don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Qui Gesù, parlando dello Spirito Santo, ci spiega che cos’è la Chiesa e come essa debba vivere per essere se stessa, per essere il luogo dell’unità e della comunione nella Verità; ci dice che agire da cristiani significa non essere chiusi nel proprio «io», ma orientarsi verso il tutto; significa accogliere in se stessi la Chiesa tutta intera o, ancora meglio, lasciare interiormente che essa ci accolga. Allora, quando io parlo, penso, agisco come cristiano, non lo faccio chiudendomi nel mio io, ma lo faccio sempre nel tutto e a partire dal tutto: così lo Spirito Santo, Spirito  di unità e di verità, può continuare a risuonare nei nostri cuori e nelle menti degli uomini e spingerli ad incontrarsi e ad accogliersi a vicenda. Lo Spirito, proprio per il fatto che agisce così, ci introduce in tutta la verità, che è Gesù, ci guida nell’approfondirla, nel comprenderla: noi non cresciamo nella conoscenza chiudendoci nel nostro io, ma solo diventando capaci di ascoltare e di condividere, solo nel «noi» della Chiesa, con un atteggiamento di profonda umiltà interiore. E così diventa più chiaro perché Babele è Babele e la Pentecoste è la Pentecoste. Dove gli uomini vogliono farsi Dio, possono solo mettersi l’uno contro l’altro. Dove invece si pongono nella verità del Signore, si aprono all’azione del suo Spirito che li sostiene e li unisce.

[Papa Benedetto, omelia 27 maggio 2012]

1. Abbiamo più volte citato le parole di Gesù, che nel discorso d’addio rivolto agli apostoli nel Cenacolo promette la venuta dello Spirito Santo come nuovo e definitivo difensore e consolatore: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce” (Gv 14, 16-17). Quel “discorso d’addio”, situato nel racconto solenne dell’ultima Cena (cf. Gv 13, 2), è una fonte di prima importanza per la pneumatologia, ossia per la disciplina teologica concernente lo Spirito Santo. Gesù parla di lui come del Paraclito, che “procede” dal Padre, e che il Padre “manderà” agli apostoli e alla Chiesa “nel nome del Figlio”, quando il Figlio stesso “andrà via”, “a prezzo” della dipartita compiuta mediante il sacrificio della Croce.

Dobbiamo prendere in considerazione il fatto che Gesù chiama il Paraclito lo “Spirito di Verità”. Anche in altri momenti lo ha chiamato così (cf. Gv 15, 26; Gv 16, 13).

2. Teniamo presente che nello stesso “discorso d’addio” Gesù, rispondendo a una domanda dell’apostolo Tommaso circa la sua identità, asserisce di se stesso: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14, 6). Da questo duplice riferimento alla verità che Gesù fa per definire sia se stesso che lo Spirito Santo, si deduce che, se il Paraclito viene da lui chiamato “Spirito di verità”, ciò significa che lo Spirito Santo è colui che, dopo la dipartita di Cristo, manterrà tra i discepoli la stessa verità, che egli ha annunziato e rivelato ed, anzi, che egli stesso è. Il Paraclito, infatti, è la verità, come lo è Cristo. Lo dirà Giovanni nella sua prima lettera: “È lo Spirito Santo che rende testimonianza, perché lo Spirito è la verità” (Gv 5, 6). Nella stessa lettera l’Apostolo scrive pure: “Noi siamo da Dio. Chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci ascolta. Da ciò noi distinguiamo lo spirito della verità e lo spirito dell’errore (“spiritus erroris”)” (Gv 4, 6). La missione del Figlio e quella dello Spirito Santo si incontrano, sono connesse e si completano reciprocamente nell’affermazione della verità e nella vittoria sull’errore. I campi d’azione in cui essi operano sono lo spirito umano e la storia del mondo. La distinzione tra la verità e l’errore è il primo momento di tale opera.

3. Rimanere nella verità e operare nella verità è il problema essenziale per gli apostoli e per i discepoli di Cristo, sia dei primi tempi come di tutte le nuove generazioni della Chiesa nei secoli. Da questo punto di vista l’annuncio dello Spirito di verità ha un’importanza chiave. Gesù dice nel Cenacolo: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento (ancora) non siete capaci di portarne il peso” (Gv 16, 12). Veramente la missione messianica di Gesù durò poco, troppo poco per svelare ai discepoli tutti i contenuti della Rivelazione. E non solo fu breve il tempo a disposizione, ma risultarono anche limitate la preparazione e l’intelligenza degli ascoltatori. Più volte è detto che gli apostoli stessi “si stupivano dentro di loro” (cf. Mc 6, 52), e “non capivano” (cf. es gr Mc 8, 21), oppure capivano in modo distorto le parole e le opere di Cristo (cf. es gr Mt 16, 6-11).

Così si spiegano in tutta la pienezza del loro significato le parole del Maestro: “Quando . . . verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera” (Gv 16, 13).

4. La prima conferma di questa promessa di Gesù si avrà nella Pentecoste e nei giorni successivi, come attestano gli Atti degli Apostoli. Ma la promessa non riguarda soltanto gli apostoli e gli immediati loro compagni nell’evangelizzazione, ma anche le future generazioni di discepoli e di confessori di Cristo. Il Vangelo infatti è destinato a tutte le nazioni e alle generazioni sempre nuove, che si svilupperanno nel contesto delle diverse culture e del molteplice progresso della civiltà umana. Con lo sguardo su tutto il raggio della storia Gesù dice: “Lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza”. “Renderà testimonianza”, ossia mostrerà il vero senso del Vangelo all’interno della Chiesa, perché essa lo annunci in modo autentico al mondo intero. Sempre e in ogni luogo, pur nell’interminabile vicenda delle cose che mutano sviluppandosi nella vita della umanità, lo “Spirito di verità” guiderà la Chiesa “alla verità tutta intera” (Gv 16, 13).

5. Il rapporto tra la Rivelazione comunicata dallo Spirito Santo e quella di Gesù è molto stretto. Non si tratta di una Rivelazione diversa, eterogenea. Lo si può arguire da un particolare del linguaggio usato da Gesù nella sua promessa: “Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26). Il ricordare è la funzione della memoria. Ricordando, si ritorna a ciò che è già stato, a ciò che è stato detto e compiuto, rinnovando così nella coscienza le cose passate, e quasi facendole rivivere. Trattandosi specialmente dello Spirito Santo, Spirito di una verità carica della potenza divina, la sua missione non si esaurisce nel ricordare il passato come tale: “ricordando” le parole, le opere e tutto il mistero salvifico di Cristo, lo Spirito di verità lo rende continuamente presente nella Chiesa, fa sì che rivesta un’“attualità” sempre nuova nella comunità della salvezza. Grazie all’azione dello Spirito Santo, la Chiesa non solo ricorda la verità, ma permane e vive nella verità ricevuta dal suo Signore. Anche in questo modo si compiono le parole di Cristo: “Egli (lo Spirito Santo) mi renderà testimonianza” (Gv 15, 26). Questa testimonianza dello Spirito di verità si identifica così con la presenza del Cristo sempre vivo, con la forza operatrice del Vangelo, con l’attuazione crescente della Redenzione, con una continua illustrazione di verità e di virtù. In questo modo lo Spirito Santo “guida”, la Chiesa “alla verità tutta intera”.

