don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Essere presenti a se stessi: non sostituire l’Amore coi fiocchi, l’osservanza, le deferenze

(Mt 23,1-12)

 

La Nuova Relazione fra Dio e l’uomo non poteva essere contenuta all’interno delle minuziose norme della Prima Alleanza e delle sue pesanti consuetudini.

Al tempo di Gesù, dominavano tali ossessioni malate di verticismo spocchioso, quindi solo epidermiche; incapaci di dare respiro, libertà, motivazioni propulsive.

 

La concezione piramidale del mondo e l’idea esteriore della trama della vita spirituale non corrispondono alla Rivelazione.

La nostra realtà è intessuta di stati contrapposti, che la innervano e completano; addirittura facendola avanzare. Anche trasformandola in un torrente in piena.

Un rifiuto, un abbandono, un’esperienza di fallimento, di limite, malattia o disistima altrui - persino una crisi - possono riportarci alle energie sopite della vita e far nascere la Persona nuova.

 

Come contattare i nostri nuovi modi di essere? Quali accorgimenti mettere in atto per introdursi in un dinamismo di rigenerazione che aiuti a sviluppare un clima vivo - e dove iniziare?

Gesù propone Fede: una Relazione fondante, ossia un nuovo modo di porsi dinanzi al Padre e al mondo… con attitudine fiduciosa, sponsale e creativa; nell’iniziativa di un Altro punto di vista.

Amore poliedrico, Eros che viene a noi in un dialogo palpabile - non privo di lotte interiori.

Ciò nel tempo d’un percorso (singolare, affatto ricalcato o esterno). Anche su due piedi fastidioso, perché controcorrente.

Le autorità religiose cercavano invece la loro sicurezza nell’osservanza rigorosa e appariscente della Legge scritta e orale.

Senza rischio, né personalizzazioni da capogiro.

 

Dinanzi a tale mentalità accomodante, priva di vertigini, il giovane Maestro insiste sulla pratica dell’Amicizia [assai più forte del volontarismo] la quale relativizza gli adempimenti.

Egli dà così alla Tradizione profonda il suo vero significato, riscoprendo il senso autentico della Torah e delle norme di comportamento.

Del resto, proprio le guide spirituali della religione ufficiale erano i primi a non credere a quel che predicavano agli altri... ovvero se ne sentivano esenti, perché abituati a pensare se stessi come modelli elettivi, riconosciuti, selezionati, prescelti - quasi calati dall’alto.

 

L’esagerato spirito di controllo è atteggiamento fasullo in sé - causa forzature eccessive, sorde al nucleo interiore. Ma deleterio anche per l’edificazione d’una atmosfera di famiglia, o cultura dell’Incontro, cammino sinodale; così via.

Insistendo viceversa sull’attitudine [questa sì infallibile] di servizio reciproco, non rimarrà più tempo per farsi prendere dalla vanità, dalla disputa sulle precedenze, dalle discussioni, dal divario fra dire e fare.

 

Da dove può ripartire invece il teatrino del disamore, che non vitalizza bensì deprime il popolo di Dio?

Dagli imperituri scribi e farisei (v.2). Sedicenti superiori, dal metro di giudizio limitato e riduttivo.

Ebbene, secondo i Vangeli chi assume compiti ecclesiali direttivi non ha diritto ad alcun “fiocco”: è semplicemente «diacono» (v.11) dei fratelli.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Ti piacciono i fiocchi? Cosa dice la tua anima dei pavoni?

 

 

[Martedì 2.a sett. Quaresima, 18 marzo 2025]

Essere presenti a se stessi: non sostituire l’Amore coi fiocchi, l’osservanza, le deferenze

(Mt 23,1-12)

 

La Nuova Relazione fra Dio e l’uomo non poteva essere contenuta all’interno delle minuziose norme della Prima Alleanza e delle sue pesanti consuetudini.

Al tempo di Gesù, dominavano tali ossessioni malate di verticismo spocchioso, quindi solo epidermiche; incapaci di dare respiro, libertà, motivazioni propulsive.

La concezione piramidale del mondo e l’idea esteriore della trama della vita spirituale mai corrispondono alla Rivelazione, né ai semplici criteri della sapienza naturale.

Dice infatti il Tao Tê Ching (iv): «Il Tao mitiga il suo splendore, si rende simile alla sua polvere. Quale Profondità! Sembra che da sempre esista».

Commenta il maestro Wang Pi: «[Quel che non ha origine] smussando le sue punte, non ferisce le creature; districando i suoi nodi, non le affatica; mitigando la sua luce, non svilisce il loro corpo; rendendosi simile alla sua polvere, non turba la loro genuinità».

Aggiunge il maestro Ho-shang Kung: «Pur avendo uno splendore straordinario, bisogna sapersi tenere nell’oscurità e nella tenebra [...], rendersi simile alla sporcizia e alla polvere, insieme alle folle: non bisogna differenziarsi da esse».

 

La nostra realtà è intessuta di stati contrapposti, che la innervano e completano; addirittura facendola avanzare. Anche trasformandola in un torrente in piena.

Un rifiuto, un abbandono, un’esperienza di fallimento, di limite, malattia o disistima altrui - persino un rovescio - possono riportarci alle energie sopite della vita e far nascere la Persona nuova.

In tal guisa:

Come contattare i nostri nuovi modi di essere? Quali accorgimenti mettere in atto per introdursi in un dinamismo di rigenerazione che aiuti a sviluppare un clima vivo - e dove iniziare?

 

Gesù propone Fede: una Relazione fondante, ossia un nuovo modo di porsi dinanzi al Padre e al mondo… con attitudine fiduciosa, sponsale e creativa; nell’iniziativa di un Altro punto di vista.

Amore poliedrico, Eros che viene a noi in un dialogo palpabile - non privo di lotte interiori.

Ciò nel tempo d’un percorso (singolare, affatto ricalcato o esterno). Anche su due piedi fastidioso, perché controcorrente.

Le autorità religiose cercavano invece la loro sicurezza nell’osservanza rigorosa e appariscente della Legge scritta e orale.

Senza rischio, né personalizzazioni da capogiro.

 

Dinanzi a tale mentalità accomodante, priva di vertigini, il giovane Maestro insiste sulla pratica dell’Amicizia [assai più forte del volontarismo] la quale relativizza gli adempimenti.

Egli dà così alla Tradizione profonda il suo vero significato, riscoprendo il senso autentico della Torah e delle norme di comportamento.

Del resto, proprio le guide spirituali della religione ufficiale erano i primi a non credere a quel che predicavano agli altri... ovvero se ne sentivano esenti, perché abituati a pensare se stessi come modelli elettivi, riconosciuti, selezionati, prescelti - quasi calati dall’alto.

