
Le assemblee dei figli sono abilitate per grazia e vocazione a sciogliere nodi e superare steccati di mentalità - suscitando così un ambiente comprensivo, che accetta i viandanti.
Questo il principio, orizzonte non negoziabile della Fede.
Col superamento di antiche convinzioni fisse che mettono fra parentesi la realtà delle persone e ne accentuano i blocchi, la comunità dei figli nel Risorto è chiamata a diventare potenza di Dio, per ciascuno.
Essa è sollecitata a farsi segno palese della vicinanza intraprendente dello Spirito Santo personale e solerte [«il dito di Dio»: v.20].
Contatto che surclassa la spiritualità rassicurante e vuota, nonché la distrazione superficiale, indolente, della devozione secondo usanza imposta dalle convenzioni o mode, e da catene di comando.
Ma come mai Gesù sottolinea che la seconda caduta è più rovinosa della prima (vv.24-26)?
La mente del fedele può venire svuotata del grande passo di Cristo vivo - che prima ha praticato e riconosciuto dentro sé e nella missione.
In tal guisa, essa non permane concentrata su qualcosa di utile, di vitale e splendido: fiaccata, si perde.
Mentre Lc redige il Vangelo, a metà anni 80 si registravano non poche defezioni a motivo delle persecuzioni.
I credenti avvilivano, costernati dal disprezzo sociale - così molti vedevano impallidire l’ebbrezza entusiastica dei primi tempi.
L’Amore non si poteva mettere in banca, ma diversi fratelli di comunità già provenienti dal paganesimo, dopo una prima esperienza di conversione, preferivano tornare alla vita precedente, all’imitazione dei modelli, ai soliti pensieri facili, alle attrattive e al consenso delle folle.
Ripiegando e rassegnandosi alle forze in campo, alcuni abbandonavano la posizione di autonomia interiore conquistata grazie all’azione liberatrice dagli idoli, favorita dalla vita sapiente e orante nella comunità fraterna.
Poi tentavano anche la ricerca individuale d’un risarcimento e rivalsa per gli anni difficili trascorsi nell’essere stati fedeli alla propria vocazione, in quello stimolo di crescere insieme grazie allo scambio dei doni e delle risorse.
Lc avverte: è normale che ci siano tante notti quanti i giorni.
Si capisce lo stress del peregrinare per accostarsi all’infinito dell’anima, ai prossimi (persino di comunità), alla realtà competitiva - ma attenzione... una seconda caduta sarebbe peggiore della prima.
La persona un tempo restituita a se stessa e che molla tutto demoralizzata, poi si lascerebbe andare alla disillusione generale, a una più globale mancanza di giudizio, di consapevolezza, e fiducia.
Tutto ciò capita ancora oggi per impellenze particolari, scoramento, o precipitazioni, dopo aver visto ideali infranti da circostanze imperfette.
O per la fatica di affrontare scoperte ed evoluzioni che rimettono sempre tutto in discussione - nel lungo tempo necessario per una coerenza paziente ai propri codici profondi.
Così chi si lascia tramortire, facilmente tornerebbe a ricercare il via libera altrui.
Bramerebbe quell’allinearsi che nasconde i conflitti e fa tremare meno - perché il convincimento antico diventato modus vivendi non sposta i modi di fare, né il quadro normale di riferimento.
Le difficoltà facevano cadere le braccia ad alcuni e ciò pareva mettere una pietra tombale sulla speranza di poter effettivamente edificare una società alternativa senza farsi troppo del male.
Ma il Vangelo ribadisce che non è previsto un atteggiamento neutrale (v.23) a distanza di sicurezza.
Non ci sono mezze misure: solo scelte chiare, e niente esigenze represse.
Integrate sì: in cuore abitano sempre lati contraddittori, non c’è da sbigottire per questo.
Gli stati opposti dell’essere sono una ricchezza che ci completa.
