Ss.ma Trinità [15 Giugno 2025]
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga!
*Prima Lettura dal Libro dei Proverbi (8, 22-31)
Domenica scorsa, festa di Pentecoste, nel salmo responsoriale (Sal 103/104), abbiamo cantato: “Hai fatto tutte le cose con sapienza”. Oggi, in questo brano tratto dal libro dei Proverbi, c’è uno splendido canto alla Sapienza personificata con cui Dio guida il mondo. “Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività…Dall’eternità sono stata formata…quando non esistevano gli abissi, io fui generata” (vv 22-24). L’autore fa parlare la Sapienza come una persona e il verbo ebraico qanah significa acquistare, possedere, creare, generare, tutti sensi appropriati se assunti tenendo presente le varie sfumature del concetto di Sapienza. La Sapienza non parla mai di sé stessa, ma sempre in relazione a Dio, come se fossero inseparabili. Quindi, tra Dio e la Sapienza esiste una grande intimità. La fede ebraica nel Dio unico non ha mai immaginato un Dio trinitario; ma qui sembra che, pur restando salda nell’unicità di Dio, essa intuisca che, all’interno del Dio Uno, vi è un mistero di dialogo e comunione. C’è una parola che ricorre spesso in questo passo: “Prima”. “Il Signore mi ha creato prima di ogni sua opera…dall’eternità…prima che fossero fissate le basi dei monti…prima delle colline”. La Sapienza è anteriore rispetto a tutta la creazione e l’opera che compie è così bella da generare una vera e propria gioia: “Io ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a lui…sul globo terrestre ponendo le mie delizie tra i figli degli uomini” (vv30-31). La Sapienza “trova le sue delizie” presso Dio e anche presso di noi. Si percepisce qui un’eco del ritornello della Genesi: “Dio vide che era cosa buona”; e ancora di più, al sesto giorno, quando fu creato l’uomo (Gen 1,31). Questo testo del libro dei Proverbi rivela un aspetto particolare della fede di Israele: l’eterna Sapienza ha presieduto a tutta l’opera della creazione e fin dall’alba del mondo, l’umanità e il cosmo sono immersi nella Sapienza di Dio per cui il mondo creato non è disordinato. Anzi la Sapienza ne è l’artefice e questo ci spinge a non perdere mai la fiducia. Infine, è davvero “follia” della fede credere che Dio è sempre presente nella vita degli uomini e, ancor più, che Dio trovi le sue delizie nella nostra compagnia. Follia divina, ma realtà: se Dio continua instancabilmente a proporci la sua Alleanza d’amore, è proprio perché “pone le sue delizie tra i figli dell’uomo” (v.31). Questo testo non parla mai di Trinità perché quando fu scritto il Libro dei Proverbi non solo il termine Trinità non esisteva, ma l’idea stessa non sfiorava nessuno. Per il popolo eletto la prima urgenza fu affermare il Dio unico e i profeti lottarono contro l’idolatria e il politeismo essendo Israele chiamato a essere il testimone dell’unico Dio (Dt 4,35). Più tardi però i credenti scopriranno, dopo la risurrezione di Cristo, che Dio è Uno ma non solitario: Dio è Trinità. Quando si iniziò a intravedere questo mistero, si rilessero con nuova luce le Scritture e in particolare questo testo che parla della Sapienza di Dio, per scorgervi, come in filigrana, la persona di Cristo. San Giovanni scrive: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio”, espressione che in greco esprime un’intima comunione, un dialogo d’amore ininterrotto. Sant’Ireneo e Teofilo d’Antiochia hanno identificato la Sapienza con lo Spirito, mentre Origene l’ha identificata con il Figlio. Questa seconda interpretazione è stata poi accolta dalla teologia cristiana.
*Salmo responsoriale (8)
“Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato”. Forse siamo nel contesto di una celebrazione notturna e il profeta Isaia fa talvolta allusione a celebrazioni notturne, ad esempio quando dice: “Canterete come la notte in cui si celebra la festa” (Is 30,29). Immaginiamo dunque di essere in una sera d’estate a Gerusalemme durante un pellegrinaggio sotto le stelle. Se leggiamo il salmo per intero notiamo che il primo e l’ultimo versetto sono esattamente identici: “O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!” (vv 1, 10). Il tema è dunque un inno alla grandezza di Dio e il nome di Dio è il nome dell’Alleanza, le famose quattro lettere YHVH, che non si pronuncia mai. E allora, anche se la parola “Alleanza” non è pronunciata, è sottintesa ed è il popolo dell’Alleanza che parla. Il primo e l’ultimo versetto incorniciano una meditazione sull’uomo con una costruzione interessante. L’uomo è al centro della creazione e poi tutto, compreso l’uomo, viene ricondotto a Dio: Dio agisce e l’uomo contempla. Tutto iè opera delle dita di Dio che ha fissato le stelle… pensa all’uomo, se ne prende cura, lo ha coronato di gloria e d’onore e l’ha stabilito sopra le opere delle sue mani ponendo ogni cosa ai suoi piedi. La struttura complessiva del salmo presenta dunque dei cerchi concentrici: al centro l’uomo – “che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi? Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi”. Poi un primo cerchio, la creazione: da una parte il cielo stellato e la luna… dall’altra tutti gli esseri viventi: greggi, animali selvatici, uccelli, pesci; un secondo cerchio, la frase ripetuta: l’uomo contempla il vero re della Creazione: “O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!”. Dio non conserva gelosamente la regalità per sé, anzi a sua volta incorona l’uomo e anche per l’uomo si usa un linguaggio regale: l’uomo è “poco meno di un dio”, è “coronato”… tutto è “ai suoi piedi” Il pensiero va al libro della Genesi che narra la creazione dell’uomo come ultimo atto dopo tutti gli altri esseri viventi, proprio per mostrare che l’uomo è al vertice e da un nome a tutte le creature. Vocazione dell’uomo è essere il re della creazione e alla prima coppia umana, Dio ha detto di essere fecondi e moltiplicarsi, riempire la terra e soggiogarla, (Gn 1,28). Siamo davanti a un salmo che respira la gioia di vivere anche se ci possono essere giorni in cui la presenza di Dio è percepita come opprimente. Pensiamo a Giobbe, che conosceva sicuramente questo salmo a memoria. Eppure nel suo sconforto, rimpianse di averlo cantato con entusiasmo e arrivò a dire: “Perché scruti l’uomo ogni mattina e a ogni istante lo metti alla prova? Fino a quando da me non distoglierai lo sguardo e non mi lascerai inghiottire la mia saliva? (Gb 7,17-19). Quel giorno, la sua fede rischiò di vacillare. Può capitare anche a noi, ma, come per Giobbe, alla fine anche noi riusciamo a scoprire che Dio veglia e, qualunque cosa accada, continua a “prendersi cura dell’uomo”. La Bibbia è un libro «gioioso» e questo salmo respira la gioia davanti allo splendore di Dio e dell’uomo. L’uomo re della creazione si sottomette a sua volta a Colui che è il vero Signore: riconosce la sua piccolezza e sa che deve tutto al suo Creatore.