Un vizio di ritorno che il Risorto sembra scorgere nei dirigenti spirituali del suo stesso popolo nuovo, dove i responsabili - pur annunciando il Cristo stesso - iniziavano a farsi amanti perfino dell’ossequiosità.

Proprio come gli antichi professionisti della religione, i quali spingevano al conformismo, legalismo e moralismo; abituati a fare mostra di sé, dettare sentenza, e condizionare lo stesso corso della Legge.

Poi da abili specialisti essi trovavano sempre qualsiasi scusa per dire e non fare - e passare da ‘fedeli impeccabili’:

«Legano insieme carichi pesanti e difficili a portare, e li impongono sulle spalle degli uomini; ma essi nemmeno con il loro dito vogliono smuoverli» (v.4).

 

Ancora oggi i veri esperti della comunicazione agiscono sempre in pubblico, per essere acclamati.

Ma nella condotta non hanno un principio intimo determinante e radicato, restando preda delle situazioni; leggeri come farfalle.

Guidati dall’ambizione, eccoli tutta appariscenza e vanità - anche per l’amor proprio suscitato dall’influsso sociale che volentieri desiderano ed esercitano.

Uno spirito di verticismo e innalzamento vacuo che Mt nota serpeggiare anche fra i suoi veterani di comunità in Galilea e Siria.

Piccole assemblee allora assediate dall’afflusso di pagani, ai quali gli anziani giudaizzanti chiedevano anzitutto il rispetto gerarchico.

Ipocritamente spodestando Cristo e il Padre, tali reduci della religiosità antica ambivano anche farsi chiamare rabbì, padri, precettori (vv.7-10). 

Sedicenti superiori, dal metro di giudizio limitato e riduttivo.

 

In ordine all’esperienza di Fede, il Signore ordina invece di essere tutti fratelli - ossia alla pari - nella certezza d’un unico Padre.

Vale anche per noi, in specie nel tempo della rinascita dalla crisi globale.

 

Nella Deus Caritas est (n.35):

«Questo giusto modo di servire rende l'operatore umile. Egli non assume una posizione di superiorità di fronte all'altro, per quanto misera possa essere sul momento la sua situazione. Cristo ha preso l'ultimo posto nel mondo — la croce — e proprio con questa umiltà radicale ci ha redenti e costantemente ci aiuta. Chi è in condizione di aiutare riconosce che proprio in questo modo viene aiutato anche lui; non è suo merito né titolo di vanto il fatto di poter aiutare. Questo compito è grazia. Quanto più uno s'adopera per gli altri, tanto più capirà e farà sua la parola di Cristo: “Siamo servi inutili” (Lc 17, 10). Egli riconosce infatti di agire non in base ad una superiorità o maggior efficienza personale, ma perché il Signore gliene fa dono. A volte l'eccesso del bisogno e i limiti del proprio operare potranno esporlo alla tentazione dello scoraggiamento. Ma proprio allora gli sarà d'aiuto il sapere che, in definitiva, egli non è che uno strumento nelle mani del Signore; si libererà così dalla presunzione di dover realizzare, in prima persona e da solo, il necessario miglioramento del mondo. In umiltà farà quello che gli è possibile fare e in umiltà affiderà il resto al Signore. È Dio che governa il mondo, non noi. Noi gli prestiamo il nostro servizio solo per quello che possiamo e finché Egli ce ne dà la forza. Fare, però, quanto ci è possibile con la forza di cui disponiamo, questo è il compito che mantiene il buon servo di Gesù Cristo sempre in movimento: “L'amore del Cristo ci spinge” (2 Cor 5, 14) ».

 

Quanto servirebbe un bagno di umiltà, nell’anima di ciascuno che desideri farsi presente alle sue azioni!

Possiamo iniziare ad es. evitando di usare devozione e Chiesa quali mezzi di promozione, per apparire importanti e sottolineare un qualche rango “spirituale” più elevato di altri.

Atteggiamento fasullo in sé - causa forzature eccessive, sorde al nucleo interiore. Ma deleterio anche per l’edificazione d’una atmosfera di famiglia, o cultura dell’Incontro, cammino sinodale; così via.

Insistendo viceversa sull’attitudine [questa sì infallibile] di servizio reciproco, non rimarrà più tempo per farsi prendere dalla vanità, dalla disputa sulle precedenze, dalle discussioni, dal divario fra dire e fare.

 

Da dove può ripartire invece il teatrino del disamore, che non vitalizza bensì deprime il popolo di Dio?

Dagli imperituri scribi e farisei (v.2) sempre esagerati nello spirito di controllo.

Ebbene, secondo i Vangeli chi assume compiti ecclesiali direttivi non ha diritto ad alcun “fiocco”: è semplicemente «diacono» (v.11) dei fratelli.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Ti piacciono i fiocchi? Cosa dice la tua anima dei pavoni?

[…] L’apostolo Paolo ci invita ad accostare il Vangelo «non come parola di uomini, ma come è veramente, quale Parola di Dio» (1 Ts 2,13). In questo modo possiamo accogliere con fede gli ammonimenti che Gesù rivolge alla nostra coscienza, per assumere un comportamento conforme ad essi. Nel brano odierno, Egli rimprovera gli scribi e i farisei, che avevano nella comunità un ruolo di maestri, perché la loro condotta era apertamente in contrasto con l’insegnamento che proponevano agli altri con rigore. Gesù sottolinea che costoro «dicono e non fanno» (Mt 23,3); anzi, «legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,4). La buona dottrina va accolta, ma rischia di essere smentita da una condotta incoerente. Per questo Gesù dice: «Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere» (Mt 23,3). L’atteggiamento di Gesù è esattamente l’opposto: Egli pratica per primo il comandamento dell’amore, che insegna a tutti, e può dire che esso è un peso leggero e soave proprio perché ci aiuta a portarlo insieme con Lui (cfr Mt 11,29-30).

Pensando ai maestri che opprimono la libertà altrui in nome della propria autorità, San Bonaventura indica chi è l’autentico Maestro, affermando: «Nessuno può insegnare e nemmeno operare, né raggiungere le verità conoscibili senza che sia presente il Figlio di Dio» (Sermo I de Tempore, Dom. XXII post Pentecosten, Opera omnia, IX, Quaracchi, 1901, 442). «Gesù siede sulla “cattedra” come il Mosè più grande, che estende l’Alleanza a tutti i popoli» (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 89). È Lui il nostro vero e unico Maestro! Siamo, pertanto, chiamati a seguire il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, che esprime la verità del suo insegnamento attraverso la fedeltà alla volontà del Padre, attraverso il dono di se stesso. Scrive il beato Antonio Rosmini: «Il primo maestro forma tutti gli altri maestri, come pure forma gli stessi discepoli, perché [sia gli uni che gli altri] esistono soltanto in virtù di quel primo tacito, ma potentissimo magistero» (Idea della Sapienza, 82, in: Introduzione alla filosofia, vol. II, Roma 1934, 143). Gesù condanna fermamente anche la vanagloria e osserva che operare «per essere ammirati dalla gente» (Mt 23,5) pone in balia dell’approvazione umana, insidiando i valori che fondano l’autenticità della persona.

