don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Martedì, 16 Settembre 2025 07:32

25a Domenica T.O. (C)

25a Domenica del Tempo Ordinario (anno C) [21 settembre 2025]

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga. Riprendendo le attività pastorali la parola di Dio ci guida a comprendere dove sta la vera ricchezza della vita. 

 

*Prima Lettura dal libro del profeta Amos (8, 4 – 7)

L’ora è certamente grave, poiché questo  testo del profeta Amos si conclude con una formula solenne: “Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe”(v.7) . “Il vanto di Giacobbe” è Dio stesso, perché è lui che è (o che dovrebbe essere) l’unico vanto del suo popolo; in altre parole, il Signore giura per sè stesso. Dio non può impegnarsi che per se stesso! Ma a proposito di cosa Dio giura? Assicura di non dimenticare “tutte le loro opere “, cioè tutte le malefatte d’Israele che il profeta Amos stigmatizza perché cercano solo di arricchirsi a spese degli altri. Amos è un profeta dell’VIII secolo a.C., quando la Palestina è divisa in due regni. Piccolo pastore di un villaggio del Sud (Téqoa, vicino a Betlemme), fu scelto da Dio per andare a predicare nel regno del Nord, chiamato anche Samaria dal nome della sua capitale. Sotto il regno di Geroboamo II, verso il 750 a.C, la Samaria vive un periodo di prosperità economica ma questa prosperità non giova a tutti; al contrario, Amos constata che l’arricchimento degli uni nasce dall’impoverimento degli altri, semplicemente perché i prodotti di prima necessità, come il pane quotidiano o i sandali, sono nelle mani di venditori senza scrupoli. Così si arriva al punto che i poveri non hanno altra soluzione, per non morire di fame o di freddo, se non quella di vendersi come schiavi “ comprare con denaro gli indigenti e il povero con un paio di sandali” (v.6). Chi subisce un torto può tentare di rivolgersi alla giustizia, ma ogni volta che c’è un processo per frodi o truffe manifeste, i tribunali prendono le parti dei ricchi contro i poveri semplicemente perché i ricchi pagano i giudici. Amos lo dice chiaramente: “Cambiano il diritto in veleno e gettano a terra la giustizia”(5,7). La stessa giustizia è falsata, corrotta. Il testo che abbiamo ascoltato è dunque uno di quelli in cui Amos prende la parola per annunciare il giudizio di Dio ed è un vero e proprio atto d’accusa: enuncia i fatti, poi rende il suo verdetto: Voi schiacciate i poveri, annientate gli umili della terra e vi domandate quando passerà la festa della luna nuova perché possiamo vendere il nostro grano?  La luna nuova, il primo giorno del mese (detta «neomenia»), era un giorno festivo: nessun lavoro, nessuno spostamento, nessuna attività commerciale era autorizzata perché giorno del riposo come il sabato. Questo tempo di sospensione negli affari serviva a rivolgere l’uomo verso Dio. Ma qui sembra che lo si viva con impazienza, perché ormai l’uomo ha un altro padrone: il denaro e, per chi ha come unico pensiero il guadagno, un giorno festivo è una perdita. Per questo Amos rimprovera: “Ascoltate questo, voi che calpestate il povero…e dite: quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? (v.7). Prende di mira i venditori disonesti, per i quali commercio significa truffa, con prezzi esorbitanti e bilance falsate. L’immagine della bilancia falsata è a doppio senso: da una parte si capisce come un bilanciere storto possa falsare una misura, ma, più profondamente, significa che tutta la società vive su bilance truccate. In fondo, Amos rimprovera al popolo di Samaria di vivere nella menzogna e nell’ingiustizia: le bilance sono falsate, la giustizia è corrotta, si rispettano controvoglia i giorni festivi e con un secondo fine; tutto è falsato, insomma. Ecco dunque il giudizio: «Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: certo non dimenticherò mi tutte le loro opere”  (v.7). In altre parole: Voi che vi arricchite ingiustamente, dimenticate in fretta i vostri delitti, e i tribunali vi seguono; ma il Signore vi dichiara che tutto questo non va dimenticato e non dovete abituarvi all’ingiustizia. Amos pronuncia la sua ammonizione nel modo più solenne possibile, perché c’è una lezione molto seria: la prima cosa che Dio chiede al suo popolo è di vivere nella giustizia e la società fondata su ingiustizie e miserie di ogni genere, non può che offendere Dio. Amos è tanto più severo perché, da cent’anni, il regno del Nord si vanta di aver eliminato l’idolatria abolendo i culti dei Baal; ma in realtà, ciò che Amos rimprovera è di essere caduti in un’idolatria ancora più pericolosa: quella del denaro.

 

*Salmo responsoriale (113/[112])

Questo salmo è il primo di quelli che Gesù ha cantato la sera del Giovedì Santo prima di partire per il Monte degli Ulivi. La prima parola che ha cantato è Alleluia che significa letteralmente Lodate Dio: Allelu è l’imperativo, lodate; e Ya la prima sillaba del Nome santo. Dunque, si tratta di un salmo di lode e si capisce dalla prima parola: Alleluia. Interessante è la composizione di questo salmo, formato da due parti di quattro versetti ciascuna, che incorniciano un versetto centrale. Il versetto centrale è una domanda: “Chi è come il Signore nostro Dio? (v.5) e le due parti contemplano le due facce del mistero di Dio: la sua santità e la sua misericordia. Nella sua rivelazione Dio si è fatto conoscere come il Trascendente, il tutto Santo e come il Misericordioso il Tutto Vicino. Per manifestare la sua santità, si ripete il suo Nome, “il Signore”, il Nome di Dio, rivelato da Lui stesso in quattro lettere (YHWH) che però non viene mai pronunciato. E come sappiamo, nella Bibbia, quando compaiono queste quattro lettere, spontaneamente il lettore ebreo le sostituisce con «Adonai», che significa Mio Signore, e che non pretende descrivere né definire Dio. Il termine “Signore”, che esprime bene la distanza tra Dio e noi, è usato cinque volte mentre “il Nome” tre volte, e il verbo lodare tre volte.  La grande scoperta si trova nel versetto centrale: ”Chi è come il Signore nostro Dio?”: il Dio della gloria è nello stesso tempo il Dio della misericordia. e la seconda parte del salmo descrive l’azione di Dio a favore dei più piccoli, dei più poveri: solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero (v.7). Tra i deboli e i poveri, vi era la donna sterile, che viveva con la continua paura di essere ripudiata: “Fa abitare nella casa la sterile, come madre gioiosa di figli” (v.9). Sara, moglie di Abramo, ha conosciuto questo miracoloso rovesciamento: la gioia della sterile che si ritrova, dopo alcuni anni, con la casa piena di figli. La Bibbia ama sottolineare questi rovesciamenti di situazione: perché nulla è impossibile a Dio. Il Magnificat di Maria è pieno di questa certezza fiduciosa. Quando dopo l’Ultima Cena Gesù ha cantato questo salmo con i discepoli salendo verso il Monte degli Ulivi, ha sentito in modo particolare il versetto “solleva dalla polvere il debole”. Si avviava alla sua morte, e ha certamente riconosciuto qui un annuncio della sua risurrezione. 

