Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Nel Vangelo di oggi Gesù rimprovera le città che, pur avendo ricevuto meravigliosi benefici, non si erano convertite. Echeggia:
«Guai a te, Corazin! Guai a te Betsàida!» (Mt 11,21).
All’orizzonte campeggia il Giudizio!
Francesco d’Assisi, profondamente grato a Dio per averlo tratto dalla vita cortese e svagata del mondo al servizio del Vangelo, anche lui un giorno mosse rimprovero a chi immerso nel vizio e nel mondano non accennava a convertirsi.
Le Fonti, attraverso la Leggenda Maggiore, narrano in merito:
"Nel tempo in cui il Santo giaceva malato a Rieti, portarono da lui, steso su un lettuccio, un canonico, di nome Gedeone, vizioso e mondano, colpito da una grave malattia.
Il canonico lo pregava piangendo, insieme con i presenti, di benedirlo col segno della croce.
Ma il Santo gli replicò:
«Come potrò segnarti con la croce, se finora sei vissuto seguendo gli istinti della carne, senza timore dei giudizi di Dio?
Ad ogni modo, per la devozione e le preghiere di queste persone che intercedono per te, ti benedirò col segno della croce in nome del Signore.
Tu, però, sappi che andrai incontro a castighi più gravi, se una volta guarito, tornerai al vomito. Perché il peccato d’ingratitudine si merita sempre punizioni peggiori delle prime».
Appena ebbe tracciato su di lui il segno della croce, colui che giaceva rattrappito si alzò risanato e, prorompendo nelle Lodi di Dio, esclamò:
«Sono guarito!» […]
Ma costui, passato un po’ di tempo, si dimenticò di Dio e si abbandonò di nuovo all’impudicizia.
Ebbene, una sera che era andato a cena in casa di un altro canonico e vi era rimasto per passare la notte, improvvisamente il tetto della casa crollò.
Ma, mentre tutto gli altri riuscirono a sfuggire alla morte, solo quel misero fu sorpreso e ucciso.
Per giusto giudizio di Dio l’ultima condizione di quell’uomo fu peggiore della prima, a causa del peccato d’ingratitudine e del disprezzo di Dio, giacché è necessario essere grati per il perdono ricevuto, e il delitto ripetuto dispiace doppiamente" (FF 1192).
Alla fine resterà solo la sua Misericordia a braccetto con la Giustizia.
«Tuttavia vi dico: per Tiro e Sidone sarà più sopportabile nel giorno del giudizio che per voi» (Mt 11,22)
Martedì della 15.a sett. T.O. (Mt 11,20-24)
Gesù mette in chiaro che è necessario prendere la propria croce per seguirLo ed essere degni di Lui.
Parimenti sottolinea che chi accoglie i suoi discepoli in verità accoglie Lui stesso.
Francesco vedeva davvero nell’accoglienza sincera l’incontro con Cristo povero. Da qui il suo umile e cordiale spirito di ospitalità e amorevole apertura verso tutti.
Le Fonti sono uno scrigno prezioso che documentano numerosi episodi legati a quanto detto.
Leggiamo:
«E ovunque sono e si incontreranno i frati, si mostrino familiari tra loro reciprocamente.
E ciascuno manifesti con fiducia all’altro la sua necessità, poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, quanto più premurosamente uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale?» (FF 91).
Ancora:
«Quando veniva da loro qualche ricco di questo mondo, lo ricevevano lieti e affettuosi, lo invitavano a strapparsi dal male e lo incitavano a penitenza» (FF1452).
Inoltre:
“Il beato Francesco Poverello parecchie volte domandava ospitalità al monastero di San Verecondo.
L’Abate e i monaci l’accoglievano con grande delicatezza e devozione” (FF 2249).
Il Povero assisano viveva il Vangelo alla lettera e si studiava di riconoscere il passaggio di Cristo ad ogni dove.
• Il monastero di S. Verecondo è ubicato sulla strada di Gubbio.
«E chi avrà dato da bere a uno di questi piccoli un bicchiere solo di [acqua] fresca a titolo di discepolo, in verità vi dico non perderà la sua ricompensa» (Mt 10,42)
Lunedì 15.a sett. T.O. (Mt 10,34-11,1)
Nel Vangelo Lucano di oggi Gesù, a colui che chiede: «E chi è mio prossimo?» (Lc 10,29) risponde raccontando una vicenda.
