Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Nel brano di oggi Gesù rivolgendosi ai suoi discepoli li esorta ad avere fede, a non turbarsi, poiché Lui va a preparare loro "un posto".
A Tommaso, che chiede la via, il Signore risponde dicendo che Lui è la via, la verità e la vita del Padre.
Sempre nel suo cammino, Francesco aveva esortato i suoi alla fede, a non lasciarsi prendere dal turbamento nei momenti difficili.
Ammirava ed esaltava la fede dei credenti e la solida testimonianza da qualunque parte giungesse.
Nelle Fonti ci sono vari passaggi al riguardo.
Nella Regola non bollata:
"Manteniamoci dunque fedeli alle parole, alla vita, alla dottrina e al santo Vangelo di colui che si è degnato pregare per noi il Padre suo e manifestarci il nome di Lui, dicendo:
«Padre glorifica il tuo nome […] Rendili gloriosi nella verità. La tua parola è verità […]» " (FF 62).
E Francesco ammirava la fede di donna Jacopa dei Settesogli*, nobile donna affezionata a lui e a tutta la fraternità.
Le Fonti raccontano:
"Un giorno Francesco fece chiamare i suoi compagni e disse:
«Voi sapete come donna Jacopa dei Settesogli fu ed è molto fedele e affezionata a me e alla nostra fraternità. Io credo che, se la informerete del mio stato di salute, riterrà ciò come una grazia grande e consolazione.
Fatele sapere […] che vi mandi, per confezionare una tonaca, del panno grezzo […] E insieme invii un po’ di quel dolce che era solita prepararmi quando soggiornavo a Roma».
Si tratta del dolce che i romani chiamano mostacciolo, ed è fatto con mandorle, zucchero o miele ed altri ingredienti.
Jacopa era una donna spirituale, vedova, devota a Dio, una delle più nobili e ricche signore di Roma.
Per i meriti e la predicazione di Francesco ella aveva avuto da Dio tanta grazia da sembrare quasi una seconda Maddalena, teneramente devota fino alle lacrime" (FF 1657).
I frati avevano scritto una lettera da inviare a Donna Jacopa, ma sentirono bussare alla porta ed era proprio lei, venuta in fretta per visitare Francesco.
Siccome era stato stabilito, fin dai primi tempi, che nessuna donna entrasse in clausura per salvaguardare l’onorabilità e il raccoglimento della casa religiosa, un frate disse a Francesco:
" «Padre che facciamo? Dobbiamo lasciarla entrare e accostarsi a te?».
Rispose Francesco:
«Il divieto non è applicabile a questa signora, che una tale fede e devozione ha fatto accorrere da così lontano».
Jacopa entrò dunque da Francesco e al vederlo si mise a piangere…
Donna Jacopa si rivolse loro e spiegò:
«Fratelli, mentre stavo pregando, mi fu detto in spirito:
Va’ e visita il tuo padre Francesco. Affrettati, non indugiare, poiché se tu tardi non lo troverai vivo […]» " (FF 1657- Leggenda Perugina).
Così Francesco, ormai prossimo al trapasso, ebbe la gioia della testimonianza di una grande fede da parte di questa nobile donna.
E vicino alla sua Pasqua parve quasi dire ai suoi:
«Non si turbi il vostro cuore. Credete in Dio e credete in me» (Gv 14,1).
Anche lui, dietro le orme di Cristo, andava a preparare loro ‘un posto’.
* Jacopa non dei Settesoli, ma sette “sogli”, cioè troni o seggi.
* «Iacopa de Septem soliis».
Venerdì della 4.a sett. di Pasqua (Gv 14,1-6)
«Chi riceve colui che manderò, riceve me; ma chi riceve me, riceve Colui che mi ha mandato» (Gv 13,20).
Gesù, nell’ultima Cena, dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli li invita a fare altrettanto, ricordando loro che un inviato non è più grande di chi lo ha mandato.
Al tempo stesso rammenta che ricevere colui che Dio manda significa ospitare il Signore stesso.
Francesco sapeva, per grazia, che accogliere è l’infinito del verbo disvelare.
Il Signore si manifesta a colui che ospita con amore l’inviato del Padre delle Misericordie.
