don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

La cattiva reputazione è normale tra i Profeti

(Mc 8,34-9,1)

 

La Croce è normale fra i Profeti, i quali non hanno certo un grande riscontro di folle inneggianti, nel costruire la propria limpida città.

Essa non permane mai a dimensione d’idoli facili. Ma è questa la paradossale forma di «comunione» che misteriosamente attira l’umano.

Convivialità che trascina i cuori, malgrado attorno non si attenuino gli scontri per ambizione, o il gioco degli opportunismi.

Neppure oggi sembra placarsi il caos dei rovesci, mentre si affacciano crisi e commistioni, anche nel positivo intreccio dei paradigmi culturali.

Cosa fare?

«Sollevare» (v.34 testo greco) il braccio orizzontale del patibolo e caricarselo sulle spalle significava perdere la reputazione.

È un problema capitale, inscindibile dall’atteggiamento motivato e responsabile.

Infatti, se un seguace aspirasse alla gloria, tenesse alla propria onorabilità, non accettasse la solitudine… non potrebbe farsi autentico testimone del Cristo.

Sarebbe un pezzo di mondanità prolungata.

Invece la sorte del Maestro coinvolge anche quella dei discepoli.

Vale in ogni tempo, e per noi: il dono sino in fondo non viene sulla terra passando attraverso fama, successo, considerazione; l’essere costantemente accompagnato, approvato e sostenuto.

 

Simone attendeva non un esito problematico, tagliente, bensì consensi facili: uno svincolo, come tra amici di merende che si danno pacche sulle spalle.

Sognava una sequela conclamata, quindi un futuro di riconoscimenti - e rimane disorientato.

Non capendo il progetto, Pietro [«presolo con»] afferra Gesù come fosse un suo ostaggio.

E «cominciò a esorcizzarlo» (v.32 testo greco) affinché proprio il Maestro mettesse finalmente la testa a posto, e gli stesse dietro.

Qui trapela la base storica di tale “gesto” del capo degli apostoli - ossia il tentativo a lungo perpetrato dalla prima comunità di Gerusalemme, di trovare un compromesso col potere sacerdotale e politico d’allora.

Ebbene, tutto questo non è «salvare la vita» (v.35): in senso biblico, raggiungere pienezza umana e somiglianza alla condizione divina.

La mistica dozzinale successiva, suggestionata da filosofie cerebrali, su tale espressione ha messo tra parentesi l’avventura di Fede e inventato un netto contrasto tra vita corporale e spirituale.

Convincimento banale, che ha come vivisezionato le stesse persone ignare, indirizzate talora al masochismo.

Ma qui Gesù non parla di pene artificiose da accollarsi, né mai ha imposto mortificazione alcuna. Tantomeno in grado di produrre una qualche ‘salvezza dell’anima’ staccata dalla realtà.

 

«Sollevare positivamente la Croce»: affinché subentrino diverse energie, altre relazioni, situazioni imprevedibili, che ci fanno spostare lo sguardo e le attività.

Non in vista d’una qualche giusta retribuzione, ma per il nocciolo irriducibile d’ogni credente (o non) e di qualsivoglia questione.

Da ciò l’esigenza di non estraniarsi dai Vangeli, per la compiutezza di sé, una testimonianza viva, e la soluzione dei problemi - attraversati a partire ‘da dentro’.

Insomma, di Gesù possiamo annunciare la proposta, i criteri, e la stessa Presenza... nei fatti e nella integrità della vita - non chissà quando dopo la morte (Mc 8,38-9,1).

 

Altra definitività.

 

 

[Venerdì 6.a sett. T.O.  21 febbraio 2025]

Giovedì, 13 Febbraio 2025 06:15

Messia crocifisso e Figlio dell’uomo

(Mc 8,27-9,1)

 

La vita agiata e non

 

Il Dio vero, la natura, e l’uomo autentico

(Mc 8,27-33)

 

Gesù guida i suoi intimi lontano dal territorio dell’ideologia di potere e dal centro sacro dell’istituzione religiosa ufficiale, affinché si distacchino dal loro stesso bagaglio culturale.

L’ambiente della terra di Giuda era tutto condizionante, ormai privo di onda vitale, già normalizzato nelle sue linee costituenti; diventato una sorta di fortino, refrattario ad ogni sorpresa.

A paragone, verso nord, il territorio di Cesarea di Filippo era meno artificioso, più naturale e quasi sublime; incantevole, celebre per fertilità e pascoli rigogliosi - zona famosa per la fecondità di greggi e armenti.

Quella sorta di paradiso terrestre alle sorgenti del Giordano, tanto era umanamente attraente che Alessandro Magno la ritenne dimora del dio Pan e delle Ninfe.

Anche i discepoli erano affascinati dal paesaggio e dalla vita agiata degli abitanti della regione; per non dire della magnificenza dei palazzi.

Ma ecco irrompere nel gruppo un quesito quasi spiacevole.

Cristo chiede agli apostoli - in pratica - cosa la gente si aspettasse da Lui. E il richiamo del contesto allude alle agiatezze che la religione pagana proponeva.

 

Mossa da curiosità e desiderosa di realizzazione temporale, la turba di gente stupefatta intorno al Figlio di Dio creava un gran rumore, solo apparente.

Ora c’è una svolta: l’atmosfera cambia, aumenta l’opposizione e si accumulano interrogativi; la folla va diradandosi e il Maestro si ritrova sempre più solo.

Mentre gli dèi mostravano di saper colmare di beni i loro devoti - e una sfarzosa vita di corte che ammaliava tutti - il Signore cosa offre?

Insomma, gli apostoli continuavano a essere influenzati dalla propaganda del governo politico e religioso, che assicurava benessere.

Gesù li “istruisce”, affinché potessero superare la cecità e la crisi prodotta dalla sua Croce, impegno richiesto nell’ottica del dono di sé.

 

[Il Figlio di Dio non è solo un continuatore dell’atteggiamento limpido del Battista, mai incline al compromesso nei confronti delle corti e dell’opulenza; né uno dei tanti restauratori della legge di Mosè… con lo zelo di Elia].

Su alcune questioni di fondo, nelle prime comunità cristiane erano vive le distanze col paganesimo, ma si registravano anche particolari contrapposizioni col mondo delle sinagoghe.

Attriti di non poco conto erano quelli che sorgevano tra giudei convertiti al Signore e semiti osservanti secondo tradizione.

Infatti, nei libri sacri del giudaismo tardivo si parlava di grandi personaggi che avevano lasciato un’impronta nella storia d’Israele, e avrebbero dovuto riapparire per inaugurare i tempi messianici.

