Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
La Quaresima, occasione provvidenziale di conversione, ci aiuta a contemplare questo stupendo mistero d'amore. Essa costituisce un ritorno alle radici della fede, perché, meditando sul dono di grazia incommensurabile che è la Redenzione, non possiamo non renderci conto che tutto ci è stato dato per amorevole iniziativa divina. Proprio per meditare su questo aspetto del mistero salvifico, ho scelto quale tema del Messaggio quaresimale di quest'anno le parole del Signore: « Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date » (Mt 10, 8).
Sì! Gratuitamente abbiamo ricevuto. La nostra esistenza non è forse tutta segnata dalla benevolenza di Dio? È dono lo sbocciare della vita e il suo prodigioso svilupparsi. E proprio perché è dono, l'esistenza non può essere considerata un possesso o una privata proprietà, anche se le potenzialità, di cui oggi disponiamo per migliorarne la qualità, potrebbero far pensare che l'uomo sia di essa « padrone ». In effetti, le conquiste della medicina e della biotecnologia a volte potrebbero indurre l'uomo a pensarsi creatore di se stesso, e a cedere alla tentazione di manipolare « l'albero della vita » (Gn 3, 24).
È bene anche qui ribadire che non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche moralmente lecito. Se ammirevole è lo sforzo della scienza per assicurare una qualità di vita più conforme alla dignità dell'uomo, non deve però essere mai dimenticato che la vita umana è un dono, e che essa rimane un valore anche quando è segnata dalla sofferenza e dal limite. Un dono da accogliere e amare sempre: gratuitamente ricevuto e gratuitamente da porre al servizio degli altri.
[Papa Giovanni Paolo II, Messaggio per la Quaresima 2002]
«Servizio» e «gratuità»: sono le due parole chiave attorno alle quali Papa Francesco ha costruito la meditazione della messa celebrata a Santa Marta la mattina di martedì 11 giugno. Sono le caratteristiche fondamentali che devono accompagnare il cristiano «strada facendo», ha detto il Pontefice, lungo quel cammino, quell’«andare» che sempre contraddistingue la vita, «perché un cristiano non può rimanere fermo».
L’insegnamento viene direttamente dal Vangelo: è lì che si ritrovano — come evidenziato dal brano di Matteo proposto dalla liturgia del giorno (10, 7-13) — le indicazioni di Gesù per gli apostoli che vengono inviati. Una missione che, ha detto il Papa, è anche quella «dei successori degli apostoli» e di «ognuno dei cristiani, se inviato». Quindi, innanzi tutto, «la vita cristiana è fare strada, sempre. Non rimanere fermo». E in questo andare, cosa raccomanda il Signore ai suoi? «Guarite gli infermi, predicate dicendo che il regno dei cieli è vicino, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demoni». Cioè: «una vita di servizio».
Ecco il primo dato fondamentale evidenziato dal Pontefice: «La vita cristiana è per servire». Ed è molto triste, ha aggiunto, vedere «cristiani che all’inizio della loro conversione o della loro consapevolezza di essere cristiani, servono, sono aperti per servire, servono il popolo di Dio», e poi, invece, «finiscono per servirsi del popolo di Dio. Questo fa tanto male, tanto male al popolo di Dio». La vocazione del cristiano quindi è «servire» e mai «servirsi di».
Proseguendo nella riflessione, Francesco è quindi passato a un concetto che, ha sottolineato, «va proprio al nocciolo della salvezza: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. La vita cristiana è una vita di gratuità». Dalla raccomandazione di Gesù agli apostoli inviati si comprende chiaramente che «la salvezza non si compra; la salvezza ci è data gratuitamente. Dio ci ha salvato, ci salva gratis. Non ci fa pagare». Si tratta, ha spiegato il Papa, di un principio «che Dio ha usato con noi» e che noi dobbiamo usare «con gli altri». Ed è «una delle cose più belle» sapere «che il Signore è pieno di doni da darci» e che all’uomo è chiesta solo una cosa: «che il nostro cuore si apra». Come nella preghiera del Padre nostro, dove «preghiamo, apriamo il cuore, perché questa gratuità venga. Non c’è rapporto con Dio fuori dalla gratuità».
Considerando questo caposaldo della vita cristiana, il Pontefice ha quindi evidenziato dei possibili e pericolosi fraintendimenti. Così, ha detto, «delle volte, quando abbiamo bisogno di qualcosa di spirituale o di una grazia, diciamo: “Mah, io adesso farò digiuno, farò una penitenza, farò una novena...”». Tutto ciò va bene, ma «stiamo attenti: questo non è per “pagare “la grazia, per “acquistare” la grazia; questo è per allargare il tuo cuore perché la grazia venga». Sia ben chiaro, infatti: «La grazia è gratuita. Tutti i beni di Dio sono gratuiti. Il problema è che il cuore si rimpiccolisce, si chiude e non è capace di ricevere tanto amore, tanto amore gratuito». Perciò «ogni cosa che noi facciamo per ottenere qualcosa, anche una promessa — “Se io avrò questo, farò quell’altro” — questo è allargare il cuore, non è entrare mercanteggiare con Dio... No. Con Dio non si tratta». Con Dio vale «soltanto il linguaggio dell’amore e del Padre e della gratuità».
E se questo vale nel rapporto con Dio, vale anche per i cristiani — «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» — e, ha sottolineato Francesco, specialmente per i «pastori della Chiesa». La grazia «non si vende» ha ribadito, aggiungendo: «Fa tanto male quando si trovano dei pastori che fanno affari con la grazia di Dio: “Io farò questo, ma questo costa tanto, questo tanto...“. E la grazia di Dio rimane là e la salvezza è un affare». Tutto questo, ha ribadito con forza, «non è il Signore. La grazia del Signore è gratuita e tu devi darla gratuitamente». Purtroppo, ha spiegato, nella vita spirituale c’è «sempre il pericolo di scivolare sul pagamento, sempre, anche parlando con il Signore, come se noi volessimo dare una tangente al Signore». Ma il rapporto con il Signore non può percorrere «quella strada».
Quindi, ha ribadito il Pontefice, no alla dinamiche del tipo: «Signore se tu mi fai questo, io ti darò questo»; ma, eventualmente, sì a una promessa affinché con essa si allarghi il proprio cuore «per ricevere» ciò che «è gratuito per noi». E «questo rapporto di gratuità con Dio è quello che ci aiuterà poi ad averlo con gli altri sia nella testimonianza cristiana sia nel servizio cristiano sia nella vita pastorale di coloro che sono pastori del popolo di Dio».
«Strada facendo»: così il Papa, al termine dell’omelia ha riassunto il suo ragionamento». «La vita cristiana — ha detto — è andare. Predicate, servite, non “servirsi di”. Servite e date gratis quello che gratis avete ricevuto». E ha concluso: «La vita nostra di santità sia questo allargare il cuore, perché la gratuità di Dio, le grazie di Dio che sono lì, gratuite, che Lui vuole donare, possano arrivare al nostro cuore».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 11.06.19]
Illuminatore di ciechi: quale guarigione, Attesa, definitività?
(Mt 9,27-31)
L’enciclica Fratelli Tutti invita a un piglio prospettico che suscita decisione e azione: un occhio nuovo, colmo di Speranza [n.55].
Eppure gli esperti - sicuri di sé - non colgono la dignità (rovesciata) del Mistero di Dio e dell’umanità.
Conoscono le ambizioni, la legge, i dettati altrui, le mode, o le loro idee; non i rivolgimenti dell’anima e della vita.
Quindi ci fanno permanere come in una foresta gelida e dedicata ai forti, sterilizzata o fantasiosa ma paradossalmente selvaggia.
La competizione non manca, anzi ne sarà conseguenza ancor più subdola, come nel caso delle pretese (proprio!) di una ‘coppia di apostoli’ eminenti.
Si tratta dei due figli di Zebedeo, i quali - come gli altri - ambiscono al primato.
La guarigione di coloro che hanno difetti di vista era uno dei beni recati dal Messia atteso (Is 29,18; 35,5).
Tutto sarebbe stato trasformato in meglio.
Ma nei suoi incontri, Gesù opera una guarigione spirituale, non parziale o frivola ed esterna.
L’opera divina nell’uomo è prodigiosa, ma nel senso che si fa molto più profonda di una sanazione fisica.
L’azione di suscitare la Fede e un nuovo acume dell’anima consentono di cogliere lo stesso progetto del Signore.