Il Povero e i suoi figli conobbero l’accoglienza speciale del vescovo assisano, come è narrato nella Leggenda dei tre compagni:
"Arrivati a Roma, vi trovarono il vescovo di Assisi, che li ricevette con grande gioia.
Egli nutriva una stima affettuosa per Francesco e tutti i frati; ma, ignorando il motivo della loro venuta, fu preso da ansietà: temeva che volessero abbandonare Assisi, dove il Signore aveva cominciato per loro mezzo a compiere meraviglie di bene.
Egli era fiero e felice di avere nella sua diocesi uomini così zelanti, sulla cui vita esemplare faceva moltissimo conto.
Quando però seppe lo scopo del viaggio e comprese i loro progetti, ne fu rasserenato e promise di consigliarli e aiutarli" (FF 1456).
Ma c’era anche chi reagiva diversamente con i frati inviati:
"Molti li prendevano per dei ciarlatani o sempliciotti, e non volevano riceverli in casa, per paura che commettessero dei furti.
In diverse località, dopo aver ricevuto un mucchio d’ingiurie, non trovavano dove rifugiarsi, se non sotto i portici delle chiese o delle case.
Un giorno due frati giunsero a Firenze. Girarono mendicando tutta la città, senza però trovare uno che li ospitasse.
Arrivati a una casa che aveva davanti un porticato, sotto il quale c’era il forno, si dissero:
«Potremo riposarci qui».
Pregarono però la padrona di riceverli in casa, ma quella ricusò.
Allora umilmente le proposero che permettesse loro almeno di rifugiarsi quella notte vicino al forno. La donna acconsentì […]
Quella notte dormirono a disagio fino all’alba, presso il forno, scaldati dal solo amore divino e protetti dalla coperta di Madonna Povertà.
Si levarono per andare alla chiesa più vicina, per partecipare alla liturgia del mattino" (FF 1442).
Nel riconoscere colui che Cristo invia è insita la rivelazione dell’incontro autentico e personale con Gesù.
Inoltre, Francesco e i suoi avevano la chiara consapevolezza che se avessero respinto il Maestro la via del discepolo non avrebbe potuto essere dissimile.
Da qui l’accogliere tutto, dimorando nell’Amore.
Le Fonti ricordano che in ciò riposa la Perfetta Letizia, come Francesco insegnò a frate Leone:
" «Ecco, io torno da Perugia e, a notte profonda, giungo qui, ed è un inverno fangoso e così rigido che, all’estremità della tonaca, si formano dei ghiaccioli d’acqua congelata […] giungo alla porta e, dopo aver a lungo picchiato e chiamato, viene un frate e chiede:
«Chi è?».
Io rispondo:
«Frate Francesco» […]
l’altro risponde:
«Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai […]».
E io sempre resto davanti alla porta e dico:
«Per amor di Dio, accoglietemi per questa notte» […]
«Ebbene se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia e qui la vera virtù e la salvezza dell’anima» " (FF 278).
Giovedì della 4.a sett. di Pasqua (Gv 13,16-20)
Il brano proposto oggi dalla Liturgia evidenzia il meraviglioso discorso di Gesù ai suoi sull’Amore.
Inizia dicendo di rimanere nel suo amore; e il versetto conclusivo ribadisce quanto detto poco prima: di amarsi gli uni gli altri.
Sia Francesco che Chiara erano divorati dall’amore di Dio, tanto che nelle Fonti troviamo brani di notevole spessore in merito.
La Leggenda maggiore narra:
"Chi potrebbe descrivere degnamente il fervore di carità, che infiammava Francesco, amico dello Sposo? Poiché egli, come un carbone ardente, pareva tutto divorato dalla fiamma dell’amor divino.
Al sentir nominare l’amore del Signore, subito si sentiva stimolato, colpito, infiammato: quel nome era per lui come un plettro, che gli faceva vibrare l’intimo del cuore.
«Offrire, in compenso dell’elemosina, il prezioso patrimonio dell’amor di Dio - così egli affermava - è nobile prodigalità; e stoltissimi sono coloro che lo stimano meno del denaro, poiché soltanto il prezzo inapprezzabile dell’amor divino è capace di comprare il regno dei cieli. E molto si deve amare l’amore di Colui che molto ci ha amati» " (FF 1161).
