Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
(Lc 12,32-48)
Lampade accese, partire subito
(Lc 12,32-38)
Per far comprendere cosa significa essere preparati per partire immediatamente, Gesù sollecita il nostro accorgersi, le capacità di percezione.
Egli non spegne l’attitudine al giudizio inedito, e guadagna stupore.
Perché i ruoli s’invertono d’improvviso - quindi bisogna essere aperti alla fiducia: chi pare piccolo diventa “grande” in modo repentino.
La religione antica trascina i problemi, e fa ammalare, inculcando lo spirito di sottomissione e fatica, a salario. E lo schiavo resta tale.
Servitore e padrone sono viceversa in relazione di reciprocità e invertono incessantemente i ruoli.
Come dice Lc, il Signore stesso «si cingerà e li farà adagiare [posizione dei signori del tempo durante i banchetti solenni] e passando li servirà» come fosse un «diacono» (v.37 testo greco).
Ciò attiva una vigilanza totale, pronta a smuovere l’intera persona, i territori (Fratelli Tutti, n.1: «al di là del luogo del mondo»), le gerarchie.
Chi si sentiva “impiegato” diventa “direttore” e protagonista: acquisisce attitudine alla pienezza.
Nel Regno di Dio le forme di vita cambiano.
Nelle religioni senza il passo della Fede - viceversa - si consolidano le nomenclature.
Nella Chiesa non si tesoreggia, perché il nostro cuore non vive di mondanità e competizioni: i beni vengono trasformati in relazione e possibilità d’incontro.
Cristo ha mostrato la Via dell’autentico arricchimento. Così ci ha trasformati in esseri forse inquieti, ma alacri.
Non riusciamo neppure a riposare in modo tranquillo: abbiamo un passo che sorvola.
Infatti sembra stranissimo che questo Padrone non giunga all’orario previsto. Invece Cristo vuol essere reinterpretato.
Tale condizione è per noi fonte di crescita: accentua la vigilanza sugli accadimenti, le pieghe della storia; sul senso degli incontri, i moti dell'anima; così via.
Quindi la vita nello Spirito sfida e arricchisce il lato esuberante della personalità, accentuando le più singolari occasioni d’inedito.
Il «maggiordomo» posto a servizio della Casa di Dio e dei fratelli ha il compito di aiutare il discernimento dinamico, e il dovere di sostenerlo.
Il suo servizio in favore altrui sarà a tutto tondo, perché ciascuno possa corrispondere alla Chiamata e procedere sulle proprie gambe.
‘Beati’ allora saremo (v.38) senza condizione, ma con la cintura ai fianchi, ossia con l’atteggiamento di chi lascia una terra di schiavitù.
«Era ben consapevole di ciò la primitiva comunità cristiana che si considerava quaggiù "forestiera" e chiamava i suoi nuclei residenti nelle città "parrocchie", che significa appunto colonie di stranieri [in greco pàroikoi] (cfr 1Pt 2, 11). In questo modo i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo» [Papa Benedetto, Angelus 12 agosto 2007]
Non «ritorno», e gente libera
Presenza e Venuta senza contese
(Lc 12,39-48)
Gesù tira le orecchie a quelli di Casa, non per autolesionismo: non è amore né libertà non poter capire in quale direzione andare, non avere una mèta che trasmetta senso al nostro pellegrinare in ricerca.
Già nelle comunità dei primi secoli era viva l’idea della fine del mondo e dell’immediatamente successivo «ritorno» del Risorto ad aggiustare le cose - come un qualsiasi Messia. Così qualcuno non s’impegnava più. Altri rimanevano col nasino all’insù, per scrutare il cielo.
Ma la Venuta del Cristo è sempre imminente, e il Giudizio sulle cose del mondo è già stato pronunciato sulla Croce.
Nel suo Spirito che fa nuove tutte le cose, e nei suoi intimi, il Signore non si è mai trasferito (altrove; o in alto) [cf. Mt 28,20].
La fase finale della storia inizia appunto da questo germe di Fede non alienata, di Persona non repressa, e di società alternativa; ma la storia da scrivere è compito della Chiesa.
Il nuovo cielo e la nuova terra della Presenza che divinizza è già palpitante. In tal guisa, Egli è accanto a noi quando lottiamo per la realizzazione e la vita piena di tutti.
Poi, in nessun passo dei Vangeli è scritto che Gesù «tornerà»: sebbene non percepibile ai sensi, non si è mai allontanato.
Gode di una Vita piena, non condizionata da coordinate spazio temporali come la nostra.
Egli è ‘il Veniente’ [testo greco, passim]: colui che Viene senza posa, e si fa compagno di viaggio - non solo in figura eccezionale.
L’attenzione delle persone impressionabili già negli anni 80 si spostava (purtroppo) sul Ritorno invece che sulla «Venuta incessante»: ossia, percezione della sua Amicizia nelle cose anche comuni, nell’Appello dei bisognosi; nel Richiamo delle intuizioni, della Parola, degli accompagnatori del nostro viaggio; nel genio del tempo, e persino nelle vicende di tutti i giorni.
«Venuta» è: nei traguardi che sorridono, ma persino e forse ancor più negli scogli da vivere - o aggirare, spostando lo sguardo; nelle delusioni, che ci guidano a cercare una gioia meno esteriore.
Così - secondo il desiderio del Signore - la buona guida della comunità cristiana si farà servitrice degli smarriti, non si approprierà dei beni della Chiesa, diverrà vigilante anche in favore altrui.
È fondamentale che i primi della classe non si lascino trascinare dal desiderio adolescenziale di autoaffermarsi, con avidità di privilegi e incetta di mansioni rilevanti.
La fedeltà è atteggiamento richiesto specialmente a coloro che nelle assemblee hanno un compito particolare e preciso, di guida: vietato abusarne!
L’unica smania da cui devono sentirsi presi è quella di affrettare l’ora della Comunione e introdurre un’energia rigeneratrice, anche nei ruoli.
Pietro è però condizionato dal falso insegnamento tradizionale, del tutto antitetico, e non riesce a concepirlo.
Secondo il Maestro, invece, i capi e responsabili di comunità non sono dei privilegiati o eletti esclusivi, bensì coloro cui è chiesto di fare più e meglio.
Gente libera.
Unico obbiettivo plausibile del cammino particolare nella potenza del Risorto è di carattere materno e universale: «partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo fratelli» [FT n.278].
[19a Domenica T.O. (anno C), 10 agosto 2025]
Senza meccanismi, né adempimenti che non ci riguardano
(Mt 17,22-27)
Anche i giudei dispersi nel mondo romano pagavano un’imposta annuale per il mantenimento del Tempio, che in realtà non figurava fra i contributi obbligatori previsti nella Torah (Es 30,11-16).
I convertiti alla nuova Fede in Cristo di Galilea e Siria si chiedevano se avessero ancora l’obbligo di continuare a pagare il balzello, per il luogo di culto e la classe sacerdotale.
La cifra dovuta era pur accessibile [si trattava di una somma pari a un paio di giornate di lavoro].
Gesù esprime la sua opinione attraverso un’analogia.
Roma aveva concesso l’amministrazione della Palestina a monarchi, principi e tetrarchi. I sudditi erano obbligati a pagare le imposte, esclusi i cittadini romani.
Il giovane Rabbi afferma: come coloro che possedevano la cittadinanza giuridica di Roma erano esenti dai tributi imposti ai giudei dai loro governanti, così i figli [nelle comunità di Mt, giudeo cristiani] dovevano essere esenti dalle imposte relative al Tempio.