6. Tale verità è presente, almeno in modo implicito, nel Vangelo. Ciò che lo Spirito Santo rivelerà è già stato detto da Cristo. Lo rivela egli stesso quando, parlando dello Spirito Santo, sottolinea che “non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito . . . Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà” (Gv 16, 13-14). Il Cristo, glorificato dallo Spirito di verità, è prima di tutto quello stesso Cristo crocifisso, spogliato di tutto e quasi “annientato” nella sua umanità per la redenzione del mondo. Proprio per opera dello Spirito Santo la “parola della Croce” doveva essere accettata dai discepoli, ai quali il Maestro stesso aveva detto: “Per il momento (ancora) non siete capaci di portarne il peso” (Gv 16, 12). Si parava, davanti a quei poveri uomini, lo schermo della Croce. Occorreva un’azione in profondità per rendere le loro menti e i loro cuori capaci di scoprire la “gloria della redenzione”, che si era compiuta proprio nella Croce. Era necessario un intervento divino per convincere e trasformare interiormente ognuno di loro, in preparazione, anzitutto, al giorno della Pentecoste, e, poi, alla missione apostolica del mondo. E Gesù li avverte che lo Spirito Santo “mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annunzierà”. Solo lo Spirito che, secondo san Paolo (1 Cor 2, 10), “scruta le profondità di Dio”, conosce il mistero del Figlio-Verbo nella sua relazione filiale col Padre e nella sua relazione redentrice con gli uomini di tutti i tempi. Lui solo, lo Spirito di verità, può aprire le menti e i cuori umani rendendoli capaci di accettare l’inscrutabile mistero di Dio e del suo Figlio incarnato, crocifisso e risorto, Gesù Cristo Signore.

7. Dice ancora Gesù: “Lo Spirito di verità . . . vi annunzierà le cose future” (Gv 16, 13). Che cosa significa questa proiezione profetica ed escatologica con cui Gesù colloca sotto il raggio dello Spirito Santo tutto l’avvenire della Chiesa, tutto il cammino storico che essa è chiamata a compiere nei secoli? Significa un andare incontro al Cristo glorioso, verso il quale essa è protesa nell’invocazione suscitata dallo Spirito: “Vieni, Signore Gesù!” (Ap 22, 17. 20). Lo Spirito Santo conduce la Chiesa verso un costante progresso nella comprensione della verità rivelata. Veglia sull’inseguimento di tale verità, sulla sua conservazione, sulla sua applicazione alle mutevoli situazioni storiche. Suscita e conduce lo sviluppo di tutto ciò che serve alla conoscenza e alla diffusione di questa verità: in particolare, l’esegesi della Sacra Scrittura e la ricerca teologica, che non si possono mai separare dalla direzione dello Spirito di verità né dal Magistero della Chiesa, in cui lo Spirito è sempre all’opera.

Tutto avviene nella fede e per la fede, sotto l’azione dello Spirito, come è detto nell’enciclica Dominum et Vivificantem: “Il Mysterium Christi nella sua globalità esige la fede, poiché è questa che introduce opportunamente l’uomo nella realtà del mistero rivelato. Il guidare alla verità tutta intera si realizza, dunque, nella fede e mediante la fede: il che è opera dello Spirito di verità ed è frutto della sua azione nell’uomo. Lo Spirito Santo deve essere in questo la suprema guida dell’uomo, la luce dello spirito umano. Ciò vale per gli apostoli, testimoni oculari, che devono ormai portare a tutti gli uomini l’annuncio di ciò che Cristo “fece ed insegnò” e, specialmente, della sua Croce, e della sua risurrezione. In una prospettiva più lontana, ciò vale anche per tutte le generazioni dei discepoli e dei confessori del Maestro, poiché dovranno accettare con fede e confessare con franchezza il mistero di Dio operante nella storia dell’uomo, il mistero rivelato che di tale storia spiega il senso definitivo” (Dominum et Vivificantem, 6).

In questo modo lo “Spirito di verità” continuamente annunzia le cose future; continuamente mostra all’umanità questo futuro di Dio, che è al di sopra e al di fuori di ogni futuro “temporale”: e così riempie di valore eterno il futuro del mondo. Così lo Spirito convince l’uomo, facendogli capire che, con tutto ciò che è, e ha, e fa, è chiamato da Dio in Cristo alla salvezza. Così il “Paraclito”, lo Spirito di verità, è il vero “Consolatore” dell’uomo. Così è il vero Difensore e Avvocato. Così è il vero Garante del Vangelo nella storia: sotto il suo influsso la buona Novella è sempre “la stessa” ed è sempre “nuova”; e in modo sempre nuovo illumina il cammino dell’uomo nella prospettiva del cielo con “parole di vita eterna” (Gv 6, 68).

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 17 maggio 1989]

«I copti sgozzati perché cristiani» sono morti «con il nome di Gesù sulle labbra» perché avevano compreso fino in fondo «lo scandalo della croce». Ma «la strada martiriale» fa parte della vita quotidiana di ogni cristiano, anche nella famiglia, nella difesa dei diritti delle persone, nell’esperienza della malattia. Ed è lo Spirito Santo che aiuta a saper rendere testimonianza e ad accogliere «la verità tutta intera». Lo ha affermato Papa Francesco, nella messa celebrata lunedì 11 maggio nella cappella della casa Santa Marta, ricordando anche di aver telefonato, domenica, al patriarca copto Tawadros, in occasione del giorno dell’amicizia tra copti e cattolici, secondo anniversario dell’incontro che si svolse in Vaticano il 10 maggio 2013.

«Nella prima preghiera di oggi» all’inizio della messa, ha detto il Pontefice, «abbiamo chiesto la grazia di rendere sempre presente, in ogni momento, la fecondità della Pasqua». E infatti, ha spiegato, «la Pasqua è feconda» perché «è la vita che Gesù Cristo, il Signore, ci ha dato attraverso la sua croce e la sua risurrezione». Ma «come viene attuata questa fecondità?». La risposta, ha fatto notare Francesco, la troviamo proprio nel Vangelo di Giovanni (15, 26-16.4) proposto oggi dalla liturgia.

In pratica «il Signore prepara i suoi discepoli al futuro». E «c’è una parola che può sembrare un po’ strana: scandalizzare». Dice Gesù, secondo quanto riferisce Giovanni: «Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi». La questione da comprendere è: «di quale scandalo parla Gesù? Dello scandalo delle persecuzioni che avverranno, dello scandalo della croce?».

Il Signore «aggiunge una promessa» dicendo: «Quando verrà il Paraclito, lo Spirito della verità, egli darà testimonianza». E poi, «sempre nello stesso discorso», afferma ancora: «Io ho tante cose da dirvi, ma in questo momento voi non siete capaci di portarne il peso; ma quando verrà il Paraclito, lo Spirito di verità, egli vi guiderà a tutta la verità». Insomma, ha spiegato il Papa, Gesù «ci parla del futuro, della croce che ci aspetta e ci parla dello Spirito, che ci prepara a dare la testimonianza cristiana».

Del resto, ha proseguito Francesco, «in questi giorni la Chiesa ci fa riflettere tanto sullo Spirito Santo: Gesù dice che lo Spirito Santo che verrà, che lui invierà, ci guiderà alla verità piena, cioè ci insegnerà le cose che io ancora non ho insegnato, queste cose che lui — ha aggiunto il Papa citando il passo evangelico odierno — deve dire e delle quali loro, i discepoli, non sono ancora capaci di portare il peso». Inoltre il Signore afferma anche che «lo Spirito vi farà ricordare le cose che ho detto e che con la vita sono cadute nell’oblio». Ed ecco, ha spiegato Francesco, «quello che fa lo Spirito: ci fa ricordare le parole di Gesù e ci insegna le cose che ancora Gesù non ha potuto dirci, perché noi non eravamo capaci di comprenderne la portata».

«Così la vita della Chiesa è un cammino guidato dallo Spirito che ci ricorda e ci insegna, che ci porta alla verità tutta intera», ha sottolineato. E «questo Spirito, che è compagno di cammino, ci difende anche dallo scandalo della croce». San Paolo, parlando ai corinzi, dice: «Ma la Croce è una stoltezza, per quelli che vanno alla perdizione». Poi riprende e aggiunge: «I giudei chiedono segni». E «davvero quante volte nel Vangelo i giudei, i dottori della legge, hanno chiesto a Gesù» di dar loro «un segno». Da parte loro, «i greci, cioè i pagani, chiedono sapienza, idee nuove». Ma «noi predichiamo soltanto Cristo crocifisso, scandalo per voi — per gli ebrei — e stoltezza per i pagani».

