Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Nella festa di S. Brigida patrona d’Europa la liturgia ci offre un brano tratto dal Vangelo giovanneo.
In esso Gesù ci ricorda che Lui è la vera vite e il Padre suo l’agricoltore. Solo chi rimane unito a Gesù porterà molto frutto.
Francesco, da quando aveva incontrato il Signore, si era convinto che solo dimorando nel suo amore sarebbe andato lontano, insieme ai suoi.
Nelle Fonti c’è un brano che illustra quanto detto.
"Francesco pastore del piccolo gregge, ispirato dalla Grazia divina, condusse i suoi dodici frati a Santa Maria della Porziuncola, perché voleva che l’Ordine dei minori crescesse e si sviluppasse, sotto la protezione della Madre di Dio, là dove, per i meriti di lei, aveva avuto inizio.
Là, inoltre, divenne araldo del Vangelo. Incominciò, infatti, a percorrere città e villaggi e ad annunziarvi il regno di Dio, non basandosi su discorsi persuasivi della sapienza umana, ma sulla dimostrazione di spirito e di potenza.
A chi lo vedeva, sembrava un uomo dell’altro mondo: uno che, la mente e il volto sempre rivolti al cielo, si sforzava di attirare tutti verso l’alto.
Da allora la vigna di Cristo incominciò a produrre germogli profumati del buon odore del Signore, e frutti abbondanti con fiori soavi di grazia e di santità" (FF 1072).
Francesco s’impegnò a far sì che la sua fraternità rimanesse ben unita a Gesù, vera Vite, affinché in Santa Maria della Porziuncola echeggiasse stabilmente la linfa dello Spirito e la Trinità dimorasse in loro e fra loro.
Sapeva bene che senza l’aiuto di Dio non sarebbe stato possibile fare nulla, neppure perseverare nella chiamata-missione ricevuta.
Durante tutta la sua vita si adoperò perché la vigna estesa dei frati minori rendesse a Dio frutti saporosi e mai si allontanasse dal Vangelo, Custodia divina.
Chiara altresì fu Madre prudente, consumatasi perché le sue figlie e sorelle s’impegnassero a rimanere nella Parola di Dio e nella comunione.
L’austerità di vita abbracciata era mitigata dall’amore profondo con cui entrambi furono tralci tenacemente avvinti alla Vite di Cristo.
«Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, questi porta molto frutto, poiché senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5)
S. Brigida di Svezia (Gv 15,1-8)
Nella festa di S.Maria Maddalena la Liturgia ci propone il brano di Giovanni che la riguarda più da vicino, come pure interpella ogni anima nel suo percorso di ricerca del Maestro.
«Donna, perché piangi? Chi cerchi?» (Gv 20,15).
Maria di Magdala piangeva il suo Signore, vicino al sepolcro. Smarrita e addolorata, si affliggeva non sapendo dove fosse, fin quando Gesù si fece presente.
Anche Chiara, nel chiuso di San Damiano, piangeva durante l’orazione per il suo Cristo, unendosi alla sua Passione, nell’attesa della Risurrezione.
Nella Leggenda leggiamo:
"Aveva ormai fissato nella Luce lo sguardo ardentissimo del desiderio interiore e, trascesa la sfera delle vicissitudini umane, spalancava in tutta la sua ampiezza il campo del suo spirito alla pioggia della Grazia.
[…]
Spessissimo, prostrata in orazione col volto a terra, bagna il suolo di lacrime e lo sfiora con baci: così che pare avere sempre tra le braccia il suo Gesù, i cui piedi inondare di lacrime, su cui imprimere baci" (FF 3197).
Chiara cercava interiormente il Signore, anche per coloro che non lo desideravano.
Si guardava dal trattenere Cristo che saliva al Padre, vivendo l’annuncio della Resurrezione con volto di luce, attestante la visione attuale di Lui ai fratelli che l’avvicinavano.
Visse il perenne Esodo terreno in vista della Terra promessa, che già assaporava a piccole dosi.
Francesco, dal canto suo, giullare della Risurrezione, piangeva la Passione d’Amore, corroborata dalla rinascita esistenziale.