Ma era forse opportuno esprimere un atteggiamento di rispetto circa un obbligo legale.
Dal tono e composizione del testo sembra però che tale criterio di lealismo verso le istituzioni si sia innestato su un precedente detto di Gesù, riguardante la totale libertà nei confronti del Santuario.
Egli intendeva sostituirlo in termini vitali: con la sua Persona e quella dei suoi intimi. Spazzandone via i manierismi artificiosi ed esterni.
In merito alla Cristologia specifica del brano, essa è nota: il Signore provvede e “paga” per i suoi amici (v.27).
Infatti l’acronimo di «pesce» in lingua greca [«ichthys»: Iēsous Christos Theou Yios Sōtēr] ha il significato di Gesù Messia Figlio di Dio Salvatore. Simbolo della Fede.
In tal guisa, l’autentico impegno dei figli sarà quello di manifestare un Volto di Dio assolutamente diverso da quello diffuso nella mentalità dell’oriente antico e mesopotamico.
Il Padre infatti non siede in una Nube percorsa da fulmini; non brama il titolo di «Grande» che richiama l’idea di forza tremenda, potenza terrificante, rapidità dirompente.
No, non è questa la ‘precedenza’ dell’uomo divino e dell’Altissimo. Egli nei suoi offre redenzione, e paga il tributo per tutti.
Beninteso, la Salvezza non è un meccanismo estrinseco, solo vicario. La Redenzione è Cuore, non un “vestito”.
Il «Figlio dell’uomo» non assume azioni standard; ci educa: affina la consapevolezza personale, e della nostra condizione.
Non lo fa per paternalismo, né per coprirci di accuse moraliste: consente di amare, scavalcando il formalismo nel rapporto col Padre.
La sua Presenza di Agnello che offre tutto di sé - anche la pelle - interpella l’umanità e la guida a riflettere sulla sua realtà, precaria anche nel cuore.
Coscienza d’incompletezza che può attivare ciò che conta: il cammino di Esodo, convinto, coinvolgente - a partire dal Centro di sé, piuttosto che da esteriorità legali.
Senza adempimenti che non ci riguardano.
[Lunedì 19.a sett. T.O. 11 agosto 2025]
Il Signore Gesù è andato incontro alla passione, ha imboccato con decisione la via della croce; Egli parlava apertamente ai suoi discepoli di ciò che doveva accadergli a Gerusalemme, e l’oracolo del profeta Osea risuonava nelle sue stesse parole: “Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni, risorgerà” (Mc 9,31).
L’evangelista annota che i discepoli “non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo” (v. 32). Anche noi, di fronte alla morte, non possiamo non provare i sentimenti e i pensieri dettati dalla nostra condizione umana. E sempre ci sorprende e ci supera un Dio che si fa così vicino a noi da non fermarsi nemmeno davanti all’abisso della morte, che anzi lo attraversa, rimanendo per due giorni nel sepolcro. Ma proprio qui si attua il mistero del “terzo giorno”. Cristo assume fino in fondo la nostra carne mortale affinché essa sia investita dalla gloriosa potenza di Dio, dal vento dello Spirito vivificante, che la trasforma e la rigenera. E’ il battesimo della passione (cfr Lc 12,50), che Gesù ha ricevuto per noi e di cui scrive san Paolo nella Lettera ai Romani. L’espressione che l’Apostolo utilizza – “battezzati nella sua morte” (Rm 6,3) – non cessa mai di stupirci, tale è la concisione con cui riassume il vertiginoso mistero. La morte di Cristo è fonte di vita, perché in essa Dio ha riversato tutto il suo amore, come in un’immensa cascata, che fa pensare all’immagine contenuta nel Salmo 41: “Un abisso chiama l’abisso / al fragore delle tue cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde / sopra di me sono passati” (v. 8). L’abisso della morte viene riempito da un altro abisso, ancora più grande, che è quello dell’amore di Dio, così che la morte non ha più alcun potere su Gesù Cristo (cfr Rm 8,9), né su coloro che, per la fede e il Battesimo, sono associati a Lui: “Se siamo morti con Cristo – dice san Paolo – crediamo che anche vivremo con lui” (Rm 8,8). Questo “vivere con Gesù” è il compimento della speranza profetizzata da Osea: “… e noi vivremo alla sua presenza” (6,2).
[Papa Benedetto, omelia 3 novembre 2011]
8. Redenzione: rinnovata creazione
Redentore del mondo! In lui si è rivelata in modo nuovo e più mirabile la fondamentale verità sulla creazione, che il Libro della Genesi attesta quando ripete più volte: «Dio vide che era cosa buona» Il bene ha la sua sorgente nella Sapienza e nell'Amore. In Gesù Cristo il mondo visibile, creato da Dio per l'uomo - quel mondo che, essendovi entrato il peccato, «è stato sottomesso alla caducità» - riacquista nuovamente il vincolo originario con la stessa sorgente divina della Sapienza e dell'Amore. Infatti, «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito». Come nell'uomo-Adamo questo vincolo è stato infranto, così nell'uomo-Cristo esso è stato di nuovo riallacciato. Non ci convincono forse, noi uomini del ventesimo secolo, le parole dell'Apostolo delle genti, pronunciate con una travolgente eloquenza, circa la «creazione (che) geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» ed «attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio», circa la creazione che «è stata sottomessa alla caducità»? L'immenso progresso, non mai prima conosciuto, che si è verificato, particolarmente nel corso del nostro secolo, nel campo del dominio sul mondo da parte dell'uomo, non rivela forse esso stesso, e per di più in grado mai prima raggiunto, quella multiforme sottomissione «alla caducità»? Basta solo qui ricordare certi fenomeni, quali la minaccia di inquinamento dell'ambiente naturale nei luoghi di rapida industrializzazione, oppure i conflitti armati che scoppiano e si ripetono continuamente, oppure le prospettive di autodistruzione mediante l'uso delle armi atomiche, all'idrogeno, al neutrone e simili, la mancanza di rispetto per la vita dei non nati. Il mondo della nuova epoca, il mondo dei voli cosmici, il mondo delle conquiste scientifiche e tecniche, non mai prima raggiunte, non è nello stesso tempo il mondo che «geme e soffre» ed «attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio»?
Il Concilio Vaticano II, nella sua penetrante analisi «del mondo contemporaneo», perveniva a quel punto che è il più importante del mondo visibile, l'uomo, scendendo - come Cristo - nel profondo delle coscienze umane, toccando il mistero interiore dell'uomo, che nel linguaggio biblico (ed anche non biblico) si esprime con la parola «cuore». Cristo, Redentore del mondo, è Colui che è penetrato, in modo unico e irrepetibile, nel mistero dell'uomo ed è entrato nel suo «cuore». Giustamente, quindi, il Concilio Vaticano II insegna: «In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5, 14), e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione». E poi ancora: «Egli è l'immagine dell'invisibile Iddio (Col 1, 15). Egli è l'uomo perfetto, che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, già resa deforme fin dal primo peccato. Poiché in Lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche a nostro beneficio innalzata a una dignità sublime. Con la sua incarnazione, infatti, il Figlio stesso di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria Vergine, Egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato». Egli, il Redentore dell'uomo!