 

*Seconda Lettura dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo (2, 1-8)

Nel cuore di questo brano si trova una frase che riassume tutta la Bibbia, è al centro del pensiero di Paolo, e soprattutto è il centro della storia dell’umanità: “Dio, nostro salvatore, vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (v.4). Ogni parola è importante: “Dio vuole”: è il mistero della sua volontà, quel progetto di misericordia che aveva già prestabilito in se stesso per condurre i tempi alla loro pienezza, come dice la lettera agli Efesini (cf. 1,9-10). La volontà di Dio è una volontà di salvezza che riguarda tutti gli uomini.  Paolo insiste sulla dimensione universale del progetto di Dio: “Dio, nostro Salvatore, vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità”. In frasi di questo genere la parola “e” può essere sostituita da “cioè”; bisogna quindi intendere: Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati, cioè che giungano a conoscere pienamente la verità. E che cos’è la verità? È che Dio ci ama ed è sempre con noi per colmarci del suo amore. Essere salvati significa conoscere questa verità secondo il senso biblico del “conoscere”: cioè viverne, lasciarsi amare e trasformare da essa. Finché gli uomini non conoscono l’amore di Dio restano come prigionieri e Cristo è venuto per liberarci. Ecco perché troviamo l’espressione “ha dato se stesso in riscatto per tutti”(v.6) : ogni volta si può sostituire la parola riscatto con liberazione: credere nell’amore di Dio per tutti gli uomini e vivere di questo amore, significa essere salvati. Allora, la vera preghiera, – come dice Paolo – è entrare nel progetto di Dio per essere capaci di diffondere il vangelo come una scintilla che si propaga. Nell’ultima frase, l’insistenza di Paolo non riguarda tanto la posizione esteriore, ma lo stato d’animo con cui ci si deve presentare nella preghiera: “Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese”. Come entrare nel progetto d’amore di Dio per tutti se il cuore è pieno di collera e di cattive intenzioni? Molto probabilmente qui si intravedono segni di difficoltà gravi, di opposizioni, di divisioni, forse persino di persecuzioni, nella comunità alla quale era destinata questa lettera. Non possiamo avanzare ipotesi precise, poiché non siamo nemmeno sicuri della data di composizione della lettera, né se sia interamente di Paolo o di un suo discepolo. Ma poco importa: ciò che conta, in ogni epoca e in qualunque difficoltà  non bisogna dimenticare mai che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla piena conoscenza della verità, cioè dell’amore di Dio.

 

*Dal Vangelo secondo Luca (16, 1-13)

Questo testo riserva una sorpresa: Gesù sembra fare i complimenti ai truffatori: “Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza”(v.8). Attenzione a non sbagliare! Gesù lo definisce disonesto, cioè  malvagio perché l’onestà faceva parte della morale più elementare. Dunque, l’intenzione di Gesù non è certo quella di andare contro la morale di base e si premura di precisare che il padrone loda quell’uomo per la sua scaltrezza. Se Gesù usa un esempio provocatorio, è per farci riflettere su qualcosa di serio, come mostra l’ultima frase: c’è una scelta urgente da fare tra Dio e il denaro perché non si può servire  Dio e il denaro. Gesù elenca una serie di opposizioni: tra i figli di questo mondo e i figli della luce, tra una piccola cosa e una grande cosa, tra il denaro ingannevole e il bene autentico, tra i beni altrui e ciò che è veramente nostro. Tutte queste opposizioni hanno un unico scopo: farci scoprire che il denaro è un inganno e che dedicare la vita a fare soldi è una strada sbagliata; è grave quanto l’idolatria, che i profeti hanno sempre combattuto. Nella frase: “Non potete servire Dio e il denaro”, il verbo servire ha un senso religioso. C’è un solo Dio: non fatevi idoli, perché ogni idolatria vi rende schiavi e il denaro può diventare un fine a se stesso e non più un mezzo.  Quando si è ossessionati dal desiderio di guadagnare, si diventa presto schiavi: è importante guardarsi da ciò che si possiede per non esserne posseduti, dice la saggezza popolare. Il sabato era stato istituito anche per riscoprire, una volta alla settimana, il gusto della gratuità, un modo per restare liberi. Il denaro è ingannevole in due sensi: anzitutto, ci fa credere che ci assicurerà la felicità, ma un giorno dovremo lasciare tutto. Nella frase di Gesù l’espressione “quando verrà a mancare” (v.9) è un’allusione alla morte e certamente non c’è grande interesse a essere il più ricco del cimitero! Inoltre, il denaro ci inganna se pensiamo che ci appartenga solo per noi. Gesù non disprezza il denaro, ma lo mette al servizio del Regno, cioè per il bene degli altri e nessuno ne è proprietario, bensì amministratore. Se è vero che non serve a nulla essere il più ricco del cimitero, ha però molto senso essere ricchi per farne beneficiare anche gli altri. La domanda “se non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta chi vi affiderà quella vera?” (v.11) aiuta a capire che nell’uso del denaro è importante la fiducia: Dio si fida di noi, ci affida del denaro di cui siamo amministratori e responsabili. Ogni nostra ricchezza, di qualunque genere, ci è stata affidata come a degli amministratori perché la condividiamo trasformandola in felicità per chi ci circonda. Così si comprende meglio la parabola precedente, la storia di quell’amministratore minacciato di licenziamento che, per salvarsi, fa ancora una volta dei regali con i beni del suo padrone per farsi degli amici che lo accolgano. Era del tutto disonesto, ma ha saputo trovare rapidamente una soluzione ingegnosa per assicurarsi un futuro. L’astuzia, qui, consiste nell’usare il denaro come un mezzo e non come un fine. Non è quindi la disonestà che Gesù ammira, ma l’abilità: che cosa aspettiamo anche noi a trovare soluzioni creative per assicurare l’avvenire di tutti? La sete di guadagnare rende molte persone piene di inventiva; Gesù vorrebbe che la passione per la giustizia o la pace ci rendesse altrettanto inventivi! Il giorno in cui dedicheremo tanto tempo e tanta intelligenza a ricercare vie di pace, di giustizia e di condivisione quanto ne dedichiamo ad accumulare denaro oltre il necessario, il volto del mondo cambierà. In fondo, la morale della parabola può essere riassunta così: scegliete Dio, con decisione, e mettete al servizio del Regno la stessa intelligenza che mettereste nel fare soldi. I figli della luce sanno che il denaro è solo una piccola cosa; il Regno è la grande cosa e per questo non servono il denaro come una divinità, ma se ne servono per il bene di tutti.

