Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Il brano di Vangelo tratto da Giovanni c’introduce nella festa dei Santi Michele, Gabriele e Raffaele arcangeli, depositari di missioni speciali presso gli uomini.
Gesù li chiama in causa nel colloquio con Natanaele, a riguardo della sua divinità:
«Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio che salgono e scendono sul Figlio dell’uomo» (Gv 1,51b).
Francesco d’Assisi nutriva una speciale devozione per gli Angeli, tanto più aveva scelto - come piccola porzione dove vivere - la Chiesa di S. Maria degli Angeli, luogo di singolari grazie.
Le Fonti, testimonianza di vita del Poverello e di tutti i frati c’informano.
“Venerava col più grande affetto gli Angeli, che sono con noi sul campo di battaglia e con noi camminano in mezzo all’ombra della morte.
«Dobbiamo venerare - diceva - questi compagni che ci seguono ovunque e allo stesso modo invocarli come custodi».
Insegnava che non si deve offendere il loro sguardo, né osare alla loro presenza ciò che non si farebbe davanti agli uomini.
E proprio perché in coro si salmeggia davanti agli Angeli, voleva che tutti quelli che potevano si radunassero nell’oratorio* e lì salmeggiassero con devozione.
Ripeteva spesso che si deve onorare in modo più solenne il beato Michele, perché ha il compito di presentare le anime a Dio.
Perciò ad onore di S. Michele, tra la festa dell’Assunzione e la sua digiunava con la massima devozione per quaranta giorni. E diceva:
«Ciascuno ad onore di così glorioso principe dovrebbe offrire a Dio un omaggio di lode o qualche altro dono particolare»” (FF 785).
E, a riguardo della Porziuncola:
“Là egli godeva spesso della visita degli Angeli, come sembrava indicare il nome della Chiesa stessa, chiamata fin dall’antichità Santa Maria degli Angeli.
Perciò la scelse come sua residenza, a causa della venerazione per gli Angeli e del suo speciale amore per la Madre di Cristo.
Il Santo amò questo luogo più di tutti gli altri luoghi del mondo. Qui, infatti, conobbe l’umiltà degli inizi; qui progredì nelle virtù; qui raggiunse felicemente la mèta.
Questo luogo, al momento della morte, raccomandò ai frati come il luogo più caro alla Vergine” (FF 1048).
Possiamo credergli, perché Francesco era un «Israelita in cui non c’è inganno».
• Oratorio= luogo riservato alla preghiera dei religiosi oppure coro della chiesa.
Il Vangelo proposto dalla Liturgia odierna ci pone dinanzi tre dimensioni esistenziali importanti, che Francesco teneva in grande conto.
La parabola del povero Lazzaro e del ricco smodato evoca l’uso diligente delle ricchezze, la premura verso i bisognosi, ed è un richiamo alla conversione, poiché dopo la morte il giudizio individuale sarà irreversibile.
Francesco, il Povero d’Assisi, ebbe sempre dinanzi allo sguardo questo quadro evangelico, che lo indusse a meglio dirigere il suo cuore verso Dio e i poveri.
Le Fonti attestano, fin dagli inizi del suo cammino:
"(Francesco) aveva sempre beneficato i bisognosi, ma da quel momento si propose fermamente di non rifiutare mai l’elemosina al povero che la chiedesse per amore di Dio, e anzi di fare largizioni spontanee e generose.
A ogni misero che gli domandasse la carità, quando Francesco era fuori casa, provvedeva con denaro; se ne era sprovvisto, gli regalava il cappello o la cintura, pur di non rimandarlo a mani vuote.
O essendo privo di questi, si ritirava in disparte, si toglieva la camicia e la faceva avere di nascosto all’indigente, pregandolo di prenderla per amore di Dio.
Comperava utensili di cui abbisognavano le chiese e segretamente li donava ai sacerdoti poveri" (FF 1403).
E ancora, la Leggenda dei tre compagni c’informa:
"La Grazia divina lo aveva profondamente cambiato. Pur non indossando un abito religioso, bramava trovarsi sconosciuto in qualche città, dove barattare i suoi abiti con gli stracci di un mendicante e provare lui stesso a chiedere l’elemosina per amor di Dio" (FF 1405).
Il Minimo sapeva che quanto riceveva un povero era rivolto a Cristo stesso e che un solo bicchiere d’acqua dato a quei piccoli ed emarginati era offerto a Gesù.
L’incontro con il lebbroso nella piana d’Assisi, infatti, aveva trasformato in lui l’amaro in vera dolcezza.