[Papa Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis]
«Il trionfalismo nella Chiesa — ha proseguito il Papa — ferma la Chiesa. Il trionfalismo di noi cristiani ferma i cristiani. Una Chiesa trionfalista è una Chiesa a metà cammino». Una Chiesa che si accontentasse di essere «ben sistemata, con tutti gli uffici, tutto a posto, tutto bello, efficiente», ma che rinnegasse i martiri sarebbe «una Chiesa che soltanto pensa ai trionfi, ai successi; che non ha quella regola di Gesù: la regola del trionfo tramite il fallimento. Il fallimento umano, il fallimento della croce. E questa è una tentazione che tutti noi abbiamo».
E in proposito il Papa ha ricordato un episodio della sua vita: «Una volta, ero in un momento buio della mia vita spirituale, e chiedevo una grazia dal Signore. Sono andato a predicare gli esercizi dalle suore e l’ultimo giorno si sono confessate. È venuta a confessarsi una suora anziana, più di ottant’anni, ma con gli occhi chiari, proprio luminosi. Era una donna di Dio. Poi alla fine l’ho vista tanto donna di Dio che le ho detto: “Suora, come penitenza preghi per me, perché ho bisogno di una grazia, eh? Se lei la chiede al Signore, me la darà sicuro”. Lei si è fermata un attimo, come se pregasse, e mi ha detto questo: “Sicuro che il Signore le darà la grazia ma, non si sbagli: con il suo modo divino”. Questo mi ha fatto tanto bene: sentire che il Signore ci dà sempre quello che chiediamo ma lo fa con il suo modo divino». Questo modo, ha spiegato il Papa, «coinvolge la croce. Non per masochismo, no no: per amore, per amore fino alla fine».
[Papa Francesco, omelia s. Marta 29 maggio 2013;
(Lc 12,32-48)
Lampade accese, partire subito
(Lc 12,32-38)
Per far comprendere cosa significa essere preparati per partire immediatamente, Gesù sollecita il nostro accorgersi, le capacità di percezione.
Egli non spegne l’attitudine al giudizio inedito, e guadagna stupore.
Perché i ruoli s’invertono d’improvviso - quindi bisogna essere aperti alla fiducia: chi pare piccolo diventa “grande” in modo repentino.
La religione antica trascina i problemi, e fa ammalare, inculcando lo spirito di sottomissione e fatica, a salario. E lo schiavo resta tale.
Servitore e padrone sono viceversa in relazione di reciprocità e invertono incessantemente i ruoli.
Come dice Lc, il Signore stesso «si cingerà e li farà adagiare [posizione dei signori del tempo durante i banchetti solenni] e passando li servirà» come fosse un «diacono» (v.37 testo greco).
Ciò attiva una vigilanza totale, pronta a smuovere l’intera persona, i territori (Fratelli Tutti, n.1: «al di là del luogo del mondo»), le gerarchie.
Chi si sentiva “impiegato” diventa “direttore” e protagonista: acquisisce attitudine alla pienezza.
Nel Regno di Dio le forme di vita cambiano.
Nelle religioni senza il passo della Fede - viceversa - si consolidano le nomenclature.
Nella Chiesa non si tesoreggia, perché il nostro cuore non vive di mondanità e competizioni: i beni vengono trasformati in relazione e possibilità d’incontro.
Cristo ha mostrato la Via dell’autentico arricchimento. Così ci ha trasformati in esseri forse inquieti, ma alacri.
Non riusciamo neppure a riposare in modo tranquillo: abbiamo un passo che sorvola.
Infatti sembra stranissimo che questo Padrone non giunga all’orario previsto. Invece Cristo vuol essere reinterpretato.
Tale condizione è per noi fonte di crescita: accentua la vigilanza sugli accadimenti, le pieghe della storia; sul senso degli incontri, i moti dell'anima; così via.
Quindi la vita nello Spirito sfida e arricchisce il lato esuberante della personalità, accentuando le più singolari occasioni d’inedito.
Il «maggiordomo» posto a servizio della Casa di Dio e dei fratelli ha il compito di aiutare il discernimento dinamico, e il dovere di sostenerlo.
Il suo servizio in favore altrui sarà a tutto tondo, perché ciascuno possa corrispondere alla Chiamata e procedere sulle proprie gambe.
‘Beati’ allora saremo (v.38) senza condizione, ma con la cintura ai fianchi, ossia con l’atteggiamento di chi lascia una terra di schiavitù.
«Era ben consapevole di ciò la primitiva comunità cristiana che si considerava quaggiù "forestiera" e chiamava i suoi nuclei residenti nelle città "parrocchie", che significa appunto colonie di stranieri [in greco pàroikoi] (cfr 1Pt 2, 11). In questo modo i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo» [Papa Benedetto, Angelus 12 agosto 2007]
Non «ritorno», e gente libera
Presenza e Venuta senza contese
(Lc 12,39-48)
Gesù tira le orecchie a quelli di Casa, non per autolesionismo: non è amore né libertà non poter capire in quale direzione andare, non avere una mèta che trasmetta senso al nostro pellegrinare in ricerca.
Già nelle comunità dei primi secoli era viva l’idea della fine del mondo e dell’immediatamente successivo «ritorno» del Risorto ad aggiustare le cose - come un qualsiasi Messia. Così qualcuno non s’impegnava più. Altri rimanevano col nasino all’insù, per scrutare il cielo.
Ma la Venuta del Cristo è sempre imminente, e il Giudizio sulle cose del mondo è già stato pronunciato sulla Croce.
Nel suo Spirito che fa nuove tutte le cose, e nei suoi intimi, il Signore non si è mai trasferito (altrove; o in alto) [cf. Mt 28,20].
La fase finale della storia inizia appunto da questo germe di Fede non alienata, di Persona non repressa, e di società alternativa; ma la storia da scrivere è compito della Chiesa.
Il nuovo cielo e la nuova terra della Presenza che divinizza è già palpitante. In tal guisa, Egli è accanto a noi quando lottiamo per la realizzazione e la vita piena di tutti.
Poi, in nessun passo dei Vangeli è scritto che Gesù «tornerà»: sebbene non percepibile ai sensi, non si è mai allontanato.
Gode di una Vita piena, non condizionata da coordinate spazio temporali come la nostra.
Egli è ‘il Veniente’ [testo greco, passim]: colui che Viene senza posa, e si fa compagno di viaggio - non solo in figura eccezionale.
L’attenzione delle persone impressionabili già negli anni 80 si spostava (purtroppo) sul Ritorno invece che sulla «Venuta incessante»: ossia, percezione della sua Amicizia nelle cose anche comuni, nell’Appello dei bisognosi; nel Richiamo delle intuizioni, della Parola, degli accompagnatori del nostro viaggio; nel genio del tempo, e persino nelle vicende di tutti i giorni.
«Venuta» è: nei traguardi che sorridono, ma persino e forse ancor più negli scogli da vivere - o aggirare, spostando lo sguardo; nelle delusioni, che ci guidano a cercare una gioia meno esteriore.
Così - secondo il desiderio del Signore - la buona guida della comunità cristiana si farà servitrice degli smarriti, non si approprierà dei beni della Chiesa, diverrà vigilante anche in favore altrui.
È fondamentale che i primi della classe non si lascino trascinare dal desiderio adolescenziale di autoaffermarsi, con avidità di privilegi e incetta di mansioni rilevanti.
La fedeltà è atteggiamento richiesto specialmente a coloro che nelle assemblee hanno un compito particolare e preciso, di guida: vietato abusarne!
L’unica smania da cui devono sentirsi presi è quella di affrettare l’ora della Comunione e introdurre un’energia rigeneratrice, anche nei ruoli.