+ Giovanni D’Ercole

Giovedì, 11 Settembre 2025 14:37

Amministratori disonesti, o Casa comune

Giovedì, 11 Settembre 2025 05:29

Donne

Azione del Risorto

(Lc 8,1-3)

 

I rabbini non accettavano donne nelle loro scuole, perché ritenute non all’altezza del compito.

Ma Gesù non viene a insegnare leggi o filosofie, bensì a radunare attorno a sé i disprezzati e le non-persone di ogni tempo.

In Cristo ciascuno si apre alla speranza. Chi è considerato senza valore annuncia e testimonia l’amore di Dio per i piccoli e gli ultimi.

Tutto con delicatezza, ed ecco le figure femminili: subentra la fedeltà. 

Nelle donne la pietà sorge spontanea [non è ideata come per noi maschi: immediatamente all’obiettivo e fonte di guadagno].

Con esse svanisce anche l’ansia di prestazione che accompagna gli uomini, i quali anche sul bene devono subito apparire allestendo pedane e défilé; essere notati, coltivare pubbliche e private relazioni che contano, e farci carriera sopra.

 

Gesù conquista il cuore delle donne perché ne comprende la generosità, la profondità di sentimenti, la capacità di dedizione e di rapporto personale, di dono di sé estremo; sensibilità, Fede-amore, pazienza, mitezza, generosità, capacità di fatica e sofferenza.

Invece di “ammazzare” il tempo, le donne lo riempiono a fondo.

Gesù non vuole un’umanità tesa a farsi apprezzare più che al nascondimento, incline al parlare più che al ‘percepire’; volentieri propensa all’organizzare-progettare più che al meditare - e intuire la profondità delle nostre Radici.

 

La prevalenza o l’equilibrio dell’aspetto femminile è un opportuno contrappeso a un mondo prono al dirigismo e all’esercizio della volontà, più che alla coltivazione del sentimento figliale.

Felice quella vocazione che viene accompagnata dall’intensità, dalla profondità, delicatezza, capacità di attendere e insieme coerenza ai princìpi - e partecipazione al destino - aspetti tipici della sensibilità femminile e del mondo delle consacrate.

[Forse quello di Maria, Giovanna, Susanna e molte altre dei primi tempi era un ruolo paragonabile a quello di Marta nella famiglia di Betania, coordinatrice della comunità di soli fratelli e sorelle].

 

In Lc la vicenda delle donne esprime l’azione del Risorto. Egli le accetta come seguaci e discepole.

Nelle figure femminili si legge in filigrana la vicenda dell’umanità che in Cristo si rialza e assume dignità.

Essa si rende fraterna nel dolore, prepara il nutrimento (invece di toglierlo), persiste, lotta e in tale agire diventa addirittura icona di preghiera.

È modello di dedizione e dono di sé [invece di calcolo e astuzia] - pronte alla vita, e tipo dell’Annuncio; tesoro che scatena lo Spirito.

 

Il Gesù in cammino coi Dodici (v.1) ha ancora oggi tanta tanta strada da percorrere nella magia del femminile - che sa accogliere la persona e ascoltare gli eventi, stando sempre in campo.

Le donne imparano dalla loro essenza, quindi sanno attrarre, conoscono le cose che servono, comprendono dove e come procedere, sono presenti nel presente - e senza sovrintendere, risolvono i problemi.

Non temono di perdere “posizione”.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Ti senti chiamato a una sintesi spirituale delle personalità, con tutta la virtù e completezza che scaturisce da un’indole variegata?

 

 

[Venerdì 24.a sett. T.O.  19 settembre 2025]

Giovedì, 11 Settembre 2025 05:25

Donne, Azione del Risorto

(Lc 8,1-3)

 

I rabbini non accettavano donne nelle loro scuole, perché ritenute non all’altezza del compito.

Ma Gesù non viene a insegnare leggi o filosofie, bensì a radunare attorno a sé i disprezzati e le non-persone di ogni tempo.

In Cristo ciascuno si apre alla speranza. Chi è considerato senza valore annuncia e testimonia l’amore di Dio per i piccoli e gli ultimi.

Tutto con delicatezza, ed ecco le figure femminili: al narcisismo della messinscena subentra la fedeltà.

Nelle donne la pietà sorge spontanea (non è ideata come per noi maschi: immediatamente all’obiettivo e fonte di guadagno).

Con esse svanisce anche l’ansia di prestazione che accompagna gli uomini, i quali anche sul bene devono subito apparire allestendo pedane e défilé; essere notati, coltivare pubbliche e private relazioni che contano, e farci carriera sopra. Una sindrome ancora ben radicata.

Gesù conquista il cuore delle donne perché ne comprende la generosità, la profondità di sentimenti, la capacità di dedizione e di rapporto personale, di dono di sé estremo; sensibilità, Fede-amore, pazienza, mitezza, generosità, capacità di fatica e sofferenza.

Ciascuno di noi può testimoniare l’importanza di queste note spesso sconosciute al mondo scroccone dei titolati, che vanno diritti a tagliare e separare, organizzare invece che accogliere, sentenziare invece di dialogare, ritenersi a tutti i costi qualcuno - spesso allestendo infantili menzogne.

O per chi preferisce sbivaccare la vita in osteria, sprecare il tempo a sfarfallare o solo per se stessi, piuttosto che usarlo bene e farne tesoro: invece di “ammazzarlo”, le donne lo riempiono a fondo.

Gesù non vuole un’umanità tesa a farsi apprezzare più che al nascondimento, incline al parlare più che al percepire; volentieri propensa all’organizzare-progettare più che al meditare - e intuire la profondità delle nostre Radici.

La prevalenza o l’equilibrio dell’aspetto femminile è un opportuno contrappeso a un mondo targato ‘cristiano’… in occidente sbilanciato sul maschile: prono al dirigismo e all’esercizio della volontà, più che alla coltivazione del sentimento figliale.