Parimenti Chiara, nella terza lettera ad Agnese di Praga, si esprimeva così:
" «…è ormai chiaro che l’anima dell’uomo fedele, che è la più degna tra tutte le creature, è resa dalla Grazia di Dio più grande del cielo. Mentre, infatti, i cieli con tutte le altre cose create non possono contenere il Creatore, l’anima fedele invece, ed essa sola, è sua dimora e soggiorno, e ciò soltanto a motivo della carità, di cui gli empi sono privi. È la stessa Verità che lo afferma:
«Colui che mi ama, sarà amato dal Padre mio, e io pure l’amerò; noi verremo a lui e porremo in lui la nostra dimora» " (FF 2892).
E ancora, riguardo l’amore scambievole, nella Leggenda dei tre compagni:
"Occupavano la giornata nell’orazione e lavorando con le loro mani, in maniera da evitare risolutamente l’ozio, nemico dell’anima. A mezzanotte si alzavano per la preghiera, animata da gemiti e lacrime.
Si amavano l’un l’altro con un affetto profondo, e a vicenda si servivano e procuravano il necessario, come farebbe una madre col suo unico figlio teneramente amato. Tale era l’affetto che ardeva loro in cuore, che erano pronti a consegnarsi alla morte senza esitare, non solo per amore di Cristo, ma anche per salvare l’anima o il corpo dei fratelli" (FF 1446).
La fraternità delle origini di Francesco è la più alta e concreta testimonianza di cosa vuol dire rimanere nell’Amore di Dono e riversarlo nelle relazioni con i fratelli.
Fatti eloquenti richiamano all’autenticità dei rapporti, senza usare la verità a proprio tornaconto.
È chiaro, infatti, che «chi fa la verità viene verso la luce, perché siano manifeste le sue opere, poiché sono state operate in Dio» (Gv 3,21).
«Queste cose vi comando: perché vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15,17)
San Mattia, 14 maggio (Gv 15,9-17)
Sotto al Portico di Salomone, in Gerusalemme, Gesù fa la sua denuncia ai Giudei: non siete mie pecore, perché non ascoltate la mia voce.
Francesco aveva una grande premura per le pecore del suo gregge, volendo camminare sulle orme del Signore e desiderando altrettanto per esse.
Aveva una predilezione speciale per le pecore e gli agnellini: gli richiamavano alla memoria l’Agnello Immolato per la nostra salvezza.
È commovente come questi mansueti animali lo ascoltassero, riconoscendo la sua voce di pastore vero.
Nelle Fonti troviamo brani significativi in merito. La Leggenda maggiore narra:
"A Santa Maria della Porziuncola portarono in dono all’uomo di Dio una pecora, che egli accettò con gratitudine, perché amava l’innocenza e la semplicità che, per sua natura, la pecora dimostra.
L’uomo di Dio ammoniva la pecorella a lodare Dio e a non infastidire assolutamente i frati. La pecora, a sua volta, quasi sentisse la pietà dell’uomo di Dio, metteva in pratica i suoi ammaestramenti con grande cura.
Quando sentiva i frati cantare in coro, entrava anche lei in chiesa e, senza bisogno di maestro, piegava le ginocchia, emettendo teneri belati davanti all’altare della Vergine, Madre dell’Agnello, come se fosse impaziente di salutarla.
Durante la celebrazione della Messa, al momento dell’elevazione, si curvava con le ginocchia piegate, quasi volesse, quell’animale devoto, rimproverare agli uomini poco devoti la loro irriverenza e volesse incitare i devoti alla riverenza verso il Sacramento" (FF 1148).
Francesco, pastore mite, era ascoltato e seguito da tutte le creature, che avvertivano in lui la sua unità con il Cristo, il Bel Pastore inviato dal Padre.
I suoi intimi lo ascoltavano con grande ammirazione, poiché la sua vita eloquente parlava per lui.