Francesco temeva il giudizio divino e desiderava corrispondere a quanto la Parola di Dio gli chiedeva.
Era davvero il Poverello fatto pane, il Giullare fatto misericordia, il Generoso che rigenera speranza.
Assisi era divenuta per lui la tavola della Carità su cui deporre amore e perdono; accoglienza dei non considerati - numero sconosciuto per i ricchi epuloni del tempo, sdoganati dal suo evangelico vissuto.
Leggiamo nelle Fonti:
"[i frati] disprezzavano […] ogni bene effimero, bramato dagli amatori di questo mondo.
Soprattutto avversavano il denaro, calpestandolo come la polvere della strada.
Francesco aveva insegnato loro che il denaro non valeva più dello sterco d’asino.
Quanto più erano separati dal mondo, tanto più si tenevano avvinti a Dio.
Avanzavano sulla via della croce e sui sentieri della giustizia: toglievano dal cammino stretto della penitenza e dell’osservanza evangelica ogni ostacolo, onde lasciare a quelli che li avrebbero seguiti una strada spianata e sicura" (FF 1454)
La stessa Chiara, fin da piccola, sottraeva al suo corpo il cibo per donarlo ai poveri, mantenendo questo atteggiamento di cura e sollecitudine speciale verso i bisognosi; tutta la vita.
Entrambi fecero dei beni a loro disposizione un uso evangelico, intelligente, al servizio del Regno di Dio.
«Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni nella tua vita, e Lazzaro ugualmente i mali; ma adesso qui è consolato, tu invece sei torturato» (Lc 16,25)
Il Poverello sempre esortò i suoi frati ad essere misericordiosi con ogni forma d’indigenza, perché il giudizio non concede vita piena a chi non la riconosce ai fratelli.
«Ora, c’era un uomo ricco, che si rivestiva di porpora e di bisso, facendo festa ogni giorno splendidamente. Ma un povero di nome Lazzaro giaceva presso il suo portone coperto di piaghe e desiderando di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco» (Lc 16,19-20)
Domenica 26.a T.O. anno C (Lc 16,19-31)
Il Vangelo di Luca parla oggi del secondo annuncio della Passione di Gesù.
Egli cercava di preparare i discepoli alla consumazione del suo mistero Pasquale, ma essi facevano fatica a capire, non coglievano il senso di quanto il Signore esprimeva.
Come Gesù si trova di fronte all’incomprensione dei discepoli dinanzi al mistero della sua morte, così Francesco ha dinanzi a sé, alla fine della sua vita, lo sconcerto dei suoi frati.
Nelle Fonti:
“Fece chiamare tutti i frati presenti nella casa, e cercando di lenire il dolore che dimostravano per la sua morte, li esortò con affetto paterno all’amore di Dio […]
«Addio - disse - voi tutti figli miei, vivete nel timore del Signore e conservatevi in esso sempre!
E poiché si avvicina l’ora della prova e della tribolazione, beati quelli che persevereranno in ciò che hanno intrapreso!
Io infatti mi affretto verso Dio e vi affido tutti alla sua grazia».
E benedisse nei presenti anche tutti i frati, ovunque si trovassero nel mondo, e quanti sarebbero venuti dopo di loro sino alla fine dei secoli” (FF 806).
“Mentre i frati versavano lacrime amarissime e si lamentavano desolati […] Volle anche i libri dei Vangeli e chiese che gli leggessero il Vangelo secondo Giovanni […]” (FF 808).
E ancora:
“Si rivolse poi al medico:
«Coraggio, frate medico, dimmi pure che la morte è imminente: per me sarà la porta della vita!».
E ai frati:
«Quando mi vedrete ridotto all’estremo, esponetemi nudo sulla terra come mi avete visto ieri l’altro, e dopo che sarò morto, lasciatemi giacere così per il tempo necessario a percorrere comodamente un miglio».
Giunse infine la sua ora, ed essendosi compiuti in lui tutti i misteri di Cristo, se ne volò felicemente a Dio” (FF 810).
«Ponete voi nei vostri orecchi queste parole perché il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini» (Lc 9,44)
Sabato della 25.a sett. T.O. (Lc 9,43b-45)
Dinanzi alla gente che lo scambia per il Battista o Elia o uno dei profeti,
Gesù chiede ai suoi:
«Ma voi, chi dite che io sia?» (Lc 9,20).
E poi ricorda ai discepoli che il Figlio dell’uomo dovrà soffrire molto.
