don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Lunedì, 21 Luglio 2025 09:59

«Padre (Nostro)»: per le Beatitudini

Martedì, 15 Luglio 2025 22:10

16a Domenica T.O. (anno C)

16a Domenica T.O. (anno C) [20 luglio 2025]

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! L’estate per chi può è tempo in cui si può dedicare più ascolto alla Parola e pregare per quanti invece vivono così immersi nelle preoccupazioni al punto da credere di non aver tempo per pregare.

 

*Prima Lettura dal Libro della Genesi (18, 1-10)

Mambré è un abitante del paese di Canaan che, in diverse occasioni, ha offerto ospitalità ad Abramo nel suo bosco di querce (vicino all’attuale città di Hebron). Sappiamo che per i Cananei le querce erano alberi sacri. Questo racconto riferisce un’apparizione di Dio nel bosco appartenente a Mambré. Ma, in realtà, non è la prima volta che Dio parla ad Abramo. Fin dal capitolo 12, il libro della Genesi ci narra le ripetute apparizioni e promesse di Dio ad Abramo. Ma, per il momento, nulla è ancora accaduto e Abramo e Sara stanno per morire senza figli. Si dice spesso che Dio ha scelto un popolo, ma in realtà  Dio ha scelto prima un uomo – e per di più, un uomo senza figli. E proprio a quest’uomo privo di futuro (almeno secondo criteri umani) Dio ha fatto una promessa inaudita: “Farò di te una grande nazione… In te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gen 12,2-3). A questo vecchio sterile, ha detto: “Conta le stelle, se riesci… Così sarà la tua discendenza”. Solo su questa promessa, apparentemente irrealizzabile, Abramo ha deciso di giocarsi tutta la vita. Abramo non dubitava che Dio avrebbe mantenuto la sua parola, ma conosceva bene l’ostacolo evidente: lui e Sara erano sterili o almeno tali credevano di essere, visto che a settantacinque e sessantacinque anni erano ancora senza figli. Abramo aveva immaginato delle soluzioni: Dio mi ha promesso una discendenza, ma, in fondo, il mio servo è come un figlio. “Signore Dio, che cosa mi darai? Vado via senza figli, e l’erede della mia casa è Eliezer di Damasco” (Gen 15,2). Ma Dio rifiutò: “Non costui sarà tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede” (Gen 15,4). Qualche anno più tardi, quando Dio tornò a parlare di quella nascita, Abramo non poté fare a meno di ridere (Gen 17,17); poi pensò a un’altra soluzione: potrebbe essere il mio vero figlio, Ismaele, quello che ho avuto dall’unione (autorizzata da Sara) con Agar. “Potrà forse nascere un figlio a un uomo di cent’anni? E Sara, a novant’anni, potrà ancora partorire?… Possa Ismaele vivere davanti a te!” Ma anche questa volta Dio rifiutò: “No! Tua moglie Sara ti partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco” (Gen 17,19). La Promessa è la Promessa. Il brano che leggiamo questa domenica presuppone tutta questa lunga storia di Alleanza di venticinque anni, secondo la Bibbia. L’evento si svolge vicino alla quercia di Mambré. Tre uomini apparvero ad Abramo e accettarono la sua ospitalità. Fermiamoci qui. Contrariamente a quanto si pensa, il punto centrale del testo non è l’ospitalità generosa offerta da Abramo! All’epoca, in quella civiltà, non era niente di straordinario, per quanto esemplare potesse essere. Il messaggio dell’autore, ciò che suscita la sua ammirazione e che lo spinge a scrivere per tramandare alle generazioni future, è molto più grande! È accaduto l’impensabile: per la prima volta nella storia dell’umanità, Dio in persona si è fatto ospite di un uomo! Nessuno ha dubbi sul fatto che i tre illustri visitatori rappresentino Dio. La lettura del testo, per noi, è un po’ difficile, perché non si capisce bene se ci sia un solo visitatore o più di uno: Abramo alzò gli occhi e vide tre uomini… disse: mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi… si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi… andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi…Dov’è Sara, tua moglie?… Tornerò da te fra un anno… tua moglie avrà un figlio. In realtà, l’autore scrive molto tempo dopo, sulla base di racconti diversi. Di tutte queste fonti, ne fa una sola, armonizzando il tutto il più possibile. E poiché vuole evitare ogni apparenza di politeismo, si preoccupa di ribadire più volte che Dio è uno solo. All’epoca l’autore non poteva immaginare che fosse la Trinità, ma certamente Abramo ha riconosciuto senza esitazione, in quei tre visitatori, la presenza divina. Dio, dunque – perché è proprio Lui, senza dubbio – si è fatto ospite nella casa di Abramo. E per dirgli cosa? Per confermargli quel progetto inaudito che aveva per lui: l’anno prossimo, in questo stesso tempo la vecchia Sara avrà un figlio. E da questo figlio nascerà un popolo che sarà lo strumento della benedizione divina. Sara, che stava origliando dietro la tenda, non poté trattenere una risata: erano così vecchi tutti e due e il viandante rispose con una frase che non dovremmo mai dimenticare: “C’è forse qualcosa d’impossibile per il Signore?” (Gen 18,14). E l’impossibile accadde: nacque Isacco, primo anello della discendenza promessa, numerosa come le stelle del cielo.