Anzi, si diventa nevrotici proprio quando le manie riduzioniste o le esigenze monotematiche (di club) prevaricano e soffocano la Chiamata poliedrica - che sebbene cesellata per l’unicità, non si fa mai unilaterale.
Per vivere in modo pieno, libero e felice è bene essere noi stessi, consapevoli di ciò che siamo: figli perfetti.
Donne e uomini indefettibili, per il nostro compito nel mondo.
Quindi possiamo trascurare il malessere delle ingiurie di chi ci sgrida e livella, lasciarle scorrere via - e fare a meno di rincorrere lodi.
L’uomo di Fede ha sperimentato e conosce l’essenziale: è la vita che vince la morte, non il viceversa. Quindi trascura le ossessioni, anche ammantate di sacro; e non si lascia sfiancare lo spirito.
Gode di una coscienza critica che sa collocare sullo sfondo i risultati immediati; così rigenera. Incessantemente riattiva e non debella le forze.
Il battezzato in Cristo vive attitudini piene, in ordine all’autenticità e totalità d’essere. Ciò, indipendentemente da circostanze favorevoli o meno.
L’amico di Gesù Risorto rimane distante da timori puerili, gode d’un cuore libero; è fermo nell’azione.
Mette in preventivo di poter essere viandante, posto sotto assedio dal sistema isterico, che non sopporta cambiamenti veri (v.22).
In ciò riposa, sempre chiamando in causa le proprie radici naturali e caratteriali - dove sono custodite le energie primordiali dell’anima e i sogni innati (non derivati) che curano e guidano.
Del resto, il suo viaggio è contromano e sarà sicuramente punteggiato di dure lezioni.
Ma il cliché è tutta solfa indotta; tenta d’invaderci con recriminazioni senza peso specifico: tentativi di blocco privi di futuro.
Non c’è da sorprendere che gli accoliti del mondo conformista si difendano in tutti i modi.
E attacchi con quel vociare standard - socialmente “apprezzabile” - che tenta di accentuare i conflitti intimi e personali.
Sempre con grandi mezzi a disposizione, e facendo leva sui sensi di colpa.
Cammineremo ugualmente spediti sulla Via del Signore, pur sollecitati da dubbi e indecisioni. Senza retrocedere, persino quando ci sentiremo persi - ma col sapore del guadagno finanche nella perdita.
I momenti difficilissimi saranno ulteriori chiamate alla trasformazione.
E in ogni circostanza proveremo il gusto della vittoria della vita piena sul potere del male e sul tenore culturale imitativo, altrui, banale.
Qui - nella fedeltà al proprio mondo interiore che vuole esprimersi, e nel cambio di stile o immaginazione negli approcci - risolveremo i veri problemi e tutte le questioni, in modo ricco, personale.
Rinati in Cristo che tutela e promuove a partire dall’eccezionale originalità, non possiamo “morire” perdendo l’essenza e l’Incontro irripetibile.
Torneremmo a identificarci nei ruoli, quali fotocopie - senza il Viaggio dell’anima.
Liberi verso la terra promessa che ci appartiene, non cerchiamo perfezioni di circostanza, bensì pienezza.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Chi e cosa mi attiva o mi perde?
È Gesù il mio Signore o sono io [lo status, il mio gruppo, le maniere “perbene”, gli influssi anche religiosi] il Suo padrone?
Come affronto le situazioni?
Apro brecce e non mi disperdo, in armonia con la Voce antica e nuova dell’anima, e nello Spirito?
Il lavoro del Signore era cominciato con grande entusiasmo. Si vedeva che i malati erano guariti, tutti ascoltavano con gioia la parola: "Il Regno di Dio è vicino". Sembrava che, veramente, il cambiamento del mondo e l'avvento del Regno di Dio sarebbe stato imminente; che, finalmente, la tristezza del popolo di Dio si sarebbe cambiata in gioia. Si era in attesa di un messaggero di Dio che avrebbe preso in mano il timone della storia. Ma poi vedevano che, sì, gli ammalati erano guariti, i demoni espulsi, il Vangelo annunciato ma, per il resto, il mondo rimaneva come era. Niente cambiava. I romani dominavano ancora. La vita era difficile ogni giorno, nonostante questi segni, queste belle parole. E così l'entusiasmo si spegneva e, alla fine, come sappiamo dal sesto capitolo di Giovanni, anche i discepoli abbandonarono questo Predicatore che predicava, ma non cambiava il mondo.