Ancora, nella Leggenda maggiore di San Bonaventura:
"A chi lo vedeva, sembrava un uomo dell’altro mondo: uno che, la mente e il volto sempre rivolti al cielo, si sforzava di attirare tutti verso l’alto" (FF 1072).
Come Maria di Magdala ebbe a fare il passaggio dall’esterno [vicina al sepolcro] all’interno della propria anima e vicenda - per riconoscere Gesù Risorto.
Così Francesco, dopo essere vissuto all’esterno, fra allegre brigate assisane, aveva incontrato il «Rabbuni» all’interno del suo cuore. Riconoscendo e decifrando il Maestro della sua vita, in orazione dinanzi al Crocifisso di San Damiano.
Lì ritrovando Dio, ritrovava se stesso; in mezzo al pianto e alla gioia perfetta.
Gesù rivolse pure a lui la domanda: «Perché piangi? Chi cerchi?» (Gv 20,15).
Il Crocifisso damianita divenne il luogo della sua risurrezione, dove il pianto di una vita mancata, passata nei sollazzi, cedette il passo alla Chiamata per nome, in vista d’una rigenerazione personale e comunitaria.
A San Damiano, quando dal Crocifisso venne a lui una Voce divina che lo invitò a cambiare vita, il Povero pronunciò questa preghiera:
«Rapisca, ti prego, o Signore,
l’ardente e dolce forza del tuo amore
la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo,
perché io muoia per amore dell’amore tuo,
come tu ti sei degnato morire
per amore dell’amore mio» (FF 277).
S. Maria Maddalena (Gv 20,1-2.11-18)
Nel Vangelo odierno scribi e farisei pretendono da Gesù un segno, dopo che Cristo ne aveva già dati tanti.
Ma l’unico segno salvifico dato al popolo dei credenti dal Padre è Cristo morto e Risorto.
Francesco, dopo la sua conversione, lo aveva ben compreso ed era divenuto lui stesso segno per quanti lo incontravano.
Le Fonti, infatti, parlano del servo di Dio così:
“Egli ebbe dal Cielo la missione di chiamare gli uomini a piangere, a lamentarsi, a radersi la testa e a cingere il sacco, e di imprimere, col segno della croce penitenziale e con un abito fatto in forma di croce, il Tau, sulla fronte di coloro che gemono e piangono. Ma ci conferma, poi, in essa, con la sua verità incontestabile, la testimonianza di quel sigillo che lo rese simile al Dio vivente, cioè a Cristo Crocifisso. Sigillo che fu impresso nel suo corpo non dall’opera della natura o dall’abilità di un artefice, ma piuttosto dalla potenza meravigliosa dello Spirito del Dio vivo” (FF 1022).
Già, Francesco, trasformato in “Alter Christus” diventa il segno di Giona per tutti coloro che incontra. Persino per i briganti di Monte Casale che si convertono a Dio attraverso la sua testimonianza.
Infatti nelle Fonti leggiamo:
“In un eremitaggio situato sopra Borgo San Sepolcro, venivano di tanto in tanto certi ladroni a domandare del pane […] Ed ecco giungere in quel romitorio Francesco. I frati gli esposero il loro dilemma: dovevano oppure no donare il pane a quei malviventi?
Rispose il Santo: «Se farete quello che vi suggerisco ho fiducia nel Signore che riuscirete a conquistare quelle anime»” (FF 1646).
Così Francesco consigliò i suoi frati di comprare buon pane e vino, di andare nella selva e apparecchiare la tavola per loro.
«Questi contenti accorreranno a mangiare. Trattateli con rispetto e alla fine parlate loro della Parola di Dio, e che promettano di non trattare più male le persone».
I frati fecero come Francesco aveva loro detto e “i ladroni, per la misericordia e grazia che Dio fece scendere su di loro, ascoltarono ed eseguirono punto per punto le richieste espresse loro dai frati […] Finalmente, per la bontà di Dio e la cortesia e amicizia dei frati, alcuni di quei briganti entrarono nell’Ordine, altri si convertirono a penitenza, promettendo […] che da allora in poi non avrebbero più perpetrato quei mali e sarebbero vissuti con il lavoro delle loro mani” (FF 1646).