*Seconda Lettura dalla Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (5,1-5)
Siamo a Roma, ai tempi dell’imperatore Nerone, nell’anno 57 o 58 dopo Cristo; come in quasi tutte le città del bacino del Mediterraneo, c’è una comunità ebraica, stimata in alcune decine di migliaia di persone che vive una prima grave scissione tra gli ebrei e i giudeo-cristiani (ebrei convertiti a Cristo) accusandosi reciprocamente di eresia o deviazione. Ci sono inoltre difficili rapporti anche fra giudeo-cristiani, ancora legati alle loro pratiche religiose e i pagani convertiti chiamati pagano-cristiani che mantengono possibili retaggi di idolatria. Questi conflitti si irrigidiscono col passare degli anni per cui nella lettera ai Romani, Paolo si dà come compito di riportare la pace. La grande questione tra ex ebrei e ex pagani è la seguente: poiché Dio ha scelto il popolo ebraico per annunciare la salvezza al mondo e dato che Gesù era ebreo, non si dovrebbe chiedere agli ex pagani di diventare ebrei prima di diventare cristiani e imporre loro la circoncisione con tutte le pratiche ebraiche? San Paolo risponde argomentando così: anzitutto, i cristiani, qualunque sia il loro passato, sono tutti uguali davanti alla salvezza quando accettano Cristo, il solo che salva. Inoltre, pur sapendo che solo la fede salva e non i meriti dell’uomo, alcuni giudeo-cristiani rivendicavano il privilegio di essere l’unico popolo dell’Alleanza e non ritengono i pagani discendenti di Abramo. Nel capitolo quarto Paolo ha già risposto che Abramo è stato dichiarato giusto ben prima di essere circonciso ed era un pagano quando ebbe la chiamata di Dio e mosso dalla fiducia obbedì a Colui che gli chiese di lasciare la sua terra e andare verso il paese che lui gli avrebbe mostrato (Gn 12). “Abramo ebbe fede nel Signore e, per questo, il Signore lo considerò giusto” (Gn 15,6). Nel testo odierno Paolo ha bene in mente l’avventura esemplare di Abramo che “mediante la fede” divenne il padre di tutti i credenti, con o senza circoncisione. Quindi non ha senso in proposito un litigio tra cristiani. Lo afferma chiaramente all’inizio del testo di oggi: “Giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”. La salvezza è dono gratuito di Dio, che chiede l’abbandono fiducioso della fede. Ripetendo l’espressione “mediante la fede” o “per fede”, ribadisce che siamo giustificati dalla morte e risurrezione di Cristo che ci fa vivere nell’intimità con Dio, ciò che Paolo chiama “la grazia”. Per pura grazia partecipiamo alla giustizia di Cristo, reintegrati così nell’Alleanza di Dio e immersi nella comunione trinitaria. Qui, come nella prima lettura (dal libro dei Proverbi), non c’è la parola Trinità, ma tratta proprio della Trinità quando Paolo parla della “grazia nella quale ci troviamo”. Egli contempla il mistero di Dio in termini trinitari quando scrive: “noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” e “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”. Parla poi delle ribolazioni che possono diventare un cammino verso Dio producendo la perseveranza e la speranza. La speranza, virtù da poveri, è al termine di un lungo cammino di spoliazione che, “nonostante tutto”, prove, scoraggiamenti, ostinazioni, problemi d’ogni tipo, nasce dall’abbandono fiducioso in Dio sapendo che perché l’amore divino è sriversato nei nostri cuori per mezzo del dono dello Spirito Santo. Infine quando scrive “l’amore di Dio” ci si chiede il significato della preposizione “di “: è cioè l’amore che Dio ha per noi o l’amore nostro per Dio? Risponde che lo Spirito Santo riversa nei nostri cuori lo stesso amore che Dio ha per l’umanità e, a nostra volta, diventiamo capaci di amare entrando sempre di più nella comunione trinitaria già da ora: questo cammino è partecipare “alla gloria di Dio” sperando di avere parte alla gloria di Dio. Questa speranza non delude, poiché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato, come abbiamo celebrato domenica scorsa, festa della Pentecoste.
+Giovanni D’Ercole