Felice quella vocazione che viene accompagnata dall’intensità, dalla profondità, delicatezza, capacità di attendere e insieme coerenza ai princìpi (mai svenduti al miglior offerente) e partecipazione al destino - aspetti tipici della sensibilità femminile e del mondo delle consacrate.

Avendone ricevuto grazia personale da una zia e cugine monache [oltre il dono di spettacolari memorie femminili simili a Maria di Nazaret in famiglia], sospetto che la pennellata di Lc sia testimonianza del peso fondamentale delle donne addirittura quali responsabili, coordinatrici, sostenitrici e animatrici sensibili delle prime realtà fraterne e assemblee di seguaci.

Forse quello di Maria, Giovanna, Susanna, la suocera di Pietro e molte altre dei primi tempi era un ruolo paragonabile a quello di Marta nella famiglia di Betania.

Purtroppo, la convenzione ecclesiastica posteriore non ha dato peso al dato indiscutibile e al discepolato delle donne, appiattendosi sulla sequela al maschile - disvalore che iniziamo a pagare in modo evidente (ma è una grazia: non si smuoverebbe nulla, altrimenti).

 

In Lc la vicenda delle donne esprime l’azione del Risorto.

Egli le accetta come seguaci e discepole. Nelle figure femminili si legge in filigrana la vicenda dell’umanità che in Cristo si rialza e assume dignità - invece di essere ulteriormente vessata.

Essa si rende fraterna nel dolore (invece che solo nella vittoria), prepara il nutrimento (invece di toglierlo), persiste senza forme di maniera.

Chiesa di lotta autentica, dall’interno, e in tale agire con franchezza diventa addirittura icona di preghiera - invece di attenersi al minimo e fare tanta diplomazia, poi manipolare gli ingenui, e mostrarsi solo in passerella.

È Fraternità, ossia solidarietà concreta; modello di dedizione e dono di sé, invece di calcolo e astuzia (modi del sotterfugio; artificiosi, soppesati, intenzionali).

Donne pronte alla vita. Tipo dell’Annuncio: Tesoro scatenante lo Spirito che viceversa i maschi vogliono astutamente trattenere per sé - per padroneggiarlo, rendendolo unilaterale.

Il Gesù in cammino coi Dodici (v.1) ha ancora oggi tanta tanta strada da percorrere, proprio nelle nostre realtà consolidate da tradizioni ritenute indiscutibili, ma strette, cocciute, soffocanti, puerili e sorde.

Esse restano in superficie, così bloccano le espressioni della vita.

La magia del femminile sa invece accogliere la persona e ascoltare gli eventi, stando sempre in campo per realizzare ciò che ci caratterizza.

Le donne imparano dalla loro essenza, quindi sanno attrarre, conoscono le cose che servono, comprendono dove e come procedere, sono presenti nel presente - e senza sovrintendere, risolvono i problemi.

Non temono di perdere “posizione”.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Preferiresti essere accompagnato spiritualmente da una donna o da un uomo? Perché?

La pastorale che langue, secondo te ha o non a che fare con alcune catene di comando unilaterali, in cui si teme di perdere “posizione”?

Ti senti anche chiamato a una sintesi spirituale delle personalità, con tutta la virtù e completezza che scaturisce da un’indole variegata?

Giovedì, 11 Settembre 2025 05:19

Le donne a servizio del Vangelo

Cari fratelli e sorelle,

oggi siamo arrivati al termine del nostro percorso tra i testimoni del cristianesimo nascente che gli scritti neo-testamentari menzionano.  E usiamo l’ultima tappa di questo primo percorso per dedicare la nostra attenzione alle molte figure femminili che hanno svolto un effettivo e prezioso ruolo nella diffusione del Vangelo. La loro testimonianza non può essere dimenticata, conformemente a quanto Gesù stesso ebbe a dire della donna che gli unse il capo poco prima della Passione: «In verità vi dico, dovunque sarà predicato questo vangelo nel mondo intero, sarà detto anche ciò che costei ha fatto, in memoria di lei» (Mt 26,13; Mc 14,9). Il Signore vuole che questi testimoni del Vangelo, queste figure che hanno dato un contributo affinchè crescesse la fede in Lui, siano conosciute e la loro memoria sia viva nella Chiesa. Possiamo storicamente distinguere il ruolo delle donne nel Cristianesimo primitivo, durante la vita terrena di Gesù e durante le vicende della prima generazione cristiana.

Gesù certamente, lo sappiamo, scelse tra i suoi discepoli dodici uomini come Padri del nuovo Israele, gli scelse perché «stessero con lui e anche per mandarli a predicare» (Mc 3,14-l5). Questo fatto è evidente, ma, oltre ai Dodici, colonne della Chiesa, padri del nuovo Popolo di Dio, sono scelte nel numero dei discepoli anche molte donne. Solo molto brevemente posso accennare a quelle che si trovano sul cammino di Gesù stesso, cominciando con la profetessa Anna (cfr Lc 2,36-38) fino alla Samaritana (cfr Gv 4,1-39), alla donna siro-fenicia (cfr Mc 7,24-30), all’emorroissa (cfr Mt 9,20-22) e alla peccatrice perdonata (cfr Lc 7,36-50). Non mi riferisco neppure alle protagoniste di alcune efficaci parabole, ad esempio alla massaia che fa il pane (Mt 13,33), alla donna che perde la dracma (Lc 15,8-10), alla vedova che importuna il giudice (Lc 18,1-8). Più significative per il nostro argomento sono quelle donne che hanno svolto un ruolo attivo nel quadro della missione di Gesù. In primo luogo, il pensiero va naturalmente alla Vergine Maria, che con la sua fede e la sua opera materna collaborò in modo unico alla nostra Redenzione, tanto che Elisabetta poté proclamarla «benedetta fra le donne» (Lc 1,42), aggiungendo: «beata colei che ha creduto» (Lc 1,45). Divenuta discepola del Figlio, Maria manifestò a Cana la totale fiducia in Lui (cfr Gv 2,5) e lo seguì fin sotto la Croce, dove ricevette da Lui una missione materna per tutti i suoi discepoli di ogni tempo, rappresentati da Giovanni (cfr Gv 19,25-27).