Dinanzi a chi giace a terra non bisogna passare oltre, bensì soccorrerlo, prendersene cura, perché ogni persona malmenata è proprio prossimo, chiunque sia.
Il Poverello, che aveva ricevuto misericordia dal Signore, aveva bene imparato la lezione per applicarla "sine glossa", letteralmente verso tutti, incominciando dai più bisognosi ed emarginati del suo tempo.
L’incontro del Poverello con i lebbrosi costituisce una pagina fondamentale della sua esistenza. Crocevia che lo modifica profondamente e cambia le coordinate della sua vita interiore.
Per loro, prova compassione e “passione”, disposto ad aiutarli in ogni modo, perché scrigno del Servo Sofferente.
Leggiamo nel suo meraviglioso Testamento:
«Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi Misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo» (FF 110).
Così “il Santo si reca tra i lebbrosi e vive con essi, per servirli in ogni necessità per amor di Dio. Lava i loro corpi in decomposizione e ne cura le piaghe virulente […]
La vista dei lebbrosi infatti, come egli attesta, gli era prima così insopportabile, che non appena scorgeva a due miglia di distanza il loro ricovero, si turava il naso con le mani.
Ma ecco quanto avvenne: nel tempo in cui aveva già cominciato, per Grazia e virtù dell’Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari, mentre viveva ancora nel mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò.
Da quel momento decise di disprezzarsi sempre più, finché per la misericordia del Redentore ottenne piena vittoria” (FF 348).
E Francesco di lebbrosi ne guarì molti:
“Nella città di Fano, un giovane di nome Bonomo, ritenuto da tutti i medici lebbroso e paralitico, appena viene offerto molto devotamente dai genitori al beato Francesco, è liberato dalla lebbra e dalla paralisi e riacquista piena salute” (FF 564).
La cura riservata da lui ai lebbrosi, quale Buon Samaritano del Vangelo, si trasformerà, per dono del Signore, in potenza ed efficacia nel guarire le malattie del corpo e dello spirito.
Aveva compassione viscerale di queste anime abbandonate a se stesse e visse alla lettera il Vangelo dei derelitti e dei messi ai margini, amando con straordinaria predilezione i Lazzaro del suo tempo e oltre.
«Va’, anche tu fa’ ugualmente» (Lc 10,37)
Domenica della 15.a sett. T.O. anno C (Lc 10,25-37)
Gesù sottolinea di non aver paura del martirio, di chi uccide il corpo ma non ha il potere di uccidere l’anima (Mt 10,28), poiché il discepolo non è più grande del Maestro.
Acceso dalla carità che allontana ogni timore, Francesco desiderava offrirsi al Signore nel fuoco del martirio per contraccambiare il Cristo che muore per noi, e per provocare i frati all’amore di Dio.
Nel «Sacrum Commercium» [documento contenuto nelle Fonti francescane] leggiamo:
"Ma la perfezione di tutte le virtù, cioè Madonna Persecuzione, alla quale come a me Dio ha consegnato il regno dei cieli, era con me in ogni circostanza, fedele aiutante, forte cooperatrice, saggia consigliera, e se talvolta vedeva qualcuno intiepidire nella carità, dimenticare anche per poco le cose celesti, affezionarsi in qualsiasi modo ai beni terreni, subito alzava la voce, scuoteva l’esercito, copriva di vergogna il volto dei miei figli perché cercassero il nome del Signore" (FF 1994).
La stessa Chiara d’Assisi, meditando la penuria e il pericolo della Sacra Famiglia di Nazareth, versava calde lacrime nella preghiera continua.
Nella Regola, rivolta alle sue figlie, dice:
«Avere lo Spirito del Signore e la sua Santa operazione […] ed amare quelli che ci perseguitano […] perché dice il Signore: Beati quelli che soffrono persecuzione a causa della giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli. Chi persevererà sino alla fine, questi sarà salvo» (FF 2811).
E Francesco, nel suo Testamento, così scrive ai suoi frati:
«Dovunque non saranno accolti, fuggano in altra terra a fare penitenza con la benedizione di Dio» (FF 123).
Lo stesso Francesco, recatosi dal Sultano d’Egitto Melek-el-Kamel per portare l’annuncio di Cristo, fu perseguitato:
“Prima di giungere al Sultano, i suoi sicari l’afferrarono, l’insultarono, lo sferzarono, ed egli non temette nulla: né minacce, né torture, né morte; e sebbene investito dall’odio brutale di molti, venne accolto dal Sultano con grande onore!” (FF 422).