Ciò rende docili per lasciarlo realizzare da Dio stesso in noi.
L’allusione è alla Casa [Chiesa] in cui tutti i personaggi entrano come fosse cosa normale e in un contesto non polemico (v.28).
Anche il richiamo al fatto che lì si radunano coloro che hanno bisogno di una ‘illuminazione’, induce a leggere in filigrana l’eco di antiche liturgie battesimali.
Intorno a Gesù, ecco illustrato il senso globale dell’incontro del Cristo coi credenti.
L’insegnamento cui anche noi sempre ‘difettosi di vista’ veniamo introdotti dal contatto col Maestro nella comunità riunita è espresso nel passaggio dal titolo figlio di David (v.27) a quello di Signore (v.28).
I ciechi cui viene corretta la miopia sono i capi e i catecumeni, ora credenti.
Nella loro esperienza di Fede essi passano dall’idea di Messia glorioso - somigliante a un sovrano - a quella dell’Amico vicino e Fratello.
Per questo la sua Persona spalanca alla Percezione un panorama che prorompe quale rinascita e capovolgimento dei valori sulla base dei quali s’investe la vita pratica.
Il motivo della fitta oscurità esterna è appunto l’ideologia di potere. Essa deve sparire nella considerazione e nell’universo dei discepoli.
Questo il motivo del cosiddetto silenzio messianico (v.30). E tutto scaturisce «da» un altro sguardo, penetrante.
Tale l’intervento definitivo di Dio che eleva la visione, i sogni, e lo spirito, e in tal guisa attiva percorsi che non sappiamo.
Una nuova maturità sta arrivando.
[Venerdì 1.a sett. Avvento, 5 dicembre 2025]
Illuminatore di ciechi: quale guarigione, Attesa, definitività?
(Mt 9,27-31)
L’enciclica Fratelli Tutti invita a un piglio prospettico che suscita decisione e azione: un occhio nuovo, colmo di Speranza.
Essa «ci parla di una realtà che è radicata nel profondo dell’essere umano, indipendentemente dalle circostanze concrete e dai condizionamenti storici in cui vive. Ci parla di una sete, di un’aspirazione, di un anelito di pienezza, di vita realizzata, di un misurarsi con ciò che è grande, con ciò che riempie il cuore ed eleva lo spirito verso cose grandi, come la verità, la bontà e la bellezza, la giustizia e l’amore. [...] La speranza è audace, sa guardare oltre la comodità personale, le piccole sicurezze e compensazioni che restringono l’orizzonte, per aprirsi a grandi ideali che rendono la vita più bella e dignitosa» [n.55; da un Saluto ai giovani de L’Avana, settembre 2015].
Eppure gli esperti - sicuri di sé - non colgono la dignità (rovesciata) del Mistero di Dio e dell’umanità.
Conoscono le ambizioni, la legge, i dettati altrui, le mode, o le loro idee; non i rivolgimenti dell’anima e della vita.
Quindi ci fanno permanere come in una foresta gelida e dedicata ai forti, sterilizzata o fantasiosa ma paradossalmente selvaggia.
La competizione non manca, anzi ne sarà conseguenza ancor più subdola, come nel caso delle pretese (proprio!) di una coppia di apostoli eminenti.
Si tratta dei due figli di Zebedeo, i quali - come gli altri - ambiscono al primato [Mt 20,20-28; Mc 10,35-45 e paralleli Lc 22,24-27; Gv 12,26; 13,3-17].
La guarigione di coloro che hanno difetti di vista era uno dei beni recati dal Messia atteso (Is 29,18; 35,5).
Tutto sarebbe stato trasformato in meglio.
Ma nei suoi incontri, Gesù opera una guarigione spirituale, non parziale o frivola ed esterna.
Malinteso fatale è stato vederlo come operatore di cose strabilianti (v.31).
L’opera divina nell’uomo è prodigiosa, ma nel senso che si fa molto più profonda di una sanazione fisica.
L’azione di suscitare la Fede e un nuovo acume dell’anima consentono di cogliere lo stesso progetto del Signore.
Ciò rende docili per lasciarlo realizzare da Dio stesso in noi.
L’allusione è alla Casa [Chiesa] in cui tutti i personaggi entrano come fosse cosa normale e in un contesto non polemico (v.28).
Anche il richiamo al fatto che lì si radunano coloro che hanno bisogno di una illuminazione, induce a leggere in filigrana l’eco di antiche liturgie battesimali.
Intorno a Gesù, ecco illustrato il senso globale dell’incontro del Cristo coi credenti.
L’insegnamento cui anche noi sempre difettosi di vista veniamo introdotti dal contatto col Maestro nella comunità riunita è espresso nel passaggio dal titolo figlio di David (v.27) a quello di Signore (v.28).
I ciechi cui viene corretta la miopia sono i capi e i catecumeni, ora credenti.
Nella loro esperienza di Fede essi passano dall’idea di Messia glorioso - somigliante a un sovrano - a quella dell’Amico vicino, Fratello di ciascuno, Prossimo ed eminente allo stesso modo [due ciechi].
Per questo la sua Persona spalanca alla percezione un panorama alternativo della mente e del cuore.
In tal guisa, Mt dona i tratti della personalità dell’uomo riuscito secondo Dio, nonché la cifra più intima della comunità.
Il cambiamento del punto di vista normale innesca un’altra vita.
Non si tratta di un dono accessorio, bensì essenziale. Indispensabile non solo per la realizzazione personale, ma anche per la Comunione [Mt 20,24; Mc 10,41; Lc 9,46. 22,24; Gv 13,12-17. 20,4. 21,20-22].
Anche qui, per estrarre perle è opportuno andare oltre la prospettiva conformista e “a posto” - babelica, alla moda o di branco, e banale.
Bisogna imparare a scandagliare meglio la nostra Chiamata e quel che reca, perché esiste un altro equilibrio delle cose - forse ancora tutto da esplorare.
Armonia superiore che sta dentro la vita… ma sotto le facciate: si deve scavare in ogni relazione, vicenda o sensazione; esaminare meglio.
E accorgersi di ciò che si affaccia.
Occhio: anche e soprattutto negli scuotimenti delle bufere.
Talora è d’uopo fare un salto nel buio, per contattare il proprio Seme vocazionale; per guarire lo sguardo dell’anima, e riconoscersi; fiorire.
I disagi vengono per avvisare: ci stiamo allontanando da noi stessi.
Le amarezze oscure diventano qui occasioni di strappo dagli sfondi e dalle rappresentazioni conformiste.
I luoghi comuni ci sono stati inoculati (goccia a goccia) da scorci meschini, nei quali forse siamo già introdotti. E magari interpretiamo con senso di permanenza.
Avendo acquisito altra angolazione, saremo ben contenti di accorgerci da cosa siamo liberati e quali differenti configurazioni attendono la crescita delle nostre stesse risorse innate.
L’esistenza tormentata è spesso come intossicata, ma solo quando non indaga né nota differenti soluzioni all’idea ad es. di dover arricchire con beni materiali, fare carriera, doversi affermare subito e ribattere colpo su colpo, farsi rispettare, apparire a ogni costo - perché no, usando la vita ecclesiale.
Non sarà questa la nostra realizzazione e tranquillità; tutt’altro. Piuttosto, le brame, gli intimismi, e altre situazioni che conosciamo, non sono che una fuga dalla propria essenza.
Il nostro nucleo intimo prende respiro e slancio - si attiva - paradossalmente dai traumi e dai lati in ombra.
Tutto ciò accade assecondando i segnali della Provvidenza naturale.
Tale onda vitale si esprime con “parole” o scorci (appunto) dell’inconscio che si esprime, contestandoci.
Il motivo della fitta oscurità esterna è qui l’ideologia di potere che trae la propria realizzazione sociale dalle tenebre reali.
Essa deve sparire nella considerazione e nell’universo dei discepoli.
Questo il motivo del cosiddetto silenzio messianico (v.30) imposto da Gesù - anche se non di rado i seguaci di ogni tempo poi ci ricascano e annunciano il Figlio di Dio al contrario (v.31).
Nel Messaggio dei famigliari «illuminati» la saggezza del cuore nuovo prorompe quale rigenerazione, rinascita e capovolgimento dei valori sulla base dei quali s’investe la vita pratica.
Adesso però non proclamiamo Cristo come forsennati (v.27), perché il nostro “dire” è tutto «da» un altro sguardo, penetrante.