Cari amici, il Signore Gesù si è presentato al mondo come servo, spogliando totalmente se stesso e abbassandosi fino a dare sulla croce la più eloquente lezione di umiltà e di amore. Dal suo esempio scaturisce la proposta di vita: «Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo» (Mt 23,11). Invochiamo l’intercessione di Maria Santissima e preghiamo, in particolare, per quanti nella comunità cristiana sono chiamati al ministero dell’insegnamento, affinché possano sempre testimoniare con le opere le verità che trasmettono con la parola.

[Papa Benedetto, Angelus 30 ottobre 2011]

1. Con lo sguardo rivolto alla Sindone, desidero salutare cordialmente tutti voi, fedeli della Chiesa torinese. Saluto i pellegrini che durante il periodo di questa ostensione vengono da ogni parte del mondo per contemplare uno dei segni più sconvolgenti dell'amore sofferente del Redentore.

Entrando nel Duomo, che mostra ancora le ferite prodotte dal terribile incendio di un anno fa, mi sono fermato in adorazione davanti all'Eucaristia, il Sacramento che sta al centro delle attenzioni della Chiesa e che, sotto apparenze umili, custodisce la presenza vera, reale e sostanziale di Cristo. Alla luce della presenza di Cristo in mezzo a noi, ho sostato poi davanti alla Sindone, il prezioso Lino che può esserci di aiuto per meglio capire il mistero dell'amore del Figlio di Dio per noi.

Davanti alla Sindone, immagine intensa e struggente di uno strazio inenarrabile, desidero rendere grazie al Signore per questo dono singolare, che domanda al credente attenzione amorosa e disponibilità piena alla sequela del Signore.

3. Ciò che soprattutto conta per il credente è che la Sindone è specchio del Vangelo. In effetti, se si riflette sul sacro Lino, non si può prescindere dalla considerazione che l'immagine in esso presente ha un rapporto così profondo con quanto i Vangeli raccontano della passione e morte di Gesù che ogni uomo sensibile si sente interiormente toccato e commosso nel contemplarla. Chi ad essa si avvicina è, altresì, consapevole che la Sindone non arresta in sé il cuore della gente, ma rimanda a Colui al cui servizio la Provvidenza amorosa del Padre l'ha posta. Pertanto, è giusto nutrire la consapevolezza della preziosità di questa immagine, che tutti vedono e nessuno per ora può spiegare. Per ogni persona pensosa essa è motivo di riflessioni profonde, che possono giungere a coinvolgere la vita.

La Sindone costituisce così un segno veramente singolare che rimanda a Gesù, la Parola vera del Padre, ed invita a modellare la propria esistenza su quella di Colui che ha dato se stesso per noi.

7. La Sindone è immagine del silenzio. C'è un silenzio tragico dell'incomunicabilità, che ha nella morte la sua massima espressione, e c'è il silenzio della fecondità, che è proprio di chi rinuncia a farsi sentire all'esterno per raggiungere nel profondo le radici della verità e della vita. La Sindone esprime non solo il silenzio della morte, ma anche il silenzio coraggioso e fecondo del superamento dell'effimero, grazie all'immersione totale nell'eterno presente di Dio. Essa offre così la commovente conferma del fatto che l'onnipotenza misericordiosa del nostro Dio non è arrestata da nessuna forza del male, ma sa anzi far concorrere al bene la stessa forza del male. Il nostro tempo ha bisogno di riscoprire la fecondità del silenzio, per superare la dissipazione dei suoni, delle immagini, delle chiacchiere che troppo spesso impediscono di sentire la voce di Dio.

[Papa Giovanni Paolo II, venerazione della Sindone, Torino 24 maggio 1998]

Il Vangelo di oggi (cfr Mt 23,1-12) è ambientato negli ultimi giorni della vita di Gesù, a Gerusalemme; giorni carichi di aspettative e anche di tensioni. Da una parte Gesù rivolge critiche severe agli scribi e ai farisei, dall’altra lascia importanti consegne ai cristiani di tutti i tempi, quindi anche a noi.

Egli dice alla folla: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che dicono». Questo sta a significare che essi hanno l’autorità di insegnare ciò che è conforme alla Legge di Dio. Tuttavia, subito dopo, Gesù aggiunge: «ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno» (v. 2-3). Fratelli e sorelle, un difetto frequente in quanti hanno un’autorità, sia autorità civile sia ecclesiastica, è quello di esigere dagli altri cose, anche giuste, che però loro non mettono in pratica in prima persona. Fanno la doppia vita. Dice Gesù: «Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito» (v. 4). Questo atteggiamento è un cattivo esercizio dell’autorità, che invece dovrebbe avere la sua prima forza proprio dal buon esempio. L’autorità nasce dal buon esempio, per aiutare gli altri a praticare ciò che è giusto e doveroso, sostenendoli nelle prove che si incontrano sulla via del bene. L’autorità è un aiuto, ma se viene esercitata male, diventa oppressiva, non lascia crescere le persone e crea un clima di sfiducia e di ostilità, e porta anche alla corruzione.

Gesù denuncia apertamente alcuni comportamenti negativi degli scribi e di alcuni farisei: «Si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze» (vv.6-7). Questa è una tentazione che corrisponde alla superbia umana e che non è sempre facile vincere. È l’atteggiamento di vivere solo per l’apparenza.

Poi Gesù dà le consegne ai suoi discepoli: «Non fatevi chiamare “rabbi”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. […] E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo» (vv. 8-11).

Noi discepoli di Gesù non dobbiamo cercare titoli di onore, di autorità o di supremazia. Io vi dico che a me personalmente addolora vedere persone che psicologicamente vivono correndo dietro alla vanità delle onorificenze. Noi, discepoli di Gesù non dobbiamo fare questo, poiché tra di noi ci dev’essere un atteggiamento semplice e fraterno. Siamo tutti fratelli e non dobbiamo in nessun modo sopraffare gli altri e guardarli dall’alto in basso. No. Siamo tutti fratelli. Se abbiamo ricevuto delle qualità dal Padre celeste, le dobbiamo mettere al servizio dei fratelli, e non approfittarne per la nostra soddisfazione e interesse personale. Non dobbiamo considerarci superiori agli altri; la modestia è essenziale per una esistenza che vuole essere conforme all’insegnamento di Gesù, il quale è mite e umile di cuore ed è venuto non per essere servito ma per servire.