Ci sono poi varie donne, che a diverso titolo gravitarono attorno alla figura di Gesù con funzioni di responsabilità. Ne sono esempio eloquente le donne che seguivano Gesù per assisterlo con le loro sostanze e di cui Luca ci tramanda alcuni nomi: Maria di Magdala, Giovanna, Susanna e «molte altre» (cfr Lc 8,2-3). Poi i Vangeli ci informano che le donne, a differenza dei Dodici, non abbandonarono Gesù nell’ora della Passione (cfr Mt 27,56.61; Mc 15,40). Tra di esse spicca in particolare la Maddalena, che non solo presenziò alla Passione, ma fu anche la prima testimone e annunciatrice del Risorto (cfr Gv 20,1.11-18). Proprio a Maria di Magdala San Tommaso d'Aquino riserva la singolare qualifica di «apostola degli apostoli» (apostolorum apostola), dedicandole questo bel commento: «Come una donna aveva annunciato al primo uomo parole di morte, così una donna per prima annunziò agli apostoli parole di vita» (Super Ioannem, ed. Cai, § 2519).

Anche nell’ambito della Chiesa primitiva la presenza femminile è tutt'altro che secondaria. Non insistiamo sulle quattro figlie innominate del “diacono” Filippo, residenti a Cesarea Marittima e tutte dotate, come ci dice san Luca, del «dono della profezia», cioè della facoltà di intervenire pubblicamente sotto l'azione dello Spirito Santo (cfr At 21,9). La brevità della notizia non permette deduzioni più precise. Piuttosto dobbiamo a san Paolo una più ampia documentazione sulla dignità e sul ruolo ecclesiale della donna. Egli parte dal principio fondamentale, secondo cui per i battezzati non solo «non c'è più né giudeo né greco, né schiavo, né libero», ma anche «né maschio, né femmina». Il motivo è che «tutti siamo uno solo in Cristo Gesù» (Gal 3,28), cioè tutti accomunati nella stessa dignità di fondo, benché ciascuno con funzioni specifiche (cfr 1 Cor 12,27-30). L’Apostolo ammette come cosa normale che nella comunità cristiana la donna possa «profetare» (1 Cor 11,5), cioè pronunciarsi apertamente sotto l'influsso dello Spirito, purché ciò sia per l’edificazione della comunità e fatto in modo dignitoso. Pertanto la successiva, ben nota, esortazione a che «le donne nelle assemblee tacciano» (1 Cor 14,34) va piuttosto relativizzata. Il conseguente problema, molto discusso, della relazione tra la prima parola – le donne possono profetare nell’assemblea – e l’altra – non possono parlare -,  della relazione tra queste due indicazioni, apparentemente contraddittorie, lo lasciamo agli esegeti. Non è da discutere qui. Mercoledì scorso abbiamo già incontrato la figura di Prisca o Priscilla, sposa di Aquila, la quale in due casi viene sorprendentemente menzionata prima del marito (cfr At 18,18; Rm 16,3): l’una e l’altro comunque sono esplicitamente qualificati da Paolo come suoi sun-ergoús «collaboratori» (Rm 16,3).

Alcuni altri rilievi non possono essere trascurati. Occorre prendere atto, ad esempio, che la breve Lettera a Filemone in realtà è indirizzata da Paolo anche a una donna di nome «Affia» (cfr Fm 2). Traduzioni latine e siriache del testo greco aggiungono a questo nome “Affia” l’appellativo di “soror carissima” (ibid.) e si deve dire che nella comunità di Colossi ella doveva occupare un posto di rilievo; in ogni caso, è l'unica donna menzionata da Paolo tra i destinatari di una sua lettera. Altrove l'Apostolo menziona una certa «Febe», qualificata come diákonos della Chiesa di Cencre, la cittadina portuale a est di Corinto (cfr Rm 16,1-2). Benché il titolo in quel tempo non abbia ancora uno specifico valore ministeriale di tipo gerarchico, esso esprime un vero e proprio esercizio di responsabilità da parte di questa donna a favore di quella comunità cristiana. Paolo raccomanda di riceverla cordialmente e di assisterla «in qualunque cosa abbia bisogno», poi aggiunge: «essa infatti ha protetto molti, anche me stesso». Nel medesimo contesto epistolare l’Apostolo con tratti di delicatezza ricorda altri nomi di donne: una certa Maria, poi Trifena, Trifosa e Perside «carissima», oltre a Giulia, delle quali scrive apertamente che «hanno faticato per voi» o «hanno faticato nel Signore» (Rm 16,6.12a.12b.15), sottolineando così il loro forte impegno ecclesiale. Nella Chiesa di Filippi poi dovevano distinguersi due donne di nome «Evodia e Sìntiche» (Fil 4,2): il richiamo che Paolo fa alla concordia vicendevole lascia intendere che le due donne svolgevano una funzione importante all’interno di quella comunità.

In buona sostanza, la storia del cristianesimo avrebbe avuto uno sviluppo ben diverso se non ci fosse stato il generoso apporto di molte donne. Per questo, come ebbe a scrivere il mio venerato e caro Predecessore Giovanni Paolo Il nella Lettera apostolica Mulieris dignitatem, «la Chiesa rende grazie per tutte le donne e per ciascuna... La Chiesa ringrazia per tutte le manifestazioni del “genio” femminile apparse nel corso della storia, in mezzo a tutti i popoli e nazioni; ringrazia per tutti i carismi che lo Spirito Santo elargisce alle donne nella storia del Popolo di Dio, per tutte le vittorie che essa deve alla loro fede, speranza e carità: ringrazia per tutti i frutti della santità femminile» (n. 31). Come si vede, l’elogio riguarda le donne nel corso della storia della Chiesa ed è espresso a nome dell’intera comunità ecclesiale. Anche noi ci uniamo a questo apprezzamento ringraziando il Signore, perché egli conduce la sua Chiesa, generazione dopo generazione, avvalendosi indistintamente di uomini e donne, che sanno mettere a frutto la loro fede e il loro battesimo per il bene dell’intero Corpo ecclesiale, a maggior gloria di Dio.