I testimoni cui è stata corretta la Visione, la lettura delle cose, e i sogni, non sono chiamati a entrare con violenza e ri-proclamare il vecchio piccolo mondo di mode istrioniche, di nebbie procurate, o malversazioni ambigue, di aggressività poco radiose, e angosce subdole.
Piuttosto essi correggono gli errori e cercano di spalancare pertugi per dissipare il buio, operando brecce e allargando fessure di luce.
Non perché abbiamo un’attitudine “positiva” - come si dice oggi - ma perché intendiamo noi stessi: perché cogliamo il senso delle cose nei solchi della storia, e per Grazia siamo abilitati a leggere il segno dei tempi.
Uscire da schemi e meccanismi convenzionali consentirà di correggere le convinzioni, di fare Esodo dalle amarezze di superficie.
Non: facendo finta di nulla, bensì rigenerando insieme ad esse - dall’interno.
Per questo nella Fede evitiamo di farci trascinare da tensioni inutili, dannose, perché devianti la nostra Vocazione.
Ma queste eccentricità le penetriamo, affinché da esse possano partire altri Sogni, diverse Attese, Immagini uniche (davvero vicine a noi).
Questa la Venuta che svela l’essenziale, e supera il vuoto.
Presenza che ci aiuta a dare un’eccentricità di Raggio - e spazio anche disarmonico. Senza il solito serbatoio di fissazioni conformiste, idolatriche, personali, o di club [che fanno impallidire gli orizzonti].
Tale l’intervento definitivo di Dio nel tempo, che eleva la visione e lo spirito, e in tal guisa attiva percorsi che non sappiamo.
Una nuova maturità sta arrivando.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Durante il tempo d’Avvento, cosa attendi dalla Venuta divina, e quale intervento “definitivo” desideri?
La Chiesa stessa ha sempre bisogno di essere evangelizzata
LEGAMI RECIPROCI TRA LA CHIESA E L'EVANGELIZZAZIONE
15. Chiunque rilegge, nel Nuovo Testamento, le origini della Chiesa, seguendo passo passo la sua storia e considerandola nel suo vivere e agire, scorge che è legata all'evangelizzazione da ciò che essa ha di più intimo: - La Chiesa nasce dall'azione evangelizzatrice di Gesù e dei Dodici. Ne è il frutto normale, voluto, più immediato e più visibile: «Andate dunque, fate dei discepoli in tutte le nazioni». Ora, «coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e circa tremila si unirono ad essi . . . E il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati».
- Nata, di conseguenza, della missione, la Chiesa è, a sua volta, inviata da Gesù. La Chiesa resta nel mondo, mentre il Signore della gloria ritorna al Padre. Essa resta come un segno insieme opaco e luminoso di una nuova presenza di Gesù, della sua dipartita e della sua permanenza. Essa la prolunga e lo continua. Ed è appunto la sua missione e la sua condizione di evangelizzatore che, anzitutto, è chiamata a continuare. Infatti la comunità dei cristiani non è mai chiusa in se stessa. In essa la vita intima - la vita di preghiera, l'ascolto della Parola e dell'insegnamento degli Apostoli, la carità fraterna vissuta, il pane spezzato - non acquista tutto il suo significato se non quando essa diventa testimonianza, provoca l'ammirazione e la conversione, si fa predicazione e annuncio della Buona Novella. Così tutta la Chiesa riceve la missione di evangelizzare, e l'opera di ciascuno è importante per il tutto.
- Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l'evangelizzare se stessa. Comunità di credenti, comunità di speranza vissuta e partecipata, comunità d'amore fraterno, essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell'amore. Popolo di Dio immerso nel mondo, e spesso tentato dagli idoli, essa ha sempre bisogno di sentir proclamare «le grandi opere di Dio», che l'hanno convertita al Signore, e d'essere nuovamente convocata e riunita da lui. Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d'essere evangelizzata, se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunziare il Vangelo. Il Concilio Vaticano II ha ricordato e il Sinodo del 1974 ha fortemente ripreso questo tema della Chiesa che si evangelizza mediante una conversione e un rinnovamento costanti, per evangelizzare il mondo con credibilità.
- La Chiesa è depositaria della Buona Novella che si deve annunziare. Le promesse della Nuova Alleanza in Gesù Cristo, l'insegnamento del Signore e degli Apostoli, la Parola di vita, le fonti della grazia e della benignità di Dio, il cammino della salvezza: tutto ciò le è stato affidato. Il contenuto del Vangelo, e quindi dell'evangelizzazione, essa lo conserva come un deposito vivente e prezioso, non per tenerlo nascosto, ma per comunicarlo.
[Papa Paolo VI, Evangelii Nuntiandi]
Il profeta Isaia (35,4-7) incoraggia gli “smarriti di cuore” e annuncia questa stupenda novità, che l’esperienza conferma: quando il Signore è presente si riaprono gli occhi del cieco, si schiudono gli orecchi del sordo, lo zoppo “salta” come un cervo. Tutto rinasce e tutto rivive perché acque benefiche irrigano il deserto. Il “deserto”, nel suo linguaggio simbolico, può evocare gli eventi drammatici, le situazioni difficili e la solitudine che segna non raramente la vita; il deserto più profondo è il cuore umano, quando perde la capacità di ascoltare, di parlare, di comunicare con Dio e con gli altri. Si diventa allora ciechi perché incapaci di vedere la realtà; si chiudono gli orecchi per non ascoltare il grido di chi implora aiuto; si indurisce il cuore nell’indifferenza e nell’egoismo. Ma ora – annuncia il Profeta – tutto è destinato a cambiare; questa “terra arida” di un core chiuso sarà irrigata da una nuova linfa divina. E quando il Signore viene, agli smarriti di cuore di ogni epoca dice con autorità: “Coraggio, non temete”! ( v. 4).
[Papa Benedetto, omelia Valle Faul Viterbo 6 settembre 2009]
5. Gesù sottolinea più di una volta che il miracolo da lui compiuto è legato alla fede. “La tua fede ti ha guarita”, dice alla donna che soffriva d’emorragia da dodici anni e che, accostatasi alle sue spalle, gli aveva toccato il lembo del mantello ed era stata risanata (cf. Mt 9, 20-22; Lc 8, 48; Mc 5, 34).
Parole simili Gesù pronunzia mentre guarisce il cieco Bartimeo, che all’uscita da Gerico con insistenza chiedeva il suo aiuto gridando: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” (cf. Mc 10, 46-52). Secondo Marco: “Va’, la tua fede ti ha salvato”, gli risponde Gesù. E Luca precisa la risposta: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato” (Lc 18, 42).
Un’identica dichiarazione fa al samaritano guarito dalla lebbra (Lc 17, 19). Mentre ad altri due ciechi che invocano il riacquisto della vista, Gesù chiede: “Credete voi che io possa fare questo?”. “Sì, o Signore!” . . . “Sia fatto a voi, secondo la vostra fede” (Mt 9, 28-29).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 16 dicembre 1987]
Non cadere dalla tentazione di seguire Gesù per interesse. Nella consueta Messa mattutina nella Cappella della Domus Sanctae Martahe, Papa Francesco mette in luce la tentazione di seguire Gesù per interesse, e che poi dalla tentazione del potere all’ipocrisia il passo è molto breve. E conclude: “Che il Signore ci dia questa grazia dello stupore dell’incontro e anche ci aiuti a non cadere nello spirito di mondanità, cioè quello spirito che dietro o sotto una vernice di cristianesimo ci porterà a vivere come pagani.”
Il passo del Vangelo del giorno parla della folla che segue Gesù dopo che questi ha moltiplicato i pani e i pesci, e “non per lo stupore religioso che ti porta ad adorare Dio,” ma per “interesse materiale,” e che questo è un atteggiamento che si ripete nei Vangeli, dove sono in “tanti che seguono Gesù per interesse.”
Ricorda il Papa che anche tra i suoi apostoli c’erano i “figli di Zebedeo che volevano essere primo ministro e l’altro ministro dell’economia, avere il potere. Quella unzione di portare ai poveri il lieto annuncio, la liberazione ai prigionieri, la vista ai ciechi, la libertà agli oppressi e annunciare un anno di grazia, come diviene scura, si perde e si trasforma in qualcosa di potere”.
Si tratta della tentazione, sempre presente, di “passare dallo stupore religioso che Gesù ci dà nell’incontro con noi, a profittarne,” la stessa proposta nelle tentazioni del diavolo a Gesù nel deserto. “Una sul pane, proprio – ricorda il Papa - L’altra sullo spettacolo: ‘Ma facciamo un bello spettacolo così tutta la gente crederà in te’. E la terza, l’apostasia: cioè, l’adorazione degli idoli.”