Ma in tutti si constatava una scarsa capacità di comprensione. E difficoltà di saper abbracciare la nuova proposta, che sembrava non garantisse gloria, né traguardi materiali.

 

La Fede non si accorda facilmente con i primi impulsi umani: è sconcertante per le vedute ovvie e le sue pulsioni.

Così nel passo di Vangelo il Maestro contraddice lo stesso Pietro, la cui opinione restava legata all’idea conformista e popolaresca de «il» (v.29: «quel») Messia atteso.

Il capo degli apostoli deve smetterla di indicare a Cristo quale strada percorrere «dietro» (v.33) a lui!

Simone può ricominciare a fare l’allievo; piantarla di tracciare strade, sequestrando Dio in nome di Dio!

In effetti, tutti i Dodici - ancora plagiati da idee molto radicate nella mentalità antica - aspettavano un sovrano [«Messia politico»], re d’Israele della casa di Davide.

Oppure attendevano un sommo sacerdote [«Messia di Aronne»] finalmente fedele al ruolo e capace di scoprire il senso genuino della Parola.

Per alcuni doveva essere un grande taumaturgo, un dottore; per altri un capo della guerriglia, o un giudice [«Maestro di giustizia»]; un Profeta, di calibro pari agli antichi.

Ma la Persona del Cristo non è quella d’un comune precursore - grande o secondario, purché riconoscibile - capo affermato.

Da ciò il «segreto messianico» imposto a chi lo predica in quel modo equivoco (v.30).

 

Il Figlio di Dio non ci assicura successo mondano, assenza di conflitti, e vita confortevole, né la semplice purificazione dei luoghi di culto o il rabberciamento dell’antica pratica di devozioni.

Solo garantisce libertà da ogni vincolo col potere, e Amore che rigenera.

 

Profondità anche di sapienza naturale:

Dice il Tao Tê Ching (xxviii): «Chi sa d’esser maschio e si mantiene femmina è la forza del mondo». Commenta il maestro Wang Pi: «Chi sa d’essere il primo del mondo deve porsi per ultimo».

 

 

Per  interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Chi è e quanto conta per te Gesù?

 

 

 

Sollevare la Croce, Figlio dell’uomo e Chiesa nell’integrità della vita

 

La cattiva reputazione è normale tra i Profeti

(Mc 8,34-9,1)

 

La Croce è normale fra i Profeti, i quali non hanno certo un grande riscontro di folle inneggianti, nel costruire la propria limpida “città”.

Essa non permane mai a dimensione d’idoli facili. Ma è questa la paradossale forma di «comunione» che misteriosamente attira l’umano.

Convivialità che trascina i cuori, malgrado attorno non si attenuino gli scontri per ambizione, o il gioco degli opportunismi.

Neppure oggi sembra placarsi il caos dei rovesci, mentre si affacciano crisi e commistioni, anche nel positivo intreccio dei paradigmi culturali.

Cosa fare?

«Sollevare» [v.34 testo greco] il braccio orizzontale del patibolo e caricarselo sulle spalle significava perdere la reputazione.

È un problema capitale, inscindibile dall’atteggiamento motivato e responsabile.

Infatti, se un seguace aspirasse alla gloria, tenesse alla propria onorabilità, non accettasse la solitudine… non potrebbe farsi autentico testimone del Cristo.

Sarebbe un pezzo di mondanità prolungata.

Invece la sorte del Maestro coinvolge anche quella dei discepoli.

Vale in ogni tempo, e per noi: il dono sino in fondo non viene sulla terra passando attraverso fama, successo, considerazione; l’essere costantemente accompagnato, approvato e sostenuto.

 

Simone (vv. 32-33) attendeva non un esito problematico, tagliente, bensì consensi facili: uno svincolo, come tra amici di merende che si danno pacche sulle spalle.

Sognava una sequela conclamata, quindi un futuro di riconoscimenti - e rimane disorientato.

Ma lo spirito di dono che Gesù gli chiede viene dall’accogliere, non dal conquistare.

Empatia dimessa, a partire dai propri lati opposti: non esiste senza un’alleanza intima.

Certo, il mondo delle tabelle attorno scatena l’aspetto belluino, piuttosto che il rinnegamento armonico, integrato, degli istinti di affermazione: comandare, dominare, soggiogare.

Ma col tipico linguaggio di chi ama sul serio, Cristo parla chiaro - affinché anche in noi si realizzi il suo Mistero.

Non per accomodarci nell’opinione sociale, bensì per fare di ogni malfermo e insicuro un essere completo, e diventare tutti beati e salvatori, con Lui.

 

Pietro non comprende la figura del «Figlio dell’uomo» (v.38), denominazione principale adoperata dagli evangelisti e tema cruciale per la comprensione del Signore.

Egli ancora oggi Viene per rendere presente il divino insito, e le sue energie generative.

«Figlio dell’uomo» sta a indicare l’obbiettivo eminente del Padre: quello di umanizzarci e migliorare l’esistenza.

È il senso di una santità possibile e trasmissibile, non erratica o già formulata, né legata a concatenazioni in regime di esteriorità.

 

Mentre la religione comune spesso convince d’inadeguatezza e blocca ogni sviluppo, Dio nei suoi è comunicazione diretta, spinta di vita, per una totalità umanizzante.

Quintessenza innata che appunto giunge a coincidere e fondersi con la condizione suprema: in un’accentuata capacità di evolvere, porgersi, incidere, comunicare pienezza di essere.

Non capendo il progetto del Cielo, Pietro [«presolo con»] afferra Gesù come fosse un suo ostaggio…

E «cominciò a esorcizzarlo» (v.32 testo greco) affinché proprio il Maestro mettesse finalmente la testa a posto, e gli stesse dietro.

Qui trapela la base storica di tale “gesto” del capo degli apostoli - ossia il tentativo a lungo perpetrato dalla prima comunità di Gerusalemme, di trovare un compromesso col potere sacerdotale e politico d’allora.

Era nato così il Messianismo giudeo-cristiano. Teologia di compromesso col Tempio e le Tradizioni dei padri, ancora ben viva nelle fraternità di seconda-terza generazione [quelle di Mc].

 

Il fatto è: la tensione che ci separa dai vertici della devozione ufficiale non sta in piedi per caso.

Esiste purtroppo una cristologia deviante e “nemica” - qui rappresentata proprio da Pietro che sproloquia (v.33) - la quale immagina e trasmette Cristo come sacerdote potente, e alleato del potere egemonico.