E ai suoi frati insegnò quell’audacia nella fede che rende intrepidi nelle situazioni avverse, poiché la Provvidenza accompagna gli innocenti bistrattati per Cristo, per il suo Vangelo.
Gli insegnamenti del Poverello erano tenuti presente dai suoi.
Infatti, nella Vita seconda, il Celano narra di un giovane frate che aveva assimilato bene l’insegnamento del padre in merito alla fedeltà alla Regola.
"Si ricordò di questo insegnamento un frate laico, che a nostro avviso è da venerare nel numero dei martiri, e conseguì la palma di una gloriosa vittoria.
Mentre era trascinato al martirio dai Saraceni, si inginocchiò e, tenendo con la estremità delle mani la Regola, disse al compagno:
«Fratello carissimo, mi accuso davanti alla Maestà Divina e davanti a te di tutte le colpe che ho commesso contro questa santa Regola».
Alla breve confessione tenne dietro la spada e così terminò la vita col martirio. Più tardi si rese celebre con miracoli e prodigi.
Era entrato nell’Ordine così giovinetto, che a stento poteva sopportare il digiuno prescritto dalla Regola. Eppure così fanciullo portava sulla nuda carne il cilicio!
Giovane felice, che ha cominciato santamente, per concludere ancora più felicemente la sua vita!" (FF 798).
Sabato della 14.a sett. T.O. (Mt 10,24-33)
La Liturgia della festa di S. Benedetto, compatrono d’Europa, sottolinea il tema del lasciare tutto per Cristo, per il Vangelo, contraccambiato dal centuplo e la Vita dell’Eterno.
Benedetto, come Francesco, lasciò ogni bene per seguire Gesù, riassumendo il suo percorso nel celebre assioma: «Ora et labora», «prega e lavora».
A volte si contrappone la severità dell’ ascetica monastica benedettina all’allegria francescana, come se San Benedetto e San Francesco fossero due universi a se stanti; ma non è così.
Ci sono elementi nei quali si diversificano e altri in comune, magari elaborati diversamente.
Entrambi reputano importanti la preghiera e il lavoro. Nonché l’orazione come via che conduce al distacco da tutto e alla interiorizzazione, luogo dell’incontro con Cristo - da anteporre a tutto.
Anche Francesco considera il lavoro un aspetto importante della sua vita e della Regola minoritica, richiamando in questo quella benedettina.
Il Poverello, pur non essendo benedettino (come dipinto nel Sacro Speco di Subiaco, in un’antica immagine) anche lui visse dentro una storia che lo ha preceduto, attingendo da essa alcune cose, altre rifiutandole.
Chi è addentro alle Fonti francescane, volendo affermare la novità di Frate Francesco rispetto a San Benedetto da Norcia, fa riferimento ad un brano della Compilatio Assisiensis.
In essa si narra come durante un Capitolo alla Porziuncola, dove si discuteva della Regola minoritica, alcuni frati proposero l’adozione di forme di vita precedenti.
Ma Francesco rispose:
«Fratelli, fratelli miei, Dio mi ha chiamato per la via dell’umiltà e mi ha mostrato la via della semplicità. Non voglio quindi che mi nominiate altre Regole, né quella di Sant’Agostino, né quella di San Bernardo o di San Benedetto.
Il Signore mi ha detto che questo egli voleva:
che io fossi nel mondo un ‘novello pazzo’; e il Signore non vuole condurci per altra via che quella di questa scienza!» (FF 1564).
La grandezza della Regola benedettina non risiede tanto nell’apporto di novità, quanto nella capacità di sintesi delle varie esperienze monastiche precedenti in una sorta di lettura sapienziale.
Ma questi santi, entrambi, danno molta importanza al lavoro che vince l’ozio e fa vivere nella costante Presenza di Cristo nella storia, al quale anteporre tutto.
L’orazione continua e il lavoro costante sono dunque due elementi comuni diversamente elaborati, ma fondamentali per la sequela di Gesù e il distacco da ogni cosa.
Francesco ai frati insegnava:
«Nell’orazione purifichiamo i nostri sentimenti e ci uniamo con l’unico, vero e sommo Bene e rinvigoriamo la virtù […]
Nell’orazione parliamo a Dio, lo ascoltiamo e ci tratteniamo in mezzo agli angeli; nella predicazione, invece, dobbiamo scendere spesso verso gli uomini e, vivendo da uomini in mezzo agli uomini, pensare, vedere, dire e ascoltare al modo umano» (FF1204).