È la tentazione del potere mondano, che non è la tentazione del potere in sé, è un qualcosa che ti fa cadere in quel “tepore religioso al quale ti porta la mondanità, quel tepore che finisce, quando cresce, cresce, cresce, in quell’atteggiamento che Gesù chiama ipocrisia.”
C’è insomma il rischio di diventare “cristiano di nome, di atteggiamento esterno, ma il cuore è nell’interesse”, come dice Gesù: “In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”. È una tentazione che fa indebolire “la fede e la missione,” e in una parola che fa indebolire la Chiesa.
La testimonianza dei santi e dei martiri ci aiuta a non cadere in quella tentazione, che “ogni giorno ci annunciano che andare sulla strada di Gesù è quella della sua missione: annunciare l’anno di grazia. La gente capisce il rimprovero di Gesù e gli dice: ‘Ma cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?’. Gesù rispose loro: ‘Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che Egli ha mandato’, cioè la fede in Lui, soltanto in Lui, la fiducia in Lui e non nelle altre cose che ci porteranno alla fine lontano da Lui. Questa è l’opera di Dio: che crediate in Colui che Egli ha mandato, in Lui”.
Da qui la preghiera del Papa, di non cadere nello spirito di mondanità che “dietro o sotto una vernice di cristianesimo ci porterà a vivere come pagani”.
[Da acistampa.com. https://www.acistampa.com/story/papa-francesco-non-usate-lincontro-con-gesu-per-il-potere-0305]
La forza del mondo interiore, anche nei suoi abissi
(Mt 7,21.24-27)
Papa Francesco ha affermato: «Dio per donarsi a noi sceglie spesso delle strade impensabili, magari quelle dei nostri limiti, delle nostre lacrime, delle nostre sconfitte».
I costruttori frettolosi si accontentano di edificare direttamente sul terreno; badando solo a quanto si vede e sperimentano (su due piedi). Non scavano la casa sino al sodo - nel profondo, nell’oro di sé.
Nel mondo interiore tutto si rovescia: il primato è della Grazia, che spiazza, perché tiene conto solo della realtà essenziale, inspiegabile - e della nostra dignitosa autonomia.
«L’acqua troppo pura non ha pesci» [Ts’ai Ken T’an]. Accettarsi ci completerà: farà recuperare i lati compresenti, opposti e in ombra. È il balzo della Fede profonda.
Con l’intero Discorso della Montagna - qui agli sgoccioli - Gesù punta a suscitare nelle persone una coscienza critica riguardo a soluzioni banali ed esterne, cosa comune fra i leaders della religiosità antica.
Per edificare un nuovo Regno non bastano le pubbliche liturgie sovrabbondanti di bei segni, e ossequi sociali clamorosi - neppure i doni più appariscenti.
Falsa sicurezza è quella di chi si sente a posto. Non vi è malato o recluso peggiore di colui che si ritiene sano, arrivato e non contagiato: solo qui non c’è terapia, né rilancio.
Lo si vedrà nel momento della tormenta, quando sarà evidente la necessità di tradurre in vita il rapporto personale col Signore, a partire dalla capacità di accogliere l’azzardo.
I meriti non radicati nelle convinzioni intimamente salde non reggeranno il turbine della prova.
«Praticanti di cose vane» ossia inconsistenti [è il senso del testo greco che introduce il passo di Vangelo (v.23)].
Sono gli alfieri d’una spiritualità vuota, che malgrado la vernice - con lati anche spettacolari - nulla hanno a che fare con Dio.
Ci sono fondamenta dietro una facciata di farfalle? Lo si capisce nella bufera, e se si diventa «roccia» anche per gl’invisibili - non turisti dello “spirito” che lodano lodano e non rischiano.
La sicurezza non viene dall’adeguarsi a costumanze e adempimenti, né da quel farsi ammirare (almeno) al pari di altri, che rende insana la Casa comune.
Nostro specifico e cifra della Fede non è un’identità tratta da protocolli o dalle maniere - che gioca sulle apparenze e non sull’unico punto forte: l’attitudine dei pellegrini in Cristo.
Siamo saldi solo nella dignità sacerdotale profetica regale, che ci è data in Dono irripetibile e mai sarà frutto del derivare dal consenso.
Viviamo per seguire una Vocazione profonda: Radice, Molla e Motore delle nostre fibre più intime; apparentata ai sogni e alla naturalezza di ciascuno.
Solo affidarsi all’anima è piattaforma autentica, vera salvezza e medicina.
La Missione giungerà alle periferie esistenziali, partendo dal Nucleo.
Sembra insensato, paradossale, incredibile, ma per ogni Chiamato la Roccia sulla quale può e deve edificare il suo modo di scendere in campo… è la Libertà.
[Giovedì 1.a sett. Avvento, 4 dicembre 2025]
Casa sulla Roccia o praticanti di cose vane
(Mt 7,21.24-27)
Papa Francesco ha affermato: «Dio per donarsi a noi sceglie spesso delle strade impensabili, magari quelle dei nostri limiti, delle nostre lacrime, delle nostre sconfitte».
Il Richiamo del Signore non è manicheo, bensì profondo.
Il nostro comportamento ha radici affascinanti. Luci e ombre del nostro essere permangono in relazione dinamica.
Talora però i nostri disagi o storture sono il frutto di un eccesso di “luce” - disancorato dal suo opposto.
Tale eccesso si associa volentieri alla pretesa di esorcizzare l’aspetto buio in noi, che vorremmo celare per motivi sociali.
Ci sembra che il biglietto da visita debba essere riflesso solo del nostro aspetto brillante, sciolto, serio, e performante.
Magari, uno stile morale tutto d’un pezzo - almeno a prima vista.
Chi si affeziona al suo lato luminoso e addirittura tenta di promuoverlo per motivi di look (anche ecclesiale), di cultura affermata, di abitudine (anche religiosa) , rischia però di potenziare la controparte.
Attenzione: in ciascun uomo c’è sempre un versante che fa cilecca, che non ce la fa; e non unilaterale.
Forse proprio in chi predica il bene esiste il pericolo più accentuato di trascurare il suo opposto compresente - che prima o poi irromperà, troverà il suo spazio.
Facendo saltare tutto il castello di carte. Ma per realizzare qualcosa di alternativo e assolutamente non artificioso.
Per chi intraprende un cammino di “perfezione”, la sua stessa controparte sembra solo un pericolo.
E condizionati dai modelli, continuiamo a recitare [la “nostra” parte già identificata].
Eppure nel lato oscuro si celano risorse che il lato in sola luce non ha.
Nel lato oscuro leggiamo il nostro seme caratteriale.
Qui c’è la terapia e la guarigione dai disagi che ci affrettiamo a celare (in famiglia, con gli amici, in comunità, sul lavoro).
Gli aspetti oscuri [egoismo, freddezza, chiusura, introversione, tristezza] si annidano dentro; inutile negarlo.
Vale la pena piuttosto considerarli fonte di energie primordiali caratterizzanti.
È infatti il nascondimento - talora la depressione stessa - che ci fa pescare soluzioni inimmaginabili.
Come fossimo un grano piantato in terra, che vuole la sua esistenza. E vuole infine vita naturale, che sviluppi le sue capacità.
Proprio le emozioni che non piacciono e noi stessi detestiamo - come la terra infangata e buia - ci riconnettono con la nostra essenza profonda.
Insomma, gli stati emotivi poco simpatici saranno il pozzo dal quale giungono a noi altre idee, altre “immagini” guida, nuove intuizioni; diversa linfa. E i cambiamenti.
La luce non possiede tutte le possibilità, tutte le dinamicità. Anzi, non di rado sembra declinata [dalle stesse tradizioni] in modo fittizio, riduttivo.
Nel chiaroscuro, viceversa, non fingiamo più. Perché è il fondamento della casa dell’anima.
Tutto ciò consideriamo, per un’armonia solida, che nasca dal di dentro.
Paradossi della Vocazione personale: se non la seguissimo a tutto tondo, continueremmo a ricalcare idee sbagliate, o stili altrui.
E ci ammaleremmo. Il male prenderà il sopravvento.
Se strutturati su una identità astratta, locale, o fasulla, qui sì che la bufera potrebbe distruggere tutto.