Pietro è però condizionato dal falso insegnamento tradizionale, del tutto antitetico, e non riesce a concepirlo.
Secondo il Maestro, invece, i capi e responsabili di comunità non sono dei privilegiati o eletti esclusivi, bensì coloro cui è chiesto di fare più e meglio.
Gente libera.
Unico obbiettivo plausibile del cammino particolare nella potenza del Risorto è di carattere materno e universale: «partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo fratelli» [FT n.278].
[19a Domenica T.O. (anno C), 10 agosto 2025]
Dov’è il cuore ecclesiale?
(Lc 12,32-48)
«Dove è il vostro Tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (v.34). Non è un problema personale o istituzionale abusato, insipido; da facili ironie.
Ignorarlo significa concedergli ulteriore respiro, facendolo crescere a dismisura; rendendolo ancor più fuori tempo e difficile leggerlo (e individuarne le terapie).
Tutto ciò, però, va fatto mettendo fra parentesi le precipitazioni… nello spirito di comprensione più largo. Fermo restando che per comprendersi e attivare differenti risorse ogni comunità deve attraversare i momenti della verifica più severa.
Anche per chiese denominazionali di ampia e prestigiosa tradizione, la coscienza di essere oggi perdenti sotto questo aspetto è indispensabile per ritrovarsi. Superando l’incaglio… in avanti, “in uscita”.
Leggiamo nell’Enciclica «Spe Salvi» n.2 («La Fede è Speranza»):
«Speranza è una parola centrale della fede biblica – al punto che in diversi passi le parole “fede” e “speranza” sembrano interscambiabili […]
Quanto sia stato determinante per la consapevolezza dei primi cristiani l'aver ricevuto in dono una speranza affidabile, si manifesta anche là dove viene messa a confronto l'esistenza cristiana con la vita prima della fede o con la situazione dei seguaci di altre religioni […]
I loro dèi si erano rivelati discutibili e dai loro miti contraddittori non emanava alcuna speranza. Nonostante gli dèi, essi erano “senza Dio” e conseguentemente si trovavano in un mondo buio, davanti a un futuro oscuro. “In nihil ab nihilo quam cito recidimus” (Nel nulla dal nulla quanto presto ricadiamo) dice un epitaffio di quell'epoca […]
Compare come elemento distintivo dei cristiani il fatto che essi hanno un futuro: non è che sappiano nei particolari ciò che li attende, ma sanno nell'insieme che la loro vita non finisce nel vuoto.
Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente. Così possiamo ora dire: il cristianesimo non era soltanto una “buona notizia” – una comunicazione di contenuti fino a quel momento ignoti.
Nel nostro linguaggio si direbbe: il messaggio cristiano non era solo “informativo”, ma “performativo”. Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita.
La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova».
Nella forma della Relazione, tutto apre la vita intensa - che integra e valica l’amor proprio, la sete di dominio.
Ciò libera dal “vecchio”, ossia chiude un ciclo di percorsi già messi a punto - per farci tornare come neonati.
La Speranza che ha peso smantella l’inessenziale; espelle il rumore dei pensieri che non sono più in sintonia con la nostra crescita, e introduce energie sognanti, una ricchezza di possibilità.
Ci saranno resistenze iniziali, ma lo sviluppo si predispone.
La Speranza sacrifica le zavorre e ci attiva secondo il “divino interiore”. Spalanca le porte a una nuova fase, più luminosa e corrispondente.
I tesori della terra rapidamente accecano; allo stesso modo passano: d’improvviso. L’età della crisi globale ce lo sbatte in faccia.
Eppure, è un dolore necessario.
Capiamo: i nuovi percorsi non sono tracciati dai beni, né da memorie devote, ma dal Vuoto che fa da intercapedine a facilonerie comuni, scontate, rassicuranti.
La religiosità buona per tutte le stagioni cede il passo alla vita inedita di Fede.
Qui si colloca l’Arte del discernimento e della pastorale: dovrebbe saper introdurre nuove energie competitive, difformi - cosmiche e personali - che preparano sintesi inedite, aperte, gratuite.
Lo sappiamo, eppure in alcune cerchie (prestigiose e già straricche) la bramosia di possedere sotto parvenza di necessità non consente di vedere chiaro.
Capita anche a dei consacrati di lungo corso - non si capisce perché tale avida, sommaria doppiezza.
Vogliamo ancora emergere, sollevando altre confusioni? In fondo siamo scontenti delle nostre scelte mediocri.
All’inizio della Vocazione sentivamo la necessità d’una Relazione che infondesse Senso e un Centro alla ferialità…
Poi abbiamo deviato, forse per insoddisfazione o motivi di calcolo e comodo - e l’ottundimento degli occhi malati di rapina ha prevalso. Prima qua e là, via via occupando l’anima.
Anche in alcuni dirigenti e ambiti di spicco ecclesiale, la base dell’esistenza è diventato il conto corrente a molti zeri.
Così… la scena vanitosa, il sacchetto del commercio, l’ebbrezza del salire sul tabellone, in diverse realtà hanno soppiantato i cuori veri - e gli occhi stessi.
Come dire: c’è un’altra esperienza del “divino”, dozzinale: fra un Salmo e l’altro, meglio dell’Amore diventa il sentirsi potente, sicuro e rispettato attorno.
(Dio e l’accumulo danno ordini diversi? Non c’è problema: facciamo intendere che lo si fa per la “sua” Gloria).
E bando al bene comune.
Non pochi si stanno accorgendo che il far di conto è lo sport più frequentato in diverse aziende pie multimpianti, fantasticamente imbellettate di eventi e iniziative (a copertura di quel che vale).
E cartina al tornasole è proprio quello scrutare meschino (vv.22-23) che dietro fitte quinte, trattiene, giudica persino, e si tiene a distanza dagli altri. Con lo sguardo che chiude l’orizzonte dell’esistenza: conta l’immediatamente a portata di mano, e di circostanza.
Un credere in apparenza sovrabbondante - guarda caso senza il rilievo della Speranza - ci sta condannando al peggiore tasso di denatalità mondiale.
Il panorama dei nostri devotissimi paesini e cittadine vuoti è sconfortante. Ma ci si bea del proprio loculo, e della piccina situazione.
L’importante è che tutto sia epidermicamente adornato.
Sotto il campanile particolare che dà il ritmo alle solite cose, molta gente trattiene il “suo” (troppo) per sé, accontentandosi di sacralizzare egoismi con l’esibizione di belle statue, usi, stendardi, costumi variopinti e manierismi.
Invece, secondo i Vangeli, nei tentativi e nei percorsi di Fede che non si accontentano d’una spiritualità vuota, la vita diventa luminosa d’Amore creativo che rifiorisce, e mette tutti a proprio agio.
Anche il vecchio potrà riemergere in questo nuovo spirito, stavolta perenne. Perché ci sono altre Altezze. Perché ciò che rende intimi a Dio non è nulla di esterno.
L’autentica Chiesa suscitata da “visioni” limpide - senza cartapesta e doppiezze - rivela sempre qualcosa di portentoso: la fecondità dalla nullità, la vita dall’effusione di essa, la nascita dall’apparente sterilità.
Un fiume di sintonie impensate riallaccerà la lettura degli accadimenti e l’azione dei credenti all’opera dello Spirito, senza barriere.
Perché quando qualcuno cede il pensiero normalizzato e si deposita, il nuovo avanza.
La scelta è ormai inesorabile: tra morte e vita; fra bramosia, invecchiamento e tenebra (v.23), o Felicità.