La Vergine Maria, «umile e alta più che creatura» (Dante, Paradiso, XXXIII, 2), ci aiuti, con la sua materna intercessione, a rifuggire dall’orgoglio e dalla vanità, e ad essere miti e docili all’amore che viene da Dio, per il servizio dei nostri fratelli e per la loro gioia, che sarà anche la nostra.

[Papa Francesco, Angelus 5 novembre 2017]

Incontro esemplare e Vita al culmine sconosciuto

(Lc 6,36-38)

 

È possibile mettere il Vangelo sotto «Misura» esemplare - ad es. di Legge (retributiva) o di Primo Testamento e Tradizione?

No, non si costruirebbe Famiglia. E il culmine di questo genere di esperienza sarebbe appannaggio etnico o élitario.

Configurazione e proposta che partorirebbe ovunque un mondo grigio, pedissequo, fragile; incapace di dialogo e scoperte sconosciute.

 

Dopo essersi sentiti separati da una qualità di vita umanizzante e divina, solo la consapevolezza di riconciliazione può trasformare ambienti e persone.

Tale il Gesù vivo e attuato in comunità.

Egli immette i suoi intimi in un’esperienza nuova di comprensione fluida, senza orgoglio.

Senza appunto assumere atteggiamenti leziosi o ricalcati a fotocopia.

È allora che l'umiltà c’inonda senza sforzo, portando in vetta la Carità - nell'assetto celeste del Gratis che sposta lo sguardo.

 

Sopprimendo sopprimendo, gli artifici inesorabilmente chiudono la gioia di vivere.

La imbrigliano nei modi, nell’accentuazione senza fine degli sforzi - contro se stessi, e avversando il mondo altrui.

Convenzioni, doveri standard e reazioni, mai contengono le energie benevolenti, incisive, della crescita.

Nella vita dei Santi lo vediamo: ascoltarsi a fondo, lasciare che sia... e il perdono, centuplicano l’amore.

Esso diviene sorgente di gesti incredibili in favore del prossimo; nell’accorgersi accentuato, nella cura, nell'ospitalità gratuita, nel dono totale e a fondo perduto.

 

C’è sempre stato bisogno dell’apporto di energie e situazioni - anche intime - nuove, delle loro sorprese.

Non scartare le ingenuità altrui significa aver imparato ad accogliere le nostre stesse fragilità e opposizioni.

Il mondo inizia a cambiare quando ci si accetta, nell’esperienza della stima del Dio-con-noi.

Così impariamo a percepire Bellezza, invece che aridità e distacco: ciò che fa diventare la vita più intensa e insieme scorrevole.

 

Anche la conoscenza di Dio non è un bene di confisca o una scienza acquisita, già interiormente ed esteriormente pignorata.

Muove da un’azione e un’altra, incessantemente; si realizza in un Incontro sempre vivo, che non blocca né ci dissolve.

È inizio del mondo futuro; principio di un’avventura imprevedibile.

È Novità di Dio che crea un ambiente di Grazia - con possibilità enormi, che sprizzano da energie difformi.

Essa irrompe per sgretolare primati ed equilibri stagnanti.

Lo fa mediante un’impossibile apertura di credito - con una signoria di qualità e prospettive - le quali rigenerano e riattivano persone, famiglie, fraternità; il mondo intero.

Principio della Cattolicità, intesa come campo largo.

Perle della nuova Pastorale: che aiutano a non segnare confini.

 

Pasta lievitata. Non autoreferenziale.

 

 

[Lunedì 2.a sett. Quaresima, 17 marzo 2025]

Incontro esemplare e Vita al culmine sconosciuto

(Lc 6,36-38)

 

È possibile mettere il Vangelo sotto «Misura» esemplare - ad es. di Legge (retributiva) o di Primo Testamento e Tradizione?

No, non si costruirebbe Famiglia. E il culmine di questo genere di esperienza sarebbe appannaggio etnico o élitario.

Configurazione e proposta che partorirebbe ovunque un mondo grigio, pedissequo, fragile; incapace di dialogo e scoperte sconosciute.

 

Dopo essersi sentiti separati da una qualità di vita umanizzante e divina, solo la consapevolezza di riconciliazione può trasformare ambienti e persone.

Tale il Gesù vivo e attuato in comunità.

Egli immette i suoi intimi in un’esperienza nuova di comprensione fluida, priva di orgoglio - malgrado “devoto”.

Senza appunto assumere atteggiamenti leziosi o ricalcati a fotocopia.

È allora che l'umiltà c’inonda senza sforzo, portando in vetta la Carità: nell'assetto celeste del Gratis che sposta lo sguardo.

 

Sopprimendo sopprimendo, gli artifici chiudono inesorabilmente la gioia di vivere.

La imbrigliano nei modi, nell’accentuazione senza fine degli sforzi - contro se stessi, e avversando il mondo altrui.

Convenzioni, doveri standard e reazioni, mai contengono le energie benevolenti, incisive, della crescita.

Nella vita dei Santi lo vediamo: ascoltarsi a fondo, lasciare che sia... e il Perdono, centuplicano l’amore.

Esso diviene sorgente di gesti incredibili in favore del prossimo; nell’accorgersi accentuato, nella cura, nell'ospitalità gratuita, nel dono totale e a fondo perduto.

 

C’è sempre stato bisogno dell’apporto di energie e situazioni - anche intime - nuove, delle loro sorprese.

Non scartare le ingenuità altrui significa aver imparato ad accogliere le nostre stesse fragilità e opposizioni.

Il mondo inizia a cambiare quando ci si accetta, nell’esperienza della stima del Dio-Con-noi.

Così impariamo a percepire Bellezza, invece che aridità e distacco: ciò che fa diventare la vita più intensa e insieme scorrevole.

 

Anche la conoscenza di Dio non è un bene di confisca o una scienza acquisita, già interiormente ed esteriormente pignorata.

Muove da un’azione e un’altra, incessantemente; si realizza in un Incontro sempre vivo, che non blocca né dissolve la personalità di ciascuno.

 

Il criterio di accoglienza (pur di beni variegati per l'anima), il principio di remissione, coesistenza, comunione (anche di risorse molteplici, persino materiali) sono stati i principali catalizzatori della crescita.

Fin nelle prime chiese, il vettore della Misericordia anche sommaria, in cose spicciole, è stato la scaturigine e il senso di tutte le formule, di tutti i segni della stessa Liturgia nascente.

Il centro esistenziale e spirituale cui convergere.