Nel suo Testamento, il Minimo scrive:
«Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà.
Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio» (FF 119).
Ed è proprio questa impostazione di pensiero e di vita che rese i benedettini capaci di costruire l’Europa "rendendo il quotidiano eroico e l’eroico quotidiano" e che spinse i frati francescani, tra le altre cose, ad un lavoro costante e fedele soprattutto nella missione evangelizzatrice di pace.
Figli di Dio in modo diverso, ugualmente proiettati a seguire Gesù, sapendo che l’aver lasciato tutto per il suo Regno è garanzia di vita eterna.
«E chiunque ha lasciato case o fratelli o sorelle o padre o madre o figli o campi a causa del mio nome, riceverà il centuplo ed erediterà la vita dell’Eterno» (Mt 19,29).
S. Benedetto patrono d’Europa (Mt 19,27-29)
Il capitolo 10 di Matteo continua a presentarci un Gesù che chiede ai suoi, inviati a predicare la vicinanza del Regno dei cieli, di dare gratuitamente così come hanno ricevuto, fidandosi della Provvidenza.
Il Povero assisano seguì alla lettera le indicazioni date da Gesù ai discepoli, impegnandosi ad annunciare, senza portare nulla con sé.
Francesco si definiva «simplex et idiota». La trasparenza e semplicità dei piccoli era per lui chiave di volta del Regno dei cieli.
Come Gesù dice nel Vangelo, era convinto che solo chi si fa bambino nella sua mentalità può comprendere le dinamiche del Regno, che chiede l’accoglienza dei puri di cuore, di quanti vivono la Parola senza pregiudizi di sorta e con fiducia in Dio.
Nelle Fonti Francescane la dimensione della piccolezza e semplicità è trasversale e spiccata, come attestano molti passi.
"Il Santo praticava personalmente con cura particolare e amava negli altri la santa semplicità, figlia della Grazia, vera sorella della sapienza, madre della giustizia.
Non che approvasse ogni tipo di semplicità, ma quella soltanto che, contenta del suo Dio, disprezza tutto il resto.
E quella che pone la sua gloria nel timore del Signore, e che non sa dire né fare il male.
La semplicità che esamina se stessa e non condanna nel suo giudizio nessuno, che non desidera per sé alcuna carica, ma la ritiene dovuta e l’attribuisce al migliore […]
È la semplicità che in tutte le leggi divine lascia la tortuosità delle parole, gli ornamenti e gli orpelli, come pure le ostentazioni e le curiosità a chi vuole perdersi, e cerca non la scorza ma il midollo, non il guscio ma il nòcciolo, non molte cose ma il molto, il sommo e stabile Bene" (FF 775).
Questa semplicità, sorella della vera sapienza, è caratteristica dei piccoli, dei minimi, dei bambini i quali accolgono il Regno di Dio che bussa alla porta del loro cuore.
Commuove la piccolezza di Francesco, cornice della sua vita evangelica.
"Francesco, uomo di Dio, nudo delle cose del mondo […] s’impegna nel servire Dio in tutti i modi possibili […]
Con ardente entusiasmo rivolgerà questo e simili appelli pieni di ingenuità, poiché questo eletto di Dio aveva un animo candido e fanciullo, non faceva ricorso al dotto linguaggio della sapienza umana, ma era semplice e immediato in tutto" (FF 1420).
"E infatti, tutto ciò che il Padre celeste ha creato per l’utilità degli uomini, continua a donarcelo gratuitamente anche dopo il peccato, ai degni come agli indegni, per l’amore ch’Egli porta al suo Figlio diletto" (FF 1610).
"Non aveva rossore di chiedere le cose piccole a quelli più piccoli di lui; lui, vero minore, che aveva imparato dal Maestro supremo le cose grandi.
Era solito ricercare con singolare zelo la via e il modo per servire più perfettamente Dio, come a Lui meglio piace.
Questa fu la sua filosofia suprema, questo il suo supremo desiderio, finché visse: chiedere ai sapienti e ai semplici, ai perfetti e agli imperfetti, ai giovani e agli anziani qual era il modo in cui più virtuosamente poteva giungere al vertice della perfezione" (FF 1205 - Leggenda maggiore).