È il motivo per cui oggi persino al pontefice vescovo di Roma non sfugge la radice del problema ecclesiale: il clericalismo.

In sostanza, alla cristologia aberrante può corrispondere una ecclesiologia che devasta le anime.

Essa presenta la comunità dei figli sotto caricatura d’una istituzione piramidale compromessa con chi accentua l’esibizionismo, attribuisce titoli, e distribuisce favori.

 

Tutto questo non è «salvare la vita» (v.35): in senso biblico, raggiungere pienezza umana e somiglianza alla condizione divina.

La mistica dozzinale successiva, suggestionata da filosofie cerebrali, su tale espressione ha messo tra parentesi l’avventura di Fede e inventato un netto contrasto tra vita corporale e spirituale.

Convincimento banale, che ha come vivisezionato le stesse persone ignare, indirizzate talora al masochismo.

Ma qui Gesù non parla di pene artificiose da accollarsi, né mai ha imposto mortificazione alcuna. Tantomeno in grado di produrre una qualche “salvezza dell’anima” staccata dalla realtà - o lo stare “in grazia di Dio” (immobili) intimiditi dal castigo perenne.

 

La vicenda del Cristo porta in una direzione affatto diversa: i segni sacri non si adattano alle direttive del potere stabilito; sono tutti liberatori nel concreto, non riscontrabili in un distacco inerte e vago.

I suoi richiami nella Chiesa fanno comprendere che le caratteristiche essenziali del discepolo sono: amore che rischia e distacco dalla reputazione

Nonché mancanza di attaccamento a una qualche funzione o direzione politica di successo, più o meno celata.

Seguire il Signore non è predisporsi a una carica [e guadagnarci su: v.36], bensì corrispondere all’Appello crudo.

Richiamo che investe ciascuna persona in sequela, nonché la stessa figura del Figlio dell’uomo, e il popolo di Dio.

«Sollevare positivamente la Croce»: affinché subentrino diverse energie, altre relazioni, situazioni imprevedibili, che ci fanno spostare lo sguardo e le attività.

Non in vista d’una qualche giusta retribuzione, ma per il nocciolo irriducibile d’ogni credente (o non) e di qualsivoglia questione.

Da ciò l’esigenza di non estraniarsi dai Vangeli, per la compiutezza di sé, una testimonianza viva, e la soluzione dei problemi - attraversati a partire da “dentro”.

 

Insomma, di Gesù possiamo annunciare la proposta, i criteri, e la stessa Presenza... nei fatti e nella integrità della vita - non chissà quando dopo la morte (Mc 8,38-9,1).

 

Altra definitività.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Che genere di appello senti risuonare in te?

 

 

Partendo dal centro

 

6. Come dobbiamo configurarci concretamente questo cammino di ascesa e di purificazione? Come deve essere vissuto l'amore, perché si realizzi pienamente la sua promessa umana e divina? Una prima indicazione importante la possiamo trovare nel Cantico dei Cantici, uno dei libri dell'Antico Testamento ben noto ai mistici. Secondo l'interpretazione oggi prevalente, le poesie contenute in questo libro sono originariamente canti d'amore, forse previsti per una festa di nozze israelitica, nella quale dovevano esaltare l'amore coniugale. In tale contesto è molto istruttivo il fatto che, nel corso del libro, si trovano due parole diverse per indicare l'« amore ». Dapprima vi è la parola « dodim » — un plurale che esprime l'amore ancora insicuro, in una situazione di ricerca indeterminata. Questa parola viene poi sostituita dalla parola « ahabà », che nella traduzione greca dell'Antico Testamento è resa col termine di simile suono « agape » che, come abbiamo visto, diventò l'espressione caratteristica per la concezione biblica dell'amore. In opposizione all'amore indeterminato e ancora in ricerca, questo vocabolo esprime l'esperienza dell'amore che diventa ora veramente scoperta dell'altro, superando il carattere egoistico prima chiaramente dominante. Adesso l'amore diventa cura dell'altro e per l'altro. Non cerca più se stesso, l'immersione nell'ebbrezza della felicità; cerca invece il bene dell'amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca.

Fa parte degli sviluppi dell'amore verso livelli più alti, verso le sue intime purificazioni, che esso cerchi ora la definitività, e ciò in un duplice senso: nel senso dell'esclusività — « solo quest'unica persona » — e nel senso del « per sempre ». L'amore comprende la totalità dell'esistenza in ogni sua dimensione, anche in quella del tempo. Non potrebbe essere diversamente, perché la sua promessa mira al definitivo: l'amore mira all'eternità. Sì, amore è « estasi », ma estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dall'io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio: « Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà » (Lc 17, 33), dice Gesù — una sua affermazione che si ritrova nei Vangeli in diverse varianti (cfr Mt 10, 39; 16, 25; Mc 8, 35; Lc 9, 24; Gv 12, 25). Gesù con ciò descrive il suo personale cammino, che attraverso la croce lo conduce alla resurrezione: il cammino del chicco di grano che cade nella terra e muore e così porta molto frutto. Partendo dal centro del suo sacrificio personale e dell'amore che in esso giunge al suo compimento, egli con queste parole descrive anche l'essenza dell'amore e dell'esistenza umana in genere.

[Papa Benedetto, Deus Caritas est]

 

 

Da Figlio di Davide a Figlio dell’uomo

 

La Chiesa è cattolica perché Cristo abbraccia nella sua missione di salvezza tutta l’umanità. Mentre la missione di Gesù nella sua vita terrena era limitata al popolo giudaico, «alle pecore perdute della casa d’Israele» (Mt 15,24), era tuttavia orientata dall’inizio a portare a tutti i popoli la luce del Vangelo e a far entrare tutte le nazioni nel Regno di Dio. Davanti alla fede del Centurione a Cafarnao, Gesù esclama: «Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli» (Mt 8,11). Questa prospettiva universalistica affiora, tra l’altro, dalla presentazione che Gesù fece di se stesso non solo come «Figlio di Davide», ma come «figlio dell’uomo» (Mc 10,33), come abbiamo sentito anche nel brano evangelico poc’anzi proclamato. Il titolo di «Figlio dell’uomo», nel linguaggio della letteratura apocalittica giudaica ispirata alla visione della storia nel Libro del profeta Daniele (cfr 7,13-14), richiama il personaggio che viene «con le nubi del cielo» (v. 13) ed è un’immagine che preannuncia un regno del tutto nuovo, un regno sorretto non da poteri umani, ma dal vero potere che proviene da Dio. Gesù si serve di questa espressione ricca e complessa e la riferisce a Se stesso per manifestare il vero carattere del suo messianismo, come missione destinata a tutto l’uomo e ad ogni uomo, superando ogni particolarismo etnico, nazionale e religioso. Ed è proprio nella sequela di Gesù, nel lasciarsi attrarre dentro la sua umanità e dunque nella comunione con Dio che si entra in questo nuovo regno, che la Chiesa annuncia e anticipa, e che vince frammentazione e dispersione.