Nei nostri tentativi ed errori, accanto dobbiamo tenere tutti gli aspetti - che nel corso del tempo abbiamo imparato a conoscere, e ci siamo resi conto che sono parte di noi.
Questo cambierà la solidità di rapporto con noi stessi, gli altri, la natura, la storia, e il mondo.
La sintonia tra condotta e intenzione del cuore supera l'ipocrisia, ma la conformità tra Parola e vita non si allestisce esercitandosi negli automatismi, né consegnandosi a convinzioni altrui.
Nel post-lockdown ce ne stiamo accorgendo nitidamente.
Un tempo si pensava che la formazione (in specie dei giovani) cesellasse anche l’anima, e tutto sfociasse naturalmente nelle scelte; nei mezzi, nei risultati, nelle opere esterne, e persino nei sogni: “Dimmi ciò che fai e ti dirò chi sei”.
Invece la sintonia qualitativa con il Mistero e la Parola del Cristo non la si ottiene allestendo, bensì la si trova dentro (ciascuno di noi) enigmaticamente, e a partire dagli abissi - come puro Dono segreto, per l’indipendenza creativa.
Fretta, timore di fallire, cultura della concatenazione e stabilità, propositi (anche “spirituali”) o viceversa lusinghe di tranquillità; mire, smanie di essere riconosciuti, mancanza di distacco, ambizione, paura di essere esclusi, difficoltà a spostare lo sguardo... portano all’ignoranza del Mistero.
Privi di spessore, saremo condannati a non scavare sino in fondo neppure dentro noi stessi; in balia perenne dei ruoli particolari, di ambiti e dei suoi eventi; delle relazioni occasionali o locali.
I costruttori frettolosi si accontentano di edificare direttamente sul terreno; badando solo a quanto si vede e sperimentano (su due piedi). Non scavano la casa sino al sodo - nel profondo, nell’oro di sé.
Nel mondo interiore e nella sua potenza nascosta tutto si rovescia: il primato è della Grazia, che spiazza, perché tiene conto solo della realtà essenziale, inspiegabile - e della nostra dignitosa autonomia.
Il resto sarà purtroppo destinato a crollare rovinosamente, perché non rimane fondato sulla Parola, sul carattere [pur magmatico, ma fortemente potenziale]… né sul rapporto vocazionale con Dio e le cose, o sulla più genuina comunione [convivialità e ricchezza condivisa delle differenze].
Viviamo una lacerazione, anche nel tempo dell’emergenza: il mondo interiore è più forte e convincente, eppure l’esteriorità non vuole cedere il passo dei traguardi immediati. Infatti ne siamo ancora attratti.
Ma questi ultimi sappiamo bene che non riattivano alcuna tappa di peso specifico, come invece spontaneamente fa il nostro giovane essere interiore - quasi un Bimbo che portiamo in gestazione.
In genere, anche nel cammino spirituale subito precipitiamo nel personaggio ambìto che vorremmo essere: qui non si cresce, non ci si accende che per delle futilità, né ci s’accorge che non sono esse le nostre “proprietarie”.
Certo, il traguardo esteriore immediato non soffre l’attesa della lunga necessaria evoluzione del dover partorire se stessi (perfino nell’angoscia e solitudine) tappa dopo tappa; che si attiva e riattiva senza comfort e sicurezze.
Eppure siamo nati per spiccare il volo, non per ricalcare e diventare fotocopie nell’anima.
Così tutto ciò che vale sarà nell’oscillazione, perché un percorso di peso specifico personale si configura secondo il dono della nostra eccezionalità.
E l’Unicità si potrà ottenere nel processo di ogni nostro lato, d’ogni versante della personalità - anche apparentemente meschina o sommaria. Anche poco lusinghiera dal punto di vista della tranquillità religiosa; che pure avrà avuto il suo valore.
Gesù non intende distinguere i buoni dai cattivi [cf. vv.15-20 e passo parallelo di Lc 6,43-45] in modo banale: vuole che viviamo appieno, nell’unicità integrale, e percepiamo bene.
Il Signore non propone un destino imprigionato; piuttosto, un ribaltamento di senso.
Il suo è un monito ad acuire lo sguardo, e posarlo dentro - non lasciarlo fuori, a osservare risultati effimeri, quelli da ovvietà e clamore; e poi basta, non vivere troppi scossoni… come fossimo in una zona relax.
L'Unità di misura in Cristo non è l’immediatamente percepibile all’occhio, e non è in sé neppure il “progredire”, bensì: «il valore di ogni parte».
Proprio la consapevolezza di limite diventa in noi principio trasformativo. E ogni imperfezione chiama all’Esodo.
Rinnegare i propri confini significa lasciarsi sequestrare da opinioni comuni, prive di Mistero - con orizzonti ridotti a una “parola” sola.
È ad es. la forte crisi che stimola il rivolgimento d’un sistema anche economico appariscente ma competitivo e disumanizzante, dai principi intimi corrotti - sebbene un tempo ci apparissero come degli assoluti.
Perché non accontentarsi, se grosso modo ce la caviamo? Perché l’identificazione forzata ha tolto Libertà, anche quella di ammettere che siamo fatti di luci e ombre.
Non è il disturbo che priva donne e uomini di emancipazione vocazionale eloquente.
Anche ciascuno che si batte il petto, lo fa in modo particolare; e si riconosce in simbiosi col proprio Nome.
Poi ad ogni età della vita - come a ciascuna era - tocca il suo “peccato”, che non è un mostro bensì un sintomo che parla proprio della Chiamata personale, morale, culturale, sociale.
Anche se non piacesse, l’oscillazione va compresa, non criticata e accusata.
Direi addirittura accolta e rielaborata - non semplicisticamente rifiutata, con atteggiamenti di artificiosa lontananza o gesti di ambigua virtù, che rendono esterni e fanno tornare al punto di partenza.
Oggi la mancanza di vita completa e relazioni belle, il rivolgimento generale, l’inquietudine dell'anima - il nervosismo, l’insoddisfazione - costringono ad abbandonare sia le antiche e fascinose sicurezze devote, che le sofisticazioni disincarnate “à la page”.
Tutto in favore delle situazioni concrete e personali, nell’orizzonte della vocazione irripetibile e del balzo di Fede che apre alla convivenza.
«L’acqua troppo pura non ha pesci» [Ts’ai Ken T’an].
Accettarsi senza riserve c’introdurrà in un’esperienza vertiginosa, da stupore: con lo sbalordimento prodotto dal recupero dei lati compresenti, opposti e in ombra. Tanti quanti i fratelli e sorelle.
Forse constateremo che sono essi i più attivanti e fecondi.
Non l'etica della perfezione e delle distinzioni omologate, bensì il vituperato caos e i nostri demoni interiori diventeranno paradossalmente i migliori compagni di cammino, e gli unici veri; corifei di una stupefacente Missione.
Del resto, le opere stesse sono frutto dei nostri pensieri e desideri. Questi ultimi scaturiscono certo anche da una buona, variegata formazione, ma non in senso meccanico.
È fondamentale anche qui non essere sventati. Un cattivo discernimento annienta l’autentica Roccia, che coincide con la propria Guida spontanea alla completezza.
Fondamento stabile del nostro itinerario è la Libertà di accogliere e la Libertà di corrispondere all’irripetibile carattere - proprio - dell’istinto a realizzarci.
Infatti Gesù si distacca non solo dalla religione antica, ma persino dai filoni messianici - piuttosto crudi - dei primi tempi (es. Gc 3,11-12).
Non per questo il Maestro rinnega lo spirito profondo delle Sacre Scritture antiche, anzi ne coglie il cuore: Qo 3,14; 7,13-18; Sir 37,13-15 [e tanti altri passi (incredibili per la mentalità in cui siamo stati educati)].
Quindi non basta dire: «Signore, Signore» (vv.21-22). Non è sufficiente riconoscere formalmente il Figlio di Dio.
Bisogna vagliare il suo Richiamo nell’essere, farlo proprio e comprenderlo appieno, affinché non venga corrotto e deturpato in forme inessenziali, di puerile conformismo esterno.
Nell’insicurezza, molta gente domanda espressioni di potenza, cerca la forza palese; si accontenta dei paradigmi morali, guarda forme di assicurazione immediata, o brama guide rinomate [che perpetuino e confortino il loro sentiero difensivo].
Illusioni paralizzanti… anche nel cammino di Fede.