Francesco amava con un cuore di fanciullo e così insegnò ai suoi frati e alle povere Dame di s. Damiano, sorelle virtuose nel cammino di fede, fra le quali rifulse per la sua umiltà e trasparenza Chiara.
Questa giovane donna diede testimonianza di luce; fu stella del mattino nel farsi bambina al servizio di Dio, sulle orme di Cristo, sull’esempio del beato padre Francesco, vero amante e imitatore di Lui.
«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8)
Giovedì della 14.a sett. T.O. (Mt 10,7-15)
Chissà quante volte Francesco, l’Araldo del Gran Re, nel leggere questo brano di Matteo avrà pensato che per annunciare il Regno di Dio avrebbe percorso tutta la terra pur di portare anime a Cristo e di raggiungere le pecore perdute della casa d’Israele.
«Voi lo fareste?».
Francesco di certo se la sarà posta questa disarmante domanda, cui tutta la sua eloquente esistenza rispose: «Sì, senza alcun dubbio!».
Per una sola pecorella del suo gregge avrebbe certo lasciato le altre al sicuro alla ricerca di quella perduta.
«Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon Pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce» (FF 155 - Ammonizioni).
Lui, che era solito chiamare frate Leone «pecorella di Dio», avrebbe affrontato ogni avversità pur di ritrovarla, e per questo cercava il martirio perfino presso il Sultano d’Egitto, per guadagnarlo a Cristo.
Le Fonti, attraverso la Leggenda Maggiore, riferiscono:
"Francesco, il servo di Dio, con cuore intrepido rispose [al Sultano] che egli era stato inviato non da uomini, ma da Dio altissimo, per mostrare a lui e al suo popolo la via della salvezza e annunciare il Vangelo della verità.
E predicò al Soldano il Dio uno e trino e il Salvatore di tutti, Gesù Cristo, con tanto coraggio, con tanta forza e tanto fervore di spirito, da far vedere luminosamente che si stava realizzando con piena verità la promessa del Vangelo: Io vi darò un linguaggio e una sapienza a cui nessuno dei vostri avversari potrà resistere o contraddire" (FF 1173).
Ricco di tenerezza e misericordia, è un episodio che mette in evidenza il cuore di pastore del Poverello e la premura di lui per il Regno di Dio.
Troviamo nelle Fonti:
“Attraversando una volta la Marca d’Ancona, dopo aver predicato nella stessa città, e dirigendosi verso Osimo, in compagnia di frate Paolo, che aveva eletto ministro di tutti i frati di quella provincia, incontrò nella campagna un pastore, che pascolava il suo gregge di montoni e di capre.
In mezzo al branco c’era una sola pecorella, che tutta quieta e umile brucava l’erba.
Appena la vide, Francesco si fermò, e quasi avesse avuto una stretta al cuore, pieno di compassione disse al fratello:
«Vedi quella pecorella sola e mite tra i caproni? Il Signore nostro Gesù Cristo, circondato e braccato dai farisei e dai sinedriti doveva proprio apparire come quell’umile creatura.
Per questo ti prego, figlio mio, per amore di Lui, sii anche tu pieno di compassione, compriamola e portiamola via da queste capre e da questi caproni» (FF 456).
«Partiti, predicate dicendo che il regno dei cieli si è fatto vicino» (Mt 10,7)
Mercoledì della 14.a sett. T.O. (Mt 10,1-7)
Nel Vangelo odierno vediamo Gesù che percorreva città e villaggi annunziando il Regno di Dio e guarendo malati.
L’assidua contemplazione e la purezza della vita avevano reso Francesco potente, per grazia, anche sul potere del male, rendendolo testimone credibile del Signore attraverso numerose guarigioni.
Le Fonti illuminano in proposito, in modo eloquente:
“Gente di ogni età […] correva a vedere e ad ascoltare quell’uomo nuovo.
Egli pellegrinava per le varie regioni, annunciando con fervore il Vangelo; e il Signore cooperava, confermando la Parola con i miracoli che l’accompagnavano.
Infatti, nel nome del Signore, Francesco, predicatore della verità, scacciava i demoni, risanava gli infermi” (FF 1212).
Una volta ”non so come qualificare la malattia orrenda di cui soffriva un confratello, alcuni l’attribuivano alla presenza di un diavolo maligno.
Il poveretto spesso si gettava a terra e, stralunando gli occhi in modo orribile, si ravvoltolava tutto con la schiuma alla bocca; le sue membra ora si contraevano, ora si distendevano, or rigide, or piegate e contorte […]
Il santo Francesco ne ebbe compassione immensa, si recò da lui, lo benedisse, pregando umilmente Iddio, e il malato ottenne pronta e completa salute e non patì più un male del genere” (FF 440).