 

Ecco la conciliazione degli attriti fra consuetudini e concezioni meno chiuse, fra campanili e tribù interne, tradizionalisti e avanguardisti; così via.

Nello Spirito di Provvidenza, ogni composizione non si configura come semplice opera di magnanimità propria di chi cerca di guardare sempre avanti.

È inizio del mondo futuro; principio di un’avventura imprevedibile e indicibile, anche da scapicollo.

E noi in tale Regno, d’improvviso, rifatti ex novo. Rinati; come scaturiti dall’umanità nuova, condizione dei figli autentici.

Generati ancora dal Padre, che accorda tutto e tutti: perché venuti a un franco contatto, nella Persona del Cristo.

 

Insomma, il Perdono cristiano non è il comune “guardare positivo”. Né ha a che fare con il cosiddetto “pensiero positivo”.

La tolleranza dei figli non è un semplicistico “andare oltre” in senso artificioso. Come facendo finta di nulla e chiudendo un occhio [in modo spicciolo, talora intimamente sprezzante].

Lo spirito di comprensione cui siamo chiamati non deriva da paternalismo buonista, che salva solo le maniere.

È Novità di Dio che crea un ambiente di Grazia - con possibilità enormi, che sprizzano da energie difformi.

Inedito che irrompe per sgretolare primati, equilibri stagnanti.

Lo fa mediante un’impossibile apertura di credito - con una signoria di qualità e prospettive.

Scenari che rigenerano e riattivano persone, famiglie, fraternità; il mondo intero.

Tutto affinché veniamo gratuitamente collocati nella posizione e reciprocità che mette in grado di rivelare il senso nascosto - sbalorditivo - dell’essere e della vocazione.

Il motivo stesso per cui siamo nati.

 

Per-dono è una restituzione in sovraggiunta di tutta la dignità perduta. Anzi, ben oltre.

Non solo ci rimette in piedi; non solo ricupera. Migliora e potenzia i lati spenti.

Trasforma i mediocri o coloro che si accostano pur avendo una differente sensibilità, un pesante bagaglio, e i senza voce... in battistrada e geniali inventori.

Perché ciò che ieri era impensato, domani sarà di chiarificazione e traino.

Sulla scia di visioni o attese differenti, le confusioni acquisteranno un senso.

Il diradarsi delle nebbie non si otterrà grazie ai cuori normali e arruolati, sempre indulgenti verso se stessi ma severissimi quando qualcuno tocca i loro interessi e automatismi abitudinari.

L’opera di guarigione, di recupero dell’essere disperso - la terapia dei problemi veri - scaturirà bensì per l’opera dei disprezzati e intrusi.

Scartati, disprezzati, eccentrici, malfermi - fuori d’ogni giro e prevedibilità.

Pasta lievitata. Non autoreferenziale.

 

Ecco gli autentici virtuosi. Principio della Cattolicità, intesa come campo largo.

Le Perle della nuova Pastorale: coloro che aiutano a non segnare troppi confini ideali.

 

«C’è una felice formula di San Vincenzo di Lérins che, mettendo a confronto l’essere umano in crescita e la Tradizione che si trasmette da una generazione all’altra, afferma che non si può conservare il “deposito della fede” senza farlo progredire: «consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età» (Commonitorium primum, 23,9) – “ut annis consolideturdilatetur temporesublimetur aetate”. Questo è lo stile del nostro cammino: le realtà, se non camminano, sono come le acque. Le realtà teologiche sono come l’acqua: se l’acqua non scorre ed è stantia è la prima a entrare in putrefazione. Una Chiesa stantia incomincia a essere putrefatta [...]

E qui vorrei precisare che anche sul concetto di “popolo di Dio” ci possono essere ermeneutiche rigide e antagoniste, rimanendo intrappolati nell’idea di una esclusività, di un privilegio, come accadde per l’interpretazione del concetto di “elezione” che i profeti hanno corretto, indicando come dovesse essere rettamente inteso. Non si tratta di un privilegio – essere popolo di Dio –, ma di un dono che qualcuno riceve … per sé? No: per tutti, il dono è per donarlo: questa è la vocazione […]

Perché vi dico queste cose? Perché nel cammino sinodale, l’ascolto deve tener conto del sensus fidei, ma non deve trascurare tutti quei “presentimenti” incarnati dove non ce l’aspetteremmo: ci può essere un “fiuto senza cittadinanza”, ma non meno efficace.

Lo Spirito Santo nella sua libertà non conosce confini, e non si lascia nemmeno limitare dalle appartenenze. Se la parrocchia è la casa di tutti nel quartiere, non un club esclusivo, mi raccomando: lasciate aperte porte e finestre, non vi limitate a prendere in considerazione solo chi frequenta o la pensa come voi – che saranno il 3, 4 o 5%, non di più. Permettete a tutti di entrare… Permettete a voi stessi di andare incontro e lasciarsi interrogare, che le loro domande siano le vostre domande, permettete di camminare insieme: lo Spirito vi condurrà, abbiate fiducia nello Spirito. Non abbiate paura di entrare in dialogo e lasciatevi sconvolgere dal dialogo: è il dialogo della salvezza».

[Papa Francesco, Discorso alla Diocesi di Roma 18 settembre 2021]

 

Dice il Tao Tê Ching (LIX):

«Quando nessuno conosce il suo culmine, egli può possedere il regno».

 

Vita di pura Fede nello Spirito.

È il “meccanismo” paradossale e inedito che fa valutare i crocevia della storia, scioglie i nodi delle vere questioni.

Non solo supera, piuttosto soppianta i momenti difficili - riportandoci al vero percorso.

E orienta la realtà al bene concreto; poliedrico, non unilaterale.

Facendo volare la stessa realtà nello stupore dello Spirito, che si scatena in modo più importante del solito - verso se stessa.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Nella tua comunità vedi che qualcuno pretende di requisire il dato di Fede, trasformandolo in dovere misurato, prevedibile?

Secondo te, quale descrizione dell’opera di Dio trasmette?

Viceversa, quale effetto inimmaginabile e fuori scala per normali propositi ha prodotto un tuo pur primo o minimo coinvolgimento nella vita di Fede-amore personale?

 

 

Perdono e Fede: Incontro vivo

 

Gratis eccentrico, in avanti: Sacramento dell’umanità come tale

(Lc 17,1-6)

 

La conoscenza di Dio non è un bene di confisca o una scienza acquisita e già pignorata: muove da un’azione e un’altra, incessantemente; si realizza in un Incontro sempre vivo, che non ci blocca né dissolve.

Tipica, l’esperienza dei «piccoli» [mikròi v.2]. Sin dalle prime comunità di fede, essi sono stati coloro cui mancavano sicurezze ed energie; instabili e senz’appoggio.