Il primo passo è ammettere di dover fare un cammino.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Dov’è il tuo Tesoro? Il tuo cuore e il tuo occhio sono semplici?
Hai mai fatto esperienza di lati che altri giudicano inconcludenti (dal punto di vista materiale) e che invece hanno preparato i tuoi nuovi percorsi?
Lampade accese, partire subito
Parrocchie: tensione al Cielo, senza gravare né ostacolare
(Lc 12,35-38)
Per far comprendere cosa significa essere preparati per partire immediatamente, Gesù sollecita il nostro accorgersi, le capacità di percezione.
Egli non spegne l’attitudine al giudizio inedito, e guadagna stupore.
Perché i ruoli s’invertono d’improvviso - quindi bisogna essere aperti alla fiducia: chi pare piccolo diventa “grande” in modo repentino.
La religione antica trascina i problemi, e fa ammalare, inculcando lo spirito di sottomissione e fatica, a salario. Lo schiavo resta tale, sebbene insegua chissà cosa.
Nell’avventura di Fede, non ci s’impegna per traguardi che non corrispondono. In aggiunta, servitore e padrone sono in relazione di reciprocità e invertono incessantemente i ruoli.
Come dice Lc, il Signore stesso «si cingerà e li farà adagiare [posizione dei signori del tempo durante i banchetti solenni] e passando li servirà» come fosse un «diacono» (v.37 testo greco).
Ciò attiva una vigilanza totale, pronta a smuovere l’intera persona, i territori (Fratelli Tutti, n.1: «al di là del luogo del mondo»), le gerarchie.
Chi si sentiva “impiegato” diventa “direttore” e protagonista: acquisisce attitudine alla pienezza.
Nel Regno di Dio le forme di vita cambiano. Nelle religioni - viceversa - si consolidano le nomenclature, e proprio i sintomi degli errori trovano addirittura una sacralizzazione.
Molte forme devote hanno un altro fondamento, una ben diversa idea di come arricchire l’esistenza, rispetto all’esperienza di Fede.
Nella Chiesa non si tesoreggia, perché il nostro cuore non vive di mondanità e competizioni: i beni vengono trasformati in relazione e possibilità d’incontro.
La mansione particolare e l’esistenza intera di ciascuno diventa fonte di gioia per le persone disperate, nutrimento per chi cerca comprensione, ascolto, accoglienza, un «vero riconoscimento» (Fratelli Tutti, 221).
Dice il Tao Tê Ching (LXVI): «Il santo sta disopra e il popolo non n’è gravato, sta davanti e il popolo non n’è ostacolato».
Cristo ha mostrato la Via dell’autentico arricchimento. Così ci ha trasformati in esseri forse inquieti, ma alacri.
Non riusciamo a dormire neppure di notte, a fare vacanza, a riposare in modo tranquillo, rilassato, normale, ma abbiamo un passo che sorvola.
Sospiriamo di continuo, non per la fortuna materiale, ma perché l’occasione della vita potrebbe non trovarci pronti a riconoscerla.
Diceva Agostino: «Timeo Dominum transeuntem».
Nelle religioni tutto sembra chiaro e prefissato - e in realtà tutto è lasciato nel dubbio e a una stramba ipotesi di futuro sospirato.
Ed infatti è stranissimo che questo Padrone non giunga all’orario previsto.
Invece Cristo vuol essere reinterpretato.
Egli è vivente in noi, congiunti e coeredi - Incarnato, tutto reale. Se così, dilagherà anche nei ribelli, modificandone la visuale.
Tale condizione è per noi fonte di crescita: accentua la vigilanza sugli accadimenti, le pieghe della storia; sul senso degli incontri, i moti dell'anima, e così via.
Quindi la vita nello Spirito sfida e arricchisce il lato esuberante della personalità, accentuando le più singolari occasioni d’inedito.
Il Signore ammette persino il girovagare: talora abbiamo bisogno di perderci, per ritrovarci - e coincidere con ciò che siamo in essenza, e stiamo diventando.
Il «maggiordomo» posto a servizio della Casa di Dio e dei fratelli ha il compito di aiutare il discernimento dinamico, e il dovere di sostenerlo.
Il suo servizio in favore altrui sarà a tutto tondo, perché ciascuno possa corrispondere alla Chiamata e procedere sulle proprie gambe.
E lo faremo volentieri, senza sforzo alcuno, per eccesso di Grazia che ci si fa incontro: malgrado e a motivo dell’indeterminatezza, perché fatti largamente ricchi da Dio.
Beati (v.38) senza condizione, ma con la cintura ai fianchi, ossia con l’atteggiamento di chi lascia una terra di schiavitù.
«Era ben consapevole di ciò la primitiva comunità cristiana che si considerava quaggiù "forestiera" e chiamava i suoi nuclei residenti nelle città "parrocchie", che significa appunto colonie di stranieri [in greco pàroikoi] (cfr 1Pt 2, 11). In questo modo i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo».
(Papa Benedetto, Angelus 12 agosto 2007)
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
La comunità cristiana accentua la tua percezione personale o la smorza? Ti fa vivere in uno stato paludoso e prevedibile, dove tutte le soluzioni sono pronte, complete e già sperimentate, o ti fa ripartire con prontezza, immediatamente e in modo autonomo?
Presenza e Venute senza contese, non «ritorno»
(Lc 12,39-48)
Gesù tira le orecchie a quelli di Casa, non per autolesionismo: non è amore né libertà non poter capire in quale direzione andare, non avere una mèta che trasmetta senso al nostro pellegrinare in ricerca.
Già nelle comunità dei primi secoli era viva l’idea della fine del mondo e dell’immediatamente successivo «ritorno» del Risorto ad aggiustare le cose (come un qualsiasi Messia).
Così qualcuno non s’impegnava più. Altri rimanevano col nasino all’insù, per scrutare il cielo.
Ma la Venuta del Cristo è sempre imminente, e il Giudizio sulle cose del mondo è già stato pronunciato sulla Croce.
La fase finale della storia inizia da questo germe di Fede, di Persona e società alternative, ma la storia da scrivere è compito della Chiesa.
Il nuovo cielo e la nuova terra della Presenza che divinizza è palpitante. Egli è già accanto a noi quando lottiamo per la realizzazione e la vita piena di tutti.
Per tale motivo, in epigrafe all’enciclica Fratelli Tutti, ecco stagliarsi la figura pratica ed eloquente di s. Francesco «che si sentiva fratello del sole, del mare e del vento, sapeva di essere ancora più unito a quelli che erano della sua stessa carne. Dappertutto seminò pace e camminò accanto ai poveri, agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi» (n.2).
I Vangeli e il Magistero recente - non più neutrale - intonano il de profundis alla spiritualità intimista e vuota che ha segnato il cattolicesimo di massa in Occidente.
Chiaro il motivo per cui in nessun passo dei Vangeli è scritto che Gesù «tornerà»: sebbene non percepibile ai sensi, non si è mai allontanato.
Gode di una Vita piena, non condizionata da coordinate spazio temporali.
Egli è il Veniente (testo greco, passim): colui che Viene senza posa, e si fa compagno di viaggio - non solo nelle figure eccezionali come il Santo d’Assisi.
Tuttavia già negli anni 80 del primo secolo l’attenzione delle persone impressionabili si stava spostando - purtroppo - sul Ritorno invece che sulla Venuta provvidente - perno della Fede positiva nella vita stessa, che rivela il Volto del Dio-Con.