I veri testimoni del Vangelo sono sempre un segno eloquente per tutti.
«Una generazione malvagia e adultera ricerca un segno, e non le sarà dato un segno, se non il segno di Giona il profeta» (Mt 12,39)
Lunedì della 16.a sett. T.O. (Mt 12,38-42)
Francesco d’Assisi, il Sapiente e il Minimo di Dio, ebbe sempre chiara nella sua coscienza l’importanza e la necessità della vita contemplativa, temperata dal lavoro che tiene lontano l’ozio e che conforma a Cristo. Lo esigeva per sé e per i suoi frati. Arrivò a dire che servire i fratelli vale più di ogni sosta negli eremi, dove lui stesso amava recarsi, quando poteva.
Leggiamo nei suoi scritti: “Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio” (FF 119).
Inoltre: “Siamo convinti che […] siano stati rimproverati assai quelli che negli eremitori vivono in modo diverso. Molti infatti trasformano il luogo della contemplazione in ozio e il modo di vivere eremitico, istituito per consentire alle anime la perfezione, lo riducono ad un luogo di piacere […] Certo questo rimprovero non è per tutti. Sappiamo che vi sono dei Santi […] che nell’eremo seguono ottime leggi” (FF 765).
Anche tra i frati si discuteva se vivere di contemplazione o azione, infatti nella Leggenda Maggiore è scritto:
”Mentre, saldi nel santo proposito, affrontavano la valle Spoletana, si misero a discutere se dovevano passare la vita in mezzo alla gente oppure dimorare in luoghi solitari.
Ma Francesco, il servo di Cristo, non confidando nell’esperienza propria o in quella dei suoi, si affidò alla preghiera, per ricercare con insistenza quale fosse su questo punto la disposizione della volontà divina.
Venne così illuminato con una risposta dal Cielo e comprese che egli era stato mandato dal Signore a questo scopo: guadagnare a Cristo le anime […] E perciò scelse di vivere per tutti, anziché per sé solo, stimolato dall’esempio di Colui che si degnò di morire, Lui solo, per tutti gli uomini” (FF1066).
Ma l’amore per l’orazione e l’ascolto della Parola accompagnò sempre il suo agire e quello dei suoi frati.
“La dedizione instancabile alla preghiera […] aveva fatto pervenire l’uomo di Dio a così grande chiarezza di spirito che […] scrutava le profondità delle Scritture con intelletto limpido e acuto. Leggeva i libri sacri e riteneva tenacemente impresso nella memoria quanto aveva una volta assimilato: giacché ruminava continuamente con affettuosa devozione ciò che aveva ascoltato con mente attenta” (FF1187).
Trasformato in preghiera, senza venir meno ai servizi:
Francesco aveva una predilezione speciale per la Parola di Dio e in lui, senza venir meno ai servizi da rendere al prossimo, primeggiava sempre l’ascolto di quanto il Signore chiedeva o insegnava, fissandolo bene nella sua mente.
Aveva scelto la parte migliore, quella che nessuno avrebbe potuto togliergli.
Infatti le Fonti ci ammaestrano al riguardo:
“Trascorreva tutto il suo tempo in santo raccoglimento per imprimere nel cuore La sapienza; temeva di tornare indietro se non progrediva sempre.
E se a volte urgevano visite di secolari o altre faccende, le troncava più che terminarle, per rifugiarsi di nuovo nella contemplazione […]
Cercava sempre un luogo appartato, dove potersi unire non solo con lo spirito, ma con le singole membra al suo Dio” (FF 681).
“Spesso senza muovere le labbra, meditava a lungo dentro di sé e, concentrando all’interno le potenze esteriori, si alzava con lo spirito al cielo. In tal modo dirigeva tutta la mente e l’affetto a quell’unica cosa che chiedeva a Dio: non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente” (FF 682).
Aveva compreso l’essenza del Vangelo.