[Papa Benedetto, allocuzione al Concistoro 24 novembre 2012]

Giovedì, 13 Febbraio 2025 06:11

Partendo dal centro

6. Come dobbiamo configurarci concretamente questo cammino di ascesa e di purificazione? Come deve essere vissuto l'amore, perché si realizzi pienamente la sua promessa umana e divina? Una prima indicazione importante la possiamo trovare nel Cantico dei Cantici, uno dei libri dell'Antico Testamento ben noto ai mistici. Secondo l'interpretazione oggi prevalente, le poesie contenute in questo libro sono originariamente canti d'amore, forse previsti per una festa di nozze israelitica, nella quale dovevano esaltare l'amore coniugale. In tale contesto è molto istruttivo il fatto che, nel corso del libro, si trovano due parole diverse per indicare l'« amore ». Dapprima vi è la parola « dodim » — un plurale che esprime l'amore ancora insicuro, in una situazione di ricerca indeterminata. Questa parola viene poi sostituita dalla parola « ahabà », che nella traduzione greca dell'Antico Testamento è resa col termine di simile suono « agape » che, come abbiamo visto, diventò l'espressione caratteristica per la concezione biblica dell'amore. In opposizione all'amore indeterminato e ancora in ricerca, questo vocabolo esprime l'esperienza dell'amore che diventa ora veramente scoperta dell'altro, superando il carattere egoistico prima chiaramente dominante. Adesso l'amore diventa cura dell'altro e per l'altro. Non cerca più se stesso, l'immersione nell'ebbrezza della felicità; cerca invece il bene dell'amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca.

Fa parte degli sviluppi dell'amore verso livelli più alti, verso le sue intime purificazioni, che esso cerchi ora la definitività, e ciò in un duplice senso: nel senso dell'esclusività — « solo quest'unica persona » — e nel senso del « per sempre ». L'amore comprende la totalità dell'esistenza in ogni sua dimensione, anche in quella del tempo. Non potrebbe essere diversamente, perché la sua promessa mira al definitivo: l'amore mira all'eternità. Sì, amore è « estasi », ma estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dall'io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio: « Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà » (Lc 17, 33), dice Gesù — una sua affermazione che si ritrova nei Vangeli in diverse varianti (cfr Mt 10, 39; 16, 25; Mc 8, 35; Lc 9, 24; Gv 12, 25). Gesù con ciò descrive il suo personale cammino, che attraverso la croce lo conduce alla resurrezione: il cammino del chicco di grano che cade nella terra e muore e così porta molto frutto. Partendo dal centro del suo sacrificio personale e dell'amore che in esso giunge al suo compimento, egli con queste parole descrive anche l'essenza dell'amore e dell'esistenza umana in genere.

[Papa Benedetto, Deus Caritas est]

Giovedì, 13 Febbraio 2025 06:08

Ave Crux

1. Adorazione della Croce.

Nel pomeriggio ci siamo accostati al legno a cui fu appeso il Cristo, Salvatore del mondo: Ecce lignum Crucis. C’era un profondo silenzio nella grande Basilica di San Pietro; un forte raccoglimento regnava nei cuori dei presenti.

Si adorava la Croce!

2. Siamo poi venuti al Colosseo per ripercorrere la Via Crucis. Cristo ha detto: “Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me” (Mt 10, 38). Diceva questo non solo per i suoi discepoli di allora, ma anche per quelli che sarebbero venuti dopo. Lo ripete a noi suoi discepoli di oggi. Siamo venuti al Colosseo, che ci parla della Roma antica. Allora la Croce entrò nella vita e nella morte dei primi cristiani, chiamati a dare testimonianza a Cristo col sacrificio della loro esistenza. La Croce riempiva la loro morte con la morte di Cristo; riempiva la loro morte con l’inesprimibile Vita: la sua Vita. “Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà” (Mc 8, 35). Immolavano la vita, e la salvavano in Cristo. Ave Crux!

3. L’adorazione della Croce perdura lungo i secoli, nel succedersi delle generazioni. Anche il nostro secolo – questo secolo XX – ha conosciuto l’amara esperienza della persecuzione religiosa nei moderni “colossei” d’Europa e del mondo, in Oriente e in Occidente. A distanza di secoli, ecco ancora persone che, come i cristiani nell’antica Roma pagana, hanno saputo adorare la Croce col sacrificio della propria vita, hanno saputo abbracciare la Croce con la suprema testimonianza del martirio. Cristiani che sono andati incontro alla morte gridando: Ave Crux! La loro morte, grazie alla Croce di Cristo, diventa seme di vita nuova.

Ecce lignum Crucis.

4. Carissimi fratelli e sorelle, siamo venuti questa sera al Colosseo per partecipare alla Via Crucis. La Croce è anche la via. Cristo ha affermato: “Se qualcuno vuol venire dietro a me... prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9, 23). La Croce quindi è la via, la via della vita quotidiana. È, in certo modo, compagna di questa vita. In quante forme l’esperienza del prendere la “croce ogni giorno” si ripropone anche per ciascuno di noi! Viene chiamata con modi e nomi diversi. Spesso anzi l’uomo freme, non vuole pronunciare questo nome: “la croce”. Cerca altre definizioni, altri appellativi. Eppure questo nome è pieno di contenuto e di senso. Croce è parola salvifica, con cui il Figlio di Dio svela a ciascun uomo la totale verità su se stesso e sulla propria vocazione (cf. Gaudium et Spes, 22). Svela tale verità ad ogni uomo e ad ogni donna, e particolarmente a quanti sono nella sofferenza.

Alla persona sofferente la parola “croce” rivela che non è sola, ma cammina con Colui che, per primo, ha accolto la croce e, mediante la croce, ha redento il mondo.

5. Ecce lignum Crucis... Ecco il legno della Croce, a cui fu appeso il Cristo, Salvatore del mondo. Venite adoremus.

Oggi, Venerdì Santo, la Chiesa chiede a tutti di accogliere il messaggio salvifico della Croce di Cristo. Messaggio che è potenza di Dio e sapienza di Dio – come proclama san Paolo. Messaggio che racchiude la storia dell’uomo sulla terra, di ciascuno e di tutti: racchiude la speranza della Vita e dell’Immortalità.