[Papa Benedetto, Udienza Generale 14 febbraio 2007]

Giovedì, 11 Settembre 2025 05:15

Le Donne del Vangelo e la loro vocazione

13. Scorrendo le pagine del Vangelo, passa davanti ai nostri occhi un gran numero di donne, di diversa età e di diverso stato. Incontriamo donne colpite da malattia o da sofferenze fisiche, come la donna che aveva «uno spirito che la teneva inferma, era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo» (cf. Lc 13, 11), o come la suocera di Simone che era «a letto con la febbre» (Mc 1, 30), o come la donna «affetta da emorragia» (cf. Mc 5, 25-34), che non poteva toccare nessuno, perché si riteneva che il suo tocco rendesse l'uomo «impuro». Ciascuna di loro fu guarita, e l'ultima, l'emorroissa, che toccò il mantello di Gesù «tra la folla» (Mc 5, 27), fu da lui lodata per la grande fede: «La tua fede ti ha salvata» (Mc 5, 34). C'è poi la figlia di Giairo, che Gesù fa tornare in vita, rivolgendosi a lei con tenerezza: «Fanciulla, io ti dico, alzati!» (Mc 5, 41). E ancora c'è la vedova di Nain, alla quale Gesù fa ritornare in vita l'unico figlio, accompagnando il suo gesto con un'espressione di affettuosa pietà: «Ne ebbe compassione e le disse: "Non piangere!"» (Lc 7, 13). E infine c'è la Cananea, una donna che merita da parte di Cristo parole di speciale apprezzamento per la sua fede, la sua umiltà e per quella grandezza di spirito, di cui è capace soltanto un cuore di madre: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri» (Mt 15, 28). La donna cananea chiedeva la guarigione della figlia.

A volte le donne, che Gesù incontrava e che da lui ricevevano tante grazie, lo accompagnavano, mentre con gli apostoli peregrinava attraverso città e paesi, annunciando il Vangelo del Regno di Dio; e «li assistevano con i loro beni». Il Vangelo nomina tra loro Giovanna, moglie dell'amministratore di Erode, Susanna e «molte altre» (cf. Lc 8, 1-3).

A volte figure di donne compaiono nelle parabole, con le quali Gesù di Nazareth illustrava ai suoi ascoltatori la verità sul Regno di Dio. Così è nelle parabole della dramma perduta (cf. Lc 15, 8-10), del lievito (cf. Mt 13, 33), delle vergini sagge e delle vergini stolte (cf. Mt 25, 1-13). Particolarmente eloquente è il racconto dell'obolo della vedova. Mentre «i ricchi (...) gettavano le loro offerte nel tesoro (...), una vedova povera vi gettò due spiccioli». Allora Gesù disse: «Questa vedova, povera, ha messo più di tutti (...), nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere» (Lc 21, 1-4). In questo modo Gesù la presenta come modello per tutti e la difende, poiché, nel sistema socio-giuridico di allora, le vedove erano esseri totalmente indifesi (cf. anche Lc 18, 1-7).

In tutto l'insegnamento di Gesù, come anche nel suo comportamento, nulla si incontra che rifletta la discriminazione, propria del suo tempo, della donna. Al contrario, le sue parole e le sue opere esprimono sempre il rispetto e l'onore dovuto alla donna. La donna ricurva viene chiamata «figlia di Abramo» (Lc 13, 16): mentre in tutta la Bibbia il titolo di «figlio di Abramo» è riferito solo agli uomini. Percorrendo la via dolorosa verso il Golgota, Gesù dirà alle donne: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me» (Lc 23, 28). Questo modo di parlare delle donne e alle donne, nonché il modo di trattarle, costituisce una chiara «novità» rispetto al costume allora dominante.

Ciò diventa ancora più esplicito nei riguardi di quelle donne che l'opinione corrente indicava con disprezzo come peccatrici, pubbliche peccatrici e adultere. Ecco la Samaritana, alla quale lo stesso Gesù dice: «Infatti hai avuto cinque mariti, e quello che hai ora non è tuo marito». Ed essa, sentendo che egli conosceva i segreti della sua vita, riconosce in lui il Messia e corre ad annunciarlo ai suoi compaesani. Il dialogo, che precede questo riconoscimento, è uno dei più belli del Vangelo (cf. Gv 4, 7-27).

Ecco poi una pubblica peccatrice, che, nonostante la condanna da parte dell'opinione comune, entra nella casa del fariseo per ungere con olio profumato i piedi di Gesù. All'ospite che si scandalizzava di questo fatto egli dirà di lei: «Le sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato» (cf. Lc 7, 37-47).

Ecco, infine, una situazione che è forse la più eloquente: una donna sorpresa in adulterio è condotta da Gesù. Alla domanda provocatoria: «Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?», Gesù risponde: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». La forza di verità, contenuta in questa risposta, è così grande che «se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani». Rimangono solo Gesù e la donna. «Dove sono? Nessuno ti ha condannata?». «Nessuno, Signore». «Neanch'io ti condanno, va' e d'ora in poi non peccare più» (cf. Gv 8, 3-11).

Questi episodi costituiscono un quadro d'insieme molto trasparente. Cristo è colui che «sa che cosa c'è nell'uomo» (cf. Gv 2, 25), nell'uomo e nella donna. Conosce la dignità dell'uomo, il suo pregio agli occhi di Dio. Egli stesso, il Cristo, è la conferma definitiva di questo pregio. Tutto ciò che dice e che fa ha definitivo compimento nel mistero pasquale della redenzione. L'atteggiamento di Gesù nei riguardi delle donne, che incontra lungo la strada del suo servizio messianico, è il riflesso dell'eterno disegno di Dio, che, creando ciascuna di loro, la sceglie e la ama in Cristo (cf. Ef 1, 1-5). Ciascuna, perciò, è quella «sola creatura in terra che Dio ha voluto per se stessa». Ciascuna dal «principio» eredita la dignità di persona proprio come donna. Gesù di Nazareth conferma questa dignità, la ricorda, la rinnova, ne fa un contenuto del Vangelo e della redenzione, per la quale è inviato nel mondo. Bisogna, dunque, introdurre nella dimensione del mistero pasquale ogni parola e ogni gesto di Cristo nei confronti della donna. In questo modo tutto si spiega compiutamente.

[Papa Giovanni Paolo II, Mulieris Dignitatem]

Giovedì, 11 Settembre 2025 05:05

Fa bello il mondo

Oggi, 8 marzo, vorrei anche dire qualcosa sul contributo insostituibile della donna nel costruire un mondo che sia casa per tutti. La donna è colei che fa bello il mondo, che lo custodisce e mantiene in vita. Vi porta la grazia che fa nuove le cose, l’abbraccio che include, il coraggio di donarsi. La pace è donna. Nasce e rinasce dalla tenerezza delle madri. Perciò il sogno della pace si realizza guardando alla donna. Non è un caso che nel racconto della Genesi la donna sia tratta dalla costola dell’uomo mentre questi dorme (cfr Gen 2,21). La donna, cioè, ha origine vicino al cuore e nel sonno, durante i sogni. Perciò porta nel mondo il sogno dell’amore. Se abbiamo a cuore l’avvenire, se sogniamo un futuro di pace, occorre dare spazio alla donna.