«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco e mi seguono» (Gv 10,27)
Martedì della 4.a sett. di Pasqua (Gv 10,22-30)
Gesù nel capitolo dieci del Vangelo giovanneo si definisce la ‘Porta delle pecore’ entrando per la quale s’incontra la salvezza. Lui solo è il vero Pastore che ha cura di esse e le difende dai pericoli.
Un giorno Francesco, vicino al traguardo della sua chiamata, ricevette da un frate una domanda circa la figura che avrebbe guidato l’Ordine dopo di lui.
Il passo, tratto dalla vita seconda del Celano, recita così:
«Padre tu passerai da questa vita, e la famiglia che ti ha seguito rimane abbandonata in questa valle di lacrime. Indica uno, se conosci che esista nell’Ordine, che soddisfi il tuo spirito e al quale si possa addossare con tranquillità il peso di ministro generale».
Francesco, accompagnando le singole parole con sospiri, rispose:
«Non conosco alcuno capace di essere guida di un esercito così vario e pastore di un gregge tanto numeroso. Ma voglio dipingervi e, come si dice, modellare la figura, nella quale si veda chiaramente quale deve essere il padre di questa famiglia».
«Deve essere - proseguì - un uomo di vita quanto mai austera, di grande discrezione e lodevole fama […] si applichi con zelo alla preghiera e sappia distribuire determinate ore alla sua anima e altre al gregge, che gli è affidato […] Dopo l’orazione poi, si metta a disposizione dei religiosi, disposto a lasciarsi importunare da tutti, pronto a rispondere e a provvedere a tutti con affabilità […] Anche ammettendo che emerga per cultura, tuttavia ancor più nella sua condotta sia il ritratto della virtuosa semplicità e coltivi la virtù […]».
E continuò:
«Consoli gli afflitti, essendo l’ultimo rifugio per i tribolati, perché non avvenga che, non trovando presso di lui rimedi salutari, gli infermi si sentano sopraffatti dal morbo della disperazione. Umili se stesso, per piegare i protervi alla mitezza, e lasci cadere parte del suo diritto, per conquistare un’anima a Cristo. Quanto ai disertori dell’Ordine, come a pecorelle smarrite, non chiuda loro le viscere della sua misericordia, ben sapendo che sono violentissime le tentazioni, che possono spingere a tanto […] È suo compito soprattutto indagare nel segreto delle coscienze per estrarre la verità dalle vene più occulte, ma non presti orecchio a chi fa pettegolezzi […]» (FF 771-772).
Tutto questo indica il valore dell’essere "Porta" per Francesco tra i suoi frati, che amò con fermezza e tenerezza; con discrezione e comprensione, per amore di Cristo.
«Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; ed entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10,9)
Lunedì della 4.a sett. di Pasqua (Gv 10,1-10)
Gesù, il vero Pastore, discutendo con i capi Giudei sotto il portico di Salomone fa loro presente che essi non sono sue pecore. Queste, infatti, ascoltano la sua voce e lo seguono. Le autorità invece non credono neppure all’evidenza delle sue opere.
Francesco fu un pastore dal cuore tenero, ma fermo, nel cammino da seguire sulle orme di Cristo.
In tal senso vari passi delle Fonti illuminano circa il suo itinerario. Nelle sue Ammonizioni il Poverello scrive:
«Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce.
Le pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione e persecuzione, nell’ignominia e nella fame, nella infermità e nella tentazione e in altre cose simili; e ne hanno ricevuto in cambio dal Signore la vita eterna» (FF 155).
Ancora, la Leggenda maggiore di San Bonaventura c’informa:
"Un giorno, trovandosi in cammino nei pressi di Siena, incontrò un grande gregge di pecore al pascolo. Secondo il suo solito, le salutò benevolmente, e quelle, smettendo di brucare, corsero tutte insieme da lui, sollevando il muso e fissandolo con gli occhi alzati.
Gli fecero tanta festa che i frati e i pastori ne rimasero stupefatti, vedendo gli agnelli e perfino gli arieti saltellargli intorno in modo così meraviglioso" (FF 1147).
E trovandosi S. Francesco insieme a S. Domenico a Roma, in casa del cardinale d’Ostia, dinanzi a questi così parlò dei suoi frati, con grande umiltà:
«Signore, i miei frati proprio per questo sono stati chiamati Minori, perché non presumano di diventare maggiori.