Cristo ribadisce ad ogni creatura, a ciascuno di noi: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12, 32).

Ave Crux!
Ave verum Corpus natum de Maria Virgine,
vere passum,
immolatum in Cruce pro homine...
Esto nobis praegustatum mortis in examine.
Amen!

[Papa Giovanni Paolo II, Via Crucis al Colosseo 9 aprile 1993]

Giovedì, 13 Febbraio 2025 05:59

Non abbiate paura di andare controcorrente

Il Vangelo di oggi ci presenta Gesù che, in cammino verso Cesarea di Filippo, interroga i discepoli: «La gente, chi dice che io sia?» (Mc 8,27). Essi rispondono quello che diceva la gente: alcuni lo ritengono Giovanni Battista redivivo, altri Elia o uno dei grandi Profeti. La gente apprezzava Gesù, lo considerava un “mandato da Dio”, ma non riusciva ancora a riconoscerlo come il Messia, quel Messia preannunciato ed atteso da tutti. Gesù guarda gli apostoli e domanda ancora: «Ma voi, chi dite che io sia?» (v. 29). Ecco la domanda più importante, con cui Gesù si rivolge direttamente a quelli che lo hanno seguito, per verificare la loro fede. Pietro, a nome di tutti, esclama con schiettezza: «Tu sei il Cristo» (v. 29). Gesù rimane colpito dalla fede di Pietro, riconosce che essa è frutto di una grazia, di una grazia speciale di Dio Padre. E allora rivela apertamente ai discepoli quello che lo attende a Gerusalemme, cioè che «il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto … venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere» (v. 31).

Sentito questo, lo stesso Pietro, che ha appena professato la sua fede in Gesù come Messia, è scandalizzato. Prende in disparte il Maestro e lo rimprovera. E come reagisce Gesù? A sua volta rimprovera Pietro per questo, con parole molto severe: «Va’ dietro a me, Satana!” - gli dice Satana! - “Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (v. 33). Gesù si accorge che in Pietro, come negli altri discepoli - anche in ciascuno di noi! - alla grazia del Padre si oppone la tentazione del Maligno, che vuole distoglierci dalla volontà di Dio. Annunciando che dovrà soffrire ed essere messo a morte per poi risorgere, Gesù vuol far comprendere a coloro che lo seguono che Lui è un Messia umile e servitore. È il Servo obbediente alla parola e alla volontà del Padre, fino al sacrificio completo della propria vita. Per questo, rivolgendosi a tutta la folla che era lì, dichiara che chi vuole essere suo discepolo deve accettare di essere servo, come Lui si è fatto servo, e avverte: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua» (v. 35).

Mettersi alla sequela di Gesù significa prendere la propria croce - tutti l’abbiamo… - per accompagnarlo nel suo cammino, un cammino scomodo che non è quello del successo, della gloria passeggera, ma quello che conduce alla vera libertà, quella che ci libera dall’egoismo e dal peccato. Si tratta di operare un netto rifiuto di quella mentalità mondana che pone il proprio “io” e i propri interessi al centro dell’esistenza: questo non è ciò che Gesù vuole da noi! Invece, Gesù ci invita a perdere la propria vita per Lui, per il Vangelo, per riceverla rinnovata, realizzata e autentica. Siamo certi, grazie a Gesù, che questa strada conduce alla fine alla risurrezione, alla vita piena e definitiva con Dio. Decidere di seguire Lui, il nostro Maestro e Signore che si è fatto Servo di tutti, esige di camminare dietro a Lui e di ascoltarlo attentamente nella sua Parola – ricordatevi: leggere tutti i giorni un passo del Vangelo – e nei Sacramenti.

Ci sono giovani qui in piazza: ragazzi e ragazze. Io vi domando: avete sentito la voglia di seguire Gesù più da vicino? Pensate. Pregate. E lasciate che il Signore vi parli.

La Vergine Maria, che ha seguito Gesù fino al Calvario, ci aiuti a purificare sempre la nostra fede da false immagini di Dio, per aderire pienamente a Cristo e al suo Vangelo.

[Papa Francesco, Angelus 13 settembre 2015]

 

Nel Vangelo […] risuona una delle parole più incisive di Gesù: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (Lc 9,24).

Qui c’è una sintesi del messaggio di Cristo, ed è espressa con un paradosso molto efficace, che ci fa conoscere il suo modo di parlare, quasi ci fa sentire la sua voce… Ma che cosa significa “perdere la vita per causa di Gesù”? Questo può avvenire in due modi: esplicitamente confessando la fede o implicitamente difendendo la verità. I martiri sono l’esempio massimo del perdere la vita per Cristo. In duemila anni sono una schiera immensa gli uomini e le donne che hanno sacrificato la vita per rimanere fedeli a Gesù Cristo e al suo Vangelo. E oggi, in tante parti del mondo, ci sono tanti, tanti, - più che nei primi secoli – tanti martiri, che danno la propria vita per Cristo, che sono portati alla morte per non rinnegare Gesù Cristo. Questa è la nostra Chiesa. Oggi abbiamo più martiri che nei primi secoli! Ma c’è anche il martirio quotidiano, che non comporta la morte ma anch’esso è un “perdere la vita” per Cristo, compiendo il proprio dovere con amore, secondo la logica di Gesù, la logica del dono, del sacrificio. Pensiamo: quanti papà e mamme ogni giorno mettono in pratica la loro fede offrendo concretamente la propria vita per il bene della famiglia! Pensiamo a questi! Quanti sacerdoti, frati, suore svolgono con generosità il loro servizio per il regno di Dio! Quanti giovani rinunciano ai propri interessi per dedicarsi ai bambini, ai disabili, agli anziani… Anche questi sono martiri! Martiri quotidiani, martiri della quotidianità!

