Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Gesù ci ricorda che l’odio del mondo per i suoi discepoli rivela l’odio verso di Lui.
E aggiunge che se hanno perseguitato il Figlio di Dio, i suoi non saranno trattati meglio.
Francesco era convinto che solo l’amore e la cortesia spengono l’odio e davanti alla persecuzione per Cristo conta perseverare nella chiamata ricevuta.
Nella Leggenda dei tre compagni si legge:
"Mentre prolungava il soggiorno in quel luogo, suo padre, preoccupato, andava cercando dove mai fosse finito il figlio.
Venne così a sapere che, completamente trasformato, abitava presso San Damiano.
L’uomo ne fu profondamente addolorato e, sconvolto da quell’incredibile voltafaccia del figlio, chiamò amici e vicini e in tutta furia si precipitò a San Damiano.
Francesco, divenuto ormai cavaliere di Cristo, com’ebbe appreso che i suoi lo minacciavano, presentendone l’irruzione, per schivare la violenta ira paterna, andò a rifugiarsi in una caverna segreta, che aveva appositamente preparato, e vi restò nascosto un mese intero.
La caverna era conosciuta da un solo membro della famiglia.
Costui portava di quando in quando al sequestrato volontario del cibo, che consumava senza farsi vedere.
E pregava con abbondanti lacrime che il Signore lo liberasse da quella persecuzione e amorevolmente lo aiutasse a realizzare le sue aspirazioni" (FF 1416).
E ancora:
"Un giorno, infuocato di entusiasmo, lasciò la caverna e si mise in cammino verso Assisi, vivace, lesto e gaio. Armato di fiducia in Cristo e acceso di amore celeste, rinfacciava a se stesso la codardia e la vana trepidazione, e con audacia decise di esporsi alle mani e ai colpi dei persecutori.
Al primo vederlo, quelli che lo conoscevano com’era prima, presero ad insultarlo, gridando ch’era un pazzo e un insensato, gettandogli fango e sassi.
Vedendolo così mutato, sfinito dalle penitenze, attribuivano ad esaurimento e demenza il suo cambiamento.
Ma il cavaliere di Cristo passava in mezzo a quella tempesta senza farci caso, non lasciandosi colpire e agitare dalle ingiurie, rendendo invece grazie a Dio" (FF 1417).
L’esser chiamati da Dio per il suo Regno, comporta vivere sulle orme di Cristo: quanto vissuto dal Signore.
Il servo non è superiore al suo padrone e certamente viene messo alla prova come lui.
Forte di questo, Francesco visse in unità con Gesù la persecuzione di chi non considerava né viveva la Parola di Dio.
«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me» (Gv 15,18)
Sabato della 5.a sett. di Pasqua (Gv 15,18-21)
Nei versetti del Vangelo di oggi Gesù chiama ad amarsi scambievolmente, come Lui ci ha amati, sino in fondo.
Nella vita di Francesco questo comandamento brillò particolarmente.
Amava i suoi con predilezione e aveva cura dei poveri e di quei lebbrosi un tempo aborriti.
Le Fonti c’informano con passi significativi.
"Da allora si rivestì dello spirito di povertà, di un intimo sentimento d’umiltà e di pietà profonda.
Mentre prima aborriva non solo la compagnia dei lebbrosi, ma perfino il vederli da lontano, ora, a causa di Cristo crocifisso, che, secondo le parole del profeta, ha assunto l’aspetto spregevole di un lebbroso, li serviva con umiltà e gentilezza, nell’intento di raggiungere il pieno disprezzo di se stesso.
Visitava spesso le case dei lebbrosi; elargiva loro generosamente l’elemosina e con grande compassione ed affetto baciava loro le mani e il volto.
Anche per i poveri mendicanti bramava spendere non solo i suoi beni, ma perfino se stesso.
Talvolta, per loro si spogliava dei vestiti, talvolta li faceva a pezzi, quando non aveva altro da donare.