La croce di Cristo, dunque, è lo scandalo. Per questo, ha chiarito il Papa, «Gesù prepara il cuore dei suoi discepoli con la promessa del Paraclito, per quello che avverrà loro». E dice: «Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi» della croce di Cristo. Giovanni riporta queste parole del Signore: «Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio». E noi oggi, ha constatato il Pontefice, «siamo testimoni di questi che uccidono i cristiani in nome di Dio perché sono miscredenti, secondo loro». Questa «è la croce di Cristo». Ecco l’attualità delle parole di Gesù nel Vangelo della liturgia del giorno: «Faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me». Gesù ricorda così che quanto è accaduto a lui, accadrà anche a noi: «le persecuzioni, le tribolazioni». Per questo non ci si deve scandalizzare, consapevoli che «sarà lo Spirito a guidarci e a farci capire».

«Ieri — ha quindi confidato Francesco — ho avuto la gioia di telefonare al patriarca copto Tawadros, perché era il giorno dell’amicizia copto-cattolica: abbiamo parlato di alcune cose». Ma, ha aggiunto, «io ricordavo i suoi fedeli, che sono stati sgozzati sulla spiaggia perché cristiani. Questi fedeli, per la forza che gli ha dato lo Spirito Santo, non si sono scandalizzati. Morivano col nome di Gesù sulle labbra. È la forza dello Spirito. La testimonianza. È vero, questo è proprio il martirio, la testimonianza suprema».

C’è anche, ha proseguito il Papa, «la testimonianza di ogni giorno, la testimonianza di rendere presente la fecondità della Pasqua — che abbiamo chiesto oggi all’inizio della messa — quella fecondità che ci dà lo Spirito Santo, che ci guida verso la verità piena, la verità intera, e ci fa ricordare quello che Gesù ci dice».

Perciò, ha rimarcato Francesco, «un cristiano che non prende sul serio questa dimensione “martiriale” della vita non ha capito ancora la strada che Gesù ci ha insegnato: strada “martiriale” di ogni giorno; strada “martiriale” nel difendere i diritti delle persone; strada “martiriale” nel difendere i figli: papà, mamma che difendono la loro famiglia; strada “martiriale” di tanti, tanti ammalati che soffrono per amore di Gesù. Tutti noi abbiamo la possibilità di portare avanti questa fecondità pasquale su questa strada “martiriale”, senza scandalizzarci».

Nel proseguire la celebrazione eucaristica — «memoriale di quella croce» nella quale «si rende presente la fecondità pasquale» — il Pontefice ha chiesto «al Signore la grazia di ricevere lo Spirito Santo che ci farà ricordare le cose di Gesù, che ci guiderà alla verità tutta intera e ci preparerà ogni giorno a rendere questa testimonianza, a dare questo piccolo martirio di ogni giorno o un grande martirio, secondo la volontà del Signore».

[Papa Francesco, omelia s. Marta, in L’Osservatore Romano 12/05/2015]

Mercoledì, 21 Maggio 2025 11:12

Paraclito, Peccato Giustizia Giudizio

(Gv 16,5-11)

 

Anticamente non esistevano gli avvocati, e ci si doveva difendere da soli, trovando testimoni.

L’imputato poteva essere colpevole ma degno di perdono, o innocente eppure non in grado di mostrare prove.

In tali casi l’assoluzione veniva assicurata da una persona stimata del pubblico, che si alzava dall’assemblea e si poneva silenziosamente a fianco dell’accusato, garantendo per lui e così giustificandolo.

È l’azione dello Spirito, in Gv denominato ‘Paraclito’: «chiamato accanto».

Gesù è stato condannato dagli espertissimi maestri della religione ufficiale come squilibrato, eretico e imperdonabile peccatore.

Normale attendersi che nel medesimo modo venga giudicato anche chi rinuncia alla simulazione, e accoglie Cristo come Signore della propria vita.

Scommettendo tutto, presto sentirà sul vivo e nel profondo la propria identità di destino con Lui.

Ma in noi c’è una forza silenziosa di convinzione che armonizza persino le accuse, che ci libera dalle tensioni indotte dall’esterno.

Corrispondenza che riannoda i fili della trama vocazionale.

Sintonia che riporta l’anima al concerto interiore, per la missione; e fa ripartire anche dopo le fatiche di vessazioni idiote.

Tale potenza intima e amica non è legata all’ostinazione, ma all’ascolto di se stessi.

 

C’è un mondo interiore di ‘Presenza che apre le porte’.

Esso ha un segreto potere d’autorità, privo di sentenze o imposizioni, il quale sgancia l'anima dalla lotta incessante verso le avversità che si contrappongono.

E volentieri ci si affida a tale virtù silenziosa: della Vita indipendente, che affiora, e viene.

«Peccato» (vv.8-9) è infatti l’incapacità di accogliere la Chiamata a seguire il proprio Seme, il proprio Nucleo, la propria “voglia” che detesta il dirigismo altrui, gli sforzi, il chiasso.

Nocciolo che intreccia le sue radici nel terreno, poi nello spazio dintorno. E infallibilmente guida a realizzazione - nonché a corrispondere.

Così testimoniando l’irripetibile Chiamata personale.

Per Via, il discepolo autentico capirà che il Signore ha condonato il suo «peccato», ossia ha cancellato l’umiliazione delle distanze incolmabili [fra condizione creaturale e perfezione].

 

«Giustizia»: quella divina non è retributiva, perché distinguerebbe il mio da “il tuo”.

E di divisione in divisione, farebbe cadere nelle peggiori ingiustizie.

Il Padre agisce creando: «fa» Giustizia dov’essa non c’è.

Egli ci colloca in posizioni conformi all’essere e all’essenza. Pone rapporti debiti dove non esistono ancora.

Insomma, l’Amore permane squilibrato: sta sul versante irregolare del Dono gratuito, che non si tiene a bada.

Piuttosto, riscrive l’intera storia. Con molto di Eccessivo.

«Giudizio» che comunica il suo Spirito vitale (Gv 19,30) e annienta le accuse decretate dal «mondo» della convenienza.

Da dove? Dalla Croce.

Stesso punto dal quale chi è illuminato dallo Spirito che vince interessi e morte, cura e libera dalle pastoie.

 

Il credente sa stare con se stesso in modo diverso; senza censurarsi.

Rigenerandosi e sollevando la vita di tanti fratelli.

 

 

[Martedì 6.a sett. di Pasqua, 27 maggio 2025]

Mercoledì, 21 Maggio 2025 11:09

Paraclito, Peccato Giustizia Giudizio

(Gv 16,5-11)

 

Anticamente non esistevano gli avvocati, e ci si doveva difendere da soli, trovando testimoni.

L’imputato poteva essere ad es. colpevole ma degno di perdono, o innocente eppure non in grado di mostrare prove.

In tali casi l’assoluzione veniva assicurata da una persona stimata del pubblico, che si alzava dall’assemblea e si poneva silenziosamente a fianco dell’accusato, garantendo per lui e così giustificandolo.

È l’azione dello Spirito, in Gv denominato Paraclito: «chiamato accanto».

 

Gesù è stato condannato dagli espertissimi maestri della religione ufficiale come squilibrato, eretico e imperdonabile peccatore.

Normale attendersi che nel medesimo modo venga giudicato anche chi rinuncia alla simulazione e accoglie Cristo come Signore della propria vita: sentirà sul vivo e nel profondo la propria identità di destino con Lui.

 

Ma in noi c’è una forza silenziosa di convinzione che armonizza persino le accuse, che ci libera dalle tensioni indotte dall’esterno.

Corrispondenza che riannoda i fili della trama vocazionale, che riporta l’anima al concerto interiore, per la missione; e fa ripartire anche dopo le fatiche di vessazioni idiote.

Tale potenza intima e amica non è legata all’ostinazione, ma all’ascolto di se stessi - fuori d’ogni parametro locale; culturale, sociale o religioso condizionante.