Su questa strada non si costruisce la felicità prevista, né solidità alcuna, bensì giorno dopo giorno la propria tristezza - com’è palese da troppe vicende, infine dalle più occulte forme di compensazione (oggi smascherate).
Non c’è guru che possa rimettere le cose a posto in radice.
Il nostro Seme è ciò che è: bisogna scoprirne le virtù, anche e soprattutto quelle inattese - che derivano dall’essenza e da forme magmatiche e plastiche di energie persino contrapposte.
Inutile “curarsi” secondo una omologazione conforme che non appartiene al Nucleo personale.
L’anima ha una vita autonoma, sospensiva dei contesti, delle distanze; esiste dentro e anche fuori dello scandire del tempo - come l’Amore.
Ognuno è una molteplicità di volti coesistenti - cui dare spazio per una maggiore completezza.
Questo conta, e allearsi coi propri limiti: abbracciare ciò che l’ambiente circostante o il paradigma culturale convenzionalista - il quale difende il suo territorio - ritiene magari inconcludente (così via).
Presidiamo altri confini.
Ciò che non piace è forse la nostra parte migliore.
In ogni caso, dar voce alle tensioni significa poter finalmente denominarle, ospitarle degnamente - affinché dispongano gioie più complete.
E lascino varcare la soglia della letizia di vivere, quindi dell’autentica affidabilità.
Spazzando via l’ansia dell’imperfezione, troveremo una più armonica fermezza, energetica.
Accogliendo le fragilità insieme alle ribellioni, non vivremo a metà; anzi, faremo esperienza di pienezza di essere (vitale e scattante).
Non sentendoci sempre intrappolati, potremo volar via.
Ma che certe situazioni tranquille siano ristrettezze contraffatte e tagliole dell’anima, possiamo accorgercene subito: nei disagi radicali, che affiorano.
Molti continuano invano a cercare futili conferme: nella ricerca di doni straordinari o nella meticolosità delle osservanze, ovvero nelle mode di pensiero. Tutte realtà esterne.
Tuttavia non è questa la pedagogia che educa e lancia la vita nello Spirito fuori da meccanismi appunto estrinseci.
Né per vincere davvero le tormente basta “fare la volontà di Dio” in modo disciplinato ma senza consapevolezze amicali con noi stessi.
Nessuna forma di esteriorità inculcata potrà convincerci.
Tantomeno, farci diventare «roccia» - o piccolo baluardo - per persuadere, capacitare, rafforzare altri.
La differenza tra religiosità comune e Fede personale?
La Vita nella condizione umanizzante e divina di preziosità apre percorsi variegati - di abisso perfino, ma colmi di esperienze interiori; di ricerca e scoperte inimmaginabili, ove possiamo essere noi stessi.
Nella sfera di Fede non esistono più sacri tempi, luoghi, saperi, modelli - tutti epidermici, se ingessati - che non siano anche inediti e personali.
L’unione col Signore, Roccia da cui siamo stati come tagliati ed estratti, non è binario né solco, bensì un’opzione fondamentale.
Essa lascia briglie sciolte sull’inclinazione e colore particolari di ciascuno.
Con l’intero Discorso della Montagna - qui agli sgoccioli - Gesù punta a suscitare nelle persone una coscienza critica riguardo a soluzioni banali ed esterne. Cosa comune fra i leaders della religiosità popolare e ufficiale antica.
Per edificare un nuovo Regno non bastano le pubbliche liturgie sovrabbondanti di bei segni col giusto credo, e ossequi sociali clamorosi - neppure i doni più appariscenti.
Falsa sicurezza è quella di chi professa… ma compie atti solo conformi e riflette idee allineate - quindi si sente a posto.
Non c’è malato o recluso peggiore di colui che si ritiene sano, arrivato e non contagiato: solo qui non c’è terapia, né rilancio.
Lo si vedrà nel momento della tormenta, quando sarà evidente la necessità di tradurre in vita il rapporto personale col Signore, a partire da se stessi e dalla capacità di accogliere l’azzardo dell’Amore.
I meriti non radicati nelle convinzioni intimamente salde - gesti prodotti d’intrigo, calcolo e atteggiamenti artificiosi - non reggeranno il turbine della prova.
«Praticanti di cose vane» ossia inconsistenti [è il senso del testo greco che introduce il passo di Vangelo (v.23)] sono gli alfieri d’una spiritualità vuota, che malgrado la vernice, con lati anche spettacolari, nulla hanno a che fare con Dio.
Secondo convenienza, i “maestri” che si frappongono al percorso dei risvolti personali sembrano disposti a rimangiarsi qualsiasi adesione, tramando il rovescio dei loro stessi proclami - perché prigionieri in merito [invece di come appaiono: condottieri].
Non rivelano ancora il Volto divino, bensì un contrario qualunquista e calcolante.
Campano per tirare avanti - insieme al club cui sono iscritti - e ottenere solo riconoscimenti immediati, ossequi, elemosine di consenso attorno.
E ciò malgrado le grandi discipline di censura che propugnano:
Non correggono la separazione fra insegnare e impegno personale: magari predicano tutti i giorni il Dio vero e (sempre) grandi cose - ma come per mestiere.
Gl’intriganti moltiplicano formule e gesti altisonanti o simbolici, al pari di droghe soporifere ovvero eccitanti… ma sono i primi a non credere a ciò che dicono e a più riprese impongono agli altri.
Pieni di ottuse pretese sulla gente, non comprendono il Padre, Dio dei disperati, esiliati e derisi, che risuscita i non eletti - i privati di futuro; non gli assicurati a vita, comandati dal tornaconto e dall’apparire.
Ci sono fondamenta dietro una facciata di farfalle? Lo si capisce nella bufera, e se si diventa «roccia» anche per gli invisibili - non turisti dello “spirito” che lodano lodano (v.21) e non rischiano.
Pertanto la sicurezza non viene dall’adeguarsi a costumanze e adempimenti, né da quel farsi ammirare (almeno) al pari di altri. Fiction che rende insana la Casa comune.
Nostro specifico e cifra della Fede non è un’identità “culturale” tratta da protocolli o maniere mainstream - trama che gioca sulle apparenze e non sull’unico punto forte: l’attitudine dei pellegrini in Cristo.
Siamo saldi solo nella dignità sacerdotale profetica regale, ch’è data in Dono irripetibile e mai sarà frutto del derivare dal consenso.
Né dell’apparire, del dire e non dire, del costruirsi; dell’adeguarsi alle forze in campo, dell’arrabattarsi per galleggiare.
Viviamo per seguire una Vocazione profonda: Radice, Molla e Motore delle nostre fibre intime; apparentata ai sogni e alla naturalezza di ciascuno.
Solo affidarsi all’anima è piattaforma autentica, vera salvezza e medicina.
La Missione giungerà alle periferie esistenziali, partendo dal Nucleo.
Sembra insensato, paradossale, incredibile, ma per ogni Chiamato la Roccia sulla quale può e deve edificare il suo modo di scendere in campo… è la Libertà.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quando la tormenta urterà la tua casa, immagini una caduta grande? Qual è la roccia su cui è costruita la tua comunità? È interessata alla tua naturalezza o vuole omologarti?
Conosci persone dalla forte attività profetica, apostolica o taumaturgica, che danno la sensazione d’una famigliarità con Dio solo straordinaria o di circostanza, forse apparente?
Qual è il motivo, secondo te? Pensi che si siano davvero mai arresi a se stessi e alla quintessenza della propria Chiamata per Nome?
Il desiderio di una Casa
Cari giovani amici,
vi porgo il mio cordiale benvenuto! La vostra presenza mi rallegra. Sono grato al Signore per questo incontro con il calore della vostra cordialità. Sappiamo che "dove due o tre sono uniti nel nome di Gesù, Egli è in mezzo a loro" (cfr Mt 18, 20). Ma voi siete qui oggi ben più numerosi! Ringrazio per questo ciascuno e ciascuna di voi. Gesù dunque è qui con noi. Egli è presente tra i giovani della terra polacca, per parlare loro di una casa, che non crollerà mai, perché edificata sulla roccia. È la parola evangelica che abbiamo poc'anzi ascoltato (cfr Mt 7, 24-27).