Soccorreva pure, con riverenza e pietà, i sacerdoti poveri, provvedendo specialmente alla suppellettile dell’altare, per diventare, così, partecipe del culto divino, mentre sopperiva al bisogno dei ministri del culto" (FF 1036).
Per il Poverello dare la vita per i suoi amici era pane quotidiano e gioia del cuore.
Aveva insegnato ai frati a soccorrere il proprio fratello nelle necessità e nei pericoli, pronti a dare la vita perché l’altro fosse.
Nella Leggenda dei tre compagni:
"Un giorno che due frati camminavano insieme, si imbatterono in un pazzo, che si mise a lanciare delle pietre contro di loro.
Uno di essi, vedendo che le pietre erano dirette contro il compagno, subito gli si mise davanti, preferendo essere colpito lui a posto del fratello.
Tale era l’amore reciproco che li infiammava, e così sinceramente erano pronti a dare la vita l’uno per l’altro" (FF 1447).
E ancora:
"A chi voleva entrare nell’Ordine il Santo insegnava a ripudiare anzitutto il mondo, offrendo a Dio prima i beni esterni, poi a fare il dono interiore di se stessi" (FF 667).
L’amore vicendevole era suo ideale fisso, pensando a quanto il Salvatore aveva patito perché noi fossimo Uno.
«Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri, come ho amato voi» (Gv 15,12).
Venerdì della 5.a sett. di Pasqua (Gv 15,12-17)
Nel capitolo quindici di Giovanni, Gesù annuncia che la sua Gioia in noi, piena, viene dal rimanere nel suo amore.
Guardando più da vicino la vita dei due Poveri di Assisi, ci accorgiamo che nell’ascolto assiduo della Parola di Dio, tradotta in vita, ivi era la loro autentica gioia. Gaudio libero da ogni genere di orpelli, di bazzecole miranti a ritardare il loro andare a Cristo.
Nelle Fonti, custodia di primizie esperienziali, troviamo passi che profumano di bellezza nuda, di povertà beata, di gioia che trova la sua ragion d’essere nell’Unione con Dio.
Già nelle sue Ammonizioni Francesco spiega dove abita la vera gioia.
«Beato quel religioso, che non ha giocondità e letizia se non nelle santissime parole e opere del Signore e, mediante queste, conduce gli uomini all’amore di Dio con gaudio e letizia.
Guai a quel religioso che si diletta in parole oziose e frivole e con esse conduce gli uomini al riso» (FF 170).
E nella Vita seconda del Celano:
"Quando la dolcissima melodia dello spirito gli ferveva nel petto, si manifestava all’esterno con parole francesi, e la vena dell’ispirazione divina, che il suo orecchio percepiva furtivamente, traboccava in giubilo alla maniera giullaresca.
Talora - come ho visto con i miei occhi - raccoglieva un legno da terra, e mentre lo teneva sul braccio sinistro, con la destra prendeva un archetto tenuto curvo da un filo e ve lo passava sopra accompagnandosi con movimenti adatti, come fosse una viella*, e cantava in francese le lodi del Signore.
Bene spesso tutta questa esultanza terminava in lacrime ed il giubilo si stemperava in compianto della passione del Signore.
Poi il Santo, in preda a continui e prolungati sospiri ed a rinnovati gemiti, dimentico di ciò che aveva in mano, rimaneva proteso verso il cielo" (FF 711).
E nella Leggenda Perugina:
"Dal momento della conversione al giorno della morte, Francesco fu molto duro, sempre, con il suo corpo. Ma il suo più alto e appassionato impegno fu quello di possedere e conservare in se stesso la gioia spirituale.
Affermava: «Se il servo di Dio si preoccuperà di avere e conservare abitualmente la gioia interiore ed esteriore, gioia che sgorga da un cuore puro, in nulla gli possono nuocere i demoni, che diranno:
«Dato che questo servo di Dio si mantiene lieto nella tribolazione come nella prosperità, non troviamo una breccia per entrare in lui e fargli danno» ” (FF 1653).