Francesco d’Assisi parlava spesso ai suoi frati delle sofferenze patite dal Cristo, della sua Passione, per la quale piangeva molto.
Testimoniava la sua fede in Gesù, Figlio di Dio, con grande fervore.
Infatti “insegnò loro […] a confessare schiettamente la verità della fede, così come la tiene e la insegna la Santa Chiesa romana.
Essi osservavano in tutto e per tutto gli insegnamenti del padre santo e, appena scorgevano qualche chiesa da lontano, o qualche croce, si volgevano verso di essa, prostrandosi umilmente a terra e pregando secondo la forma loro indicata” (FF 1069).
Le Fonti ci ammaestrano al riguardo:
“Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere.
Ma soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro” (FF 467).
E nei suoi scritti:
“A colui che tanto patì per noi, che tanti beni ha elargito e ci elargirà in futuro […] Egli che solo è buono, solo altissimo, solo onnipotente, ammirabile […] degno di lode e benedetto per gli infiniti secoli dei secoli. Amen” (FF 202).
Ancora: “Si fissò nella sua anima santa la compassione del Crocifisso e […] le venerande stimmate della Passione, quantunque non ancora nella carne, gli si impressero profondamente nel cuore […] e non riesce più a trattenere le lacrime e piange anche ad alta voce la passione di Cristo, che gli sta sempre davanti agli occhi.
Riempie di gemiti le vie, rifiutando di essere consolato al ricordo delle piaghe di Cristo.
Incontrò, un giorno, un suo intimo amico, e avendogli manifestato la causa del dolore, subito anche questi proruppe in lacrime amare” (FF 594).
Il pensiero che Gesù in noi doveva ancora soffrire molto lo tormentava rendendolo compreso di tale Mistero giorno e notte.
Venerdì della 25.a sett. T.O. (Lc 9,18-22)
I pochi versetti del capitolo nove di Luca, presi in considerazione dalla Liturgia odierna, accendono luci sul dilemma di Erode in merito a Gesù:
«Giovanni, l’ho fatto decapitare io; ora, chi è costui del quale sento tali cose?» (Lc 9,9).
E voleva vederlo!
Nelle Fonti Francescane troviamo passi che rivelano come
la gente non smetteva d’interrogarsi sul Poverello.
Dopo la conversione, Francesco d’Assisi fu rivestito da Dio di singolari carismi da lui tenuti nell’umiltà del nascondimento.
Ma le meraviglie che il Signore compiva per mezzo del Poverello parlavano per lui.
Suscitava stupore e sconcerto la sua vita semplice sulle orme di Cristo. La gente non smetteva d’interrogarsi sulla sua persona e su quanto compiva.
Le Fonti illuminano:
“Anche i malati che mangiavano il pane toccato dall’uomo di Dio, ottenevano rapidamente per divino intervento, la guarigione” (FF 1220).
“Poiché l’araldo di Cristo era famoso per questi e molti altri prodigi, la gente prestava attenzione alle sue parole, come parlasse un Angelo del Signore.
Infatti la prerogativa delle virtù eccelse, lo spirito di profezia, la potenza taumaturgica, la missione di predicare venuta dal Cielo, l’obbedienza delle creature prive di ragione, le repentine conversioni dei cuori operate dall’ascolto della sua parola, la scienza infusa dallo Spirito Santo e superiore all’umana dottrina, l’autorizzazione a predicare concessa dal Sommo Pontefice per rivelazione divina, come pure la Regola, che definisce la forma della predicazione, confermata dallo stesso Vicario di Cristo e, infine, i segni del Sommo Re impressi come un sigillo nel suo corpo, sono come dieci testimonianze per tutto il mondo e confermano senza ombra di dubbio che Francesco, l’araldo di Cristo, è degno di venerazione per la missione ricevuta, autentico nella dottrina insegnata, ammirabile per la santità e che, perciò, egli ha predicato il Vangelo di Cristo come un vero inviato di Dio” (FF 1221).
Ancora oggi, tutto questo suscita domande: «Chi è, dunque, costui?».
Le Fonti aggiungono: “quella Sapienza che è più nobile d’ogni moto e penetra dappertutto per la sua purezza, si comunica alle anime sante e forma gli amici di Dio e i profeti” (FF 1202).
Giovedì della 25.a sett. T.O. (Lc 9,7-9)
La Liturgia ci propone l’invio dei Dodici ad annunziare il Regno di Dio e a guarire gli infermi.