 

*Salmo responsoriale (14 /15, 1a. 2-3a, 3bc-4ab, 4d-5)

I salmi sono stati tutti composti per accompagnare un’azione liturgica durante i pellegrinaggi e le feste al Tempio di Gerusalemme e il Salterio potrebbe essere paragonato ai libretti dei canti che troviamo nelle nostre chiese. Qui, il pellegrino arriva alle porte del Tempio e pone la domanda: sono degno di entrare? La risposta si trova nel Libro del Levitico: “Siate santi, perché io sono santo” (19,2) e questo salmo ne trae le conseguenze: a colui che desidera entrare nel Tempio (la “casa” di Dio), deve avere una condotta degna del Dio santo. “Chi dimorerà sulla tua santa montagna? (v.1) La risposta è semplice: “Colui che cammina senza colpa, pratica la giustizia e dice la verità che ha nel cuore” (v.2) e i versetti seguenti lo precisano: essere giusto, essere vero, non fare torto a nessuno. In fin dei conti tutto questo richiama il Decalogo (Es 20) e l’identikit dell’uomo giusto tracciato da Ezechiele (Ez 18,5-9). Michea riprende esattamente la domanda del nostro salmo e la sviluppa (Mi 6,6-8) come anche Isaia, suo contemporaneo (Is 33,15-16). Un po’ più tardi, anche Zaccaria sentirà il bisogno di ripeterlo (Zc 8,16-17). Leggendo questi testi che indico solamente ma che è utile andare a meditare, si capisce quanto sia indispensabile attendere l’intervento di Colui che può trasformare i nostri cuori di pietra in cuori di carne, come dice Ezechiele. Tutto ci aiuta a rileggere questo salmo applicandolo a Gesù che i vangeli descrivono “mite e umile di cuore” (Mt 11,29), attento agli esclusi: i lebbrosi (Mc 1), la donna adultera (Gv 8), malati e indemoniati ebrei o pagani. Gesù è completamente estraneo alle logiche del profitto e non ha nemmeno dove posare il capo. Gesù ci aiuta a rileggere il versetto 3: “Non sparge calunnie con la sua lingua, non fa danno al suo prossimo, non lancia insulti al suo vicino” dandogli una dimensione nuova e insegnando nella parabola del buon Samaritano che il cerchio dei nostri “prossimi” può allargarsi all’infinito. Il v 4: “Ai suoi occhi è spregevole il malvagio” potrebbe apparire una stonatura in mezzo a tutti questi bei sentimenti: probabilmente però indica un impegno di fedeltà perché il “malvagio” è l’infedele, l’idolatra e il pellegrino deve rifiutare ogni forma di idolatria per cui in Israele la fedeltà al Dio unico è stata un combattimento costante. Infine, il richiamo alle esigenze dell’Alleanza costituisce una catechesi rivolta ai pellegrini, non una condizione per entrare nel Tempio perché diversamente nessuno avrebbe mai potuto entrarci eccetto Gesù di Nazaret il solo Santo.

 

*Seconda Lettura dalla Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi (1, 24 – 28)

“Sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa”. Come intendere la prima frase di questo testo? Manca qualcosa alle sofferenze di Cristo? Oppure, ci sono altre sofferenze da sopportare da parte nostra per “compensare”, in qualche modo? In verità ci sono sofferenze ancora da sopportare, poiché Paolo lo afferma, ma non si tratta di completare una misura. Non è il frutto di una pretesa divina, bensì una necessità  dovuta alla durezza del cuore umano. Ciò che resta da soffrire sono le difficoltà, le opposizioni, persino le persecuzioni, che ogni opera di evangelizzazione incontra. Gesù lo ha detto chiaramente, prima e dopo la sua Passione e  Risurrezione. Se il Figlio dell’uomo ha dovuto soffrire molto, rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, messo a morte e il terzo giorno risorgere (cf Lc 9,22), analogo destino sarà quello dei suoi discepoli: Vi consegneranno ai tribunali e alle sinagoghe, sarete percossi, comparirete davanti a governatori e re a causa mia e ciò sarà per voi un’occasione di testimonianza, ma prima, bisogna che il Vangelo sia proclamato a tutte le nazioni (cf Mc 13,9-10). L’avvertimento è che finché la missione non sarà conclusa, il discepolo dovrà continuare a faticare, affrontare difficoltà, persino persecuzioni certamente non per decreto divino, come se Dio desiderasse la sofferenza dei suoi figli e contasse le loro lacrime perché una simile supposizione deformerebbe l’immagine del Dio di tenerezza e di compassione che Mosè stesso aveva già scoperto. Due per Paolo sono le caratteristiche qualificanti il discepolo di Cristo: l’imitazione del divino Maestro sofferente e l’annuncio del “mistero” (v.26) La prima caratteristica è descritta in questo difficile versetto iniziale e sant’Agostino applica questa partecipazione alle sofferenze di Cristo a tutti i cristiani che soffrono perché l’intera comunità sia purificata dal male. La seconda caratteristica è l’annuncio, l’impegno missionario il cui contenuto è “il mistero”, il progetto cioè della salvezza rivelato in Cristo. Per l’opera dell’evangelizzazione, Dio chiama dei collaboratori perché non vuole agire senza di noi. Il mondo però rifiuta di ascoltare la Parola e resiste con tutte le sue forze alla diffusione del vangelo, un’opposizione che arriva fino a perseguitare e sopprimere i martiri, testimoni scomodi. È esattamente ciò che Paolo sta vivendo, imprigionato per aver parlato troppo di Gesù di Nazaret. Nelle sue lettere alle giovani comunità cristiane, egli incoraggia spesso i destinatari ad accettare, a loro volta, l’inevitabile persecuzione (cf 1Ts 3,3). E anche Pietro dice la stessa cosa: “Resistete, saldi nella fede, sapendo che le stesse sofferenze sono riservate ai vostri fratelli sparsi nel mondo.” (1Pt 5,9-10).  Dunque non ci si deve arrendere e occorre annunciare Cristo,  malgrado tutto, “ ammonendo ogni uomo, istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.”(v.28).  Cristo ha iniziato, a noi il compito di portare a compimento l’opera dell’annuncio e in tal modo la Chiesa cresce poco a poco, come Corpo di Cristo. Nella Prima Lettera ai Corinzi (1Cor 12) l’immagine del corpo serviva per parlare dell’armonia tra i membri all’interno di ogni Chiesa locale. Qui invece la visione di Paolo si amplia e contempla la Chiesa universale, grande corpo di cui Cristo è il capo.  Questo mistero, disegno di Dio è stato rivelato ai cristiani, e diventa per loro fonte inesauribile di gioia e di speranza: “Cristo in voi, lui, speranza della gloria!” (v. 27) ed è lo stupore della presenza del Cristo in mezzo a loro che trasforma i credenti in testimoni. Allora comprendiamo meglio la frase iniziale del testo di oggi: Trovo la gioia nelle sofferenze che sopporto per voi, poiché quello che manca alle sofferenze di Cristo, lo completo nella mia carne, per il bene del suo corpo che è la Chiesa.

 

*Dal Vangelo secondo Luca (10, 38-42)

“Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33): questo è forse il miglior commento alla lezione di Gesù nella casa di Marta e Maria, un racconto esclusivo dell’evangelista Luca che segue immediatamente la parabola del buon samaritano. Gesù è in cammino con i discepoli verso Gerusalemme, occasione per lui di dare molte istruzioni ai suoi discepoli offrendo punti di riferimento che li aiutino a restare fedeli alla vocazione di seguirlo. Ha prima raccomandato ai discepoli in missione di accettare l’ospitalità (cf Lc 9,4; 10,5-9) e ora volentieri entra in questa casa a Betania che ben conosceva. Bisogna evitare di contrapporre Marta, l’attiva, a Maria, la contemplativa, perché l’evangelista sembra piuttosto concentrarsi sulla relazione dei discepoli con il Signore, come si percepisce dal contesto e dalla ripetizione del termine “Signore”, che compare tre volte: Maria stava seduta ai piedi del Signore… Marta disse: Signore, non ti importa? Il Signore le rispose.... L’uso insistito di questo termine indica che la relazione descritta da Luca tra Gesù e le due sorelle, Marta e Maria, non va giudicata secondo i criteri umani del “buon comportamento”, ma secondo ciò che il Maestro desidera insegnare ai suoi discepoli. Qui invita al discernimento di ciò che è la “parte migliore”, cioè l’atteggiamento essenziale e indispensabile nella vita e nella missione dei cristiani. Le due donne accolgono il Signore con tutta la loro attenzione: Marta è assorbita da molte faccende legate al servizio, Maria s’intrattiene con l’ospite ascoltandolo e non perde nessuna delle sue parole. Non si può dire che una sia attiva e l’altra contemplativa: entrambe, a loro modo, sono totalmente concentrate su di lui. L’evangelista si focalizza su Gesù che parla, anche se non ci viene detto che cosa dica, mentre Maria, “seduta ai pedi del Signore” ascolta con l’atteggiamento del discepolo per lasciarsi istruire (cf. Is 50). Marta protesta: “Signore, non ti importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. E qui Gesù pronuncia una frase che ha fatto versare molto inchiostro: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose”. Gesù non rimprovera Marta per il suo desiderio di accoglierlo bene perché, nella cultura dell’ospitalità (soprattutto in Oriente), l’accoglienza significava preparare un buon pasto: “uccidere il vitello grasso”. L’agitazione e l’inquietudine di Marta ispirano a Gesù un insegnamento utile per tutti i suoi discepoli perché va all’essenziale: “Di una cosa solo c’è bisogno”: cioè tutto è utile se non si dimentica però “la parte migliore” cioè l’essenziale. Nella vita, tutti dobbiamo essere sia Marta che Maria, ma attenzione a non confondere le priorità. Gesù riprenderà questa lezione più avanti, in modo più esteso (Lc 12,22-32) che però la liturgia non sempre lo propone. Mi permetto allora di richiamarlo: “Non preoccupatevi per la vostra vita, di ciò che mangerete, né per il corpo, di cosa vi vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito... Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, quanto più vestirà voi, gente di poca fede! Non cercate dunque che cosa mangerete o che cosa berrete, e non state con l’animo in ansia. Sono i pagani del mondo che ricercano tutte queste cose, ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il suo Regno, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta”. Gesù ci mette in guardia dal rischio che le preoccupazioni d’ogni giorno c’impediscano di ascoltare la sua parola che è “la parte migliore”. Dedicandoci al servizio come Marta, dobbiamo evitare di dimenticare che è sempre Dio a prendersi cura di noi e non il contrario. Possiamo parafrasare le parole di Gesù così: Marta, per accogliermi tu ti affanni e ti agiti facendo molte cose utili, ma il modo migliore è sapere che sono io a voler fare delle cose per te e quindi restami in ascolto.