E Chiara, nelle lettere rivolte ad Agnese di Praga, sua figlia spirituale, fa comprendere in cosa consiste la gioia che nessuno può togliere agli amici di Gesù.
Alle lettere, soprattutto, è consegnato il segreto di Chiara, «Donna rinchiusa» nel mistero di Dio.
Il suo messaggio è tanto semplice da apparire quasi una rivelazione: preghiera, povertà, gioia.
«Te veramente felice! Ti è concesso di godere di questo sacro convito, per poter aderire con tutte le fibre del tuo cuore a Colui, la cui bellezza è l’ammirazione instancabile delle beate schiere del cielo.
L’amore di Lui rende felici, la contemplazione ristora, la benignità ricolma.
La soavità di lui pervade tutta l’anima, il ricordo brilla dolce nella memoria.
Al suo profumo i morti risorgono e la gloriosa visione di lui formerà la felicità dei cittadini della Gerusalemme celeste» (FF 2901 - terza lettera).
*Strumento a cinque corde proprio dei trovatori, simile alla viola.
Giovedì della 5.a sett. di Pasqua (Gv 15,9-11)
Gesù ricorda che Lui è la vera vite e il Padre suo l’agricoltore. Solo chi rimane unito a Gesù porterà molto frutto.
Francesco, da quando aveva incontrato il Signore, si era convinto che solo dimorando nel suo amore sarebbe andato lontano, insieme ai suoi.
Nelle Fonti c’è un brano che illustra quanto detto.
"Francesco pastore del piccolo gregge, ispirato dalla Grazia divina, condusse i suoi dodici frati a Santa Maria della Porziuncola, perché voleva che l’Ordine dei minori crescesse e si sviluppasse, sotto la protezione della Madre di Dio, là dove, per i meriti di lei, aveva avuto inizio.
Là, inoltre, divenne araldo del Vangelo. Incominciò, infatti, a percorrere città e villaggi e ad annunziarvi il regno di Dio, non basandosi su discorsi persuasivi della sapienza umana, ma sulla dimostrazione di spirito e di potenza.
A chi lo vedeva, sembrava un uomo dell’altro mondo: uno che, la mente e il volto sempre rivolti al cielo, si sforzava di attirare tutti verso l’alto.
Da allora la vigna di Cristo incominciò a produrre germogli profumati del buon odore del Signore, e frutti abbondanti con fiori soavi di grazia e di santità" (FF 1072).
Francesco s’impegnò a far sì che la sua fraternità rimanesse ben unita a Gesù, vera Vite, affinché in Santa Maria della Porziuncola echeggiasse stabilmente la linfa dello Spirito e la Trinità dimorasse in loro e fra loro.
Sapeva bene che senza l’aiuto di Dio non sarebbe stato possibile fare nulla, neppure perseverare nella chiamata-missione ricevuta.
Durante tutta la sua vita si adoperò perché la vigna estesa dei frati minori rendesse a Dio frutti saporosi e mai si allontanasse dal Vangelo, Custodia divina.
Chiara altresì fu Madre prudente, consumatasi perché le sue figlie e sorelle s’impegnassero a rimanere nella Parola di Dio e nella comunione.
L’austerità di vita abbracciata era mitigata dall’amore profondo con cui entrambi furono tralci tenacemente avvinti alla Vite di Cristo.
«Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5).
Mercoledì della 5.a sett. di Pasqua (Gv 15,1-8)
Gesù distingue tra la pace che dà il mondo e quella che viene da Lui.
Egli è il Principe della Pace, tutte le cose buone che vengono dal Cielo.
Francesco d’Assisi era appunto l’uomo della pace, colui che ovunque andava l’augurava a tutti.
La Leggenda maggiore recita in merito:
"In ogni sua predica, all’esordio del discorso, salutava il popolo con l’augurio di Pace, dicendo:
«Il Signore vi dia Pace!».
Aveva imparato questa forma di saluto per rivelazione del Signore, come egli stesso più tardi affermò.