Quando era infermo e pieno di dolori, a un frate che da Francesco aveva appreso a rifugiarsi nelle Scritture e che ora lo invitava a farsela leggere per averne sollievo, il Santo rispose:
«È bene leggere le testimonianze della Scrittura, ed è bene cercare in esse il Signore nostro Dio. Ma, per quanto mi riguarda, mi sono già preso tanto dalle Scritture, da essere più che sufficiente alla mia meditazione e riflessione. Non ho bisogno di più, Figlio: conosco Cristo povero e Crocifisso» (FF 692).
16a Domenica T.O. anno C (Lc 10,38-42)
Mt ci pone dinanzi la malizia dei leaders che vogliono eliminare Gesù, contrapposta alla Santità del Servo di Dio, il quale guarisce ogni malattia.
Sul Figlio è presente lo Spirito di Dio, Potenza grazie alla quale anche i suoi intimi annunzieranno la giustizia alle genti.
Francesco d’Assisi era davvero il figlio su cui era sceso lo Spirito del Signore, prediletto del Padre che per la sua umiltà e nascondimento risplendeva agli occhi dei frati e del mondo.
I frati, che lo avevano visto pregare, non avevano dubbi che su Francesco si fosse posato “lo Spirito del Signore […] in tutta la sua pienezza […] perciò la cosa più sicura per loro era seguire la sua dottrina e la sua vita" (FF 1071).
“Lo Spirito del Signore, che lo aveva unto e inviato assisteva il suo servo Francesco, ovunque si dirigesse, lo assisteva Cristo stesso […]
Era la sua parola, come un fuoco ardente, che penetrava l’intimo del cuore […] Aveva il profumo e l’afflato della rivelazione divina”
(FF 1210).
E le Fonti mettono al corrente di un episodio che trasuda Spirito e servizio da tutte le parti; un Povero disposto ad essere davvero il Servo di Dio, come Gesù gli aveva insegnato.
"Mentre dimorava in una cella a Siena, una notte chiamò a sé i compagni che dormivano:
«Ho invocato il Signore - spiegò loro - perché si degnasse indicarmi quando sono suo servo e quando no. Perché non vorrei essere altro che suo servo. E il Signore, nella sua immensa benevolenza e degnazione, mi ha risposto ora:
«Riconosciti mio servo veramente, quando pensi, dici, agisci santamente».
«Per questo vi ho chiamati, fratelli, perché voglio arrossire davanti a voi, se a volte avrò mancato di queste tre cose» " (FF 743).
Per questo Francesco, sulle orme del Cristo in cui il Padre si compiacque, fu altresì il servitore e testimone inviato a guarire e annunciare il Regno.
Anche il Minimo, informato dall’amore e non dal legalismo farisaico, poté operare prodigi a servizio della salvezza.
«Ecco il mio servo, che ho scelto, il mio diletto» (Mt 12,18)
Sabato della 15.a sett. T.O. (Mt 12,14-21)
I farisei chiedono a Gesù perché i suoi discepoli fanno ciò che non è permesso dalla Legge in giorno di sabato [mangiare, per fame, le spighe nei campi].
Gesù, venuto per dare pieno compimento alla Legge, ne sottolinea il fondamento: non demolire o trasgredire la Parola, ma osservarla amando.
L’amore è il vero compimento della Legge del Signore, che è perfetta e rinfranca l’anima.
Francesco lo aveva ben compreso vivendo e insegnando alla sua fraternità a fare altrettanto.
Le Fonti forniscono, attraverso vari tasselli, preziosi esempi di vita. Nella Lettera ai reggitori dei popoli:
«Vi supplico […] con tutta la riverenza di cui sono capace, di non dimenticare il Signore, assorbiti come siete dalle cure e preoccupazioni di questo mondo, e di non deviare dai suoi comandamenti, poiché tutti coloro che dimenticano il Signore e si allontanano dai comandamenti di lui, sono maledetti e saranno dimenticati da lui» (FF 211).