+ Giovanni D’Ercole

Lunedì, 14 Luglio 2025 04:56

La Nuova Creazione, dall’Ascolto

(Gv 20,1-2.11-18)

 

Mc narra di un giovane vestito di bianco, Mt di un angelo, Lc di due uomini vestiti di bianco, Gv di due angeli.

I racconti sull’annunciazione e sugli annunciatori della Risurrezione non si conciliano secondo il nostro modo di raccontare.

Per evitare una limitata visuale circa la vittoria della Vita, è opportuno comprendere che non stiamo celebrando un’apparizione del Risorto, ma la sua Manifestazione [testo greco].

Non appare solo a qualcuno - ad altri no: si Manifesta. Lo sperimentiamo.

E c’è una nuova Creazione: ora non si riconosce Gesù quando lo si vede, ma allorché si ascolta (v.16).

Il Signore si fa vedere non nel momento della visione, bensì nel tempo della Parola, dell’Appello personale che fa «voltare» lo sguardo dal senso di marcia irrilevante che si aggrappa all’immagine di “ieri”.

L’esperienza del Cristo vivo esclude i ricordi da custodire piangendo.

È relazione attuale e fondata, convincente, ricca di sfaccettature e accessibile - diretta.

La stessa osservanza della legge antica [v.1: nel caso particolare, del sabato] sembra ritardare l’esperienza della forza dirompente della rinascita, nello Spirito.

 

Man mano, nelle comunità si stavano riattivando quelle energie personali primordiali che neppure i ricatti, le intimidazioni e le emarginazioni dell’apparato istituzionale potevano sfiorare.

L’Incarnazione continuava, dispiegandosi nei credenti; risvegliando in essi nuovi stati creativi.

I fedeli erano sull’onda virtuosa ed entusiasmante di una ulteriore modifica fondamentale: adesso si sentivano «fratelli» del Risorto (v.17).

Il rapporto di ‘discepolato’ (Gv 13,13) cresciuto in ‘amicizia’ (Gv 15,15) diventava quello dei consanguinei che si sentivano ‘figli’.

[Gv 1,11-12: «Venne tra i suoi, e i suoi non lo accolsero. Ma a quanti lo ricevettero diede loro potere di diventare figli di Dio; a quelli che credono nel suo Nome» - ossia aderiscono a tutta la sua parola, vicenda e azione; anche problematica, dolorosa, di denuncia].

Iniziava così l’Annuncio esplicito, malgrado la parte di “chiesa” davvero vitale e sempre più determinata si dimostrava essere quella periferica e proveniente dai pagani [nella figura della Maddalena].

Donna: Assemblea autentica nello Spirito.

Campo sterminato di umiliati, che tuttavia in Cristo Risorto «si vede» e si sblocca; acquista nuovo respiro, supera lo sconforto, il disorientamento, l’incertezza.

 

Ancora oggi la ricerca del nostro Rabbunì può nascere anche dal senso di perdita, o dalle percosse subite - ma è scandita d’incontri pasquali e tappe di nuova consapevolezza.

Nuovi Ascolti, che infrangono le rassicurazioni. Il Risorto è radicale novità: ferita dentro e slancio.

Solo nell’esperienza del ‘rinascere trasmettendolo’ si scatena lo Spirito che appassiona e carica - e il Vivente non resta un estraneo o qualcuno di cui ci si è già fatta un’idea.

C’è una situazione senza precedenti.

Ma chi se ne accorge? Malgrado la trascuratezza che subiscono, solo le anime spose - le poco considerate.

 

 

[s. Maria Maddalena, 22 luglio]

Lunedì, 14 Luglio 2025 04:52

La Nuova Creazione, dall’Ascolto

Fossilizzato nelle reminiscenze, o Annunciato da Fratelli

(Gv 20,1-2.11-18)

 

«A quei tempi, in Israele, la testimonianza delle donne non poteva avere valore ufficiale, giuridico, ma le donne hanno vissuto un’esperienza di legame speciale con il Signore, che è fondamentale per la vita concreta della comunità cristiana, e questo sempre, in ogni epoca, non solo all’inizio del cammino della Chiesa» [Papa Benedetto, Regina Coeli 9 aprile 2012].