Il nome stesso insegna loro a rimanere in basso ed a seguire le orme dell’umiltà di Cristo, per essere alla fine innalzati più degli altri al cospetto dei Santi.
Se volete - continuò - che portino frutto nella Chiesa, manteneteli e conservateli nello stato della loro vocazione, e riportateli in basso anche contro loro volontà.
Per questo, Padre, ti prego: affinché non siano tanto più superbi quanto più poveri e non si mostrino arroganti verso gli altri, non permettete in nessun modo che ottengano cariche» (FF 732).
Sì, Francesco pregava il Padre celeste perché conservasse le sue pecore nell’umiltà e non fossero strappate dalla sua mano.
Il Povero d’Assisi portò in sé tutti i tratti dell’autentico pastore.
«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco e mi seguono» (Gv 10,27).
Domenica 4.a di Pasqua C (Gv 10,27-30)
Nel capitolo sesto del Vangelo di Giovanni, Gesù parlando ai suoi discepoli dice loro che solo lo Spirito di Dio può far rinascere l’uomo e aprirlo a nuovi orizzonti.
Francesco d’Assisi, dopo la sua giovinezza spensierata, allorché incontra il Signore riceve una grande effusione di Spirito Santo che, stravolgendogli la vita, lo conduce ad uno stile esistenziale completamente nuovo, rovesciato dalla rinascita evangelica.
Lui si considerava un pazzo per Cristo, «simplex et idiota»; congiunto a Madonna Povertà, perché assunta da Gesù dall’inizio alla fine della sua vita e fonte di ricchezza divina.
Per opera dello Spirito era un uomo nuovo, davanti al quale vigevano prospettive nude e vitali.
Il mondo, con le sue fisionomie ingannevoli, non lo interessava più ed era attratto unicamente dall’Amore non amato.
Anche lui come Pietro, se non con le parole con i fatti, ebbe a ripetere al Salvatore nostro:
«Gesù da chi andrò, da chi andremo?! Tu solo hai parole che non passano!».
Ma a tutto questo fungono da supporto alcuni passaggi delle Fonti francescane.
"Un’altra volta, trovandosi a Roma in casa di un cardinale, fu interrogato su alcuni passi oscuri, ed espose con tanta chiarezza quei concetti profondi, da far pensare che fosse sempre vissuto in mezzo alle Scritture.
Perciò il signor cardinale gli disse:
«Io non ti interrogo come letterato, ma come uomo che ha lo Spirito di Dio.
E per questo accetto volentieri il senso della tua risposta, perché so che proviene da Dio solo» (FF 691).
E ancora il Celano, nella Vita prima:
“Uomini e donne, chierici e religiosi accorrevano a gara a vedere e a sentire il Santo di Dio, che appariva a tutti come un uomo di un altro mondo.
Persone di ogni età e sesso venivano sollecite ad ammirare le meraviglie che il Signore di nuovo compiva nel mondo per mezzo del suo servo.
A motivo della presenza o anche della sola fama di San Francesco, sembrava davvero che una nuova luce fosse stata mandata in quel tempo dal cielo a dissipare le caliginose tenebre, che avevano invaso la terra» (FF 383).
Lo stesso Francesco, nella Regola Bollata (1223), esorta i suoi così:
«Ciò che devono desiderare sopra ogni cosa è di avere lo Spirito del Signore e la sua Santa operazione, di pregarlo sempre con cuore puro e di avere umiltà, pazienza nella persecuzione e nella infermità» (FF 104).
«È lo Spirito che vivifica, la carne non giova a nulla. Le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita» (Gv 6,63)
Sabato della 3.a sett. di Pasqua (Gv 6,60-69)
Nel brano di oggi Gesù sconvolge gli schemi mentali dei Giudei che si chiedono come può dar loro da mangiare il suo corpo e bere il sangue.
Francesco, dotato per Grazia di carismi straordinari, aveva ben compreso tutto questo.
Nella sua semplicità fu un grande innamorato dell’Eucaristia, cui dedicò una lettera speciale: «Lettera a tutti i chierici sulla riverenza del Corpo del Signore».