Fu così che, mosso anch’egli dallo spirito dei profeti, come i profeti annunciava la pace, predicava la salvezza e, con le sue ammonizioni salutari, riconciliava in un saldo patto di vera amicizia moltissimi, che prima, in discordia con Cristo, si trovavano lontani dalla salvezza" (FF 1052).
E ancora, nella Leggenda dei tre compagni troviamo Francesco che esorta i suoi frati ad essere persone che vivono e trasmettono Pace.
«La pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori.
Non provocate nessuno all’ira o allo scandalo, ma tutti siano attirati alla pace, alla bontà, alla concordia dalla vostra mitezza […]» (FF 1469).
Francesco si nutriva di questo bene nella preghiera, ed esortava i suoi frati ad essere figli della Pace, come attesta la bella benedizione rivolta a frate Leone e scritta dal Poverello di suo pugno [come lo stesso frate Leone confermò].
«Il Signore ti benedica* e ti custodisca, mostri a te il suo volto e abbia misericordia di te.
Rivolga verso di te il suo sguardo e ti dia Pace.
Il Signore benedica te, frate Leone» (FF 262).
Anche Chiara, fra le mura di San Damiano, visse e insegnò alle sue sorelle la ricerca della Pace, pienezza di beni.
"E come la sua meravigliosa virtù venisse perfezionata nella malattia, da ciò è provato: che in ventotto anni di continua sfinitezza, non si ode una mormorazione, non un lamento, ma sempre dalla sua bocca proviene un santo conversare, sempre il ringraziamento […]" (FF 3236).
Nelle lettere scritte alle sue figlie spirituali augurava la Pace e, nel momento del suo trapasso, rivolta alla sua anima così si esprime:
«Va’ sicura - le dice - perché hai buona scorta, nel viaggio.
Va’, perché Colui che t’ha creata, ti ha santificata e sempre guardandoti come una madre suo figlio, ti ha amata con tenero amore» (FF 3252).
Francesco e Chiara restano figure di spessore riguardo il tema della Pace, cercata nel profondo del loro cuore e nella relazione con Dio; testimoniata con le opere nella fraternità e con tutte le creature.
Non per niente il Cantico di frate Sole è l’inno all’armonia e alla pace con tutto il creato, dove l’uomo nuovo, pacificato, vive ogni situazione in sintonia con il Vangelo.
"Laudato si’, mi’ Signore, per Sora nostra Madre Terra, /la quale ne sustenta et governa, /et produce diversi frutti con coloriti fiori et herba […] Laudato si’ mi’ Signore, per quelli che perdonano / per lo tuo amore […]» (FF 263).
* È la formula di benedizione che, per ordine del Signore, Mosè ed Aronne pronunciavano sui figli d’Israele. L’invocazione finale è propria di Francesco.
Martedì della 5.a sett. di Pasqua (Gv 14,27-31a)
Gesù nel Vangelo odierno sottolinea che la Trinità abita chi osserva la sua Parola.
Accenna, poi, alla venuta dello Spirito Santo, che insegnerà loro ogni cosa e sarà la "Memoria" dei discepoli.
Guardando Francesco e Chiara ci accorgiamo come lo Spirito del Signore guidò in modo capillare la loro vita e ne fu Consigliere.
La Leggenda maggiore di San Bonaventura attesta come Francesco si lasciasse condurre e ammaestrare dallo Spirito nel compilare la Regola non bollata (1221).
"Perciò, guidato dallo Spirito Santo, salì su un monte con due compagni e là, digiunando a pane ed acqua, dettò la Regola, secondo quanto gli suggeriva lo Spirito divino durante la preghiera.
Disceso dal monte, l’affidò da custodire al suo vicario. Ma siccome questi, pochi giorni dopo, gli disse che l’aveva perduta per trascuratezza, il Santo tornò di nuovo nella solitudine e subito la rifece in tutto uguale alla precedente, come se ricevesse le parole dalla bocca di Dio.
Ottenne, poi, che venisse confermata, come aveva desiderato, dal sopraddetto papa Onorio, nell’ottavo anno del suo pontificato.