Tutto per il compito che ci spetta, e senza farci esaurire l’energia nitida, negli scontri diretti.

 

C’è un mondo interiore di Presenza che apre le porte.

Esso ha un potere segreto d’autorità (privo di sentenze o imposizioni) che sgancia l'anima dalla lotta incessante verso le avversità che si contrappongono.

E volentieri ci si affida a tale virtù silenziosa: della vita indipendente che affiora e viene.

 

«Peccato» (vv.8-9) è infatti l’incapacità di accogliere la Chiamata a seguire il proprio Seme, il proprio Nucleo, la propria “voglia” che detesta il dirigismo altrui, gli sforzi, il chiasso.

Nocciolo che intreccia le sue radici nel terreno, e infallibilmente guida a realizzazione - nonché a corrispondere.

Così testimoniando l’irripetibile Chiamata personale, Perla senza neppure cumulo di pene e ostinazioni.

 

Per Via il discepolo autentico capirà che il Signore ha condonato il suo «peccato», ossia ha cancellato l’umiliazione delle distanze incolmabili [fra condizione creaturale e perfezione].

Attributo quest’ultimo predicato dalla religiosità comune; tanto adultoide, accomodato, ipocrita e installato da impedire di farci diventare umani.

I peccatucci in senso moralistico [non teologico] sono altro.

 

«Giustizia»: quella divina non è retributiva, perché distinguerebbe il mio dal tuo. E di divisione in divisione farebbe cadere nelle peggiori ingiustizie.

Il Padre agisce creando: fa Giustizia dov’essa non c’è; colloca in posizioni conformi, pone rapporti debiti dove non esistono ancora.

 

Insomma, l’Amore permane squilibrato: sta sul versante irregolare del Dono gratuito, che non si tiene a bada.

Piuttosto, riscrive l’intera storia. Con molto di eccessivo.

Non è il mercimonio dei meriti: il tanto-quanto («mereor» è infatti radice di “meretricio”).

 

«Di là verrà a giudicare» - recita il Credo Apostolico: di là da dove? Il Giudizio divino non è quello banale e soppesato delle costumanze intimiste.

«Giudizio» in senso evangelico è l’invito attivo, personale e intimo di Gesù, che si dona completamente, sino all’ultima goccia di sangue; che comunica il suo Spirito vitale (Gv 19,30) e annienta le accuse decretate dal «mondo» della convenienza.

 

Da dove? Dalla Croce.

Stesso punto dal quale chi è illuminato dallo Spirito che vince interessi e morte, cura e libera dalle pastoie del «ne quid nimis» [nulla di troppo].

Il vero credente sa stare con se stesso in modo diverso. Rigenerando la vita di tanti fratelli.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Conosci l’errore del «mondo»?

Ti difendi da solo coi tuoi criteri o ti lasci scagionare?

 

 

Pensionati nell’animo, tristezza pagana

 

«O sei giovane di cuore, di anima, o non sei pienamente cristiano». L’omelia della messa celebrata da Papa Francesco a Santa Marta la mattina di martedì 28 maggio, è stata un vero e proprio inno alla vita, alla vitalità, alla «giovinezza dello Spirito», da contrapporre alla deriva stanca di tante persone “pensionate” nell’animo, abbattute dalle difficoltà e dalla tristezza perché «il peccato invecchia». Una ventata di gioia fondata sul «grande dono che ci ha lasciato Gesù»: lo Spirito Santo.

Punto di partenza della riflessione del Pontefice è stato il brano evangelico del giorno (Giovanni, 16, 5-11) che riportava uno stralcio del discorso di congedo agli apostoli durante l’ultima cena. In quell’occasione Gesù «dice tante cose», ma «il cuore di questo discorso è lo Spirito Santo». Il Signore, infatti, offre ai suoi amici una vera e propria «catechesi sullo Spirito Santo»: comincia col notare il loro stato d’animo — «Perché ho detto questo che me ne vado, la tristezza ha riempito il vostro cuore» — e «li rimprovera soavemente» perché, ha notato il Papa, «la tristezza non è un atteggiamento cristiano».

Il turbamento interiore degli apostoli — che, davanti al dramma di Gesù e all’incertezza sul futuro, «cominciano a capire il dramma della passione» — è accostabile alla realtà di ogni cristiano. A tale riguardo Francesco ha ricordato come nell’orazione colletta del giorno «abbiamo domandato

 

2

 al Signore che mantenga in noi la rinnovata giovinezza dello spirito», elevando così un’invocazione «contro la tristezza nella preghiera». È proprio questo, ha aggiunto, il punto: «Lo Spirito Santo fa che in noi ci sia sempre questa giovinezza, che si rinnova ogni giorno con la sua presenza».

Approfondendo tale concetto, il Pontefice ha ricordato: «Una grande santa ha detto che un santo triste è un triste santo; un cristiano triste è un triste cristiano: non va». Cosa significa? che «la tristezza non entra nel cuore del cristiano», perché egli «è giovane». Una giovinezza che si rinnova e che «gli fa portare sulle spalle tante prove, tante difficoltà». Cosa che — ha spiegato facendo riferimento alla prima lettura tratta dagli Atti degli apostoli (16, 22-34) — è accaduta, ad esempio, a Paolo e Sila che vennero fatti bastonare e incarcerare dai magistrati a Filippi. In quel frangente, ha detto il Papa, «entra lo Spirito Santo e rinnova tutto, fa tutto nuovo; anche fa giovane il carceriere».

Lo Spirito Santo, quindi, è colui «che ci accompagna nella vita, che ci sostiene». Come espresso dal nome che Gesù gli dà: «Paraclito». Un termine insolito, il cui significato spesso sfugge a molti. Su questo il Pontefice ha anche scherzato raccontando un breve aneddoto relativo a una messa da lui celebrata quando era parroco: «C’erano più meno 250-300 bambini, era una domenica di Pentecoste e quindi ho domandato loro: “Chi sa chi è lo Spirito Santo?”. E tutti: “Io, io, io!” – “Tu”: “Il paralitico”, mi ha detto. Lui aveva sentito “Paraclito” e non capiva cosa fosse» e così disse: «paralitico». Una buffa storpiatura che però, ha detto Francesco, rivela una realtà: «Tante volte noi pensiamo che lo Spirito Santo è un paralitico, che non fa nulla... E invece è quello che ci sostiene».

Infatti, ha spiegato il Pontefice, «la parola paraclito vuol dire “quello che è accanto a me per sostenermi” perché io non cada, perché io vada avanti, perché io conservi questa giovinezza dello Spirito». Ecco perché «il cristiano sempre è giovane: sempre. E quando incomincia a invecchiare il cuore del cristiano, incomincia a diminuire la sua vocazione di cristiano. O sei giovane di cuore, di anima o non sei pienamente cristiano».

Qualcuno potrebbe spaventarsi delle difficoltà e dire: «“Ma come posso...?”: c’è lo Spirito. Lo Spirito ti aiuterà in questa rinnovata giovinezza». Ciò non significa che manchino i dolori. Paolo e Sila, ad esempio, soffrirono molto per le bastonate ricevute: «dice il testo che il carceriere quando ha visto quel miracolo ha voluto convertirsi e li ha portati a casa sua e ha curato le loro ferite con olio... ferite brutte, forti...». Ma nonostante il dolore, essi «erano pieni di gioia, cantavano... Questa è la giovinezza. Una giovinezza che ti fa guardare sempre la speranza».

E come si ottiene questa giovinezza? «Ci vuole — ha detto il Papa — un dialogo quotidiano con lo Spirito Santo, che è sempre accanto a noi». È lo Spirito «il grande dono che ci ha lasciato Gesù: questo supporto, che ti fa andare avanti». E così, a chi dice: “Eh sì, Padre, è vero, ma lei sa, io sono un peccatore, ho tante, tante cose brutte nella mia vita e non riesco...», si può rispondere:

 

3

 «Va bene: guarda i tuoi peccati; ma guarda lo Spirito che è accanto a te e parla con lo Spirito: lui ti sarà il sostegno e ti ridarà la giovinezza». Perché, ha aggiunto, «tutti sappiamo che il peccato invecchia: invecchia. Invecchia l’anima, invecchia tutto. Invece lo Spirito ci aiuta a pentirci, a lasciare da parte il peccato e ad andare avanti con quella giovinezza».