[Papa Francesco, discorso dell’8 marzo 2019]

Mercoledì, 10 Settembre 2025 03:58

L’Amore intruso, nella Casa perbene di Simone

E i Piedi di Gesù, baciati dall’ospite imprevista e censurata

(Lc 7,36-50)

 

È l’Amore quel cammino di perfezione desiderato da Dio per farci crescere, e a nostro favore - non un formalismo sterilizzato da severi censori.

Ciò che unisce sul serio nelle convinzioni viene da dentro, dal nostro Nucleo; non dipende dall’esterno.

L’Amore non si programma a tavolino o sulla base di modelli. Esprime il cuore con sincerità.

Non è una realtà che soggiace a distanze che ritengono gli altri dei ficcanaso.

Quindi l’empatia e l’amorevolezza non appaiono o scompaiono a comando, secondo codice o stagione.

Appartengono al lato profondo dell’essere donne e uomini d’ogni tempo.

 

È la passione che può condurre l’esistenza nello Spirito in modo pregevole, non un paesaggio rituale.

L’Amore con tutto il cuore scatta quando abbiamo bisogno di fare l’Incontro decisivo: quell’occasione che sentiamo ci farà aprire le porte a risorse, capacità, talenti, energie, altrimenti inespresse o soffocate.

 

Sciogliendosi i capelli in pubblico, la “peccatrice” sembra quasi figura della ‘barchetta minore’ che si porge e non offre resistenza ma solo supporto a quella protagonista (Lc 5,2.7.11).

Si tratta d’una comunità spuria e seconda, rispetto alla chiesa ufficiale degli apostoli sempre “vicini” - e di estrazione culturale frammista, a differenza della prima comunità ancora giudaizzante.

Essa si propone al Tu-per-tu con un gesto d’indipendenza: ha bisogno di un rapporto più spontaneo e personale col Signore, unico che la guarda in modo non superficiale.

Relazione impedita proprio da coloro che si assiepano attorno a Lui, ma non apprezzano il favore ricevuto, sebbene da molto tempo partecipino del banchetto [eucaristico].

 

La ‘sicurezza’ dei meccanismi e delle idee condite di pregiudizio impedisce di sperimentare il Gratis. Ecco il legame lacrime-Perdono.

Chi allontana gli imprevedibili non fa scaturire nessuna forza interiore nuova. Teme qualsiasi sobbalzo che possa incrinare il suo mondo abitudinario e ingessato.

Gli habitué bloccano qualsivoglia emancipazione o scoperta. Non amano le persone che hanno bisogno di liberarsi dalle strettoie della vita.

Non sono adoratori del grande Cammino del Maestro [cf. il continuo riferimento ai suoi «Piedi»].

 

L’adesione intima totale viene prima di ogni cosa che possiamo adempiere o pensare.

Il trasporto tutto umano privo di cortine è quel che non ci renderebbe stracolmi di supponenza e incapaci di riconoscere i suoi Doni.

Chi è convinto di dare lui qualcosa a Dio, certo non lo ama.

E la scelta che ci riguarda è fra particolari trascurabili o entrare nel cuore dell’autentica Relazione.

Su questo piano, il padrone di Casa soffre subito vertigini.

Simone è impaurito dalla sola idea che il Maestro tenti di farlo entrare in una nuova logica: «Suppongo...» (v.43).

 

Il brano di Vangelo vuol farci riflettere su chi è più disposto a crescere e amare.

Chiediamoci: sono essi coloro che [come Simone] possono allestire paraventi perbenisti, oppure le piccole anime che spontaneamente si accostano alla propria ‘sorgente’ - prive di maschera sociale?

 

Insomma, la Redenzione è frutto d’immediatezza personale commossa, persino già ottenuta senza opere di legge

 

 

[Giovedì 24.a sett. T.O.  18 settembre 2025]

Mercoledì, 10 Settembre 2025 03:54

L’Amore intruso, nella Casa perbene di Simone

E i Piedi di Gesù, baciati dall’ospite imprevista e censurata

 

(Lc 7,36-50)

 

È l’Amore quel cammino di perfezione desiderato da Dio per farci crescere, e a nostro favore - non il formalismo sterilizzato e la potenza coattiva allestiti a Casa di Simone (in Chiesa, da Pietro e altri severi censori).

Ciò che unisce sul serio nelle convinzioni viene da dentro, dal nostro Nucleo; non dipende dall’esterno.

L’Amore non si programma a tavolino o sulla base di modelli sacrali, né sopporta binari cerebrali e moralisti. Esprime il cuore con sincerità.

Non è una realtà che soggiace a distanze sociali, di ceto - o cerchia più o meno disciplinata dal mestiere (dipendente dal “dietro le quinte”) che resiste all’obbligo di unirsi ai diversi, ritenuti inadeguati impuri ficcanaso.

Quindi l’empatia e l’amorevolezza non appaiono o scompaiono a comando, a progetto e secondo codice, disciplina, stagione.

Appartengono al lato profondo dell’essere donne e uomini d’ogni tempo.

Non è un perbenismo di facciata, né il paesaggio rituale, che possono condurre l’esistenza nello Spirito in modo pregevole, ma la passione.

Ecco il legame lacrime-Perdono.

I formalismi eterodiretti - con le loro formule poco festose e che non ci appartengono - annientano la nostra essenza e le emozioni più potenti.

Il patto sociale preteso dalla gerontocrazia è un riferimento sempre fuori di noi: e sarà il solito bene della tradizione, dell’opinione, dell’ambiente circostante, del calcolo in situazione, delle maniere e del “giro”; in ogni caso, di altri.

Siamo davvero vuoti a perdere, o destinati solo a dover sostenere i veterani, senza spazi per la testimonianza critica e un linguaggio attivo? 

E sotto a imitare “padri”, modelli, codici già progettati (persino nei minimi dettagli) a uso dei sentimenti tradizionali di assemblee sempre più attempate?

L’Amore con tutto il cuore scatta quando abbiamo bisogno di fare l’Incontro decisivo: quell’occasione che sentiamo ci farà aprire le porte a risorse, capacità, talenti, energie, altrimenti inespresse o soffocate.

Sciogliendosi i capelli in pubblico, la “peccatrice” sembra quasi figura della “barchetta” minore, che si porge e non offre resistenza ma solo supporto a quella protagonista (Lc 5,2.7.11).

Si tratta d’una comunità spuria e seconda, rispetto alla chiesa ufficiale degli apostoli sempre “vicini” - e di estrazione culturale frammista, a differenza della prima comunità ancora giudaizzante.