Dopo aver riparato la Chiesa di S. Maria degli Angeli, sentendo proclamare un brano evangelico sull’Annuncio della Buona Novella, Francesco lascia ogni cosa e accoglie il mandato di Cristo.
Nelle Fonti Francescane troviamo in proposito:
“Un giorno in cui in questa chiesa si leggeva il brano del Vangelo relativo al mandato affidato agli Apostoli di predicare, il Santo, che era presente e ne aveva intuito solo il senso generale, dopo la Messa, pregò il sacerdote di spiegargli il passo.
Il sacerdote glielo commentò punto per punto, e Francesco, udendo che i discepoli di Cristo non devono possedere né oro, né argento, né denaro, né bisaccia, né pane, né bastone per via, né avere calzari, né due tonache, ma soltanto predicare il Regno di Dio e la penitenza [Lc 9,1-6], subito, esultante di Spirito Santo, esclamò:
«Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!».
S’affretta allora il padre santo, tutto pieno di gioia, a realizzare il salutare ammonimento; non sopporta indugio alcuno a mettere in pratica fedelmente quanto ha sentito: si scioglie dai piedi i calzari, abbandona il suo bastone, si accontenta di una sola tunica, sostituisce la sua cintura con una corda.
Da quell’istante confeziona per sé una veste che riproduce l’immagine della croce, per tenere lontane le seduzioni del demonio; la fa ruvidissima, per crocifiggere la carne e tutti i suoi vizi e peccati, e talmente povera e grossolana da rendere impossibile al mondo invidiargliela” (FF 356).
“In certe regioni erano accolti, ma senza permettere loro di costruire abitazioni. Altrove, venivano cacciati, per paura che fossero degli eretici” (FF 1475).
«E li mandò predicare il regno di Dio e a guarire [gli infermi]» (Lc 9,2)
Mercoledì 25.a sett. T.O. (Lc 9,1-6)
Gesù chiama a riflettere su chi sono sua madre e i suoi fratelli: «questi che ascoltano la Parola di Dio e la fanno» (Lc 8,21).
Francesco, che si riteneva semplice e idiota, amava appassionatamente la Parola di Dio.
Infatti, imbattendosi a terra con le Lettere, le raccoglieva per averne il dovuto riguardo.
Lo attestano le Fonti, nella prima lettera (da lui scritta) ai Custodi:
«Anche gli scritti che contengono i nomi e le parole del Signore, ovunque fossero trovati in luoghi sconvenienti, siano raccolti e collocati in luogo degno» (FF 242).
La stessa Chiara, pianticella del Serafico Padre, nel suo Testamento, ricorda quanto Francesco amasse e vivesse la Parola, dandone l’esempio:
«Il Figlio di Dio si è fatto nostra via; e questa con la parola e l’esempio ci indicò e insegnò il beato Padre nostro Francesco, vero amante e imitatore di Lui» (FF 2824).
E a chi gli chiedeva se avesse piacere che le persone istruite entrassero nell’Ordine, rispondeva:
«Ne ho piacere; purché, però, sull’esempio di Cristo, di cui si legge non tanto che ha studiato quanto che ha pregato, non trascurino di dedicarsi all’orazione e purché studino non tanto per sapere come devono parlare, quanto per mettere in pratica le cose apprese, e, solo quando le hanno messe in pratica, le propongano agli altri.
Voglio che i miei frati siano discepoli del Vangelo e progrediscano nella conoscenza della verità, in modo tale da crescere contemporaneamente nella purezza della semplicità» (FF 1188).
“E la ragione principale per cui venerava i ministri della Parola di Dio era questa: che essi fanno rivivere la discendenza del loro fratello morto, cioè fanno rivivere il Cristo, che è stato crocifisso per i peccatori, quando li convertono, facendosi loro guida con pia sollecitudine e con sollecita pietà.
Affermava che questo ufficio della pietà è più gradito di ogni sacrificio al Padre delle misericordie, soprattutto se viene adempiuto con zelo dettato da carità perfetta, per cui ci si affatica in esso più con l’esempio che con la parola, più con le lacrime della preghiera che con la loquacità dei discorsi” (FF 1135).
“Egli infatti non era mai stato un ascoltatore sordo del Vangelo, ma, affidando ad una encomiabile memoria tutto quello che ascoltava, cercava con ogni diligenza di seguirlo alla lettera” (FF 357).
Martedì della 25.a sett. T.O. (Lc 8,19-21)
Il brano di Luca oggi proposto pone in evidenza la chiarità della lampada, che non va oscurata bensì esaltata per diffondersi.