Perciò Francesco ha esortato a lasciare da parte quella che ha definito la «tristezza pagana», spiegando: «Non dico che la vita sia un carnevale: no, quello non è vero. Nella vita ci sono delle croci, ci sono dei momenti difficili. Ma in questi momenti difficili si sente che lo Spirito ci aiuta ad andare avanti, come a Paolo e a Sila, e a superare le difficoltà. Anche il martirio. Perché c’è questa rinnovata giovinezza».

La conclusione dell’omelia è stata quindi un invito alla preghiera: «Chiediamo al Signore di non perdere questa rinnovata giovinezza, di non essere cristiani in pensione che hanno perso la gioia e non si lasciano portare avanti... Il cristiano non va mai in pensione; il cristiano vive, vive perché è giovane — quando è vero cristiano».

(Papa Francesco, omelia s. Marta; https://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2019/documents/papa-francesco-cotidie_20190528_santamarta.pdf)

Mercoledì, 21 Maggio 2025 11:05

Non c’è un secondo livello di Rivelazione

Il Signore promette ai discepoli il Suo Spirito Santo […] Gesù ha detto tutto ai Suoi discepoli, essendo Egli stesso la Parola vivente di Dio, e Dio non può dare più di se stesso. In Gesù, Dio ci ha donato tutto se stesso - cioè - ci ha donato tutto. Oltre a questo, o accanto a questo, non può esserci nessun’altra rivelazione in grado di comunicare maggiormente o di completare, in qualche modo, la Rivelazione di Cristo. In Lui, nel Figlio, ci è stato detto tutto, ci è stato donato tutto. Ma la nostra capacità di comprendere è limitata; perciò la missione dello Spirito è di introdurre la Chiesa in modo sempre nuovo, di generazione in generazione, nella grandezza del mistero di Cristo. Lo Spirito non pone nulla di diverso e di nuovo accanto a Cristo; non c’è nessuna rivelazione pneumatica accanto a quella di Cristo - come alcuni credono - nessun secondo livello di Rivelazione. No: "prenderà del mio", dice Cristo nel Vangelo (Gv 16, 14). E come Cristo dice soltanto ciò che sente e riceve dal Padre, così lo Spirito Santo è interprete di Cristo. "Prenderà del mio". Non ci conduce in altri luoghi, lontani da Cristo, ma ci conduce sempre più dentro la luce di Cristo. Per questo, la Rivelazione cristiana è, allo stesso tempo, sempre antica e sempre nuova. Per questo, tutto ci è sempre e già donato. Allo stesso tempo, ogni generazione, nell’inesauribile incontro col Signore - incontro mediato dallo Spirito Santo - impara sempre qualcosa di nuovo.

[Papa Benedetto, omelia insediamento Cathedra Romana 7 maggio 2005]

1. “Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: Dove vai? Anzi, perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò” (Gv 16, 5-7).

Le parole di Cristo pronunciate alla vigilia della passione e della morte di croce assumono intera pienezza di significato nel momento in cui la Chiesa si prepara alla dipartita di Cristo nel 40° giorno dopo la risurrezione. Questo giorno è ormai vicino.

2. Ed è vicina quella gioia della quale parla Gesù ai suoi discepoli in quel giorno, nel cenacolo, prima della sua passione: “la vostra afflizione si cambierà in gioia” (Gv 16, 20). Sarà la gioia per la nascita della Chiesa. La tristezza per la dipartita di Cristo si cambierà proprio in questa gioia, quando gli apostoli sperimenteranno - nel giorno della Pentecoste - che è in loro la forza dello Spirito di Verità, che consente loro - al di sopra di ogni riguardo umano e dell’intera debolezza umana - di testimoniare il Crocifisso risorto.

Insieme con la venuta dello Spirito Santo si inizierà nella storia dell’umanità il tempo della Chiesa, in cui continua a maturare la pienezza dei tempi, iniziata sulla terra col Cristo, concepito per opera dello Spirito Santo e nato dalla Vergine, il cui nome era Maria.

3. È un grande mistero, quello che è racchiuso nelle parole al cenacolo: “Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore, ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò” (Gv 16, 7). Queste sono parole-chiave. Sono parole che svelano l’economia trinitaria secondo la quale l’inscrutabile Dio - Padre, Figlio e Spirito Santo - opera nel tempo. È l’economia della Redenzione, cioè del ritorno salvifico dell’uomo a Dio mediante la grazia: il ritorno “al prezzo” della venuta di Dio all’uomo nell’Incarnazione; il ritorno “al prezzo” della dipartita del Figlio Incarnato mediante la morte di croce; il ritorno dell’uomo e del mondo - uscito dalle mani di Dio - alle stesse mani paterne, alla comunione con la Divinità; il ritorno grazie alla figliolanza dell’uomo dell’Eterno Figlio, mediante la Grazia; il ritorno nello Spirito Santo.

4. “Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre” (Gv 16, 28). “Lascio il mondo”, sebbene non mi stacco dal mondo. Rimango in esso mediante lo Spirito Santo. Rimango in esso mediante la verità del Vangelo. Mediante l’Eucaristia e la Chiesa. Mediante la Parola e i Sacramenti. Mediante la grazia della figliolanza Divina. Mediante la fede, la speranza e la carità.

“Lascio il mondo” - ma non mi stacco dal mondo. Non mi stacco dall’uomo di tutti i tempi. Lo conduco al Padre! Alla casa del Padre. Nonostante ogni resistenza e obiezione che provengono dal peccato nella storia del mondo, conduco l’uomo al Padre.

La Genitrice di Dio ci precede su questa strada. Uniamoci a lei nella preghiera recitando il “Regina Coeli”.

[Papa Giovanni Paolo II, Regina Coeli 4 maggio 1986]

Mercoledì, 21 Maggio 2025 10:31

Pensionati nell’animo, tristezza pagana

«O sei giovane di cuore, di anima, o non sei pienamente cristiano». L’omelia della messa celebrata da Papa Francesco a Santa Marta la mattina di martedì 28 maggio, è stata un vero e proprio inno alla vita, alla vitalità, alla «giovinezza dello Spirito», da contrapporre alla deriva stanca di tante persone “pensionate” nell’animo, abbattute dalle difficoltà e dalla tristezza perché «il peccato invecchia». Una ventata di gioia fondata sul «grande dono che ci ha lasciato Gesù»: lo Spirito Santo.

Punto di partenza della riflessione del Pontefice è stato il brano evangelico del giorno (Giovanni, 16, 5-11) che riportava uno stralcio del discorso di congedo agli apostoli durante l’ultima cena. In quell’occasione Gesù «dice tante cose», ma «il cuore di questo discorso è lo Spirito Santo». Il Signore, infatti, offre ai suoi amici una vera e propria «catechesi sullo Spirito Santo»: comincia col notare il loro stato d’animo — «Perché ho detto questo che me ne vado, la tristezza ha riempito il vostro cuore» — e «li rimprovera soavemente» perché, ha notato il Papa, «la tristezza non è un atteggiamento cristiano».

Il turbamento interiore degli apostoli — che, davanti al dramma di Gesù e all’incertezza sul futuro, «cominciano a capire il dramma della passione» — è accostabile alla realtà di ogni cristiano. A tale riguardo Francesco ha ricordato come nell’orazione colletta del giorno «abbiamo domandato

 

2

 al Signore che mantenga in noi la rinnovata giovinezza dello spirito», elevando così un’invocazione «contro la tristezza nella preghiera». È proprio questo, ha aggiunto, il punto: «Lo Spirito Santo fa che in noi ci sia sempre questa giovinezza, che si rinnova ogni giorno con la sua presenza».