In essa, fra l’altro, leggiamo:
"«Niente infatti possediamo e vediamo corporalmente in questo mondo dello stesso Altissimo, se non il corpo e il sangue, i nomi e le parole mediante le quali siamo stati creati e redenti «da morte a vita»" (FF 207a).
E ancora le Fonti informano sulla devozione di Francesco al Corpo e Sangue del Signore.
"Ardeva di amore in tutte le fibre del suo essere verso il sacramento del Corpo del Signore, preso da stupore oltre ogni misura per tanta benevola degnazione e generosissima carità […] essendo colmo di riverenza per questo venerando sacramento, offriva il sacrificio di tutte le sue membra, e, quando riceveva l’Agnello immolato, immolava lo spirito in quel fuoco, che ardeva sempre sull’altare del suo cuore […]
Un giorno volle mandare i frati per il mondo con pissidi preziose, perché riponessero in luogo il più degno possibile il prezzo della redenzione, ovunque lo vedessero conservato con poco decoro" (FF 789).
Anche Chiara anelava a ricevere il Pane vivo disceso dal cielo con grande devozione e raccoglimento:
"Quando poi stava per ricevere il Corpo del Signore, versava prima calde lacrime e, accostandosi quindi con tremore, temeva Colui che si nasconde nel Sacramento non meno che il Sovrano del cielo e della terra" (FF 3210).
E ancora, durante la sua lunga degenza si dedicò ancor più devotamente all’Eucaristia.
Secondo la Leggenda:
"In quella grave malattia che la confinò al giaciglio, si faceva sollevare e sorreggere dietro con sostegni; e, stando seduta, filava tessuti delicatissimi.
Da questi tessuti ricavò più di cinquanta paia di corporali e, racchiusili in buste di seta o di porpora, li destinava a varie chiese per la piana e per i monti d’Assisi" (FF 3209).
La vita di questi due Poveri fu un incessante sacrificio eucaristico a beneficio dell’umanità, in unità con Gesù.
Ogni loro gesto fu pane spezzato e sangue versato per ogni creatura bisognosa di tutto.
Vivendo in povertà e semplicità nel quotidiano divennero pane per tutti.
«Chi mastica la mia carne e beve il mio sangue ha la Vita dell’Eterno» (Gv 6,54)
Venerdì della 3.a sett. di Pasqua (Gv 6,52-59)
In questa parte del capitolo 6 del Vangelo giovanneo viene messo in evidenza da Gesù che nessuno può andare a Lui se il Padre non lo attira.
Chi ascolta e impara dal Padre va a Gesù.
Francesco, sempre in ascolto della Parola e istruito dallo Spirito, un giorno ebbe a dire ai suoi frati quanto segue:
"«L’Ordine e la vita dei frati minori si assomiglia a un piccolo gregge, che il Figlio di Dio, in quest’ultima ora, ha chiesto al suo Padre celeste, dicendo:
«Padre vorrei che tu suscitassi e donassi a me in quest’ultima ora un nuovo umile popolo, diverso per la sua umiltà e povertà da tutti gli altri che lo hanno preceduto, e fosse felice di non possedere che me solo». E il Padre rispose al suo Figlio diletto:
«Figlio, ciò che hai chiesto, è fatto».
Aggiungeva quindi Francesco che il Signore ha voluto che i frati si chiamassero ‘Minori’, perché appunto questo è il popolo chiesto dal Figlio di Dio al Padre suo, e di esso si dice nel Vangelo: non vogliate temere, o piccolo gregge, poiché è piaciuto al Padre vostro di concedere a voi il Regno; e ancora: quello che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli (minori), lo avete fatto a me.
Sebbene qui il Signore parli di tutti quelli che sono poveri in spirito, tuttavia egli intendeva riferirsi in modo particolare all’Ordine dei frati minori, che sarebbe fiorito nella sua Chiesa" (FF 1617).
E Chiara, nel chiuso delle pareti damianite, scrivendo alla sua figlia spirituale Agnese di Praga:
"«Riempitevi di coraggio nel santo servizio che avete iniziato per l’ardente desiderio del Crocifisso povero. Lui per tutti noi sostenne il supplizio della croce, strappandoci dal potere del Principe delle tenebre, che ci tratteneva avvinti con catene in conseguenza del peccato del primo uomo, e riconciliandoci con Dio Padre»" (FF 2863).