Per stimolare i frati ad osservarla con fervore, diceva che lui non ci aveva messo niente di proprio, ma tutto aveva fatto scrivere così come gli era stato rivelato da Dio" (FF 1084).
Considerava lo Spirito Santo Ministro generale dell’Ordine ed era convinto che parlasse a tutti, specie ai semplici.
Nella Vita seconda del Celano leggiamo:
"Quando Francesco si faceva la tonsura, spesso ripeteva a chi gli tagliava i capelli:
«Bada di non farmi una corona troppo larga! Perché voglio che i miei frati semplici abbiamo parte nel mio capo».
Voleva appunto che l’Ordine fosse aperto allo stesso modo ai poveri e illetterati, e non soltanto ai ricchi e sapienti.
«Presso Dio - diceva - non vi è preferenza di persone e lo Spirito Santo, Ministro generale dell’Ordine, si posa egualmente sul povero ed il semplice» " (FF 779).
La sua singolare unità con lo Spirito la testimoniò in vita e in morte.
"Nell’anno ventesimo della sua conversione, chiese che lo portassero a Santa Maria della Porziuncola, per rendere a Dio lo spirito della vita là dove aveva ricevuto lo spirito della grazia.
Quando vi fu condotto, per dimostrare che, sul modello di Cristo-Verità, egli non aveva nulla in comune con il mondo, durante quella malattia così grave che pose fine al suo penare, si prostrò in fervore di spirito, tutto nudo sulla nuda terra: così, in quell’ora estrema nella quale il nemico poteva ancora scatenare la sua ira, avrebbe potuto lottare nudo con lui nudo.
Così disteso sulla terra, dopo aver deposto la veste di sacco, sollevò la faccia al cielo, secondo la sua abitudine, totalmente intento a quella gloria celeste, mentre con la mano sinistra copriva la ferita del fianco destro, che non si vedesse.
E disse ai frati:
«Io ho fatto la mia parte; la vostra, Cristo ve la insegni» (FF 1239).
E Chiara, avvinta dallo Spirito del Signore, così si esprimeva nella seconda lettera rivolta ad Agnese di Boemia:
«E non credere, e non lasciarti sedurre da nessuno che tentasse sviarti da questo proposito o metterti degli ostacoli su questa via, per impedirti di riportare all’Altissimo le tue promesse con quella perfezione alla quale ti invitò lo Spirito del Signore» (FF 2876).
«Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà tutte le cose e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26)
Lunedì della 5.a sett. di Pasqua (Gv 14,21-26)
Francesco aveva cara quell’espressione del Vangelo:
«Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).
Teneva molto alla testimonianza trasparente, semplice e convincente della sua fraternità, che avrebbe così predicato il Vangelo con la vita.
Nelle Fonti, nella Leggenda dei tre compagni, leggiamo:
"Profondamente umili e maturi nella carità, ognuno nutriva per il fratello i sentimenti che si hanno verso un padre e signore.
Quelli che, per l’incarico che ricoprivano o per qualità personali, avevano nella fraternità un ruolo preminente, si facevano più umili e piccoli di tutti. E ognuno era disposto alla obbedienza più generosa, sempre disponibile al volere del superiore, senza cercare se l’ordine ricevuto fosse giusto o no, perché convinto che qualsiasi comando era conforme alle disposizioni del Signore. In tal modo, riusciva agevole e dolce eseguire qualunque precetto.
Stavano attenti a non cadere vittime di desideri sregolati. Erano giudici implacabili di se stessi, preoccupati di non nuocersi l’un l’altro in nessuna maniera" (FF 1448).
E ancora:
"I frati s’impegnavano a scacciare qualunque rancore e incompatibilità, e a conservare intatto l’amore scambievole.
Facevano il possibile per sostituire a ogni vizio la virtù corrispondente, ispirati e coadiuvati in questo dalla Grazia di Gesù Cristo" (FF 1449).