 

Mc narra di un giovane vestito di bianco, Mt di un angelo, Lc di due uomini vestiti di bianco, Gv di due angeli.

I racconti sull’annunciazione e sugli annunciatori della Risurrezione non si conciliano secondo il nostro modo di raccontare.

Per evitare una limitata visuale circa la vittoria della Vita, è opportuno comprendere che non stiamo celebrando la settimana delle apparizioni del Risorto, ma delle sue Manifestazioni [testo greco].

Non appare solo a qualcuno - ad altri no (dipende dalla lotteria): si Manifesta. Lo sperimentiamo.

E c’è una nuova Creazione: ora non si riconosce Gesù quando lo si vede, ma allorché si ascolta (v.16).

Il Signore si fa vedere non nel momento della visione, bensì nel tempo della Parola, dell’Appello personale che fa «voltare» lo sguardo antico dal senso di marcia irrilevante che si aggrappa all’immagine di “ieri”.

L’esperienza del Cristo vivo esclude i ricordi da custodire piangendo.

È relazione attuale e fondata, convincente, ricca di sfaccettature e accessibile - diretta. Decisamente migliore di quella offerta più tardi dagli apostoli, senza cuori trafitti (né proclamazioni).

Ma il tu per tu restava ancora chiuso, fino a che sembrava si cercassero defunti o lontani pezzi da museo - da ritrovare quasi come prima e al massimo trattenere senza troppe scosse.

Condizionati da aspettative troppo “usuali”, pretenderemmo di rintracciare Gesù in camposanti e luoghi sbagliati. Ma in Gv l’Ascensione si colloca lo stesso giorno di Pasqua (v.17).

La stessa osservanza della legge religiosa arcaica [v.1: nel caso particolare, del sabato] sembra ritardare l’esperienza della forza dirompente della rinascita, nello Spirito.

 

 

Man mano, nelle prime comunità si stavano riattivando quelle energie personali primordiali che neppure i ricatti, le intimidazioni e le emarginazioni dell’apparato istituzionale potevano sfiorare.

L’Incarnazione continuava, dispiegandosi nei credenti; risvegliando in essi nuovi stati creativi.

I fedeli erano sull’onda virtuosa ed entusiasmante di una ulteriore modifica fondamentale: adesso si sentivano «fratelli» del Risorto (v.17).

Il rapporto di ‘discepolato’ (Gv 13,13) cresciuto in ‘amicizia’ (Gv 15,15) diventava quello dei consanguinei che si sentivano ‘figli’.

[Gv 1,11-12: «Venne tra i suoi, e i suoi non lo accolsero. Ma a quanti lo ricevettero diede loro potere di diventare figli di Dio; a quelli che credono nel suo Nome» - ossia aderiscono a tutta la sua parola, vicenda e azione; anche problematica, dolorosa, di denuncia].

Iniziava così l’Annuncio esplicito, malgrado la parte di “chiesa” davvero vitale e sempre più determinata si dimostrava essere quella periferica e proveniente dai pagani [nella figura della Maddalena].

Essa voleva il riscatto ravvivante, e così indicava la strada giusta agli stessi dirigenti di assemblea.

La comunità giudeo cristiana degli apostoli era infatti tutta protesa alla ricerca di compromessi proprio con l’istituzione religiosa distante e conflittuale, quella di potere, che aveva voluto distruggere il Maestro.

Zoccolo duro “apostolico” sempre in ritardo e da evangelizzare: lo converte solo colei che si sente un nulla (vv.2.18). E quando diventa consapevole che il regno delle cose morte non la ghermirà più.

Donna: Assemblea autentica nello Spirito.

Campo sterminato di umiliati, che tuttavia in Cristo Risorto «si vede» e si sblocca; acquista nuovo respiro, supera lo sconforto, il disorientamento, l’incertezza.

 

Ancora oggi colmi d’Infinito, come pellegrini, i sognatori dal basso e di periferia cercano la loro strada.

Si attivano con passione, per riaccendere e far risuonare ogni piega dell’essere umano - prima comandato da un mondo di alternative calcolate.

È di nuovo l’esperienza di «Maria di Magdala», che prendendo fiducia, può completare le percezioni e i pensieri anche dei primi della classe.

Il Risorto è sempre da tutt’altra parte… rispetto a quanto l’esperto o un animo mediamente religioso non pronto al cambiamento si attende.

La sua Persona ha fisionomie impreviste, non convenzionali e fuori schema - come la vita, tutta da scoprire.

Sono profili inediti - da cogliere e interiorizzare, talvolta quasi senza lotta.

Solo una chiamata per nome - la sua Parola diretta, l’Appello personale - ci fa accorgere che per influsso esterno stavamo forse inseguendo un Signore [del passato, o alla moda] troppo riconoscibile, da commemorare uguale a prima.

Da portare in bisaccia come sempre, con amore chiuso e normale, figlio del dolore.

La ricerca del nostro Rabbunì può nascere anche dal senso di perdita, o dalle percosse subite - ma è scandita d’incontri pasquali e tappe di nuova consapevolezza.