Che cosa è questo messaggio? Che cosa porta questo Profeta di Dio?, si domandano finalmente tutti. Il Signore parla del seminatore che semina nel campo del mondo. E il seme sembra come la sua Parola, come quelle guarigioni, una cosa veramente piccola in confronto con la realtà storica e politica. Come il seme è piccolo, trascurabile, così anche la Parola.
Tuttavia, dice, nel seme è presente il futuro perché il seme porta in sé il pane di domani, la vita di domani. Il seme appare quasi niente, tuttavia il seme è la presenza del futuro, è promessa già presente oggi. E così con questa parabola dice: siamo nel tempo della seminagione, la Parola di Dio sembra solo parola, quasi niente. Ma abbiate coraggio, questa Parola porta in sé la vita! E porta frutto! La parabola dice anche che tanta parte del seme non porta frutto perché è caduto sulla strada, sulla terra sassosa, eccetera. Ma la parte caduta su terra buona frutta trenta, sessanta, cento volte tanto.
Ciò fa capire che dobbiamo essere coraggiosi anche se la Parola di Dio, il Regno di Dio, sembra senza importanza storico-politica. Alla fine Gesù, nella Domenica delle Palme, ha come sintetizzato tutti questi insegnamenti sul seme della parola: Se il chicco di grano non cade in terra e muore rimane solo, se cade in terra e muore porta grande frutto. E così ha fatto capire che Egli stesso è il chicco di grano che cade in terra e muore. Nella crocifissione tutto sembra fallito, ma proprio così, cadendo in terra, morendo, sulla Via della Croce, porta frutto per ogni tempo, per tutti i tempi. Qui abbiamo anche sia la finalizzazione cristologica secondo cui Cristo stesso è il seme, è il Regno presente, sia anche la dimensione eucaristica: questo chicco di grano cade in terra e così cresce il nuovo Pane, il Pane della vita futura, la Sacra Eucaristia che ci nutre e che si apre ai misteri divini, per la vita nuova.
Mi sembra che nella storia della Chiesa, in forme diverse, ci sono sempre queste questioni che ci tormentano realmente: che cosa fare? La gente sembra non aver bisogno di noi, sembra inutile tutto quanto facciamo. Tuttavia impariamo dalla Parola del Signore che solo questo seme trasforma sempre di nuovo la terra e la apre alla vera vita.
[Papa Benedetto, Incontro con il clero della Diocesi di Aosta 25 luglio 2005]
Combattere il peccato personale e le “strutture di peccato”
1. Continuando a riflettere sul cammino di conversione, sostenuti dalla certezza dell'amore del Padre, vogliamo oggi portare la nostra attenzione sul senso del peccato sia personale che sociale. Guardiamo innanzitutto all’atteggiamento di Gesù venuto appunto a liberare gli uomini dal peccato e dall’influsso di Satana.
Il Nuovo Testamento sottolinea fortemente l’autorità di Gesù sui demoni, che egli scaccia “con il dito di Dio” (Lc 11, 20). Nella prospettiva evangelica, la liberazione degli indemoniati (cfr Mc 5, 1-20) assume un significato più ampio della semplice guarigione fisica, in quanto il male fisico è posto in relazione con un male interiore. La malattia dalla quale Gesù libera è anzitutto quella del peccato. Gesù stesso lo spiega in occasione della guarigione del paralitico: “Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua” (Mc 2, 10-11). Prima ancora che nelle guarigioni, Gesù ha vinto il peccato superando egli stesso le “tentazioni” che il diavolo gli presentava nel periodo da lui trascorso nel deserto dopo il battesimo ricevuto da Giovanni (cfr Mc 1, 12-13; Mt 4, 1-11; Lc 4, 1-13). Per combattere il peccato che si annida dentro di noi e attorno a noi, dobbiamo metterci sulle orme di Gesù e imparare il gusto del “sì” da Lui continuamente pronunciato al progetto di amore del Padre. Questo “sì” richiede tutto il nostro impegno, ma non potremmo pronunciarlo senza l’aiuto della grazia, che Gesù stesso ci ha ottenuto con la sua opera redentrice.