Approfondendo tale concetto, il Pontefice ha ricordato: «Una grande santa ha detto che un santo triste è un triste santo; un cristiano triste è un triste cristiano: non va». Cosa significa? che «la tristezza non entra nel cuore del cristiano», perché egli «è giovane». Una giovinezza che si rinnova e che «gli fa portare sulle spalle tante prove, tante difficoltà». Cosa che — ha spiegato facendo riferimento alla prima lettura tratta dagli Atti degli apostoli (16, 22-34) — è accaduta, ad esempio, a Paolo e Sila che vennero fatti bastonare e incarcerare dai magistrati a Filippi. In quel frangente, ha detto il Papa, «entra lo Spirito Santo e rinnova tutto, fa tutto nuovo; anche fa giovane il carceriere».

Lo Spirito Santo, quindi, è colui «che ci accompagna nella vita, che ci sostiene». Come espresso dal nome che Gesù gli dà: «Paraclito». Un termine insolito, il cui significato spesso sfugge a molti. Su questo il Pontefice ha anche scherzato raccontando un breve aneddoto relativo a una messa da lui celebrata quando era parroco: «C’erano più meno 250-300 bambini, era una domenica di Pentecoste e quindi ho domandato loro: “Chi sa chi è lo Spirito Santo?”. E tutti: “Io, io, io!” – “Tu”: “Il paralitico”, mi ha detto. Lui aveva sentito “Paraclito” e non capiva cosa fosse» e così disse: «paralitico». Una buffa storpiatura che però, ha detto Francesco, rivela una realtà: «Tante volte noi pensiamo che lo Spirito Santo è un paralitico, che non fa nulla... E invece è quello che ci sostiene».

Infatti, ha spiegato il Pontefice, «la parola paraclito vuol dire “quello che è accanto a me per sostenermi” perché io non cada, perché io vada avanti, perché io conservi questa giovinezza dello Spirito». Ecco perché «il cristiano sempre è giovane: sempre. E quando incomincia a invecchiare il cuore del cristiano, incomincia a diminuire la sua vocazione di cristiano. O sei giovane di cuore, di anima o non sei pienamente cristiano».

Qualcuno potrebbe spaventarsi delle difficoltà e dire: «“Ma come posso...?”: c’è lo Spirito. Lo Spirito ti aiuterà in questa rinnovata giovinezza». Ciò non significa che manchino i dolori. Paolo e Sila, ad esempio, soffrirono molto per le bastonate ricevute: «dice il testo che il carceriere quando ha visto quel miracolo ha voluto convertirsi e li ha portati a casa sua e ha curato le loro ferite con olio... ferite brutte, forti...». Ma nonostante il dolore, essi «erano pieni di gioia, cantavano... Questa è la giovinezza. Una giovinezza che ti fa guardare sempre la speranza».

E come si ottiene questa giovinezza? «Ci vuole — ha detto il Papa — un dialogo quotidiano con lo Spirito Santo, che è sempre accanto a noi». È lo Spirito «il grande dono che ci ha lasciato Gesù: questo supporto, che ti fa andare avanti». E così, a chi dice: “Eh sì, Padre, è vero, ma lei sa, io sono un peccatore, ho tante, tante cose brutte nella mia vita e non riesco...», si può rispondere:

 

3

 «Va bene: guarda i tuoi peccati; ma guarda lo Spirito che è accanto a te e parla con lo Spirito: lui ti sarà il sostegno e ti ridarà la giovinezza». Perché, ha aggiunto, «tutti sappiamo che il peccato invecchia: invecchia. Invecchia l’anima, invecchia tutto. Invece lo Spirito ci aiuta a pentirci, a lasciare da parte il peccato e ad andare avanti con quella giovinezza».

Perciò Francesco ha esortato a lasciare da parte quella che ha definito la «tristezza pagana», spiegando: «Non dico che la vita sia un carnevale: no, quello non è vero. Nella vita ci sono delle croci, ci sono dei momenti difficili. Ma in questi momenti difficili si sente che lo Spirito ci aiuta ad andare avanti, come a Paolo e a Sila, e a superare le difficoltà. Anche il martirio. Perché c’è questa rinnovata giovinezza».

La conclusione dell’omelia è stata quindi un invito alla preghiera: «Chiediamo al Signore di non perdere questa rinnovata giovinezza, di non essere cristiani in pensione che hanno perso la gioia e non si lasciano portare avanti... Il cristiano non va mai in pensione; il cristiano vive, vive perché è giovane — quando è vero cristiano».

[Papa Francesco, omelia s. Marta; https://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2019/documents/papa-francesco-cotidie_20190528_santamarta.pdf]

Lunedì, 19 Maggio 2025 12:37

6a Domenica di Pasqua (C)

VI Domenica di Pasqua (anno C) [25 Maggio 2025] 

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. Camminiamo a passi rapidi verso l’Ascensione del Signore e la Pentecoste.  Le parole di Gesù ci preparano ad accogliere lo Spirito Santo, il Paraclito, Parakletos, termine greco intraducibile in una sola parola. 5 volte appare nel N.T. sempre solo in Giovanni e i significati possibili sono: Difensore/Avvocato; Consolatore; Intercessore /Mediatore, Maestro interiore/Spirito di verità. 

*Prima Lettura Dagli Atti degli Apostoli (15, 1-2.22-29)

Le prime comunità cristiane hanno dovuto affrontare fin dall’inizio una grave crisi che per molto tempo ha avvelenato la loro esistenza. Mi spiego: ad Antiochia di Siria, c’erano cristiani di origine ebraica e cristiani di origine pagana e la loro convivenza era diventata sempre più difficile perché troppo diversi erano i loro stili di vita. I cristiani di origine ebraica erano circoncisi e consideravano pagani coloro che non lo sono e nella stessa vita quotidiana tutto li contrapponeva a causa di tutte le pratiche ebraiche alle quali i cristiani di origine pagana non avevano alcuna voglia di sottostare: numerose regole di purificazione, di abluzioni e soprattutto regole molto rigide riguardo all’alimentazione.  Alcuni cristiani di origine ebraica vennero apposta da Gerusalemme per inasprire la disputa, spiegando che al battesimo cristiano erano ammessi solo i giudei e quindi invitavano i pagani prima a diventare giudei (circoncisione compresa) e poi cristiani. Tre le questioni fondamentali: 1.Per vivere l’unità è necessario avere le stesse idee, gli stessi riti, le stesse pratiche? 2. La seconda questione era che i cristiani di ogni origine desideravano essere fedeli a Gesù Cristo, ma concretamente, in cosa consiste questa fedeltà? Se Gesù era ebreo e circonciso questo significa che per diventare cristiani bisogna prima diventare tutti ebrei come lui? Inoltre, è a Israele che Dio ha affidato la missione di essere suo testimone in mezzo all’umanità e quindi bisogna far parte di Israele per entrare nella comunità cristiana? La conclusione era che si doveva essere ebrei prima di diventare cristiani e concretamente si accettava di battezzare i pagani a condizione che prima si ffacessero circoncidere. 3. Terza questione, ancora più grave: la salvezza è data da Dio senza condizioni oppure no? Se non accettando la circoncisione secondo la tradizione di Mosè non si può essere salvati, è come affermare che Dio stesso non può salvare i non-ebrei e siamo noi a decidere al suo posto chi può o non può essere salvato.  Venne convocato il primo concilio di Gerusalemme dove tre erano le posizioni in merito: Paolo voleva l’apertura totale, Pietro era piuttosto esitante e fu Giacomo, vescovo di Gerusalemme, a trovare l’intesa con una doppia decisione: 1. i cristiani di origine ebraica non devono imporre la circoncisione e le pratiche ebraiche ai cristiani di origine pagana; 2. d’altro lato, i cristiani di origine pagana, per rispetto verso i loro fratelli di origine ebraica, si asterranno da ciò che potrebbe disturbare la vita comune, in particolare durante i pasti. L’argomento che prevale su tutto fu il superamento dela logica dell’elezione d’Israele essendo entrati in una nuova tappa della storia: il profeta Gioele aveva ben detto: “Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato” (Gl 3,5) e Gesù stesso: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato” (Mc 16,16). Chiunque significa tutti, non solo gli ebrei e, ancor più in concreto, essere fedeli a Gesù Cristo non vuol dire necessariamente riprodurre un modello fisso poiché la fedeltà non è semplice ripetizione. La storia mostra che, attraverso le vicissitudini dell’umanità, la Chiesa conserva sempre la capacità di adattamento per restare fedele a Cristo. Infine, è interessante notare che si impongono alla comunità cristiana solo le regole che permettono di mantenere la comunione fraterna e questo viene indicato fin da subito come il modo migliore per essere veramente fedeli a Cristo che disse: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).