«Venuta incessante»: è percezione della sua Amicizia nelle cose, anche comuni, nell’Appello dei bisognosi, nel Richiamo delle intuizioni, della Parola e degli accompagnatori del nostro viaggio...
«Venuta» è: nei traguardi che sorridono, ma persino e forse ancor più negli scogli da vivere - o aggirare, spostando lo sguardo; nelle delusioni, che ci guidano a cercare una gioia meno esteriore.
È «Avvento» del Cristo l’istinto vocazionale che ci attiva, il senso della fraternità vivente, l’amicizia sensibile di tutti coloro che sanno comprendere, introdurre e coordinare - nonché la predilezione per le relazioni di qualità; la Fiducia nel genio del tempo, persino nelle vicende di tutti i giorni.
Così - secondo il desiderio del Signore - la buona guida della comunità cristiana si farà servitore degli smarriti, non si approprierà dei beni della Chiesa, e diverrà vigilante anche in favore altrui.
È fondamentale che i primi della classe non si lascino trascinare dal desiderio adolescenziale di autoaffermarsi, con avidità di privilegi e incetta di mansioni rilevanti.
La fedeltà è atteggiamento richiesto specialmente a coloro che nelle assemblee hanno un compito particolare e preciso: vietato abusarne!
L’unica smania da cui devono sentirsi presi è quella di affrettare l’ora della Comunione e introdurre un’energia rigeneratrice (anche nei ruoli).
Pietro è però condizionato dal falso insegnamento tradizionale, del tutto antitetico, e non riesce a concepirlo.
Secondo il Maestro, invece, i capi e responsabili di comunità non sono dei privilegiati o eletti, esclusivisti, bensì coloro cui è chiesto di fare più e meglio - non in favore loro!
Il mondo e la Chiesa hanno bisogno di meno finti padroni - piuttosto, di servitori diligenti e convinti, che attirino per testimonianza diretta.
Unico obbiettivo plausibile del cammino particolare nella potenza dello Spirito è di carattere materno e universale: «partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo fratelli» (FT, 278).
Dice il Tao (LXVI): «La ragione per cui fiumi e mari possono essere sovrani di cento valli è che ben se ne tengono al disotto: perciò possono essere sovrani di cento valli. Così chi vuol stare disopra al popolo con i detti se ne pone al disotto, chi vuol stare davanti al popolo con la persona ad esso si pospone».
E il maestro Ho shang-Kung commenta: «Il mondo non si sazia del santo, perché costui non contende con gli altri per il primo o l’ultimo posto».
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Nella tua comunità hai incontrato servitori o padroni?
Le guide ti aiutano a cercare il balzo, la realizzazione autentica, la gioia interiore?
Il respiro eucaristico del servizio-riposo
Libertà e punti di forza, anche in rodaggio
(Lc 12,32-48)
La luce deve rimanere accesa. Ricordo che in seminario non potevamo affiggere sulla porta della stanza il cartello “non disturbare” o “sto riposando“. Era fatto divieto chiuderla a chiave, perché dovevamo rimanere a completa disposizione di qualsiasi richiesta.
Poi l’intero periodo educativo era concepito nei termini di una profonda interiorizzazione personale alla scoperta della propria singolare, irripetibile Vocazione - invece di guardare sempre la valigia.
I superiori volevano educarci a essere immagini di un Dio Servo, non indifferente, che sa accogliere e tergere ogni lacrima - anche quella più stravagante. Non per rincorrere capricci, ma per aiutarci a scavare in noi stessi, far scendere in campo il nostro Nucleo e guardarci in faccia.
Impossibile affrontare i nostri squilibri con una mentalità a compartimenti stagni, già rassicurante: facevamo esperienza di vita che procedeva oltre le preoccupazioni, come sapientemente guidata.
Così imparavamo a riconsiderare tutto ciò che avevamo scambiato per arma vincente. I saperi che consideravamo acquisiti, le opinioni altrui e convenzionali... Bagagli che non avrebbero lasciato vibrare alcun raggio.
Rientrando in noi stessi sotto mille sollecitazioni differenti, ci rendevamo più capaci di percepire la strada che corrispondeva personalmente, ripetutamente esercitandoci ad ascoltare e affidare le vicende all’istinto infallibile della Chiamata, che apriva da sé il sentiero delle scelte.
Il portato delle esperienze precedenti, delle proprie abilità, delle memorie, veniva recuperato, assorbito e reinvestito su un binario che ci pareva misteriosamente a misura di ciascuno.
Non mancavano purtroppo esempi di ragazzi molto brillanti e pieni di speranze che crollavano non appena subivano l’impatto della realtà di parrocchia a Roma. Per noi di provincia, sembrava assai strano.
Avremmo capito più tardi. Nella vita spirituale e pastorale di trincea che già si annunciava, sarebbe poi stato lo sforzo del compromesso e della performance di circostanza (da mettere in scena) a renderci tristi, insicuri e maldestri - sia con noi stessi che con il prossimo.
Il Vangelo accenna alle ricchezze materiali, che vanno e vengono. Perfino in riferimento ad esse, la domanda è di fondo. Come rapportarsi con i beni? E dov’è il Tesoro comunitario?
Anche nel gruzzolo personale.
Un ambiente o un’assemblea (pure in rodaggio) può trasmettere a ciascuno una pienezza di fortuna - patrimoniale (se manca) e anzitutto di essere - dove le poliedriche risorse eccezionali vengono tramutate in relazione.
Persino in contesto vitale e capitalizzante, la soglia della Felicità resta nell’esperienza globale della propria intima Perla celata, che forse alcuni giudicano inconcludente. Ma che diverrà globale. Distintivo del Signore.
In una Chiesa viva, tale Rubino avrà la possibilità di manifestarsi e crescere - affinché anche nell’era della crisi ci sentiamo liberi e accolti; adeguati. Condizione indispensabile dell’Amore e di ogni energia ben spesa.
Per questo motivo Gesù insiste sul versante della consapevolezza e personalizzazione, senza le quali è impossibile - nel riconoscere il proprio contributo - un’esperienza completa sia di dote che di virtù.
In una famiglia in cui respiriamo uno spirito di disponibilità si è assai più sciolti nell’armonizzare il proprio carisma, abilitati a conoscersi in toto.
La comunità dei figli è quella delle vesti rimboccate senza sforzo, perché la convivialità delle differenze è anche il nido ideale per il rinvenimento e il vaglio dei propri talenti irripetibili, dell’identità-carattere della propria Radice.
Lì c’è il nostro Inedito, che nel tempo del troppo affaccendarsi può impallidire, tuttavia ci attira anche in situazioni smorzanti.
Solo non dissolvendosi nell’indistinto delle omologazioni rendiamo più netto l’apporto e si evitano i tempi morti delle relazioni, costruendo Amicizia in continuità, senza accozzaglie confuse che affossino il gratis delle inclinazioni.
Solo nel rispetto dell’irripetibile sia la donna che l’uomo evitano l’alternarsi delle stagioni di comunione alle stagioni dell’egoismo. E quando capitano, le si rende sane e incisive.
Solo nel vaglio del proprio Dono si può accogliere il porgersi altrui e divenire Beati (vv.37-38.43), ossia godere di un’esistenza colmata.
Nel mondo che abbiamo a portata di gamba nulla sembra durevole, tutto molto incerto, illusorio e alterno. Come conoscere quella Dovizia che permane (vv.33-34)?
Le strategie per il successo sociale o per la conoscenza di se stessi spesso riflettono la sensibilità altrui o sono copiate da ruoli; esse allora incrinano l’Io profondo, e ci rendono ancora più insicuri.