Ecco un altro passo, che descrive meravigliosamente il loro amarsi nel Signore:
"Nessuna cosa ritenevano proprietà privata, ma libri e altro erano messi a disposizione di tutti, secondo la direttiva trasmessa e osservata dagli Apostoli.
Sebbene fossero in stato di vera indigenza, erano spontaneamente generosi di tutto quello che venisse loro offerto in nome di Dio.
Donavano con gioia, per amore di Lui, le elemosine raccolte, a quanti ne facessero richiesta, massime ai poveri" (FF 1450).
Era amore vero, perché concreto.
Francesco aveva insegnato ai suoi frati che il denaro non valeva più dello sterco d’asino, custodendoli così dai pericoli.
E le Fonti informano:
"Erano felici nel Signore, sempre, non avendo dentro di sé o tra di loro nulla che potesse in qualche modo contristarli.
Quanto più erano separati dal mondo, tanto più si tenevano avvinti a Dio.
Avanzavano sulla via della croce e sui sentieri della giustizia; toglievano dal cammino stretto della penitenza e dell’osservanza evangelica ogni ostacolo, onde lasciare a quelli che li avrebbero seguiti una strada spianata e sicura" (FF 1454).
E Chiara d’Assisi, nel suo stupendo Testamento, rivolta alle sorelle, dice:
«Avendoci, dunque, Egli scelte per un compito tanto elevato, quale è questo, che in noi si possano specchiare tutte coloro che chiama ad essere esempio e specchio degli altri, siamo estremamente tenute a benedire e a lodare il Signore, ed a crescere ogni giorno più nel bene.
Perciò, se vivremo secondo la predetta forma di vita, lasceremo alle altre un nobile esempio e, attraverso una fatica di brevissima durata, ci guadagneremo il pallio della beatitudine eterna» (FF 2830).
L’amore vicendevole oltrepassava le mura, purificando e profumando di carità ogni aria inquinata, offrendo specchi luminosi di vita fraterna.
Ritenendola riflesso della gloria di Dio, premura di Francesco era la ricerca delle cose celesti da parte di tutta la fraternità.
Diceva, infatti, rivolto ai frati di tutto l’Ordine:
«La grande assemblea è il nostro Ordine, quasi un sinodo generale che si raccoglie da ogni parte del mondo sotto una sola norma di vita. In questo i sapienti traggono a loro vantaggio le qualità proprie dei semplici, perché vedono persone senza cultura cercare con ardore le cose celesti e, pur senza istruzione umana, raggiungere per mezzo dello Spirito la conoscenza delle realtà spirituali.
In questo Ordine anche i semplici traggono profitto da ciò che è proprio dei sapienti, quando vedono umiliarsi con loro allo stesso modo uomini illustri, che potrebbero vivere carichi di onori in questo mondo.
Da qui risalta la bellezza di questa beata famiglia, che per le sue molteplici qualità forma la gioia del Padre di famiglia» (FF 778).
Questa speciale consapevolezza e intuizione dei segreti divini rendeva il Santo e la Fraternità singolare immagine della Gloria di Dio, avendone ricevuto la sua libertà.
Domenica 5.a di Pasqua C (Gv 13,31-33a.34-35)
La Liturgia odierna riprende il capitolo quattordici del Vangelo di Giovanni, ricco di tematiche impegnative.
Alla domanda di Filippo:«Mostraci il Padre» (Gv 14,8-9) Gesù risponde chiedendo la fede nella profonda unità del Figlio con il Padre, e viceversa; almeno per le opere stesse che lo attestano ampiamente.
Nelle Fonti Francescane questo grido il Poverello lo traduce in vita reale, poiché non temeva come figlio di rendersi impuro frequentando le periferie culturali ed esistenziali.
Per il Povero Assisano la domanda del discepolo a Gesù trova la sua riposta più esaustiva, contemplandone la Presenza nei diseredati e scartati dalla società.
Nei dimenticati e messi ai margini, ivi il Padre era mostrato, e il Figlio con Lui.