Da sempre, «Piccoli» sono gli incipienti; i nuovi, che hanno sentito parlare di fraternità cristiana, ma che talora sono costretti a mettersi in fila, da parte, o rinunciare al cammino.

Ma il criterio di accoglienza, tolleranza, comunione anche di beni materiali, è stato il primo e principale catalizzatore della crescita delle assemblee.

Addirittura la scaturigine e il senso di tutte le formule e segni della liturgia.

Il centro esistenziale e ideale cui convergere. Per una Fede proattiva e in se stessa trasformativa.

 

Nello Spirito del Maestro, anche per noi la conciliazione degli attriti non si configura come semplice opera di magnanimità.

È inizio del mondo futuro. Principio di un’avventura imprevedibile e indicibile. E noi con esso d’improvviso rinati: venuti a un franco contatto nel Cristo. Colui che non ci spegne affatto.

Di qui il Perdono cristiano dei figli, che non è… “guardare positivo”, e “chiudere un occhio”: piuttosto, Novità di Dio che crea un ambiente di Grazia, propulsivo, con possibilità enormi.

Forza che irrompe e lascia incontrare paradossalmente i poli oscuri, invece di scuoterli di dosso. Eliminando in modo genuino paragoni, parole e zavorre inutili, che bloccano l’Esodo trasparente.

Dinamica che guida all’indispensabile e imprescindibile: onde spostare lo sguardo. Insegnando ad accorgersi dei propri isterismi, conoscersi, affrontare l’ansia, il suo motivo; a gestire situazioni e momenti di crisi.

Virtù plasmabile che pone in ascolto intimo dell’essenza personale.

Quindi Empatia solida, larga, che introduce nuove energie; fa incontrare i propri stati profondi, perfino la vita standard… suscitando altri saperi, diverse prospettive, relazioni inattese.

Così senza troppa lotta ci rinnova, e argina la perdita di veracità [tipica, quella in favore delle maniere di circostanza]. Accentua capacità e gli orizzonti della Pace - sgretolando primati, equilibri paludosi.

La scoperta di nuovi versanti dell’essere che siamo, trasmette un senso di migliore completezza, quindi spontaneamente argina influssi esterni, scioglie pregiudizi, non fa agire su base emotiva, impulsiva.

Colloca piuttosto nella posizione che mette in grado di rivelare il senso nascosto e sbalorditivo dell’essere. Dispiegando l’orizzonte cruciale.

 

Attivare «Perdono» è gratuitamente una restituzione in sovraggiunta del proprio ventaglio caratteriale, di tutta la dignità perduta, e ben oltre.

Deponendo le sentenze, l’arte della tolleranza dilata lo sguardo [anche intimo]. Migliora e potenzia i lati spenti; quelli che noi stessi avevamo detestato.

In tal guisa eccentrica trasforma i considerati lontani o mediocri [mikroi] in battistrada, e geniali inventori. Perché ciò che ieri era impensato, domani sarà di chiarificazione e traino.

Le confusioni acquisteranno un senso - proprio grazie al pensiero delle menti in crisi, e per l’azione dei disprezzati, intrusi, fuori d’ogni giro e prevedibilità.

Vita di pura Fede nello Spirito: ossia, la fantasia dei “fiacchi”… al potere.

Perché è il meccanismo paradossale che fa valutare i crocevia della storia, attiva le passioni, crea condivisione, risolve i veri problemi.

E dunque soppianta in avanti i momenti difficili (riportandoci al vero percorso) orientando la realtà al bene concreto.

Facendola volare verso se stessa.

 

L’alternativa “vittoria-o-sconfitta” è falsa: bisogna uscirne. È in tale “vuoto” e Silenzio che Dio si fa strada.

Mistero della Presenza, che trabocca. Nuova Alleanza.

 

 

Accrescere la fede: vita noiosa, intimidita, o la porta della speranza

 

Forse anche a noi è stato inculcato che la fede bisogna chiederla, così Dio ce l’aumenta. Invece abbiamo voce in capitolo, ma non nel senso d’una avance da rivolgere al Cielo.

La Fede è dono, però nel senso di proposta e iniziativa relazionale, faccia a faccia; che chiede percezione accogliente. Quindi non cresce per caduta d’un pacchetto - come a precipizio, o per infusione dall’alto. Addirittura forzandola, e convincendo il Padre.

Non è neppure un semplice assenso legato al carattere bonario. Non è un bagaglio di nozioni che qualcuno ha e dimostra in modo giusto; altri meno, o affatto.

Nell’innamoramento si può essere più o meno coinvolti!

Fede non è credere che Dio esista, ma l’aderire a un suggerimento sorgivo che (senza imposizioni) ci guida a trascurare la reputazione.

La persona di Fede non bada a spese o rischi, anche per la vita altrui. Tiene in sospeso le costumanze particolari; non anteporre gli affetti di cerchia. Perdona senza limiti.

Spesso siamo d’accordo solo in parte e accettiamo qualcosina - magari fino a che l’amore non vada sino in fondo, o ci rimetta in discussione.

Così la testa, i vezzi, la concatenazione dei valori, e il piccolo mondo cui siamo legati.

 

Accrescere la Fede? Il Dono non è un regalo, ma un Appello.

Perciò Gesù neppure risponde a una richiesta tanto ridicola - ciononostante fa riflettere sui risultati dell’eventuale adesione.

Basterebbe un minimo coinvolgimento e nel mondo si produrrebbero risultati straordinari (v.6); in comunità, nelle famiglie e nella vita personale.

Realizzeremmo l’impossibile e importante. Si risolverebbero i veri problemi. Si trasformerebbero anche le azioni più semplici.

Ci sono poi grandi eventi piantati nel cuore di ogni uomo, che forse consideriamo irrealizzabili: ad es. la fratellanza universale, la vittoria sulla fame, una vita dignitosa e bella per tutti, un mondo e una Chiesa senza personaggi volatili, corrotti e vanitosi.

Siccome le consideriamo situazioni impossibili, neppure iniziamo a edificarle - subito ci lasciamo cadere le braccia.

Ma la maturazione è frutto contromano di lati segreti, non di armature mentali impermeabili.

Come diceva un premio Nobel: «Gli innocenti non sapevano che il loro progetto era impossibile, per questo lo realizzarono».

E non è che dopo una vita impiegata nel servizio - agli ordini del Principale - nell’aldilà finalmente comanderemo, sulla base del rango conquistato [sebbene anche questo forse ci sia stato trasmesso].

Uno dei prodigi che compie in noi la Fede in Cristo - qui e ora - è farci prendere coscienza della bellezza e della gioia di avere libertà di scendere dai piedistalli già identificati, per favorire la vita piena (di tutti).