Al tempo stesso il Poverello, con quell’equilibrio ed elasticità che lo contraddistingueva, sottolinea:
«E ogniqualvolta sopravvenga la necessità, sia consentito a tutti i frati, ovunque si trovino, di prendere tutti i cibi che gli uomini possono mangiare, così come il Signore dice di David, il quale mangiò i pani dell’offerta che non era permesso mangiare se non ai sacerdoti […] Similmente, ancora, in tempo di manifesta necessità tutti i frati provvedano per le cose loro necessarie così come il Signore darà loro la grazia, poiché la necessità non ha legge» (FF 33).
A sostegno di quanto detto riportiamo un passo tratto dalla Leggenda Perugina.
Francesco, dinanzi ad un frate di profonda spiritualità, deperito ed infermo, fa qualcosa di inusuale per la mentalità del tempo.
"Francesco si disse:
«Se questo fratello mangiasse di buon mattino dell’uva matura, credo che ne trarrebbe giovamento».
Un giorno si alzò all’albeggiare e chiamò di nascosto quel frate, lo condusse nella vigna vicina a quella chiesa e, scelta una vite ricca di bei grappoli invitanti, vi sedette sotto assieme al fratello e cominciò a mangiare l’uva, affinché il malato non si vergognasse di piluccarla da solo.
Mentre faceva lo spuntino, quel frate lodava il Signore Dio.
E finché visse, egli ricordava spesso ai fratelli, con devozione e piangendo di tenerezza, il gesto affettuoso del Padre santo verso di lui" (FF 1549)
Chiara stessa, nella Regola, rivolta alle sorelle, le avverte:
«Siano invece sollecite di conservare sempre reciprocamente l’unità della scambievole carità, che è il vincolo della perfezione» (FF 2810).
L’Amore era la Regola dei frati e delle Povere Dame di San Damiano: «[…] e così, portando il giogo della carità vicendevole, con facilità adempiremo la legge di Cristo. Amen.» (FF 2918 - Lettera ad Ermentrude di Bruges).
«Ma se aveste conosciuto che cosa significa: ‘Misericordia voglio, e non sacrificio’ [Os 6,6], non avreste condannato [persone] senza colpa» (Mt 12,7)
Venerdì della 15.a sett. T.O. (Mt 12,1-8)
Gesù, nel capitolo undici di Matteo, richiama i suoi alla mitezza ed umiltà di cuore come luogo di ristoro da ogni fatica, imparando da Lui.
A riguardo della mitezza di Dio, negli scritti del Povero d’Assisi (Lodi di Dio Altissimo) troviamo questa meravigliosa espressione:
«Tu sei umiltà […] Tu sei bellezza. Tu sei Mansuetudine» (FF 261).
Francesco, Alter Christus, era davvero un uomo mite e tutto ciò che gli richiamava la mansuetudine di Gesù lo guardava e riveriva con grande rispetto e scrupolo.
Lo stesso Tommaso da Celano, uno dei suoi principali biografi, descrive Francesco così:
“Quanto era bello, stupendo e glorioso nella sua innocenza, nella semplicità della sua parola […] Di carattere mite, di indole calmo, affabile nel parlare, cauto nell’ammonire” (FF 464).
Per la sua malattia agli occhi, dinanzi al chirurgo che arroventava il ferro per cauterizzare la parte malata, Francesco così si rivolge a «frate focu»:
"Il Padre per confortare il corpo già scosso dal terrore, così parla al fuoco:
«Frate mio fuoco, di bellezza invidiabile fra tutte le creature, l’Altissimo ti ha creato vigoroso, bello e utile. Sii propizio a me in quest’ora, sii cortese! Perché da gran tempo ti ho amato nel Signore. Prego il Signore grande, che ti ha creato di temperare ora il tuo calore in modo che io possa sopportarlo, se mi bruci con dolcezza».
Terminata la preghiera, traccia un segno di croce sul fuoco e poi aspetta intrepido. Il Santo si offre pronto e sorridente al ferro.
I frati presenti, inorriditi e tremanti si erano allontanati. Tornati che furono, dopo l’operazione, Francesco si rivolge loro:
«Pusillanimi e di poco coraggio, perché siete fuggiti? In verità vi dico, non ho provato né l’ardore del fuoco né alcun dolore della carne».