Infatti le Fonti evidenziano tutto questo nell’esperienza scarna di Francesco.
"Poi, amante di ogni forma d’umiltà, si trasferì presso i lebbrosi, restando con loro e servendo a loro tutti con somma cura.
Lavava loro i piedi, fasciava le piaghe, toglieva dalle piaghe la marcia e le ripuliva dalla purulenza.
Baciava anche, spinto da ammirevole devozione, le loro piaghe incancrenite, lui che sarebbe ben presto diventato il Buon Samaritano del Vangelo" (FF 1045).
Il Minimo vedeva e abbracciava il Volto di Dio nell’Epifania dei lebbrosi!
Donaci Signore il tuo Santo Spirito per recuperare l’itinerario di ciascuno, nella pienezza d’essere senza confini. Amen!
«Credetemi: io nel Padre e il Padre in me. Se no, credete per le opere stesse» (Gv14,11)
Sabato 4.a sett. di Pasqua A .C (Gv 14,7-14)
All this helps us not to let our guard down before the depths of iniquity, before the mockery of the wicked. In these situations of weariness, the Lord says to us: “Have courage! I have overcome the world!” (Jn 16:33). The word of God gives us strength [Pope Francis]
Tutto questo aiuta a non farsi cadere le braccia davanti allo spessore dell’iniquità, davanti allo scherno dei malvagi. La parola del Signore per queste situazioni di stanchezza è: «Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). E questa parola ci darà forza [Papa Francesco]
The Ascension does not point to Jesus’ absence, but tells us that he is alive in our midst in a new way. He is no longer in a specific place in the world as he was before the Ascension. He is now in the lordship of God, present in every space and time, close to each one of us. In our life we are never alone (Pope Francis)
L’Ascensione non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi. Nella nostra vita non siamo mai soli (Papa Francesco)
The Magnificat is the hymn of praise which rises from humanity redeemed by divine mercy, it rises from all the People of God; at the same time, it is a hymn that denounces the illusion of those who think they are lords of history and masters of their own destiny (Pope Benedict)
Il Magnificat è il canto di lode che sale dall’umanità redenta dalla divina misericordia, sale da tutto il popolo di Dio; in pari tempo è l’inno che denuncia l’illusione di coloro che si credono signori della storia e arbitri del loro destino (Papa Benedetto)
This unknown “thing” is the true “hope” which drives us, and at the same time the fact that it is unknown is the cause of all forms of despair and also of all efforts, whether positive or destructive, directed towards worldly authenticity and human authenticity (Spe Salvi n.12)
Questa « cosa » ignota è la vera « speranza » che ci spinge e il suo essere ignota è, al contempo, la causa di tutte le disperazioni come pure di tutti gli slanci positivi o distruttivi verso il mondo autentico e l'autentico uomo (Spe Salvi n.12)
«When the servant of God is troubled, as it happens, by something, he must get up immediately to pray, and persevere before the Supreme Father until he restores to him the joy of his salvation. Because if it remains in sadness, that Babylonian evil will grow and, in the end, will generate in the heart an indelible rust, if it is not removed with tears» (St Francis of Assisi, FS 709)
«Il servo di Dio quando è turbato, come capita, da qualcosa, deve alzarsi subito per pregare, e perseverare davanti al Padre Sommo sino a che gli restituisca la gioia della sua salvezza. Perché se permane nella tristezza, crescerà quel male babilonese e, alla fine, genererà nel cuore una ruggine indelebile, se non verrà tolta con le lacrime» (san Francesco d’Assisi, FF 709)
Wherever people want to set themselves up as God they cannot but set themselves against each other. Instead, wherever they place themselves in the Lord’s truth they are open to the action of his Spirit who sustains and unites them (Pope Benedict)
Dove gli uomini vogliono farsi Dio, possono solo mettersi l’uno contro l’altro. Dove invece si pongono nella verità del Signore, si aprono all’azione del suo Spirito che li sostiene e li unisce (Papa Benedetto)
don Giuseppe Nespeca
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