E poi ci sono tante persone, cristiani e non cristiani, che “perdono la propria vita” per la verità. E Cristo ha detto “io sono la verità”, quindi chi serve la verità serve Cristo. Una di queste persone, che ha dato la vita per la verità, è Giovanni il Battista: proprio domani, 24 giugno, è la sua festa grande, la solennità della sua nascita. Giovanni è stato scelto da Dio per preparare la via davanti a Gesù, e lo ha indicato al popolo d’Israele come il Messia, l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (cfr Gv 1,29). Giovanni ha consacrato tutto se stesso a Dio e al suo inviato, Gesù. Ma, alla fine, cosa è successo? E’ morto per la causa della verità, quando ha denunciato l’adulterio del re Erode e di Erodiade. Quante persone pagano a caro prezzo l’impegno per la verità! Quanti uomini retti preferiscono andare controcorrente, pur di non rinnegare la voce della coscienza, la voce della verità! Persone rette, che non hanno paura di andare controcorrente! E noi, non dobbiamo avere paura! Fra voi ci sono tanti giovani. A voi giovani dico: Non abbiate paura di andare controcorrente, quando ci vogliono rubare la speranza, quando ci propongono questi valori che sono avariati, valori come il pasto andato a male e quando un pasto è andato a male, ci fa male; questi valori ci fanno male. Dobbiamo andare controcorrente! E voi giovani, siate i primi: Andate controcorrente e abbiate questa fierezza di andare proprio controcorrente. Avanti, siate coraggiosi e andate controcorrente! E siate fieri di farlo!

Cari amici, accogliamo con gioia questa parola di Gesù. E’ una regola di vita proposta a tutti. E san Giovanni Battista ci aiuti a metterla in pratica. Su questa via ci precede, come sempre, la nostra Madre, Maria Santissima: lei ha perduto la sua vita per Gesù, fino alla Croce, e l’ha ricevuta in pienezza, con tutta la luce e la bellezza della Risurrezione. Ci aiuti Maria a fare sempre più nostra la logica del Vangelo.

[Papa Francesco, Angelus 23 giugno 2013]

Mercoledì, 12 Febbraio 2025 05:17

La vita agiata e non

Il Dio vero, la natura, e l’uomo autentico

(Mc 8,27-33)

 

Gesù guida i suoi intimi lontano dal territorio dell’ideologia di potere e dal centro sacro dell’istituzione religiosa ufficiale, affinché si distacchino dal loro stesso fortino.

Il territorio di Cesarea di Filippo era incantevole, celebre per fertilità e pascoli rigogliosi - zona famosa per la fecondità di greggi e armenti.

Quella sorta di paradiso terrestre alle sorgenti del Giordano, tanto era umanamente attraente che Alessandro Magno la ritenne dimora del dio Pan e delle Ninfe.

Anche i discepoli erano affascinati dal paesaggio e dalla vita agiata degli abitanti della regione; per non dire della magnificenza dei palazzi.

Cristo chiede agli apostoli - in pratica - cosa la gente si aspettasse da Lui. E il richiamo del contesto allude alle agiatezze che la religione pagana proponeva.

 

Mossa da curiosità e desiderosa di realizzazione temporale, la turba di gente stupefatta intorno al Figlio di Dio creava un gran rumore, solo apparente.

Ora c’è una svolta: l’atmosfera cambia, aumenta l’opposizione e si accumulano interrogativi; la folla va diradandosi e il Maestro si ritrova sempre più solo.

Mentre gli dèi mostravano di saper colmare di beni i loro devoti - e una sfarzosa vita di corte che ammaliava tutti - il Signore cosa offre?

Insomma, gli apostoli continuavano a essere influenzati dalla propaganda del governo politico e religioso, che assicurava benessere.

Gesù li “istruisce”, affinché potessero superare la cecità e la crisi prodotta dalla sua Croce, dall’impegno richiesto nell’ottica del dono di sé.

 

Il Figlio di Dio non è solo un continuatore dell’atteggiamento limpido del Battista, mai incline al compromesso nei confronti delle corti e dell’opulenza; né uno dei tanti restauratori della legge di Mosè… con lo zelo di Elia.

Su tale questione, nelle prime comunità cristiane erano vive le distanze col paganesimo, ma si registravano anche particolari contrapposizioni col mondo delle sinagoghe.

Attriti di non poco conto erano quelli che sorgevano tra giudei convertiti al Signore e semiti osservanti secondo tradizione.

Infatti, nei libri sacri si parlava di grandi personaggi che avevano lasciato un’impronta nella storia d’Israele, e avrebbero dovuto riapparire per inaugurare i tempi messianici.

In tutti si constatava una scarsa capacità di comprensione. E difficoltà di saper abbracciare la nuova proposta, che sembrava non garantisse gloria, né traguardi materiali.

 

La Fede non si accorda facilmente con i primi impulsi umani: è sconcertante per le vedute ovvie e le sue pulsioni.

Così nel passo di Vangelo il Maestro contraddice lo stesso Pietro, la cui opinione restava legata all’idea conformista e popolaresca de «il» [v.29: «quel»] Messia atteso.

Il capo degli apostoli deve smetterla di indicare a Cristo quale strada percorrere «dietro» (v.33) a lui!

Simone può ricominciare a fare l’allievo; piantarla di tracciare strade, sequestrando Dio in nome di Dio…

Da ciò il ‘segreto messianico’ imposto a chi lo predica in quel modo equivoco (v.30).

Il «Figlio dell’uomo» (v.31) non ci assicura successo mondano, né assenza di conflitti. Solo garantisce libertà da ogni vincolo col potere, e Amore che rigenera.

 

 

[Giovedì 6.a sett. T.O.  20 febbraio 2025]

Mercoledì, 12 Febbraio 2025 05:13

È Cristo il vero Tesoro

Dapprima chiese loro: "La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?". Essi gli risposero che per alcuni del popolo Egli era Giovanni Battista redivivo, per altri Elia, Geremia o qualcuno dei profeti. Allora il Signore interpellò direttamente i Dodici: "Voi chi dite che io sia?". A nome di tutti, con slancio e decisione fu Pietro a prendere la parola: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". Solenne professione di fede, che da allora la Chiesa continua a ripetere. Anche noi quest’oggi vogliamo proclamare con intima convinzione: Sì, Gesù, tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente! Lo facciamo con la consapevolezza che è Cristo il vero "tesoro" per il quale vale la pena di sacrificare tutto; Lui è l’amico che mai ci abbandona, perché conosce le attese più intime del nostro cuore. Gesù è il "Figlio del Dio vivente", il Messia promesso, venuto sulla terra per offrire all’umanità la salvezza e per soddisfare la sete di vita e di amore che abita in ogni essere umano. Quale vantaggio avrebbe l’umanità accogliendo quest’annuncio che porta con sé la gioia e la pace!