Nel cuore di ogni uomo c'è, amici miei, il desiderio di una casa. Tanto più in un cuore giovane c'è il grande anelito ad una casa propria, che sia solida, nella quale non soltanto si possa tornare con gioia, ma anche con gioia si possa accogliere ogni ospite che viene. È la nostalgia di una casa nella quale il pane quotidiano sia l'amore, il perdono, la necessità di comprensione, nella quale la verità sia la sorgente da cui sgorga la pace del cuore. È la nostalgia di una casa di cui si possa essere orgogliosi, di cui non ci si debba vergognare e della quale non si debba mai piangere il crollo. Questa nostalgia non è che il desiderio di una vita piena, felice, riuscita. Non abbiate paura di questo desiderio! Non lo sfuggite! Non vi scoraggiate alla vista delle case crollate, dei desideri vanificati, delle nostalgie svanite. Dio Creatore, che infonde in un giovane cuore l'immenso desiderio della felicità, non lo abbandona poi nella faticosa costruzione di quella casa che si chiama vita.
Amici miei, una domanda si impone: "Come costruire questa casa?". È una domanda che sicuramente si è già affacciata molte volte al vostro cuore e che ancora tante volte ritornerà. È una domanda che è doveroso porre a se stessi non una volta soltanto. Ogni giorno deve stare davanti agli occhi del cuore: come costruire quella casa chiamata vita? Gesù, le cui parole abbiamo ascoltato nella redazione dell'evangelista Matteo, ci esorta a costruire sulla roccia. Soltanto così infatti la casa non crollerà. Ma che cosa vuol dire costruire la casa sulla roccia? Costruire sulla roccia vuol dire prima di tutto: costruire su Cristo e con Cristo. Gesù dice: "Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia" (Mt 7, 24). Non si tratta qui di parole vuote dette da una persona qualsiasi, ma delle parole di Gesù. Non si tratta di ascoltare una persona qualunque, ma di ascoltare Gesù. Non si tratta di compiere una cosa qualsiasi, ma di compiere le parole di Gesù.
Costruire su Cristo e con Cristo significa costruire su un fondamento che si chiama amore crocifisso. Vuol dire costruire con Qualcuno che, conoscendoci meglio di noi stessi, ci dice: "Tu sei prezioso ai miei occhi, ...sei degno di stima e io ti amo" (Is 43, 4). Vuol dire costruire con Qualcuno che è sempre fedele, anche se noi manchiamo di fedeltà, perché egli non può rinnegare se stesso (cfr 2 Tm 2, 13). Vuol dire costruire con Qualcuno che si china costantemente sul cuore ferito dell'uomo e dice: "Non ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più" (cfr Gv 8, 11). Vuol dire costruire con Qualcuno, che dall'alto della croce stende le sue braccia, per ripetere per tutta l'eternità: "Io do la mia vita per te, uomo, perché ti amo". Costruire su Cristo vuol dire infine fondare sulla sua volontà tutti i propri desideri, le attese, i sogni, le ambizioni e tutti i propri progetti. Significa dire a se stessi, alla propria famiglia, ai propri amici e al mondo intero e soprattutto a Cristo: "Signore, nella vita non voglio fare nulla contro di Te, perché Tu sai che cosa è il meglio per me. Solo Tu hai parole di vita eterna" (cfr Gv 6, 68). Amici miei, non abbiate paura di puntare su Cristo! Abbiate nostalgia di Cristo, come fondamento della vita! Accendete in voi il desiderio di costruire la vostra vita con Lui e per Lui! Perché non può perdere colui che punta tutto sull'amore crocifisso del Verbo incarnato.
Costruire sulla roccia significa costruire su Cristo e con Cristo, che è la roccia. Nella Prima Lettera ai Corinzi san Paolo, parlando del cammino del popolo eletto attraverso il deserto, spiega che tutti "bevvero ... da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo" (1 Cor 10, 4). I padri del popolo eletto certamente non sapevano che quella roccia era Cristo. Non erano consapevoli di essere accompagnati da Colui il quale, quando sarebbe venuta la pienezza dei tempi, si sarebbe incarnato, assumendo un corpo umano. Non avevano bisogno di comprendere che la loro sete sarebbe stata soddisfatta dalla Sorgente stessa della vita, capace di offrire l'acqua viva per dissetare ogni cuore. Bevvero tuttavia a questa roccia spirituale che è Cristo, perché avevano nostalgia dell'acqua della vita, ne avevano bisogno. In cammino sulle strade della vita, forse a volte non siamo consapevoli della presenza di Gesù. Ma proprio questa presenza, viva e fedele, la presenza nell'opera della creazione, la presenza nella Parola di Dio e nell'Eucaristia, nella comunità dei credenti e in ogni uomo redento dal prezioso Sangue di Cristo, questa presenza è la fonte inesauribile della forza umana. Gesù di Nazaret, Dio che si è fatto Uomo, sta accanto a noi nella buona e nella cattiva sorte e ha sete di questo legame, che è in realtà il fondamento dell'autentica umanità. Leggiamo nell'Apocalisse queste significative parole: "Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (Ap 3, 20).
Amici miei, che cosa vuol dire costruire sulla roccia? Costruire sulla roccia significa anche costruire su Qualcuno che è stato rifiutato. San Pietro parla ai suoi fedeli di Cristo come di una "pietra viva rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio" (1 Pt 2, 4). Il fatto innegabile dell'elezione di Gesù da parte di Dio non nasconde il mistero del male, a causa del quale l'uomo è capace di rigettare Colui che lo ha amato sino alla fine. Questo rifiuto di Gesù da parte degli uomini, menzionato da san Pietro, si protrae nella storia dell'umanità e giunge anche ai nostri tempi. Non occorre una grande acutezza di mente per scorgere le molteplici manifestazioni del rigetto di Gesù, anche lì dove Dio ci ha concesso di crescere. Più volte Gesù è ignorato, è deriso, è proclamato re del passato, ma non dell'oggi e tanto meno del domani, viene accantonato nel ripostiglio di questioni e di persone di cui non si dovrebbe parlare ad alta voce e in pubblico. Se nella costruzione della casa della vostra vita incontrate coloro che disprezzano il fondamento su cui voi state costruendo, non vi scoraggiate! Una fede forte deve attraversare delle prove. Una fede viva deve sempre crescere. La nostra fede in Gesù Cristo, per rimanere tale, deve spesso confrontarsi con la mancanza di fede degli altri.
Cari amici, che cosa vuol dire costruire sulla roccia? Costruire sulla roccia vuol dire essere consapevoli che si avranno delle contrarietà. Cristo dice: "Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono sulla casa..." (Mt 7, 25). Questi fenomeni naturali non sono soltanto l'immagine delle molteplici contrarietà della sorte umana, ma ne indicano anche la normale prevedibilità. Cristo non promette che su una casa in costruzione non cadrà mai un acquazzone, non promette che un'onda rovinosa non travolgerà ciò che per noi è più caro, non promette che venti impetuosi non porteranno via ciò che abbiamo costruito a volte a prezzo di enormi sacrifici. Cristo comprende non solo l'aspirazione dell'uomo ad una casa duratura, ma è pienamente consapevole anche di tutto ciò che può ridurre in rovina la felicità dell'uomo. Non vi meravigliate dunque delle contrarietà, qualunque esse siano! Non vi scoraggiate a motivo di esse! Un edificio costruito sulla roccia non equivale ad una costruzione sottratta al gioco delle forze naturali, iscritte nel mistero dell'uomo. Aver costruito sulla roccia significa poter contare sulla consapevolezza che nei momenti difficili c'è una forza sicura su cui fare affidamento.
Amici miei, consentitemi di insistere: che cosa vuol dire costruire sulla roccia? Vuol dire costruire con saggezza. Non senza un motivo Gesù paragona coloro che ascoltano le sue parole e le mettono in pratica a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. È stoltezza, infatti, costruire sulla sabbia, quando si può farlo sulla roccia, avendo così una casa in grado di resistere ad ogni bufera. È stoltezza costruire la casa su un terreno che non offre le garanzie di reggere nei momenti più difficili. Chissà, forse è anche più facile fondare la propria vita sulle sabbie mobili della propria visione del mondo, costruire il proprio futuro lontano dalla parola di Gesù, e a volte perfino contro di essa. Resta tuttavia che chi costruisce in questo modo non è prudente, perché vuol persuadere se stesso e gli altri che nella sua vita non si scatenerà alcuna tempesta, che nessuna onda colpirà la sua casa. Essere saggio significa sapere che la solidità della casa dipende dalla scelta del fondamento. Non abbiate paura di essere saggi, cioè non abbiate paura di costruire sulla roccia!