Gesù insiste pure sulla necessità di disposizioni adeguate per ascoltare la Parola.
Il riverbero di tutto questo lo scopriamo anche nelle Fonti francescane.
Il Povero d’Assisi, luce dell’Ordine dei Minori, aveva compreso per grazia che da come ascoltiamo la Parola di Dio dipendono poi i frutti.
Per questo nei suoi scritti leggiamo:
”E poiché chi è da Dio ASCOLTA LE PAROLE DI DIO, perciò noi, che in modo tutto speciale siamo deputati ai divini uffici, dobbiamo non solo ascoltare e praticare quello che Dio dice, ma anche, per radicare in noi l’altezza del nostro Creatore e la nostra sottomissione a lui, custodire i vasi sacri e i libri liturgici, che contengono le sante parole” (Lettera a tutti i Chierici, FF 224).
Sapeva che l’ascolto incide sulla luminosità della testimonianza tanto che, nella Vita Seconda del Celano, viene rilevato:
“I frati minori sono stati mandati dal Signore in questo ultimo tempo per offrire esempi di luce a chi è avvolto dal buio dei peccati” (FF 739).
Altresì Chiara, fin dal grembo materno profetizzata come luce per il mondo, nella lettera d’introduzione della Leggenda è guardata come un dono speciale di Dio per l’umanità:
“Perciò Dio misericordioso suscitò la venerabile vergine Chiara e in lei fece splendere alle donne una chiarissima lampada” (FF 3151), questa sì da non mettere sotto il moggio, ma sul lucerniere per far luce a tutti noi.
Amava e cercava l’ascolto attento della Parola. Infatti:
“Provvede alle figlie, mediante devoti predicatori, l’alimento della Parola di Dio, della quale riserva per se stessa una larga porzione. Da tale gioia […] è pervasa nell’ascolto della santa predicazione” (FF 3230).
“Allorché, infatti, ritornava nella gioia della santa orazione, riportava dal fuoco dell’altare del Signore parole ardenti, tali da infiammare il cuore delle sorelle.
Esse constatavano infatti con ammirazione che si irradiava dal suo volto una certa dolcezza e che la sua faccia pareva più luminosa del solito.
Certamente, nella sua dolcezza, Dio aveva dato convito alla poverella e, dopo averle inondato l’animo nell’orazione con la sua LUCE VERA, lo manifestava al di fuori sensibilmente” (FF 3199).
Chiara luminosa per virtù risplende nella Chiesa come lampada sul candelabro, illuminando le tenebre di questo mondo.
«Ora, nessuno accesa una lucerna la copre con un vaso o mette sotto un letto, ma la pone su un lucerniere, perché quelli che entrano vedano la luce» (Lc 8,16)
Lunedì della 25.a sett. T.O. (Lc 8,16-18)
Colto in flagrante, prima di essere allontanato, l’amministratore disonesto sa farsi amici con la stessa disonesta ricchezza.
Gesù rivolto ai discepoli sottolinea che i figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce.
Francesco d’Assisi è colui che ha saputo farsi amici nel Cielo con la disonesta ricchezza, con trasparente accortezza.
Non la amava; infatti restituì tutto e pubblicamente, sposando Madonna Povertà.
Ma suo merito fu che seppe giovarsi dei beni terreni in modo sapiente, evangelico.
Nel nuovo itinerario intrapreso si distinse per quell’occhio interiore
che vede, in prospettiva, dove conduce l’appetito terreno.
Raccomandava sempre di donare i beni non ai parenti, ma ai più poveri,
perché in essi s’incontra il Povero per eccellenza: Cristo!
Esortava i suoi a farsi amici nei cieli con la disonestà ricchezza e ricevendo in cambio quella imperitura, che profuma di resurrezione.
Lui, che era vissuto in gioventù nello sfarzo, sapeva bene dove conduceva il cieco amore per i beni posseduti.
Le Fonti francescane, luogo di ricchezza spirituale, lo pongono in evidenza:
“Anche nelle feste principali, quando ve n’era l’opportunità, era solito andare per l’elemosina.
Perché, diceva, nei poveri di Dio si realizza la parola del profeta: l’uomo ha mangiato il pane degli Angeli.
Il pane degli Angeli è quello che la santa povertà raccoglie di porta in porta e che, domandato per amor di Dio, per amor di Dio viene elargito, per suggerimento degli Angeli santi” (Fonti 1129).