Convinzioni e credenze assorbite dall’esterno fanno arroccare su comportamenti impostati; poi intristire per l’inesorabile buco nell’acqua.
Il mondo che rappresentiamo è temporaneo e vive con l’orologio in mano, ma il nostro lato eterno non ha il sapore della superficie: appartiene all’era profonda delle radici intime, ha una diversa età.
Non siamo fatti di mentalità deformanti e costumanze apprese, né di precipitazioni. Il Seme dell’essenza personale e comunitaria è più creativo, presente e forte di tutte le aspettative conformiste.
Farà breccia tra le nostre mura, anche se il pensiero comune non lo volesse - e ci sorprenderà (altrimenti lascerà un’eredità pessima).
Bisogna dunque creare le condizioni affinché l’impeto relazionale del nostro tempo non generi sudditanze plagianti: esse appiattiscono lo scambio consapevole e il ricambio della partecipazione.
In tal guisa, la Via della nuova Sapienza Eucaristica ecclesiale sgorgherà spontaneamente per il sostegno (e nel consiglio) del percepirsi reciproco, onde consentire a ciascuno di far affiorare ed evolvere la bizzarria inestimabile del senza-tempo personale.
Un appello superiore per una inclinazione all’ascolto, ospitalità e discernimento, che cesellino le differenti polarità - solidali e soggettive - affinché scendano in campo e siano; facendo quel che devono.
Emarginare gli altri e la propria eccentricità - dove si annida il rubino spesso trattenuto della Chiamata per Nome - sarebbe una morte anticipata.
In ogni orchestra polifonica, qualsivoglia strumento deve avere tempo e spazio non difformi dall’espressione della singolare fisionomia.
Ciò arricchisce la consonanza e il richiamo delle percezioni, senza lasciarsi asfaltare da moralismi [la conta dei difetti] o frastuoni di grancasse che umiliano la capacità anticonformista di accorgersi (vv.35-40.45-46).
Autentico accordo d’Alleanza è quello che fa brillare il carattere delle qualità. L’Armonia non si ferma a qualche pseudo-ammiccamento alla moda.
Gli scostamenti da quanto propugnato dalle sirene - valutati come difetti - sono viceversa energie che ci realizzano, perché consentono al nostro Nucleo di scendere in campo: è il custode della nostra unicità.
Programma dei Vangeli: farsi poveri per arricchire, generosi per porgere, umili per accogliere, ma profondi per non cadere nell’autopunizione. Così - avendo trasmutato il modo con cui ci si guarda - svegliarci e ripartire.
È in questo modo che Lui passerà a servire (v.37): se siamo noi stessi.
Ecco il Tesoro, la fiaccola non fumigante, il punto di forza e l’equilibrio difforme della Missione; anche grazie al nostro eventuale senso di follia, quello che ci appartiene profondamente.
Insieme alla fraternità e alla comunione dei beni [cf. Domenica scorsa], la Lampada accesa è avere cura di lasciarsi riconoscere signori nel Signore (vv.37.42.44). Affinché diventiamo più liberi.
Respiro eucaristico. Per un servizio-riposo nell’essere.
Cari fratelli e sorelle,
la liturgia di questa diciannovesima domenica del tempo ordinario […] è tutta orientata verso il futuro, verso il cielo, dove la Vergine Santa ci ha preceduti nella gioia del paradiso. In particolare, la pagina evangelica, proseguendo il messaggio di domenica scorsa, invita i cristiani a distaccarsi dai beni materiali in gran parte illusori, e a compiere fedelmente il proprio dovere con una costante tensione verso l'alto. Il credente resta desto e vigilante per essere pronto ad accogliere Gesù quando verrà nella sua gloria. Attraverso esempi tratti dalla vita quotidiana, il Signore esorta i suoi discepoli, cioè noi, a vivere in questa disposizione interiore, come quei servi della parabola che sono in attesa del ritorno del loro padrone. "Beati quei servi - Egli dice - che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli" (Lc 12, 37). Dobbiamo dunque vegliare, pregando e operando il bene.
È vero, sulla terra siamo tutti di passaggio, come opportunamente ci ricorda la seconda lettura dell'odierna liturgia, tratta dalla Lettera agli Ebrei. Essa ci presenta Abramo in abito di pellegrino, come un nomade che vive in una tenda e sosta in una regione straniera. A guidarlo è la fede. "Per fede - scrive l'autore sacro - Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava (Eb 11, 8). La sua vera meta era infatti "la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso" (11, 10). La città a cui si allude non è in questo mondo, ma è la Gerusalemme celeste, il paradiso. Era ben consapevole di ciò la primitiva comunità cristiana che si considerava quaggiù "forestiera" e chiamava i suoi nuclei residenti nelle città "parrocchie", che significa appunto colonie di stranieri [in greco pàroikoi] (cfr 1Pt 2, 11). In questo modo i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo. L'odierna liturgia della Parola vuole pertanto invitarci a pensare "alla vita del mondo che verrà", come ripetiamo ogni volta che con il Credo facciamo la nostra professione di fede. Un invito a spendere la nostra esistenza in modo saggio e previdente, a considerare attentamente il nostro destino, e cioè quelle realtà che noi chiamiamo ultime: la morte, il giudizio finale, l'eternità, l'inferno e il paradiso. E proprio così noi assumiamo la responsabilità per il mondo e costruiamo un mondo migliore.
La Vergine Maria, che dal cielo veglia su di noi, ci aiuti a non dimenticare che qui, sulla terra, siamo solo di passaggio, e ci insegni a prepararci ad incontrare Gesù che "siede alla destra di Dio Padre Onnipotente: di là verrà a giudicare i vivi e i morti".
[Papa Benedetto, Angelus 12 agosto 2007]
45. Ricevendo il Pane di vita, i discepoli di Cristo si dispongono ad affrontare, con la forza del Risorto e del suo Spirito, i compiti che li attendono nella loro vita ordinaria. In effetti, per il fedele che ha compreso il senso di ciò che ha compiuto, la celebrazione eucaristica non può esaurirsi all'interno del tempio. Come i primi testimoni della risurrezione, i cristiani convocati ogni domenica per vivere e confessare la presenza del Risorto sono chiamati a farsi nella loro vita quotidiana evangelizzatori e testimoni. L'orazione dopo la comunione e il rito di conclusione — benedizione e congedo — vanno, sotto questo profilo, riscoperti e meglio valorizzati, perché quanti hanno partecipato all'Eucaristia sentano più profondamente la responsabilità ad essi affidata. Dopo lo scioglimento dell'assemblea, il discepolo di Cristo torna nel suo ambiente abituale con l'impegno di fare di tutta la sua vita un dono, un sacrificio spirituale gradito a Dio (cfr Rm 12, 1). Egli si sente debitore verso i fratelli di ciò che nella celebrazione ha ricevuto, non diversamente dai discepoli di Emmaus i quali, dopo aver riconosciuto « alla frazione del pane » il Cristo risuscitato (cfr Lc 24, 30-32), avvertirono l'esigenza di andare subito a condividere con i loro fratelli la gioia dell'incontro con il Signore (cfr Lc 24, 33-35).