Amici miei, ancora una volta: che cosa vuol dire costruire sulla roccia? Costruire sulla roccia vuol dire anche costruire su Pietro e con Pietro. A lui infatti il Signore disse: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (Mt 16, 16). Se Cristo, la Roccia, la pietra viva e preziosa, chiama il suo Apostolo pietra, significa che egli vuole che Pietro, e insieme a lui la Chiesa intera, siano segno visibile dell'unico Salvatore e Signore. Qui, a Cracovia, la città prediletta del mio Predecessore Giovanni Paolo II, le parole sul costruire con Pietro e su Pietro non stupiscono certo nessuno. Perciò vi dico: non abbiate paura a costruire la vostra vita nella Chiesa e con la Chiesa! Siate fieri dell'amore per Pietro e per la Chiesa a lui affidata. Non vi lasciate illudere da coloro che vogliono contrapporre Cristo alla Chiesa! C'è un'unica roccia sulla quale vale la pena di costruire la casa. Questa roccia è Cristo. C'è solo una pietra su cui vale la pena di poggiare tutto. Questa pietra è colui a cui Cristo ha detto: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa" (Mt 16, 18). Voi giovani avete conosciuto bene il Pietro dei nostri tempi. Perciò non dimenticate che né quel Pietro che sta osservando il nostro incontro dalla finestra di Dio Padre, né questo Pietro che ora sta dinanzi a voi, né nessun Pietro successivo sarà mai contro di voi, né contro la costruzione di una casa durevole sulla roccia. Anzi, impegnerà il suo cuore ed entrambe le mani nell'aiutarvi a costruire la vita su Cristo e con Cristo.
Cari amici, meditando le parole di Cristo sulla roccia come fondamento adeguato per la casa, non possiamo non rilevare che l'ultima parola è una parola di speranza. Gesù dice che, nonostante lo scatenarsi degli elementi, la casa non è crollata, perché era fondata sulla roccia. In questa sua parola c'è una straordinaria fiducia nella forza del fondamento, la fede che non teme smentite perché confermata dalla morte e risurrezione di Cristo. Questa è la fede che, dopo anni, verrà confessata da san Pietro nella sua lettera: "Ecco, io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, preziosa e chi crede in essa non resterà confuso" (1 Pt 2, 6). Certamente "Non resterà confuso...". Cari giovani amici, la paura dell'insuccesso può a volte frenare perfino i sogni più belli. Può paralizzare la volontà e rendere incapaci di credere che possa esistere una casa costruita sulla roccia. Può persuadere che la nostalgia della casa è soltanto un desiderio giovanile e non un progetto per la vita. Insieme a Gesù dite a questa paura: "Non può cadere una casa fondata sulla roccia"! Insieme con san Pietro dite alla tentazione del dubbio: "Chi crede in Cristo non resterà confuso!". Siate testimoni della speranza, di quella speranza che non teme di costruire la casa della propria vita, perché sa bene di poter contare sul fondamento che non crollerà mai: Gesù Cristo nostro Signore.
(Papa Benedetto, Discorso ai giovani Cracovia 27 maggio 2006)
Come le radici dell’albero lo tengono saldamente piantato nel terreno, così le fondamenta danno alla casa una stabilità duratura. Mediante la fede, noi siamo fondati in Cristo (cfr Col 2,7), come una casa è costruita sulle fondamenta. Nella storia sacra abbiamo numerosi esempi di santi che hanno edificato la loro vita sulla Parola di Dio. Il primo è Abramo. Il nostro padre nella fede obbedì a Dio che gli chiedeva di lasciare la casa paterna per incamminarsi verso un Paese sconosciuto. “Abramo credette a Dio e gli fu accreditato come giustizia, ed egli fu chiamato amico di Dio” (Gc 2,23). Essere fondati in Cristo significa rispondere concretamente alla chiamata di Dio, fidandosi di Lui e mettendo in pratica la sua Parola. Gesù stesso ammonisce i suoi discepoli: “Perché mi invocate: «Signore, Signore!» e non fate quello che dico?” (Lc 6,46). E, ricorrendo all’immagine della costruzione della casa, aggiunge: “Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica… è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene” (Lc 6,47-48).
Cari amici, costruite la vostra casa sulla roccia, come l’uomo che “ha scavato molto profondo”. Cercate anche voi, tutti i giorni, di seguire la Parola di Cristo. Sentitelo come il vero Amico con cui condividere il cammino della vostra vita. Con Lui accanto sarete capaci di affrontare con coraggio e speranza le difficoltà, i problemi, anche le delusioni e le sconfitte. Vi vengono presentate continuamente proposte più facili, ma voi stessi vi accorgete che si rivelano ingannevoli, non vi danno serenità e gioia. Solo la Parola di Dio ci indica la via autentica, solo la fede che ci è stata trasmessa è la luce che illumina il cammino. Accogliete con gratitudine questo dono spirituale che avete ricevuto dalle vostre famiglie e impegnatevi a rispondere con responsabilità alla chiamata di Dio, diventando adulti nella fede. Non credete a coloro che vi dicono che non avete bisogno degli altri per costruire la vostra vita! Appoggiatevi, invece, alla fede dei vostri cari, alla fede della Chiesa, e ringraziate il Signore di averla ricevuta e di averla fatta vostra!
[Papa Benedetto, Messaggio GMG 2011]
Gospels make their way, advance and free, making us understand the enormous difference between any creed and the proposal of Jesus. Even within us, the life of Faith embraces all our sides and admits many things. Thus we become more complete and emancipate ourselves, reversing positions.
I Vangeli si fanno largo, avanzano e liberano, facendo comprendere l’enorme differenza tra credo qualsiasi e proposta di Gesù. Anche dentro di noi, la vita di Fede abbraccia tutti i nostri lati e ammette tante cose. Così diventiamo più completi e ci emancipiamo, ribaltando posizioni
We cannot draw energy from a severe setting, contrary to the flowering of our precious uniqueness. New eyes are transmitted only by the one who is Friend. And Christ does it not when we are well placed or when we equip ourselves strongly - remaining in a managerial attitude - but in total listening
Non possiamo trarre energia da un’impostazione severa, contraria alla fioritura della nostra preziosa unicità. Gli occhi nuovi sono trasmessi solo da colui che è Amico. E Cristo lo fa non quando ci collochiamo bene o attrezziamo forte - permanendo in atteggiamento dirigista - bensì nell’ascolto totale
The Evangelists Matthew and Luke (cf. Mt 11:25-30 and Lk 10:21-22) have handed down to us a “jewel” of Jesus’ prayer that is often called the Cry of Exultation or the Cry of Messianic Exultation. It is a prayer of thanksgiving and praise [Pope Benedict]
Gli evangelisti Matteo e Luca (cfr Mt 11,25-30 e Lc 10,21-22) ci hanno tramandato un «gioiello» della preghiera di Gesù, che spesso viene chiamato Inno di giubilo o Inno di giubilo messianico. Si tratta di una preghiera di riconoscenza e di lode [Papa Benedetto]
The human race – every one of us – is the sheep lost in the desert which no longer knows the way. The Son of God will not let this happen; he cannot abandon humanity in so wretched a condition. He leaps to his feet and abandons the glory of heaven, in order to go in search of the sheep and pursue it, all the way to the Cross. He takes it upon his shoulders and carries our humanity (Pope Benedict)
L’umanità – noi tutti - è la pecora smarrita che, nel deserto, non trova più la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare l’umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce. La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità (Papa Benedetto)
"Too bad! What a pity!" “Sin! What a shame!” - it is said of a missed opportunity: it is the bending of the unicum that we are inside, which every day surrenders its exceptionality to the normalizing and prim outline of common opinion. Divine Appeal of every moment directed Mary's dreams and her innate knowledge - antechamber of her trust, elsewhere
“Peccato!” - si dice di una occasione persa: è la flessione dell’unicum che siamo dentro, che tutti i giorni cede la sua eccezionalità al contorno normalizzante e affettato dell’opinione comune. L’appello divino d’ogni istante orientava altrove i sogni di Maria e il suo sapere innato - anticamera della fiducia
It is a question of leaving behind the comfortable but misleading ways of the idols of this world: success at all costs; power to the detriment of the weak; the desire for wealth; pleasure at any price. And instead, preparing the way of the Lord: this does not take away our freedom (Pope Francis)
Si tratta di lasciare le strade, comode ma fuorvianti, degli idoli di questo mondo [...] E di aprire invece la strada al Signore che viene: Egli non toglie la nostra libertà (Papa Francesco)
don Giuseppe Nespeca
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