Questi due santi attestano con la vita che per loro il Pane che viene da Dio è la Parola di Gesù e l’Atto donativo estremo di Lui, trasformato in salvezza perenne per tutti noi.
La preghiera cara a Francesco, e spesso ripetuta da lui dinanzi al Crocifisso, è esternazione di ascolto e fede insieme, di orme dirette alla comunione con il Padre e il Figlio suo Gesù nello Spirito.
"«Altissimo glorioso Dio, / illumina le tenebre de lo core mio. / Et dame fede dricta, / speranza certa e carità perfecta,/ senno e cognoscemento, / Signore, /che faccia lo tuo santo e verace comandamento. Amen»" (FF 276).
«Nessuno può venire a me, se il Padre che mi ha mandato non lo attira» (Gv 6,44)
«Chi crede ha la Vita dell’Eterno» (Gv 6,47)
Giovedì della 3.a sett. di Pasqua (Gv 6,44-51)
All this helps us not to let our guard down before the depths of iniquity, before the mockery of the wicked. In these situations of weariness, the Lord says to us: “Have courage! I have overcome the world!” (Jn 16:33). The word of God gives us strength [Pope Francis]
Tutto questo aiuta a non farsi cadere le braccia davanti allo spessore dell’iniquità, davanti allo scherno dei malvagi. La parola del Signore per queste situazioni di stanchezza è: «Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). E questa parola ci darà forza [Papa Francesco]
The Ascension does not point to Jesus’ absence, but tells us that he is alive in our midst in a new way. He is no longer in a specific place in the world as he was before the Ascension. He is now in the lordship of God, present in every space and time, close to each one of us. In our life we are never alone (Pope Francis)
L’Ascensione non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi. Nella nostra vita non siamo mai soli (Papa Francesco)
The Magnificat is the hymn of praise which rises from humanity redeemed by divine mercy, it rises from all the People of God; at the same time, it is a hymn that denounces the illusion of those who think they are lords of history and masters of their own destiny (Pope Benedict)
Il Magnificat è il canto di lode che sale dall’umanità redenta dalla divina misericordia, sale da tutto il popolo di Dio; in pari tempo è l’inno che denuncia l’illusione di coloro che si credono signori della storia e arbitri del loro destino (Papa Benedetto)
This unknown “thing” is the true “hope” which drives us, and at the same time the fact that it is unknown is the cause of all forms of despair and also of all efforts, whether positive or destructive, directed towards worldly authenticity and human authenticity (Spe Salvi n.12)
Questa « cosa » ignota è la vera « speranza » che ci spinge e il suo essere ignota è, al contempo, la causa di tutte le disperazioni come pure di tutti gli slanci positivi o distruttivi verso il mondo autentico e l'autentico uomo (Spe Salvi n.12)
«When the servant of God is troubled, as it happens, by something, he must get up immediately to pray, and persevere before the Supreme Father until he restores to him the joy of his salvation. Because if it remains in sadness, that Babylonian evil will grow and, in the end, will generate in the heart an indelible rust, if it is not removed with tears» (St Francis of Assisi, FS 709)
«Il servo di Dio quando è turbato, come capita, da qualcosa, deve alzarsi subito per pregare, e perseverare davanti al Padre Sommo sino a che gli restituisca la gioia della sua salvezza. Perché se permane nella tristezza, crescerà quel male babilonese e, alla fine, genererà nel cuore una ruggine indelebile, se non verrà tolta con le lacrime» (san Francesco d’Assisi, FF 709)
Wherever people want to set themselves up as God they cannot but set themselves against each other. Instead, wherever they place themselves in the Lord’s truth they are open to the action of his Spirit who sustains and unites them (Pope Benedict)
Dove gli uomini vogliono farsi Dio, possono solo mettersi l’uno contro l’altro. Dove invece si pongono nella verità del Signore, si aprono all’azione del suo Spirito che li sostiene e li unisce (Papa Benedetto)
don Giuseppe Nespeca
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