Nuovi ascolti, che infrangono le rassicurazioni.

Rimane uno sconosciuto tiepido - a temperatura ambiente - per chi si lascia suggestionare da idee limitate (confezionate) e pretende di capirlo col sapere, riconoscerlo con gli occhi, o usarlo come sonnifero.

 

Il Risorto è radicale novità: ferita dentro e slancio. Itinerario che accoglie e assume tutto l’umano e la storia.

Egli agisce in noi infrangendo ogni sicurezza; proprio quella che ancora non ci fa uscire dal piccolo cerchio.

E pur travagliando nella tensione dell’inafferrabile [che non si può far proprio] è nell’emozione di percepire i tesori delle intuizioni atipiche e personali che la vita rigenerata attrae e spalanca, stupisce.

Solo nell’esperienza del rinascere trasmettendolo si scatena lo Spirito che appassiona e carica - e il Vivente non resta un estraneo o qualcuno di cui ci si è già fatta un’idea.

«Ho cercato e visto il Signore!» [v.18: senso del testo greco].

Non si sperimenta Cristo con l’intimismo, né con rievocazioni e gingilli; neppure in modo cerebrale o accontentandosi di adempiere pietosi uffici commemorativi sul corpo.

C’è una situazione senza precedenti.

Ma chi se ne accorge? Malgrado la trascuratezza che subiscono, solo le anime spose - le poco considerate.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Quale trasmutazione si è operata in te e nel prossimo quando hai accolto la Chiamata e l’invito all’Annuncio?

Come la Persona del Cristo ti ha reso consapevole di essere voluto a pieno titolo: soggetto inalienabile, per Nome?

 

 

Manifestazione Personale: legge che troviamo scolpita in molte pagine dei Vangeli. Ma… felicità soffice oppure onda che travolge tutto?

 

In queste settimane la nostra riflessione si muove, per così dire, nell’orbita del mistero pasquale. Oggi incontriamo colei che, secondo i vangeli, per prima vide Gesù risorto: Maria Maddalena. Era terminato da poco il riposo del sabato. Nel giorno della passione non c’era stato tempo per completare i riti funebri; per questo, in quell’alba colma di tristezza, le donne vanno alla tomba di Gesù con gli unguenti profumati. La prima ad arrivare è lei: Maria di Magdala, una delle discepole che avevano accompagnato Gesù fin dalla Galilea, mettendosi a servizio della Chiesa nascente. Nel suo tragitto verso il sepolcro si rispecchia la fedeltà di tante donne che sono devote per anni ai vialetti dei cimiteri, in ricordo di qualcuno che non c’è più. I legami più autentici non sono spezzati nemmeno dalla morte: c’è chi continua a voler bene, anche se la persona amata se n’è andata per sempre.

Il vangelo (cfr Gv 20,1-2.11-18) descrive la Maddalena mettendo subito in evidenza che non era una donna di facili entusiasmi. Infatti, dopo la prima visita al sepolcro, lei torna delusa nel luogo dove i discepoli si nascondevano; riferisce che la pietra è stata spostata dall’ingresso del sepolcro, e la sua prima ipotesi è la più semplice che si possa formulare: qualcuno deve aver trafugato il corpo di Gesù. Così il primo annuncio che Maria porta non è quello della risurrezione, ma di un furto che ignoti hanno perpetrato, mentre tutta Gerusalemme dormiva.

Poi i vangeli raccontano di un secondo viaggio della Maddalena verso il sepolcro di Gesù. Era testarda lei! E’ andata, è tornata … perché non si convinceva! Questa volta il suo passo è lento, pesantissimo. Maria soffre doppiamente: anzitutto per la morte di Gesù, e poi per l’inspiegabile scomparsa del suo corpo.

E’ mentre sta china vicino alla tomba, con gli occhi pieni di lacrime, che Dio la sorprende nella maniera più inaspettata. L’evangelista Giovanni sottolinea quanto sia persistente la sua cecità: non si accorge della presenza di due angeli che la interrogano, e nemmeno s’insospettisce vedendo l’uomo alle sue spalle, che lei pensa sia il custode del giardino. E invece scopre l’avvenimento più sconvolgente della storia umana quando finalmente viene chiamata per nome: «Maria!» (v. 16).

Com’è bello pensare che la prima apparizione del Risorto – secondo i vangeli – sia avvenuta in un modo così personale! Che c’è qualcuno che ci conosce, che vede la nostra sofferenza e delusione, e che si commuove per noi, e ci chiama per nome. È una legge che troviamo scolpita in molte pagine del vangelo. Intorno a Gesù ci sono tante persone che cercano Dio; ma la realtà più prodigiosa è che, molto prima, c’è anzitutto Dio che si preoccupa per la nostra vita, che la vuole risollevare, e per fare questo ci chiama per nome, riconoscendo il volto personale di ciascuno. Ogni uomo è una storia di amore che Dio scrive su questa terra. Ognuno di noi è una storia di amore di Dio. Ognuno di noi Dio chiama con il proprio nome: ci conosce per nome, ci guarda, ci aspetta, ci perdona, ha pazienza con noi. E’ vero o non è vero? Ognuno di noi fa questa esperienza.