E a “fine mese” - alla “resa dei conti” o alla “paga” - non diventeremo finalmente dei boss - almeno in cielo!

Perché Dio è Comunione, convivialità delle differenze; e non accetta lo schema servo-padrone, addirittura come premio.

Mar 9, 2025

Sintonia

Dio non vuole che si perda nemmeno uno dei suoi figli e il suo animo trabocca di gioia quando un peccatore si converte. La vera religione consiste allora nell'entrare in sintonia con questo Cuore "ricco di misericordia", che ci chiede di amare tutti, anche i lontani e i nemici, imitando il Padre celeste che rispetta la libertà di ciascuno ed attira tutti a sé con la forza invincibile della sua fedeltà. Questa è la strada che Gesù mostra a quanti vogliono essere suoi discepoli: "Non giudicate... non condannate... perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato... Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro" (Lc 6, 36-38). In queste parole troviamo indicazioni assai concrete per il nostro quotidiano comportamento di credenti.

[Papa Benedetto, Angelus 16 settembre 2007]

1. "Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto il peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio" (2 Cor 5, 20-21).

Sono parole di San Paolo, che la Chiesa rilegge ogni anno, il Mercoledì delle Ceneri, all'inizio della Quaresima. Nel tempo quaresimale, la Chiesa desidera unirsi in modo particolare a Cristo, il quale, mosso interiormente dallo Spirito Santo, intraprese la sua missione messianica recandosi nel deserto e lì digiunò per quaranta giorni e quaranta notti (cfr Mc 1, 12-13).

Al termine di quel digiuno venne tentato da satana, come annota sinteticamente, nell'odierna liturgia, l'evangelista Marco (cfr 1, 13). Matteo e Luca, invece, trattano con maggiore ampiezza di questo combattimento di Cristo nel deserto e della sua definitiva vittoria sul tentatore: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto" (Mt 4, 10).

Chi parla così è Colui "che non aveva conosciuto peccato" (2 Cor 5, 21), Gesù, "il santo di Dio" (Mc 1, 24).

2. "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore" (2 Cor 5, 21). Poco fa, nella seconda Lettura, abbiamo ascoltato quest'affermazione sorprendente dell'Apostolo. Che cosa significano queste parole? Sembrano un paradosso, ed effettivamente lo sono. Come ha potuto Dio, che è la santità stessa, "trattare da peccato" il suo Figlio unigenito, inviato nel mondo? Eppure, proprio questo leggiamo nel passo della seconda Lettera di san Paolo ai Corinzi. Siamo di fronte ad un mistero: mistero a prima vista sconcertante, ma iscritto a chiare lettere nella divina Rivelazione.

Già nell'Antico Testamento, il Libro di Isaia ne parla con ispirata preveggenza nel quarto canto del Servo di Jahvé: "Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti" (Is 53, 6).

Cristo, il Santo, pur essendo assolutamente senza peccato, accetta di prendere su di sé i nostri peccati. Accetta per redimerci; accetta di farsi carico dei nostri peccati, per compiere la missione ricevuta dal Padre, il quale - come scrive l'evangelista Giovanni - "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui... abbia la vita eterna" (Gv 3, 16).

3. Dinanzi a Cristo che, per amore, si è addossato le nostre iniquità, siamo tutti invitati ad un profondo esame di coscienza. Uno degli elementi caratteristici del Grande Giubileo sta in ciò che ho qualificato come "purificazione della memoria" (Bolla Incarnationis mysterium, 11). Come Successore di Pietro, ho chiesto che "in questo anno di misericordia la Chiesa, forte della santità che riceve dal suo Signore, si inginocchi dinanzi a Dio ed implori il perdono per i peccati passati e presenti dei suoi figli" (ibid.). L'odierna prima Domenica di Quaresima mi è parsa l'occasione propizia perché la Chiesa, raccolta spiritualmente attorno al Successore di Pietro, implori il perdono divino per le colpe di tutti i credenti. Perdoniamo e chiediamo perdono!

Questo appello ha suscitato nella Comunità ecclesiale un'approfondita e proficua riflessione, che ha portato alla pubblicazione, nei giorni scorsi, di un documento della Commissione Teologica Internazionale, intitolato "Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato". Ringrazio quanti hanno contribuito all'elaborazione di questo testo. Esso è molto utile per una corretta comprensione e attuazione dell'autentica richiesta di perdono, fondata sulla responsabilità oggettiva che accomuna i cristiani, in quanto membra del Corpo mistico, e che spinge i fedeli di oggi a riconoscere, insieme con le proprie, le colpe dei cristiani di ieri, alla luce di un accurato discernimento storico e teologico. Infatti "per quel legame che, nel Corpo mistico, ci unisce gli uni agli altri, tutti noi, pur non avendone responsabilità personale e senza sostituirci al giudizio di Dio che solo conosce i cuori, portiamo il peso degli errori e delle colpe di chi ci ha preceduto" (Incarnationis mysterium, 11). Riconoscere le deviazioni del passato serve a risvegliare le nostre coscienze di fronte ai compromessi del presente, aprendo a ciascuno la strada della conversione.

4. Perdoniamo e chiediamo perdono! Mentre lodiamo Dio che, nel suo amore misericordioso, ha suscitato nella Chiesa una messe meravigliosa di santità, di ardore missionario, di totale dedizione a Cristo ed al prossimo, non possiamo non riconoscere le infedeltà al Vangelo in cui sono incorsi certi nostri fratelli, specialmente durante il secondo millennio. Chiediamo perdono per le divisioni che sono intervenute tra i cristiani, per l'uso della violenza che alcuni di essi hanno fatto nel servizio alla verità, e per gli atteggiamenti di diffidenza e di ostilità assunti talora nei confronti dei seguaci di altre religioni.

Confessiamo, a maggior ragione, le nostre responsabilità di cristiani per i mali di oggi. Dinanzi all'ateismo, all'indifferenza religiosa, al secolarismo, al relativismo etico, alle violazioni del diritto alla vita, al disinteresse verso la povertà di molti Paesi, non possiamo non chiederci quali sono le nostre responsabilità.

Per la parte che ciascuno di noi, con i suoi comportamenti, ha avuto in questi mali, contribuendo a deturpare il volto della Chiesa, chiediamo umilmente perdono.

In pari tempo, mentre confessiamo le nostre colpe, perdoniamo le colpe commesse dagli altri nei nostri confronti. Nel corso della storia innumerevoli volte i cristiani hanno subito angherie, prepotenze, persecuzioni a motivo della loro fede. Come perdonarono le vittime di tali soprusi, così perdoniamo anche noi. La Chiesa di oggi e di sempre si sente impegnata a purificare la memoria di quelle tristi vicende da ogni sentimento di rancore o di rivalsa. Il Giubileo diventa così per tutti occasione propizia per una profonda conversione al Vangelo. Dall'accoglienza del perdono divino scaturisce l'impegno al perdono dei fratelli ed alla riconciliazione reciproca.