[Papa Benedetto, Angelus 24 agosto 2008]

Mercoledì, 12 Febbraio 2025 05:09

Professione di Fede e vita

2. Gesù aveva già chiesto al gruppo dei dodici Apostoli una professione di fede nella sua persona. Presso Cesarea di Filippo, dopo aver interrogato i discepoli sui pareri espressi dalla gente circa la sua identità, egli domanda: "Voi chi dite che io sia?" (Mt 16,15). La risposta viene da Simone: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (16,16).

Immediatamente Gesù conferma il valore di questa professione di fede, sottolineando che essa non procede semplicemente da un pensiero umano, ma da un'ispirazione celeste: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17). Queste espressioni di forte colore semitico designano la rivelazione totale, assoluta e suprema: quella che si riferisce alla persona del Cristo Figlio di Dio.

La professione di fede fatta da Pietro rimarrà espressione definitiva dell'identità di Cristo. Marco ne riprende i termini per introdurre il suo Vangelo (cfr Mc 1,1), Giovanni vi fa riferimento alla conclusione del suo, affermando di averlo scritto perché si creda "che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio", e perché, credendo, si possa avere la vita nel suo nome (cfr Gv 20,31).

3. In che cosa consiste la fede? La Costituzione Dei Verbum spiega che con essa "l'uomo si abbandona a Dio tutt'intero liberamente, prestandogli 'il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà' e acconsentendo volontariamente alla rivelazione data da Lui" (n. 5). La fede non è, dunque, solo adesione dell'intelligenza alla verità rivelata, ma anche ossequio della volontà e dono di sé a Dio che si rivela. E' un atteggiamento che impegna l'intera esistenza.

Il Concilio ricorda ancora che per la fede sono necessari "la grazia di Dio, che previene e soccorre, e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità" (ibid.). Si vede così come la fede, da una parte, fa accogliere la verità contenuta nella Rivelazione e proposta dal magistero di coloro che, come Pastori del Popolo di Dio, hanno ricevuto un "carisma certo di verità" (Dei Verbum, 8). D'altra parte, la fede spinge anche ad una vera e profonda coerenza, che deve esprimersi in tutti gli aspetti di una vita modellata su quella di Cristo.

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 18 marzo 1998]

Mercoledì, 12 Febbraio 2025 04:41

Non gli interessano i sondaggi, né le chiacchiere

Nel brano evangelico di oggi (cfr Mc 8,27-35), ritorna la domanda che attraversa tutto il Vangelo di Marco: chi è Gesù? Ma questa volta è Gesù stesso che la pone ai discepoli, aiutandoli gradualmente ad affrontare l’interrogativo sulla sua identità. Prima di interpellare direttamente loro, i Dodici, Gesù vuole sentire da loro che cosa pensa di Lui la gente – e sa bene che i discepoli sono molto sensibili alla popolarità del Maestro! Perciò domanda: «La gente, chi dice che io sia?» (v. 27). Ne emerge che Gesù è considerato dal popolo un grande profeta. Ma, in realtà, a Lui non interessano i sondaggi e le chiacchiere della gente. Egli non accetta nemmeno che i suoi discepoli rispondano alle sue domande con formule preconfezionate, citando personaggi famosi della Sacra Scrittura, perché una fede che si riduce alle formule è una fede miope.

Il Signore vuole che i suoi discepoli di ieri e di oggi instaurino con Lui una relazione personale, e così lo accolgano al centro della loro vita. Per questo li sprona a porsi in tutta verità di fronte a sé stessi, e chiede: «Ma voi, chi dite che io sia?» (v. 29). Gesù, oggi, rivolge questa richiesta così diretta e confidenziale a ciascuno di noi: “Tu, chi dici che io sia? Voi, chi dite che io sia? Chi sono io per te?”. Ognuno è chiamato a rispondere, nel proprio cuore, lasciandosi illuminare dalla luce che il Padre ci dà per conoscere il suo Figlio Gesù. E può accadere anche a noi, come a Pietro, di affermare con entusiasmo: «Tu sei il Cristo». Quando però Gesù ci dice chiaramente quello che disse ai discepoli, cioè che la sua missione si compie non nella strada larga del successo, ma nel sentiero arduo del Servo sofferente, umiliato, rifiutato e crocifisso, allora può capitare anche a noi, come a Pietro, di protestare e ribellarci perché questo contrasta con le nostre attese, con le attese mondane. In quei momenti, anche noi meritiamo il salutare rimprovero di Gesù: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (v. 33).

Fratelli e sorelle, la professione di fede in Gesù Cristo non può fermarsi alle parole, ma chiede di essere autenticata da scelte e gesti concreti, da una vita improntata all’amore di Dio, di una vita grande, di una vita con tanto amore per il prossimo. Gesù ci dice che per seguire Lui, per essere suoi discepoli, bisogna rinnegare sé stessi (cfr v. 34), cioè le pretese del proprio orgoglio egoistico, e prendere la propria croce. Poi dà a tutti una regola fondamentale. E qual è questa regola? «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà. Spesso nella vita, per tanti motivi, sbagliamo strada, cercando la felicità solo nelle cose, o nelle persone che trattiamo come cose. Ma la felicità la troviamo soltanto quando l’amore, quello vero, ci incontra, ci sorprende, ci cambia. L’amore cambia tutto! E l’amore può cambiare anche noi, ognuno di noi. Lo dimostrano le testimonianze dei santi.

La Vergine Maria, che ha vissuto la sua fede seguendo fedelmente il suo Figlio Gesù, aiuti anche noi a camminare nella sua strada, spendendo generosamente la nostra vita per Lui e per i fratelli.

[Papa Francesco, Angelus 16 settembre 2018]

(Mc 8,22-26)

 

In questa sezione di Mc è descritta l’iniziazione della Fede; in filigrana, l’istradamento alla relazione con Cristo che ci toglie le difficoltà di ‘vista’ - e i passi tipici delle prime liturgie battesimali.

Il contesto generale del brano fa comprendere che l’episodio prelude una lunga istruzione di Gesù.

Egli per tre volte annuncia la sua Passione a Pietro e ai discepoli, riottosi nell’impegno della Croce.

Quando Mc scrive, la situazione delle comunità non era facile. Si sperimentava molta sofferenza: non risultava così semplice comprendere tante pene.

Nel 64 Nerone decretò la prima grande persecuzione, che produsse molte vittime fra i credenti.

L’anno successivo era scoppiata la rivolta giudaica, che aveva fatto scattare la riconquista sanguinosa della Palestina a partire dalla Galilea. Nel frattempo, a Roma i torbidi della sanguinosa guerra civile (68-69) stavano sgretolando l’idea dell’età dell’oro e recando piuttosto molte angustie.