E Gesù la chiama: «Maria!»: la rivoluzione della sua vita, la rivoluzione destinata a trasformare l’esistenza di ogni uomo e donna, comincia con un nome che riecheggia nel giardino del sepolcro vuoto. I vangeli ci descrivono la felicità di Maria: la risurrezione di Gesù non è una gioia data col contagocce, ma una cascata che investe tutta la vita. L’esistenza cristiana non è intessuta di felicità soffici, ma di onde che travolgono tutto. Provate a pensare anche voi, in questo istante, col bagaglio di delusioni e sconfitte che ognuno di noi porta nel cuore, che c’è un Dio vicino a noi che ci chiama per nome e ci dice: “Rialzati, smetti di piangere, perché sono venuto a liberarti!”. E’ bello questo.

Gesù non è uno che si adatta al mondo, tollerando che in esso perdurino la morte, la tristezza, l’odio, la distruzione morale delle persone… Il nostro Dio non è inerte, ma il nostro Dio – mi permetto la parola – è un sognatore: sogna la trasformazione del mondo, e l’ha realizzata nel mistero della Risurrezione.

Maria vorrebbe abbracciare il suo Signore, ma Lui è ormai orientato al Padre celeste, mentre lei è inviata a portare l’annuncio ai fratelli. E così quella donna, che prima di incontrare Gesù era in balìa del maligno (cfr Lc 8,2), ora è diventata apostola della nuova e più grande speranza. La sua intercessione ci aiuti a vivere anche noi questa esperienza: nell’ora del pianto, e nell’ora dell’abbandono, ascoltare Gesù Risorto che ci chiama per nome, e col cuore pieno di gioia andare ad annunciare: «Ho visto il Signore!» (v. 18). Ho cambiato vita perché ho visto il Signore! Adesso sono diverso da prima, sono un’altra persona. Sono cambiato perché ho visto il Signore. Questa è la nostra forza e questa è la nostra speranza.

[Papa Francesco, Udienza Generale 17 maggio 2017]

Lunedì, 14 Luglio 2025 04:46

Annunciare l’Eterno Vivente

I racconti evangelici, che riferiscono le apparizioni del Risorto, si concludono abitualmente con l’invito a superare ogni incertezza, a confrontare l’evento con le Scritture, ad annunciare che Gesù, al di là della morte, è l’eterno vivente, fonte di vita nuova per tutti coloro che credono. Così avviene, ad esempio, nel caso di Maria Maddalena (cfr Gv 20,11-18), che scopre il sepolcro aperto e vuoto, e subito teme che il corpo del Signore sia stato portato via. Il Signore allora la chiama per nome, e a quel punto avviene in lei un profondo cambiamento: lo sconforto e il disorientamento si convertono in gioia ed entusiasmo. Con sollecitudine ella si reca dagli Apostoli e annunzia: «Ho visto il Signore» (Gv 20,18). Ecco: chi incontra Gesù risuscitato viene interiormente trasformato; non si può "vedere" il Risorto senza "credere" in lui. Preghiamolo affinché chiami ognuno di noi per nome e così ci converta, aprendoci alla "visione" della fede. La fede nasce dall’incontro personale con Cristo risorto, e diventa slancio di coraggio e di libertà che fa gridare al mondo: Gesù è risorto e vive per sempre. E’ questa la missione dei discepoli del Signore di ogni epoca e anche di questo nostro tempo: "Se siete risorti con Cristo – esorta san Paolo – cercate le cose di lassù… pensate alle cose di lassù, e non a quelle della terra" (Col 3,1-2). Questo non vuol dire estraniarsi dagli impegni quotidiani, disinteressarsi delle realtà terrene; significa piuttosto ravvivare ogni umana attività come un respiro soprannaturale, significa farsi gioiosi annunciatori e testimoni della risurrezione di Cristo, vivente in eterno (cfr Gv 20,25; Lc 24,33-34).

[Papa Benedetto, Udienza Generale 19 aprile 2006]

Lunedì, 14 Luglio 2025 04:41

Personalmente

Il 22 luglio ricorre la memoria di santa Maria Maddalena, discepola del Signore e prima testimone della sua Risurrezione. La vicenda di Maria di Màgdala mostra quanto sia decisivo per ogni essere umano incontrare Cristo personalmente. E' Cristo che comprende il cuore dell'uomo. E' Lui che può colmare le sue speranze e le sue attese come pure dare risposta alle preoccupazioni e alle difficoltà che l'odierna umanità affronta nel suo cammino quotidiano.

[Papa Giovanni Paolo II, Angelus 22 luglio 2001]

Lunedì, 14 Luglio 2025 04:26

Testarda Apostola della Speranza

Oggi incontriamo colei che, secondo i vangeli, per prima vide Gesù risorto: Maria Maddalena. Era terminato da poco il riposo del sabato. Nel giorno della passione non c’era stato tempo per completare i riti funebri; per questo, in quell’alba colma di tristezza, le donne vanno alla tomba di Gesù con gli unguenti profumati. La prima ad arrivare è lei: Maria di Magdala, una delle discepole che avevano accompagnato Gesù fin dalla Galilea, mettendosi a servizio della Chiesa nascente. Nel suo tragitto verso il sepolcro si rispecchia la fedeltà di tante donne che sono devote per anni ai vialetti dei cimiteri, in ricordo di qualcuno che non c’è più. I legami più autentici non sono spezzati nemmeno dalla morte: c’è chi continua a voler bene, anche se la persona amata se n’è andata per sempre.