5. Ma che cosa esprime per noi il termine "riconciliazione"? Per coglierne l'esatto senso e valore, bisogna prima rendersi conto della possibilità della divisione, della separazione. Sì, l'uomo è la sola creatura sulla terra che può stabilire un rapporto di comunione con il suo Creatore, ma è anche l'unica a potersene separare. Purtroppo, di fatto tante volte egli si allontana da Dio.

Fortunatamente molti, come il figlio prodigo, del quale parla il Vangelo di Luca (cfr Lc 15, 13), dopo aver abbandonato la casa paterna e dissipato l'eredità ricevuta giungendo a toccare il fondo, si rendono conto di quanto hanno perduto (cfr Lc 15, 13-17). Intraprendono allora la via del ritorno: "Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato..." (Lc 15, 18).

Dio, ben rappresentato dal padre della parabola, accoglie ogni figlio prodigo che a Lui fa ritorno. Lo accoglie mediante Cristo, nel quale il peccatore può ridiventare "giusto" della giustizia di Dio. Lo accoglie, perché ha trattato da peccato in nostro favore l'eterno suo Figlio. Sì, solo per mezzo di Cristo noi possiamo diventare giustizia di Dio (cfr 2 Cor 5, 21).

6. "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito". Ecco significato, in sintesi, il mistero della redenzione del mondo! Occorre rendersi conto fino in fondo del valore del grande dono che il Padre ci ha fatto in Gesù. Bisogna che davanti agli occhi della nostra anima si presenti Cristo - il Cristo del Getsemani, il Cristo flagellato, coronato di spine, carico della croce, ed infine crocifisso. Cristo ha assunto su di sé il peso dei peccati di tutti gli uomini, il peso dei nostri peccati, perché noi potessimo, in virtù del suo sacrificio salvifico, essere riconciliati con Dio.

Si presenta oggi davanti a noi come testimone Saulo di Tarso, diventato san Paolo: egli sperimentò, in modo singolare, la potenza della Croce sulla via di Damasco. Il Risorto si manifestò a lui in tutta la sua abbagliante potenza: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?... Chi sei, o Signore?... Io sono Gesù, che tu perseguiti!" (At 9, 4-5). Paolo, che sperimentò in modo così forte la potenza della Croce di Cristo, si rivolge oggi a noi con un'ardente preghiera: "Vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio". Questa grazia ci è offerta, insiste san Paolo, da Dio stesso, il quale dice a noi oggi: "Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso" (2 Cor 6, 1-2).

Maria, Madre del perdono, aiutaci ad accogliere la grazia del perdono che il Giubileo largamente ci offre. Fa' che la Quaresima di questo straordinario Anno Santo sia per tutti i credenti, e per ogni uomo che cerca Dio, il momento favorevole, il tempo della riconciliazione, il tempo della salvezza!

[Papa Giovanni Paolo II, omelia Giornata del Perdono, Anno Santo 2000, 12 marzo]

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St Teresa of Avila wrote: «the last thing we should do is to withdraw from our greatest good and blessing, which is the most sacred humanity of Our Lord Jesus Christ» (cf. The Interior Castle, 6, ch. 7). Therefore, only by believing in Christ, by remaining united to him, may the disciples, among whom we too are, continue their permanent action in history [Pope Benedict]
Santa Teresa d’Avila scrive che «non dobbiamo allontanarci da ciò che costituisce tutto il nostro bene e il nostro rimedio, cioè dalla santissima umanità di nostro Signore Gesù Cristo» (Castello interiore, 7, 6). Quindi solo credendo in Cristo, rimanendo uniti a Lui, i discepoli, tra i quali siamo anche noi, possono continuare la sua azione permanente nella storia [Papa Benedetto]
Just as he did during his earthly existence, so today the risen Jesus walks along the streets of our life and sees us immersed in our activities, with all our desires and our needs. In the midst of our everyday circumstances he continues to speak to us; he calls us to live our life with him, for only he is capable of satisfying our thirst for hope (Pope Benedict)
Come avvenne nel corso della sua esistenza terrena, anche oggi Gesù, il Risorto, passa lungo le strade della nostra vita, e ci vede immersi nelle nostre attività, con i nostri desideri e i nostri bisogni. Proprio nel quotidiano continua a rivolgerci la sua parola; ci chiama a realizzare la nostra vita con Lui, il solo capace di appagare la nostra sete di speranza (Papa Benedetto)
Truth involves our whole life. In the Bible, it carries with it the sense of support, solidity, and trust, as implied by the root 'aman, the source of our liturgical expression Amen. Truth is something you can lean on, so as not to fall. In this relational sense, the only truly reliable and trustworthy One – the One on whom we can count – is the living God. Hence, Jesus can say: "I am the truth" (Jn 14:6). We discover and rediscover the truth when we experience it within ourselves in the loyalty and trustworthiness of the One who loves us. This alone can liberate us: "The truth will set you free" (Jn 8:32) [Pope Francis]
La verità ha a che fare con la vita intera. Nella Bibbia, porta con sé i significati di sostegno, solidità, fiducia, come dà a intendere la radice ‘aman, dalla quale proviene anche l’Amen liturgico. La verità è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere. In questo senso relazionale, l’unico veramente affidabile e degno di fiducia, sul quale si può contare, ossia “vero”, è il Dio vivente. Ecco l’affermazione di Gesù: «Io sono la verità» (Gv 14,6). L’uomo, allora, scopre e riscopre la verità quando la sperimenta in sé stesso come fedeltà e affidabilità di chi lo ama. Solo questo libera l’uomo: «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32) [Papa Francesco]
God approached man in love, even to the total gift, crossing the threshold of our ultimate solitude, throwing himself into the abyss of our extreme abandonment, going beyond the door of death (Pope Benedict)
Dio si è avvicinato all’uomo nell’amore, fino al dono totale, a varcare la soglia della nostra ultima solitudine, calandosi nell’abisso del nostro estremo abbandono, oltrepassando la porta della morte (Papa Benedetto)
And our passage too, which we received sacramentally in Baptism: for this reason Baptism was called, in the first centuries, the Illumination (cf. Saint Justin, Apology I, 61, 12), because it gave you the light, it “let it enter” you. For this reason, in the ceremony of Baptism we give a lit blessed candle, a lit candle to the mother and father, because the little boy or the little girl is enlightened (Pope Francis)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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