E rivolto al medico:
«Se la carne non è bene cauterizzata, brucia di nuovo».
Con stupore di questi che, rivolto ai frati, disse: “Vi dico, frati, che oggi ho visto cose mirabili" (FF 752).
E Chiara, nel suo Testamento, raccomanda alle sorelle, in primo luogo a chi presiede la comunità, l’atteggiamento e lo stile del Vangelo:
«Sia ancora tanto affabile e alla portata di tutte, che le sorelle possano manifestarle con fiducia le loro necessità e ricorrere a lei ad ogni ora con confidenza, come crederanno meglio, per sé o a favore delle sorelle» (FF 2848).
Questi due Giganti del Vangelo si nutrirono di umiltà e mitezza trovando in esse la loro difesa.
«Imparate da me, che sono mite e tapino di cuore, e troverete riposo per le vite vostre» (Mt 11,29)
Giovedì della 15.a sett. T.O. (Mt 11,28-30)
Il Vangelo è un inno di lode a Dio Padre da parte di Gesù nella dimensione della debolezza e vulnerabilità dei piccoli.
Egli aveva sperimentato la delusione dei “grandi”, sospettosi dinanzi ai suoi prodigi.
Invece di chiedere aiuto al Padre, quale Figlio lo loda nei momenti bui.
Guardando il nostro Poverello, tutto questo lo ritroviamo in modo evidente.
Basso di statura, umile di spirito e minore di professione, Francesco d’Assisi fece della piccolezza la sua cifra esistenziale e altrettanto insegnò ai suoi frati.
Essere umile e minimo nella sequela del Signore era il tratto essenziale del frate - appunto minore - che volesse vivere in comunione alla Porziuncola.
Rivolgendosi ai grandi e sapienti di questo mondo, il Santo trovò resistenza a far comprendere la sua proposta di povertà ed essenzialità di vita.
Spesso gli rispondevano: “La povertà che vai cercando, resti per sempre a te, e ai tuoi figli, e alla tua discendenza dopo di te” (cf. FF 1964).
Nelle Fonti troviamo ancora che “il beato Francesco, udite queste parole, si meravigliava in cuor suo e rendeva grazie a Dio, dicendo:
«Sii Benedetto, Signore Iddio, che hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai prudenti e le hai rivelate ai piccoli!
Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te!
O Signore, Padre e padrone della mia vita, non abbandonarmi nella loro adunanza, né lasciarmi cadere in quella vergogna, ma per la tua grazia concedimi di trovare quello che cerco, perché io sono tuo servo e Figlio della tua ancella»" (FF 1965).
Inoltre va ricordato che “Il servo di Dio, Francesco, piccolo di statura, umile di spirito e minore di professione, mentre viveva qui sulla terra scelse per sé e per i suoi frati una piccola porzione di mondo […] e furono di certo ispirati da Dio quelli che, anticamente, chiamarono Porziuncola il luogo che toccò in sorte a coloro che non volevano assolutamente possedere nulla su questa terra […]
Sorgeva in questo luogo una chiesa dedicata alla Vergine Madre che, per la sua particolare umiltà, meritò, dopo il Figlio, di essere Sovrana di tutti i Santi.
Qui ebbe inizio l’Ordine dei minori, e s’innalzò ampia e armoniosa, come poggiata su solido fondamento, la loro nobile costruzione.
Il Santo amò questo luogo più di ogni altro, e comandò ai frati di venerarlo con particolare devozione.
Volle che fosse sempre custodito come specchio dell'Ordine in umiltà e altissima povertà, riservandone ad altri la proprietà e ritenendone per sé ed i suoi soltanto l'uso” (FF 604).
Dunque la piccolezza era eloquente cifra del suo essere figlio di Dio.
Proprio da tale posizione di nascondimento, nei periodi difficili e oscuri del suo itinerario di fede, Francesco ha innalzato a Dio Padre la lode per quanto operava:
«Altissimu, onnipotente, bon Signore,
Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione […]
Laudato sie, mi Signore, cum tucte le tue creature […]» (FF 263).