*Salmo responsoriale (66 (67) 2-3,5,7-8)

Il salmo ci conduce dentro il Tempio di Gerusalemme mentre è in atto una grande celebrazione e al termine i sacerdoti benedicono l’assemblea in modo solenne e i fedeli rispondono: “Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino tutti i popoli!” Il salmo si presenta come un’alternanza tra le frasi dei sacerdoti, rivolte a volte all’assemblea e a volte a Dio, e le risposte dell’assemblea, che assomigliano a dei ritornelli. La prima frase: “Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto” riprende esattamente il famoso testo del libro dei Numeri che è la prima lettura del 1º gennaio di ogni anno,: “Il Signore parlò a Mosè e disse: “Parla ad Aronne e ai suoi figli e riferisci loro: Così benedirete gli Israeliti: Direte loro: ‘Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace’. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò» (Nm 6,24-26). Un testo ideale per desideri e auguri perché la benedizione è augurio di felicità. In effetti, le benedizioni sono sempre formulate al congiuntivo: “che Dio vi benedica, che Dio vi custodisca” eppure Dio non sa fare altro che benedirci, amarci, colmarci in ogni istante. Quando dunque il sacerdote dice “che Dio vi benedica”, non è perché Dio potrebbe non benedirci, ma per suscitare il nostro desiderio  di entrare  nella benedizione che, da parte sua, Dio continuamente ci offre. La stessa cosa quando il sacerdote dice “Il Signore sia con voi”: Dio è sempre con noi e il congiuntivo “sia” esprime la nostra libertà perché non sempre siamo con lui; oppure “Che Dio vi perdoni”: Dio ci perdona sempre ma sta noi accogliere il perdono ed entrare nella riconciliazione che ci propone. Permanenti sono da parte di Dio i desideri di felicità nei nostri confronti come afferma Geremia: «Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – oracolo del Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Ger 29,11). Dio è Amore e tutti i suoi pensieri su di noi non sono altro che desideri di felicità. In questo salmo la risposta dei fedeli è il ritornello: “Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino tutti i popoli!! Splendida lezione di universalismo: il popolo eletto riflette la benedizione che accoglie per sé stesso sull’intera umanità, mentre l’ultimo versetto è una sintesi di questi due aspetti: “Ci benedica Dio (noi, suo popolo eletto) E lo temano tutti i confini della terra”. Israele non dimentica la sua vocazione/missione al servizio dell’intera umanità e sa che dalla sua fedeltà alla benedizione ricevuta gratuitamente dipende la scoperta dell’amore e della benedizione di Dio da parte di tutta l’umanità.

 

*Seconda Lettura dall’Apocalisse di san Giovanni (21, 10-14.22-23)

Nel brano di domenica scorsa, Giovanni diceva di aver visto la città santa, la nuova Gerusalemme scendere dal cielo, da presso Dio, pronta per le nozze, come una sposa adorna per il suo sposo. Questa volta la descrive a lungo affascinato dalla sua luce così forte da oscurare il chiarore della luna e perfino quello del sole: somiglia a un gioiello prezioso, una pietra preziosa che scintilla nella luce. E spiega subito la ragione di tale luminosità straordinaria, ripetendo per due volte: “risplendente della gloria di Dio”, “la gloria di Dio la illumina”. Queste due affermazioni, l’una all’inizio e l’altra alla fine del testo, con il procedimento letterario chiamato «inclusione» che serve a mettere in evidenza le frasi comprese tra l’inizio e la fine, indicano ciò che colpisce Giovanni, cioè la gloria di Dio che illumina la città santa che scende da presso di Lui. Un angelo lo ha trasportato su un grande e alto monte e lo tiene per mano mentre gli mostra la città da lontano. Nella mano sinistra l’angelo tiene una canna d’oro che userà per misurare le dimensioni della città. La città è quadrata: il numero quattro e il quadrato sono un simbolo di ciò che è umano e qui indicano che la città è costruita da mano d’uomo, illuminata dalla gloria e dal fulgore della presenza di Dio. Poiché il numero tre evoca Dio, non stupisce che la descrizione della città usi abbondantemente un multiplo di tre e quattro: dodici, che è un modo per dire che l’azione di Dio si manifesta in quest’opera umana. All’epoca di san Giovanni non si concepiva una città senza mura: e questa ne ha, anzi una muraglia grande e alta come la montagna e sappiamo che nella Bibbia, la montagna è il luogo dell’incontro con Dio. Nelle mura sono aperte dodici porte che, secondo il seguito del testo, non si chiudono mai perché tutti possano entrare e nessuno deve trovare una porta chiusa. Le dodici porte, distribuite sui quattro lati del quadrato, tre a Est, tre a Nord, tre a Sud, tre a Ovest, sono sorvegliate da dodici angeli e su ciascuna è scritto il nome di una delle dodici tribù d’Israele. Il popolo d’Israele è stato infatti scelto da Dio per essere la porta attraverso cui tutta l’umanità entrerà nella Gerusalemme definitiva.La muraglia poggia su fondamenta sulle quali sono scritti i nomi dei dodici apostoli dell’Agnello: come in architettura, c’è continuità tra le fondamenta e i muri, così qui c’è continuità tra le dodici tribù d’Israele e i dodici apostoli e questo è un modo per dire che la Chiesa fondata da Cristo realizza pienamente il disegno di Dio che si sviluppa lungo tutta la storia. Entrato, Giovanni rimane sorpreso perché cerca il Tempio, essendo il segno vivente che Dio non abbandonava il suo popolo, ma nella città “non vidi alcun tempio” eppure non resta deluso, perché ormai “il Signore Dio, l’Onnipotente e l’Agnello. sono il suo tempio”. E continua: “La città non ha bisogno della luce del sole né della luna perché la gloria di Dio la illumina, e la sua lampada è l’Agnello”. Tenendo presente che nel libro della Genesi fin dal primo giorno alla creazione, appare la luce: Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu”, l’affermazione dell’Apocalisse assume tutto il suo peso: la creazione antica è passata: niente più sole, niente più luna perché ormai siamo nella nuova creazione e la presenza di Dio irradia il mondo attraverso Cristo. Gerusalemme conserva il suo nome e indica che è una città costruita da mano d’uomo, un modo per dire che i nostri sforzi per collaborare al progetto di Dio fanno parte della nuova creazione e l’opera umana non sarà distrutta, bensì da Dio trasformata. I cristiani allora destinatari dell’Apocalisse, erano oggetto di disprezzo e spesso perseguitati, avevano bisogno di queste parole di vittoria per sostenere la loro fedeltà e anche a noi fa bene sentire che la Gerusalemme celeste comincia con i nostri umili sforzi di ogni giorno.