2. Guardando ora al mondo contemporaneo, dobbiamo constatare che in esso la coscienza del peccato si è notevolmente affievolita. A causa di una diffusa indifferenza religiosa, o del rifiuto di quanto la retta ragione e la Rivelazione ci dicono di Dio, viene meno in tanti uomini e donne il senso dell’alleanza di Dio e dei suoi comandamenti. Molto spesso poi la responsabilità umana viene offuscata dalla pretesa di una libertà assoluta, che si reputa minacciata e condizionata da Dio legislatore supremo.
Il dramma della situazione contemporanea, che sembra abbandonare alcuni valori morali fondamentali, dipende in gran parte dalla perdita del senso del peccato. Su questo punto avvertiamo quanto grande debba essere il cammino della ‘nuova evangelizzazione’. Occorre restituire alla coscienza il senso di Dio, della sua misericordia, della gratuità dei suoi doni, perché possa riconoscere la gravità del peccato, che mette l’uomo contro il suo Creatore. La consistenza della libertà personale va riconosciuta e difesa come dono prezioso di Dio, contro la tendenza a dissolverla nella catena dei condizionamenti sociali o a staccarla dal suo irrinunciabile riferimento al Creatore.
3. È anche vero che il peccato personale ha sempre una valenza sociale. Mentre offende Dio e danneggia se stesso, il peccatore si rende pure responsabile della cattiva testimonianza e degli influssi negativi legati al suo comportamento. Anche quando il peccato è interiore, produce comunque un peggioramento della condizione umana e costituisce una diminuzione di quel contributo che ogni uomo è chiamato a dare al progresso spirituale della comunità umana.
Oltre a tutto ciò, i peccati dei singoli consolidano quelle forme di peccato sociale che sono appunto frutto dell’accumulazione di molte colpe personali. Le vere responsabilità restano ovviamente delle persone, dato che la struttura sociale in quanto tale non è soggetto di atti morali. Come ricorda l’Esortazione Apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia, “la Chiesa, quando parla di situazioni di peccato o denuncia come peccati sociali certe situazioni o certi comportamenti collettivi di gruppi sociali più o meno vasti, o addirittura di intere nazioni o blocchi di nazioni, sa e proclama che tali casi di peccato sociale sono il frutto, l’accumulazione e la concentrazione di molti peccati personali … Le vere responsabilità sono delle persone” (n. 16).
È tuttavia un fatto incontrovertibile, come più volte ho avuto modo di ribadire, che l’interdipendenza dei sistemi sociali, economici e politici, crea nel mondo di oggi molteplici strutture di peccato (cfr Sollicitudo rei socialis, 36; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1869). Esiste una spaventosa forza di attrazione del male che fa giudicare ‘normali’ e ‘inevitabili’ molti atteggiamenti. Il male si accresce e preme con effetti devastanti sulle coscienze, che rimangono disorientate e non sono neppure in grado di discernere. Se si pensa poi alle strutture di peccato che frenano lo sviluppo dei popoli più svantaggiati sotto il profilo economico e politico (cfr Sollicitudo rei socialis, 37), verrebbe quasi da arrendersi di fronte a un male morale che sembra ineluttabile. Tante persone avvertono l’impotenza e lo smarrimento di fronte a una situazione schiacciante che appare senza via d'uscita. Ma l’annuncio della vittoria di Cristo sul male ci dà la certezza che anche le strutture più consolidate dal male possono essere vinte e sostituite da “strutture di bene” (cfr Ibidem, 39).