[Papa Giovanni Paolo II, Dies Domini]
Nell’odierna pagina evangelica (cfr Lc 12,32-48), Gesù richiama i suoi discepoli alla continua vigilanza. Perché? Per cogliere il passaggio di Dio nella propria vita, perché Dio continuamente passa nella vita. E indica le modalità per vivere bene questa vigilanza: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese» (v. 35). Questa è la modalità. Anzitutto «le vesti strette ai fianchi», un’immagine che richiama l’atteggiamento del pellegrino, pronto per mettersi in cammino. Si tratta di non mettere radici in comode e rassicuranti dimore, ma di abbandonarsi, di essere aperti con semplicità e fiducia al passaggio di Dio nella nostra vita, alla volontà di Dio, che ci guida verso la meta successiva. Il Signore sempre cammina con noi e tante volte ci accompagna per mano, per guidarci, perché non sbagliamo in questo cammino così difficile. Infatti, chi si fida di Dio sa bene che la vita di fede non è qualcosa di statico, ma è dinamica! La vita di fede è un percorso continuo, per dirigersi verso tappe sempre nuove, che il Signore stesso indica giorno dopo giorno. Perché Lui è il Signore delle sorprese, il Signore delle novità, ma delle vere novità.
E poi – la prima modalità era “le vesti strette ai fianchi” – poi ci è richiesto di mantenere «le lampade accese», per essere in grado di rischiarare il buio della notte. Siamo invitati, cioè, a vivere una fede autentica e matura, capace di illuminare le tante “notti” della vita. Lo sappiamo, tutti abbiamo avuto giorni che erano vere notti spirituali. La lampada della fede richiede di essere alimentata di continuo, con l’incontro cuore a cuore con Gesù nella preghiera e nell’ascolto della sua Parola. Riprendo una cosa che vi ho detto tante volte: portate sempre un piccolo Vangelo in tasca, nella borsa, per leggerlo. È un incontro con Gesù, con la Parola di Gesù. Questa lampada dell’incontro con Gesù nella preghiera e nella sua Parola ci è affidata per il bene di tutti: nessuno, dunque, può ritirarsi intimisticamente nella certezza della propria salvezza, disinteressandosi degli altri. È una fantasia credere che uno possa da solo illuminarsi dentro. No, è una fantasia. La fede vera apre il cuore al prossimo e sprona verso la comunione concreta con i fratelli, soprattutto con coloro che vivono nel bisogno.
E Gesù, per farci capire questo atteggiamento, racconta la parabola dei servitori che attendono il ritorno del padrone quando torna dalle nozze (vv. 36-40), presentando così un altro aspetto della vigilanza: essere pronti per l’incontro ultimo e definitivo col Signore. Ognuno di noi si incontrerà, si troverà in quel giorno dell’incontro. Ognuno di noi ha la propria data dell’incontro definitivo. Dice il Signore: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; … E, se giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!» (vv. 37-38). Con queste parole, il Signore ci ricorda che la vita è un cammino verso l’eternità; pertanto, siamo chiamati a far fruttificare tutti i talenti che abbiamo, senza mai dimenticare che «non abbiamo qui la città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura» (Eb 13,14). In questa prospettiva, ogni istante diventa prezioso, per cui bisogna vivere e agire su questa terra avendo la nostalgia del cielo: i piedi sulla terra, camminare sulla terra, lavorare sulla terra, fare il bene sulla terra, e il cuore nostalgico del cielo.
Noi non possiamo capire davvero in cosa consista questa gioia suprema, tuttavia Gesù ce lo fa intuire con la similitudine del padrone che trovando ancora svegli i servi al suo ritorno: «si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (v. 37). La gioia eterna del paradiso si manifesta così: la situazione si capovolgerà, e non saranno più i servi, cioè noi, a servire Dio, ma Dio stesso si metterà a nostro servizio. E questo lo fa Gesù fin da adesso: Gesù prega per noi, Gesù ci guarda e prega il Padre per noi, Gesù ci serve adesso, è il nostro servitore. E questa sarà la gioia definitiva. Il pensiero dell’incontro finale con il Padre, ricco di misericordia, ci riempie di speranza, e ci stimola all’impegno costante per la nostra santificazione e per costruire un mondo più giusto e fraterno.
La Vergine Maria, con la sua materna intercessione, sostenga questo nostro impegno.
[Papa Francesco, Angelus 11 agosto 2019]
This was well known to the primitive Christian community, which considered itself "alien" here below and called its populated nucleuses in the cities "parishes", which means, precisely, colonies of foreigners [in Greek, pároikoi] (cf. I Pt 2: 11). In this way, the first Christians expressed the most important characteristic of the Church, which is precisely the tension of living in this life in light of Heaven (Pope Benedict)
Era ben consapevole di ciò la primitiva comunità cristiana che si considerava quaggiù "forestiera" e chiamava i suoi nuclei residenti nelle città "parrocchie", che significa appunto colonie di stranieri [in greco pàroikoi] (cfr 1Pt 2, 11). In questo modo i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso il cielo (Papa Benedetto)
A few days before her deportation, the woman religious had dismissed the question about a possible rescue: “Do not do it! Why should I be spared? Is it not right that I should gain no advantage from my Baptism? If I cannot share the lot of my brothers and sisters, my life, in a certain sense, is destroyed” (Pope John Paul II)
Pochi giorni prima della sua deportazione la religiosa, a chi le offriva di fare qualcosa per salvarle la vita, aveva risposto: "Non lo fate! Perché io dovrei essere esclusa? La giustizia non sta forse nel fatto che io non tragga vantaggio dal mio battesimo? Se non posso condividere la sorte dei miei fratelli e sorelle, la mia vita è in un certo senso distrutta" (Papa Giovanni Paolo II)
By willingly accepting death, Jesus carries the cross of all human beings and becomes a source of salvation for the whole of humanity. St Cyril of Jerusalem commented: “The glory of the Cross led those who were blind through ignorance into light, loosed all who were held fast by sin and brought redemption to the whole world of mankind” (Catechesis Illuminandorum XIII, 1: de Christo crucifixo et sepulto: PG 33, 772 B) [Pope Benedict]
Accettando volontariamente la morte, Gesù porta la croce di tutti gli uomini e diventa fonte di salvezza per tutta l’umanità. San Cirillo di Gerusalemme commenta: «La croce vittoriosa ha illuminato chi era accecato dall’ignoranza, ha liberato chi era prigioniero del peccato, ha portato la redenzione all’intera umanità» (Catechesis Illuminandorum XIII,1: de Christo crucifixo et sepulto: PG 33, 772 B) [Papa Benedetto]
The discovery of the Kingdom of God can happen suddenly like the farmer who, ploughing, finds an unexpected treasure; or after a long search, like the pearl merchant who eventually finds the most precious pearl, so long dreamt of (Pope Francis)
La scoperta del Regno di Dio può avvenire improvvisamente come per il contadino che arando, trova il tesoro insperato; oppure dopo lunga ricerca, come per il mercante di perle, che finalmente trova la perla preziosissima da tempo sognata (Papa Francesco)
In the New Testament, it is Christ who constitutes the full manifestation of God's light [Pope Benedict]
The triumphalism that belongs to Christians is what passes through human failure, the failure of the cross. Letting oneself be tempted by other triumphalisms, by worldly triumphalisms, means giving in to the temptation to conceive of a «Christianity without a cross», a «Christianity in the middle» (Pope Francis)
Il trionfalismo che appartiene ai cristiani è quello che passa attraverso il fallimento umano, il fallimento della croce. Lasciarsi tentare da altri trionfalismi, da trionfalismi mondani, significa cedere alla tentazione di concepire un «cristianesimo senza croce», un «cristianesimo a metà» (Papa Francesco)
don Giuseppe Nespeca
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