*Dal Vangelo secondo Giovanni (14, 23-29)

Riviviamo gli ultimi momenti di Gesù immediatamente prima della Passione: l’ora è grave e si intuisce l’angoscia degli apostoli dalle parole di rassicurazione che più volte Gesù loro rivolge. All’inizio di questo capitolo aveva detto «Non sia turbato il vostro cuore» (v. 1). Il suo lungo discorso fu interrotto da varie domande degli apostoli che rivelavano la loro angoscia e incomprensione. Gesù però resta sereno: lungo tutta la Passione Giovanni lo descrive sovranamente libero; anzi è lui a rassicurare i discepoli mentre annuncia in anticipo ciò che sarebbe accaduto perché quando avverrà, avrebbero creduto. Non solo sa cosa accadrà, ma lo accetta e non cerca di sottrarsi. Annuncia la sua partenzae presentandola come condizione e inizio di una nuova presenza: Me ne vado, ma torno da voi. Questa sua partenza sarà interpretata solo dopo la risurrezione come la Pasqua di Gesù.  Giovanni dice al capitolo 13: “Prima della festa di Pasqua, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre”: l’evangelista usa volutamente il verbo passare, perché Pasqua significa passaggio e con questo, vuole mettere in parallelo la Passione di Gesù con la liberazione dall’Egitto, rivissuta ad ogni festa ebraica di Pasqua. Se si tratta di liberazione, questa partenza non deve gettare gli apostoli nella tristezza: “Se voi mi amaste, vi rallegrereste, perché vado al Padre” (v.28). Frase sorprendente per i discepoli che vedono il Maestro ormai inseguito dalle autorità religiose, cioè da chi, in nome di Dio, era ritenuto depositario della verità su ciò che riguarda Dio e sono proprio loro i maggiori oppositori di Gesù. I profeti hanno lottato contro ogni ostacolo per mantenere la fede nell’unico Dio che è insieme Dio vicino all’uomo e Dio totalmente Altro, il Santo. Gesù predica un Dio vicino all’uomo, specialmente ai più piccoli, ma dichiara Dio se stesso il che agli occhi degli ebrei, è blasfemia, un’offesa al Dio uno, al Santo. Nel testo di questa domenica, Gesù insiste sul legame che lo unisce al Padre che nomina cinque volte arrivando a parlare al plurale: “Se qualcuno mi ama… noi verremo da lui, e prenderemo dimora presso di lui”. Non è la prima volta che lo afferma: poco prima, a Filippo che gli chiedeva «Mostraci il Padre», ha risposto con tranquillità: «Chi mi ha visto ha visto il Padre» (Gv 14,9), mentre qui ribadisce: “La parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato”. Gesù è l’Inviato del Padre, la parola del Padre e d’ora in poi lo Spirito Santo ci farà comprendere questa parola e la custodirà nella memoria dei discepoli. La chiave di questo testo è probabilmente proprio la parola “parola”: ricorre più volte e, a da ciò che precede, si capisce che questa “parola” da custodire è il “comandamento dell’amore”: amatevi gli uni gli altri, ossia mettetevi al servizio gli uni degli altri e, per essere chiaro, Gesù stesso ha dato un esempio concreto lavando i piedi ai discepoli. Essere fedeli alla sua parola significa dunque semplicemente mettersi al servizio degli altri. E il testo di oggi: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola”, può tradursi così: Se qualcuno mi ama, si porrà al servizio del prossimo e chi non mi ama rifiuta di mettersi al servizio degli altri, per cui se qualcuno non si mette al servizio degli altri, non è fedele alla parola di Cristo. In questa luce si comprende meglio il ruolo dello Spirito Santo: è lui che ci insegna ad amare, ricordandoci il comandamento dell’amore.  Gesù lo chiama Paraclito, Difensore perché ci protegge e difende da noi stessi dato che il peggiore dei mali è dimenticare che l’essenziale del vangelo consiste nell’amarsi e mettersi al servizio gli uni degli altri. Nell’odierna prima lettura abbiamo visto il Difensore all’opera nella prima comunità in occasione del primo concilio di Gerusalemme dove gravi erano le difficoltà di convivenza tra cristiani di origine ebraica e quelli di origine pagana e lo Spirito d’amore ispirò i discepoli alla volontà di mantenere a ogni costo l’unità.

+Giovanni D’Ercole

Pagina 33 di 38
Saint John Chrysostom affirms that all of the apostles were imperfect, whether it was the two who wished to lift themselves above the other ten, or whether it was the ten who were jealous of them (“Commentary on Matthew”, 65, 4: PG 58, 619-622) [Pope Benedict]
San Giovanni Crisostomo afferma che tutti gli apostoli erano ancora imperfetti, sia i due che vogliono innalzarsi sopra i dieci, sia gli altri che hanno invidia di loro (cfr Commento a Matteo, 65, 4: PG 58, 622) [Papa Benedetto]
St John Chrysostom explained: “And this he [Jesus] says to draw them unto him, and to provoke them and to signify that if they would covert he would heal them” (cf. Homily on the Gospel of Matthew, 45, 1-2). Basically, God's true “Parable” is Jesus himself, his Person who, in the sign of humanity, hides and at the same time reveals his divinity. In this manner God does not force us to believe in him but attracts us to him with the truth and goodness of his incarnate Son [Pope Benedict]
Spiega San Giovanni Crisostomo: “Gesù ha pronunciato queste parole con l’intento di attirare a sé i suoi ascoltatori e di sollecitarli assicurando che, se si rivolgeranno a Lui, Egli li guarirà” (Comm. al Vang. di Matt., 45,1-2). In fondo, la vera “Parabola” di Dio è Gesù stesso, la sua Persona che, nel segno dell’umanità, nasconde e al tempo stesso rivela la divinità. In questo modo Dio non ci costringe a credere in Lui, ma ci attira a Sé con la verità e la bontà del suo Figlio incarnato [Papa Benedetto]
This belonging to each other and to him is not some ideal, imaginary, symbolic relationship, but – I would almost want to say – a biological, life-transmitting state of belonging to Jesus Christ (Pope Benedict)
Questo appartenere l’uno all’altro e a Lui non è una qualsiasi relazione ideale, immaginaria, simbolica, ma – vorrei quasi dire – un appartenere a Gesù Cristo in senso biologico, pienamente vitale (Papa Benedetto)
She is finally called by her name: “Mary!” (v. 16). How nice it is to think that the first apparition of the Risen One — according to the Gospels — took place in such a personal way! [Pope Francis]
Viene chiamata per nome: «Maria!» (v. 16). Com’è bello pensare che la prima apparizione del Risorto – secondo i Vangeli – sia avvenuta in un modo così personale! [Papa Francesco]
Jesus invites us to discern the words and deeds which bear witness to the imminent coming of the Father’s kingdom. Indeed, he indicates and concentrates all the signs in the enigmatic “sign of Jonah”. By doing so, he overturns the worldly logic aimed at seeking signs that would confirm the human desire for self-affirmation and power (Pope John Paul II)
Gesù invita al discernimento in rapporto alle parole ed opere, che testimoniano l'imminente avvento del Regno del Padre. Anzi, Egli indirizza e concentra tutti i segni nell'enigmatico "segno di Giona". E con ciò rovescia la logica mondana tesa a cercare segni che confermino il desiderio di autoaffermazione e di potenza dell'uomo (Papa Giovanni Paolo II)
Without love, even the most important activities lose their value and give no joy. Without a profound meaning, all our activities are reduced to sterile and unorganised activism (Pope Benedict)
Senza amore, anche le attività più importanti perdono di valore, e non danno gioia. Senza un significato profondo, tutto il nostro fare si riduce ad attivismo sterile e disordinato (Papa Benedetto)
In reality, an abstract, distant god is more comfortable, one that doesn’t get himself involved in situations and who accepts a faith that is far from life, from problems, from society. Or we would even like to believe in a ‘special effects’ god (Pope Francis)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

duevie.art

don Giuseppe Nespeca

Tel. 333-1329741


Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge N°62 del 07/03/2001.
Le immagini sono tratte da internet, ma se il loro uso violasse diritti d'autore, lo si comunichi all'autore del blog che provvederà alla loro pronta rimozione.
L'autore dichiara di non essere responsabile dei commenti lasciati nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell'immagine o dell'onorabilità di persone terze, il cui contenuto fosse ritenuto non idoneo alla pubblicazione verranno insindacabilmente rimossi.