Infine la città santa, Gerusalemme, veniva rasa al suolo (70). E malgrado Tito fosse tornato a Roma, la guerra si stava protraendo in altri focolai, sino alla caduta di Masada (74).

 

In tale quadro, fuori dalla Palestina sorgevano forti tensioni tra giudei convertiti a Cristo e giudei osservanti, e la maggiore difficoltà era sulla interpretazione della Croce di Gesù.

Per i tradizionalisti - e in un primo tempo per gli stessi apostoli - uno sconfitto e umiliato non poteva essere il Messia atteso.

La stessa Torah affermava che tutti i crocifissi dovevano essere considerati persone maledette da Dio [cf. Dt 21,22-23: «l’appeso è una maledizione di Dio»].

Proprio in detto contesto, Mc sembra alludere che… i veri ciechi sono Pietro e gli apostoli stessi, condizionati dalla propaganda del Messia Re glorioso; nonché i giudaizzanti.

Tutti volevano un Gesù trionfatore. Erano come non-vedenti che non capivano nulla, se non la propaganda facile e appariscente - nonché il mondo organizzato sulla base dell’egoismo.

Per guarire la cecità dei suoi dirigenti o dei semplici membri di comunità ancora incertissimi, il Signore doveva condurli «fuori dal villaggio» - luogo delle solite, antiche credenze illusorie.

E doveva proibire ai suoi intimi di rientrarvi: lì nessuno sarebbe mai riuscito a comprendere il valore del dono di sé nella vita ordinaria o nella convivenza di assemblea, testimonianze di Dio (vv.23.26).

 

Lo stesso del «cieco di Betsaida» è capitato anche a noi: solo quando il rapporto si è interiorizzato e consolidato, siamo passati dai barlumi a una maggiore chiarezza, imparando a capire persone, tematiche, realtà.

Per essere infine ‘illuminati’ abbiamo dovuto accettare che il dono di Dio venisse introdotto attraverso l'identità di vita nel Figlio.

Il Signore ci ha sanato lo sguardo, facendoci crescere nel tempo. Un “portento” che si è fatto recupero anche naturale.

Prospettiva che ha suscitato la decisione e l’azione, che ora si misurano perfino con cose grandi. A partire da un punto di osservazione nuovo, colmo di Speranza.

Ciò vale anche nella percezione dei disagi, che via via rigenerano l’essere - perché stenti e inquietudini sono semplici voci di un’energia che vuole allontanare nebbie e zavorre, e farci fiorire altrimenti.

Ecco gli accadimenti-testimonianza della Venuta del Messia nella nostra vita.

Eventi e immagini intime - guida - che i Vangeli non inquadrano in una cornice cristologica o ecclesiologica trionfalistica, bensì quasi sommaria e dai tratti spontanei; umanissima e relazionale.

Per dire che la persona nuova è forse ancora immersa nell’ombra, ma via via pone sullo sfondo l’uomo vecchio.

E nella metamorfosi del suo sguardo prospettico, in Cristo avvicina la persona futura.

 

 

[Mercoledì 6.a sett. T.O. 19 febbraio 2025]

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We are here touching the heart of the problem. In Holy Scripture and according to the evangelical categories, "alms" means in the first place an interior gift. It means the attitude of opening "to the other" (John Paul II)
Qui tocchiamo il nucleo centrale del problema. Nella Sacra Scrittura e secondo le categorie evangeliche, “elemosina” significa anzitutto dono interiore. Significa l’atteggiamento di apertura “verso l’altro” (Giovanni Paolo II)
Jesus shows us how to face moments of difficulty and the most insidious of temptations by preserving in our hearts a peace that is neither detachment nor superhuman impassivity (Pope Francis)
Gesù ci mostra come affrontare i momenti difficili e le tentazioni più insidiose, custodendo nel cuore una pace che non è distacco, non è impassibilità o superomismo (Papa Francesco)
If, in his prophecy about the shepherd, Ezekiel was aiming to restore unity among the dispersed tribes of Israel (cf. Ez 34: 22-24), here it is a question not only of the unification of a dispersed Israel but of the unification of all the children of God, of humanity - of the Church of Jews and of pagans [Pope Benedict]
Se Ezechiele nella sua profezia sul pastore aveva di mira il ripristino dell'unità tra le tribù disperse d'Israele (cfr Ez 34, 22-24), si tratta ora non solo più dell'unificazione dell'Israele disperso, ma dell'unificazione di tutti i figli di Dio, dell'umanità - della Chiesa di giudei e di pagani [Papa Benedetto]
St Teresa of Avila wrote: «the last thing we should do is to withdraw from our greatest good and blessing, which is the most sacred humanity of Our Lord Jesus Christ» (cf. The Interior Castle, 6, ch. 7). Therefore, only by believing in Christ, by remaining united to him, may the disciples, among whom we too are, continue their permanent action in history [Pope Benedict]
Santa Teresa d’Avila scrive che «non dobbiamo allontanarci da ciò che costituisce tutto il nostro bene e il nostro rimedio, cioè dalla santissima umanità di nostro Signore Gesù Cristo» (Castello interiore, 7, 6). Quindi solo credendo in Cristo, rimanendo uniti a Lui, i discepoli, tra i quali siamo anche noi, possono continuare la sua azione permanente nella storia [Papa Benedetto]
Just as he did during his earthly existence, so today the risen Jesus walks along the streets of our life and sees us immersed in our activities, with all our desires and our needs. In the midst of our everyday circumstances he continues to speak to us; he calls us to live our life with him, for only he is capable of satisfying our thirst for hope (Pope Benedict)
Come avvenne nel corso della sua esistenza terrena, anche oggi Gesù, il Risorto, passa lungo le strade della nostra vita, e ci vede immersi nelle nostre attività, con i nostri desideri e i nostri bisogni. Proprio nel quotidiano continua a rivolgerci la sua parola; ci chiama a realizzare la nostra vita con Lui, il solo capace di appagare la nostra sete di speranza (Papa Benedetto)
Truth involves our whole life. In the Bible, it carries with it the sense of support, solidity, and trust, as implied by the root 'aman, the source of our liturgical expression Amen. Truth is something you can lean on, so as not to fall. In this relational sense, the only truly reliable and trustworthy One – the One on whom we can count – is the living God. Hence, Jesus can say: "I am the truth" (Jn 14:6). We discover and rediscover the truth when we experience it within ourselves in the loyalty and trustworthiness of the One who loves us. This alone can liberate us: "The truth will set you free" (Jn 8:32) [Pope Francis]

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