E nella Regola di Chiara vediamo come ella parla della povertà rivolta alle sorelle:
«Questa sia la vostra parte di eredità, che introduce nella terra dei viventi. Aderendo totalmente ad essa, non vogliate mai, sorelle dilettissime, avere altro sotto il cielo, per amore del Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre» (Fonti 2795).
Sapevano, infatti, che i beni donati a chi ha bisogno costituiscono la pietra miliare del seguire Gesù e la sua Santa Parola fatta carne.
Guidati dal Vangelo, quindi, non vollero mai seguire due padroni: Dio e la ricchezza, ma rivestirsi unicamente di Cristo, per beni più duraturi.
Più leggeri, per il Cielo!
«Fatevi degli amici dal mammona ingiusto, perché quando verrà a mancare, vi accolgano nelle tende eterne»
«Fatevi degli amici dal mammona ingiusto, perché quando verrà a mancare, vi accolgano nelle tende eterne» (Lc 16,9)
Domenica 25.a T.O. anno C (Lc 16,1-13)
The Church invites believers to regard the mystery of death not as the "last word" of human destiny but rather as a passage to eternal life (Pope John Paul II)
La Chiesa invita i credenti a guardare al mistero della morte non come all'ultima parola sulla sorte umana, ma come al passaggio verso la vita eterna (Papa Giovanni Paolo II)
The saints: they are our precursors, they are our brothers, they are our friends, they are our examples, they are our lawyers. Let us honour them, let us invoke them and try to imitate them a little (Pope Paul VI)
I santi: sono i precursori nostri, sono i fratelli, sono gli amici, sono gli esempi, sono gli avvocati nostri. Onoriamoli, invochiamoli e cerchiamo di imitarli un po’ (Papa Paolo VI)
Man rightly fears falling victim to an oppression that will deprive him of his interior freedom, of the possibility of expressing the truth of which he is convinced, of the faith that he professes, of the ability to obey the voice of conscience that tells him the right path to follow [Dives in Misericordia, n.11]
L'uomo ha giustamente paura di restar vittima di una oppressione che lo privi della libertà interiore, della possibilità di esternare la verità di cui è convinto, della fede che professa, della facoltà di obbedire alla voce della coscienza che gli indica la retta via da seguire [Dives in Misericordia, n.11]
We find ourselves, so to speak, roped to Jesus Christ together with him on the ascent towards God's heights (Pope Benedict)
Ci troviamo, per così dire, in una cordata con Gesù Cristo – insieme con Lui nella salita verso le altezze di Dio (Papa Benedetto)
Church is a «sign». That is, those who looks at it with a clear eye, those who observes it, those who studies it realise that it represents a fact, a singular phenomenon; they see that it has a «meaning» (Pope Paul VI)
La Chiesa è un «segno». Cioè chi la guarda con occhio limpido, chi la osserva, chi la studia si accorge ch’essa rappresenta un fatto, un fenomeno singolare; vede ch’essa ha un «significato» (Papa Paolo VI)
Let us look at them together, not only because they are always placed next to each other in the lists of the Twelve (cf. Mt 10: 3, 4; Mk 3: 18; Lk 6: 15; Acts 1: 13), but also because there is very little information about them, apart from the fact that the New Testament Canon preserves one Letter attributed to Jude Thaddaeus [Pope Benedict]
Li consideriamo insieme, non solo perché nelle liste dei Dodici sono sempre riportati l'uno accanto all'altro (cfr Mt 10,4; Mc 3,18; Lc 6,15; At 1,13), ma anche perché le notizie che li riguardano non sono molte, a parte il fatto che il Canone neotestamentario conserva una lettera attribuita a Giuda Taddeo [Papa Benedetto]
Bernard of Clairvaux coined the marvellous expression: Impassibilis est Deus, sed non incompassibilis - God cannot suffer, but he can suffer with (Spe Salvi, n.39)
Bernardo di Chiaravalle ha coniato la meravigliosa espressione: Impassibilis est Deus, sed non incompassibilis – Dio non può patire, ma può compatire (Spe Salvi, n.39)
Pride compromises every good deed, empties prayer, creates distance from God and from others. If God prefers humility it is not to dishearten us: rather, humility is the necessary condition to be raised (Pope Francis)
La superbia compromette ogni azione buona, svuota la preghiera, allontana da Dio e dagli altri. Se Dio predilige l’umiltà non è per avvilirci: l’umiltà è piuttosto condizione necessaria per essere rialzati (Papa Francesco)
A “year” of grace: the period of Christ’s ministry, the time of the Church before his glorious return, an interval of our life (Pope Francis)
don Giuseppe Nespeca
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