Essa si propone al Tu-per-tu con un gesto d’indipendenza: ha bisogno d’un rapporto più spontaneo e personale col Signore, unico che la guarda in modo non superficiale.

Relazione impedita proprio da coloro che si assiepano attorno a Lui, ma per mettergli il bavaglio, e a cuccia.

Gli habitué - tutti prevedibili - non apprezzano il favore ricevuto, sebbene da molto tempo partecipino del banchetto (eucaristico), ma ormai solo da praticanti delle più ribadite litanie.

La “sicurezza” dei meccanismi e delle idee condite di pregiudizio impedisce di sperimentare il Gratis.

 

Invece di accogliere, le vecchie guide allontanavano; convivevano solo coi loro seguaci - servili e cortigiani - nel mondo degli incantesimi arcaici.

Non facevano scaturire nessuna forza interiore nuova. Temevano qualsiasi sobbalzo che potesse incrinare il loro piedistallo.

Bloccavano qualsivoglia emancipazione o scoperta. Non amavano le persone che avevano bisogno di liberarsi dalle strettoie della vita.

Non erano adoratori del grande Cammino del Maestro (cf. il continuo riferimento ai suoi «piedi») ma pedissequi mercanti di segni astratti - già consolidati o di contrabbando - e d’un Gesù ridotto a immobile sfinge (o icona devota, rituale e “culturale”).

 

L’adesione intima totale viene prima di ogni cosa che possiamo adempiere o pensare. Non si combina con l’opportunismo di posizione per Cristo.

Il trasporto tutto umano privo di cortine è quel che non ci renderebbe stracolmi di supponenza e incapaci di riconoscere i suoi Doni.

Chi è convinto di dare lui qualcosa a Dio, certo non lo ama. Tiene solo a se stesso: l’apparenza predatrice, ingannevole.

Ancora oggi la scelta che ci riguarda è fra particolari trascurabili o entrare nel cuore dell’autentica Relazione.

Su questo piano, il padrone di Casa soffriva vertigini subito, fin d’allora.

Simone è impaurito dalla sola idea che il Maestro tenti di farlo entrare in una nuova logica: «Suppongo...» (v.43).

Teme l’incombere di qualsiasi scossone alternativo, che possa incrinare il suo mondo abitudinario e ingessato.

 

Mentre il mondo reale segue i suoi cicli, gli arroccati pretendono stabilità - ma così bloccano la crescita.

Accettando invece gli imprevisti, scopriamo versanti inesplorati, che accostano potenzialità insite cui non avevamo concesso spazio.

I mutamenti continui sono semplicemente il sale della vita. E la stessa fine di un paradigma religioso-culturale è inevitabile.

Diventa fondamentale perciò assumere un atteggiamento genuino, e mettersi in gioco.

 

La Salvezza è frutto d’immediatezza personale commossa, e persino già ottenuta senza opere di legge: non rapporto di lavoro e ipocrisia [straordinari contro compenso] in ambienti asettici, con cuori invecchiati, assuefatti e pieni di muffa.

Insomma, il brano di Vangelo vuol farci riflettere su chi è più disposto ad amare: coloro che possono allestire paraventi dietro i quali consentirsi anche ciò che rinnegano in modo plateale… oppure le piccole anime che spontaneamente si accostano alla propria ‘sorgente’ - prive di maschera sociale?

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Guardando il nostro comportamento, gli emarginati dal giro perbenista avrebbero certezza di essere accolti spontaneamente e gratuitamente da noi oggi?

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Simon, a Pharisee and rich 'notable' of the city, holds a banquet in his house in honour of Jesus. Unexpectedly from the back of the room enters a guest who was neither invited nor expected […] (Pope Benedict)
Simone, fariseo e ricco “notabile” della città, tiene in casa sua un banchetto in onore di Gesù. Inaspettatamente dal fondo della sala entra un’ospite non invitata né prevista […] (Papa Benedetto)
«The Russian mystics of the first centuries of the Church gave advice to their disciples, the young monks: in the moment of spiritual turmoil take refuge under the mantle of the holy Mother of God». Then «the West took this advice and made the first Marian antiphon “Sub tuum Praesidium”: under your cloak, in your custody, O Mother, we are sure there» (Pope Francis)
«I mistici russi dei primi secoli della Chiesa davano un consiglio ai loro discepoli, i giovani monaci: nel momento delle turbolenze spirituali rifugiatevi sotto il manto della santa Madre di Dio». Poi «l’occidente ha preso questo consiglio e ha fatto la prima antifona mariana “Sub tuum praesidium”: sotto il tuo mantello, sotto la tua custodia, o Madre, lì siamo sicuri» (Papa Francesco)
The Cross of Jesus is our one true hope! That is why the Church “exalts” the Holy Cross, and why we Christians bless ourselves with the sign of the cross. That is, we don’t exalt crosses, but the glorious Cross of Christ, the sign of God’s immense love, the sign of our salvation and path toward the Resurrection. This is our hope (Pope Francis)
La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. Cioè, noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell’amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E questa è la nostra speranza (Papa Francesco)
The basis of Christian construction is listening to and the fulfilment of the word of Christ (Pope John Paul II)
Alla base della costruzione cristiana c’è l’ascolto e il compimento della parola di Cristo (Papa Giovanni Paolo II)
«Rebuke the wise and he will love you for it. Be open with the wise, he grows wiser still; teach the upright, he will gain yet more» (Prov 9:8ff)
«Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s)
These divisions are seen in the relationships between individuals and groups, and also at the level of larger groups: nations against nations and blocs of opposing countries in a headlong quest for domination [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
Queste divisioni si manifestano nei rapporti fra le persone e fra i gruppi, ma anche a livello delle più vaste collettività: nazioni contro nazioni, e blocchi di paesi contrapposti, in un'affannosa ricerca di egemonia [Reconciliatio et Paenitentia n.2]
But the words of Jesus may seem strange. It is strange that Jesus exalts those whom the world generally regards as weak. He says to them, “Blessed are you who seem to be losers, because you are the true winners: the kingdom of heaven is yours!” Spoken by him who is “gentle and humble in heart”, these words present a challenge (Pope John Paul II)
È strano che Gesù esalti coloro che il mondo considera in generale dei deboli. Dice loro: “Beati voi che sembrate perdenti, perché siete i veri vincitori: vostro è il Regno dei Cieli!”. Dette da lui che è “mite e umile di cuore”, queste parole  lanciano una sfida (Papa Giovanni Paolo II)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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