Francesco ha composto tale capolavoro nel momento più crudo e sofferente della sua vita, malato e nell’oscurità.
Eppure, innalzando a Dio un autentico inno di lode.
Come Gesù, che nel momento della solitudine e dell’apparente sconfitta, del fallimento, ha sollevato la sua voce al Padre - per benedirlo e lodarlo.
Il vicolo cieco e il buio divennero fonte d’ispirazione, e di un rapporto più profondo con il Signore; coniugato con quella piccolezza vulnerabile, affidata al Padre per il suo Regno.
«Ti rendo lode, Padre […] perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate agli infanti» (Mt 11,25)
Mercoledì della 15.a sett. T.O. (Mt 11,25-27)
This belonging to each other and to him is not some ideal, imaginary, symbolic relationship, but – I would almost want to say – a biological, life-transmitting state of belonging to Jesus Christ (Pope Benedict)
Questo appartenere l’uno all’altro e a Lui non è una qualsiasi relazione ideale, immaginaria, simbolica, ma – vorrei quasi dire – un appartenere a Gesù Cristo in senso biologico, pienamente vitale (Papa Benedetto)
She is finally called by her name: “Mary!” (v. 16). How nice it is to think that the first apparition of the Risen One — according to the Gospels — took place in such a personal way! [Pope Francis]
Viene chiamata per nome: «Maria!» (v. 16). Com’è bello pensare che la prima apparizione del Risorto – secondo i Vangeli – sia avvenuta in un modo così personale! [Papa Francesco]
Jesus invites us to discern the words and deeds which bear witness to the imminent coming of the Father’s kingdom. Indeed, he indicates and concentrates all the signs in the enigmatic “sign of Jonah”. By doing so, he overturns the worldly logic aimed at seeking signs that would confirm the human desire for self-affirmation and power (Pope John Paul II)
Gesù invita al discernimento in rapporto alle parole ed opere, che testimoniano l'imminente avvento del Regno del Padre. Anzi, Egli indirizza e concentra tutti i segni nell'enigmatico "segno di Giona". E con ciò rovescia la logica mondana tesa a cercare segni che confermino il desiderio di autoaffermazione e di potenza dell'uomo (Papa Giovanni Paolo II)
Without love, even the most important activities lose their value and give no joy. Without a profound meaning, all our activities are reduced to sterile and unorganised activism (Pope Benedict)
Senza amore, anche le attività più importanti perdono di valore, e non danno gioia. Senza un significato profondo, tutto il nostro fare si riduce ad attivismo sterile e disordinato (Papa Benedetto)
In reality, an abstract, distant god is more comfortable, one that doesn’t get himself involved in situations and who accepts a faith that is far from life, from problems, from society. Or we would even like to believe in a ‘special effects’ god (Pope Francis)
In realtà, è più comodo un dio astratto, distante, che non si immischia nelle situazioni e che accetta una fede lontana dalla vita, dai problemi, dalla società. Oppure ci piace credere a un dio “dagli effetti speciali” (Papa Francesco)
It is as though you were given a parcel with a gift inside and, rather than going to open the gift, you look only at the paper it is wrapped in: only appearances, the form, and not the core of the grace, of the gift that is given! (Pope Francis)
È come se a te regalassero un pacchetto con dentro un dono e tu, invece di andare a cercare il dono, guardi soltanto la carta nel quale è incartato: soltanto le apparenze, la forma, e non il nocciolo della grazia, del dono che viene dato! (Papa Francesco)
The Evangelists Matthew and Luke (cf. Mt 11:25-30 and Lk 10:21-22) have handed down to us a “jewel” of Jesus’ prayer that is often called the Cry of Exultation or the Cry of Messianic Exultation. It is a prayer of thanksgiving and praise [Pope Benedict]
Gli evangelisti Matteo e Luca (cfr Mt 11,25-30 e Lc 10, 21-22) ci hanno tramandato un «gioiello» della preghiera di Gesù, che spesso viene chiamato Inno di giubilo o Inno di giubilo messianico. Si tratta di una preghiera di riconoscenza e di lode [Papa Benedetto]
don Giuseppe Nespeca
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