4. La “nuova evangelizzazione” affronta questa sfida. Essa deve impegnarsi perché tutti gli uomini recuperino la consapevolezza che in Cristo è possibile vincere il male con il bene. Occorre formare al senso della responsabilità personale, intimamente connessa agli imperativi morali e alla coscienza del peccato. Il cammino di conversione implica l’esclusione di ogni connivenza con quelle strutture di peccato che oggi particolarmente condizionano le persone nei diversi contesti di vita.
Il Giubileo può costituire un’occasione provvidenziale perché i singoli e le comunità camminino in questa direzione, promuovendo un’autentica “metánoia”, ossia un cambiamento di mentalità, che contribuisca alla creazione di strutture più giuste e più umane, a vantaggio del bene comune.
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 25 agosto 1999]
«Too pure water has no fish». Accepting ourselves will complete us: it will make us recover the co-present, opposite and shadowed sides. It’s the leap of profound Faith. And seems incredible, but the Rock on which we build the way of being believers is Freedom
«L’acqua troppo pura non ha pesci». Accettarsi ci completerà: farà recuperare i lati compresenti, opposti e in ombra. È il balzo della Fede profonda. Sembra incredibile, ma la Roccia sulla quale edifichiamo il modo di essere credenti è la Libertà
Our shortages make us attentive, and unique. They should not be despised, but assumed and dynamized in communion - with recoveries that renew relationships. Falls are therefore also a precious signal: perhaps we are not using and investing our resources in the best possible way. So the collapses can quickly turn into (different) climbs even for those who have no self-esteem
Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Non vanno disprezzate, ma assunte e dinamizzate in comunione - con recuperi che rinnovano i rapporti. Anche le cadute sono dunque un segnale prezioso: forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse. Così i crolli si possono trasformare rapidamente in risalite (differenti) anche per chi non ha stima di sé
God is Relationship simple: He demythologizes the idol of greatness. The Eternal is no longer the master of creation - He who manifested himself strong and peremptory; in his action, again in the Old Covenant illustrated through nature’s irrepressible powers
Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza. L’Eterno non è più il padrone del creato - Colui che si manifestava forte e perentorio; nella sua azione, ancora nel Patto antico illustrato attraverso le potenze incontenibili della natura
Starting from his simple experience, the centurion understands the "remote" value of the Word and the magnet effect of personal Faith. The divine Face is already within things, and the Beatitudes do not create exclusions: they advocate a deeper adhesion, and (at the same time) a less strong manifestation
Partendo dalla sua semplice esperienza, il centurione comprende il valore “a distanza” della Parola e l’effetto-calamita della Fede personale. Il Cospetto divino è già dentro le cose, e le Beatitudini non creano esclusioni: caldeggiano un’adesione più profonda, e (insieme) una manifestazione meno forte
What kind of Coming is it? A shortcut or an act of power to equalize our stormy waves? The missionaries are animated by this certainty: the best stability is instability: that "roar of the sea and the waves" Coming, where no wave resembles the others.
Che tipo di Venuta è? Una scorciatoia o un atto di potenza che pareggi le nostre onde in tempesta? I missionari sono animati da questa certezza: la migliore stabilità è l’instabilità: quel «fragore del mare e dei flutti» che Viene, dove nessuna onda somiglia alle altre.
The words of his call are entrusted to our apostolic ministry and we must make them heard, like the other words of the Gospel, "to the end of the earth" (Acts 1:8). It is Christ's will that we would make them heard. The People of God have a right to hear them from us [Pope John Paul II]
Queste parole di chiamata sono affidate al nostro ministero apostolico e noi dobbiamo farle ascoltare, come le altre parole del Vangelo, «fino agli estremi confini della terra» (At 1, 8). E' volontà di Cristo che le facciamo ascoltare. Il Popolo di Dio ha diritto di ascoltarle da noi [Papa Giovanni Paolo II]
don Giuseppe Nespeca
Tel. 333-1329741
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