“A Città di Castello una donna era posseduta da uno spirito maligno e furioso: appena il Santo […] ebbe ingiunto per obbedienza [di uscire da lei], il demonio fuggì pieno di sdegno, lasciando libera nell’anima e nel corpo la povera ossessa” (FF 1219)
Francesco aveva sposato la Luce, oscurando la forza del male.
Il Minimo aveva compassione delle folle stanche e sfinite che lo seguivano e, nella preghiera, suo costante rifugio, chiedeva a Dio operai per la messe abbondante.
Chiedeva pure ai suoi frati di pregare molto per questa causa.
Come Gesù, il Santo percorreva tutte le città e i villaggi, predicando il Vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità (cf. Mt 9,35).
Martedì della 14.a sett. T.O. (Mt 9,32-38)
This belonging to each other and to him is not some ideal, imaginary, symbolic relationship, but – I would almost want to say – a biological, life-transmitting state of belonging to Jesus Christ (Pope Benedict)
Questo appartenere l’uno all’altro e a Lui non è una qualsiasi relazione ideale, immaginaria, simbolica, ma – vorrei quasi dire – un appartenere a Gesù Cristo in senso biologico, pienamente vitale (Papa Benedetto)
She is finally called by her name: “Mary!” (v. 16). How nice it is to think that the first apparition of the Risen One — according to the Gospels — took place in such a personal way! [Pope Francis]
Viene chiamata per nome: «Maria!» (v. 16). Com’è bello pensare che la prima apparizione del Risorto – secondo i Vangeli – sia avvenuta in un modo così personale! [Papa Francesco]
Jesus invites us to discern the words and deeds which bear witness to the imminent coming of the Father’s kingdom. Indeed, he indicates and concentrates all the signs in the enigmatic “sign of Jonah”. By doing so, he overturns the worldly logic aimed at seeking signs that would confirm the human desire for self-affirmation and power (Pope John Paul II)
Gesù invita al discernimento in rapporto alle parole ed opere, che testimoniano l'imminente avvento del Regno del Padre. Anzi, Egli indirizza e concentra tutti i segni nell'enigmatico "segno di Giona". E con ciò rovescia la logica mondana tesa a cercare segni che confermino il desiderio di autoaffermazione e di potenza dell'uomo (Papa Giovanni Paolo II)
Without love, even the most important activities lose their value and give no joy. Without a profound meaning, all our activities are reduced to sterile and unorganised activism (Pope Benedict)
Senza amore, anche le attività più importanti perdono di valore, e non danno gioia. Senza un significato profondo, tutto il nostro fare si riduce ad attivismo sterile e disordinato (Papa Benedetto)
In reality, an abstract, distant god is more comfortable, one that doesn’t get himself involved in situations and who accepts a faith that is far from life, from problems, from society. Or we would even like to believe in a ‘special effects’ god (Pope Francis)
In realtà, è più comodo un dio astratto, distante, che non si immischia nelle situazioni e che accetta una fede lontana dalla vita, dai problemi, dalla società. Oppure ci piace credere a un dio “dagli effetti speciali” (Papa Francesco)
It is as though you were given a parcel with a gift inside and, rather than going to open the gift, you look only at the paper it is wrapped in: only appearances, the form, and not the core of the grace, of the gift that is given! (Pope Francis)
È come se a te regalassero un pacchetto con dentro un dono e tu, invece di andare a cercare il dono, guardi soltanto la carta nel quale è incartato: soltanto le apparenze, la forma, e non il nocciolo della grazia, del dono che viene dato! (Papa Francesco)
The Evangelists Matthew and Luke (cf. Mt 11:25-30 and Lk 10:21-22) have handed down to us a “jewel” of Jesus’ prayer that is often called the Cry of Exultation or the Cry of Messianic Exultation. It is a prayer of thanksgiving and praise [Pope Benedict]
Gli evangelisti Matteo e Luca (cfr Mt 11,25-30 e Lc 10, 21-22) ci hanno tramandato un «gioiello» della preghiera di Gesù, che spesso viene chiamato Inno di giubilo o Inno di giubilo messianico. Si tratta di una preghiera di riconoscenza e di lode [Papa Benedetto]
don Giuseppe Nespeca
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