Il vangelo (cfr Gv 20,1-2.11-18) descrive la Maddalena mettendo subito in evidenza che non era una donna di facili entusiasmi. Infatti, dopo la prima visita al sepolcro, lei torna delusa nel luogo dove i discepoli si nascondevano; riferisce che la pietra è stata spostata dall’ingresso del sepolcro, e la sua prima ipotesi è la più semplice che si possa formulare: qualcuno deve aver trafugato il corpo di Gesù. Così il primo annuncio che Maria porta non è quello della risurrezione, ma di un furto che ignoti hanno perpetrato, mentre tutta Gerusalemme dormiva.

Poi i vangeli raccontano di un secondo viaggio della Maddalena verso il sepolcro di Gesù. Era testarda lei! E’ andata, è tornata … perché non si convinceva! Questa volta il suo passo è lento, pesantissimo. Maria soffre doppiamente: anzitutto per la morte di Gesù, e poi per l’inspiegabile scomparsa del suo corpo.

E’ mentre sta china vicino alla tomba, con gli occhi pieni di lacrime, che Dio la sorprende nella maniera più inaspettata. L’evangelista Giovanni sottolinea quanto sia persistente la sua cecità: non si accorge della presenza di due angeli che la interrogano, e nemmeno s’insospettisce vedendo l’uomo alle sue spalle, che lei pensa sia il custode del giardino. E invece scopre l’avvenimento più sconvolgente della storia umana quando finalmente viene chiamata per nome: «Maria!» (v. 16).

Com’è bello pensare che la prima apparizione del Risorto – secondo i vangeli – sia avvenuta in un modo così personale! Che c’è qualcuno che ci conosce, che vede la nostra sofferenza e delusione, e che si commuove per noi, e ci chiama per nome. È una legge che troviamo scolpita in molte pagine del vangelo. Intorno a Gesù ci sono tante persone che cercano Dio; ma la realtà più prodigiosa è che, molto prima, c’è anzitutto Dio che si preoccupa per la nostra vita, che la vuole risollevare, e per fare questo ci chiama per nome, riconoscendo il volto personale di ciascuno. Ogni uomo è una storia di amore che Dio scrive su questa terra. Ognuno di noi è una storia di amore di Dio. Ognuno di noi Dio chiama con il proprio nome: ci conosce per nome, ci guarda, ci aspetta, ci perdona, ha pazienza con noi. E’ vero o non è vero? Ognuno di noi fa questa esperienza.

E Gesù la chiama: «Maria!»: la rivoluzione della sua vita, la rivoluzione destinata a trasformare l’esistenza di ogni uomo e donna, comincia con un nome che riecheggia nel giardino del sepolcro vuoto. I vangeli ci descrivono la felicità di Maria: la risurrezione di Gesù non è una gioia data col contagocce, ma una cascata che investe tutta la vita. L’esistenza cristiana non è intessuta di felicità soffici, ma di onde che travolgono tutto. Provate a pensare anche voi, in questo istante, col bagaglio di delusioni e sconfitte che ognuno di noi porta nel cuore, che c’è un Dio vicino a noi che ci chiama per nome e ci dice: “Rialzati, smetti di piangere, perché sono venuto a liberarti!”. E’ bello questo.

Gesù non è uno che si adatta al mondo, tollerando che in esso perdurino la morte, la tristezza, l’odio, la distruzione morale delle persone… Il nostro Dio non è inerte, ma il nostro Dio – mi permetto la parola – è un sognatore: sogna la trasformazione del mondo, e l’ha realizzata nel mistero della Risurrezione.

Maria vorrebbe abbracciare il suo Signore, ma Lui è ormai orientato al Padre celeste, mentre lei è inviata a portare l’annuncio ai fratelli. E così quella donna, che prima di incontrare Gesù era in balìa del maligno (cfr Lc 8,2), ora è diventata apostola della nuova e più grande speranza. La sua intercessione ci aiuti a vivere anche noi questa esperienza: nell’ora del pianto, e nell’ora dell’abbandono, ascoltare Gesù Risorto che ci chiama per nome, e col cuore pieno di gioia andare ad annunciare: «Ho visto il Signore!» (v. 18). Ho cambiato vita perché ho visto il Signore! Adesso sono diverso da prima, sono un’altra persona. Sono cambiato perché ho visto il Signore. Questa è la nostra forza e questa è la nostra speranza.

[Papa Francesco, Udienza Generale 17 maggio 2017]

Domenica, 13 Luglio 2025 02:54

Qual è il Segnale del Mistero?

Le manifestazioni del potere di Dio sulla terra: nulla di esteriore

(Mt 12,38-42)

 

La corrispondenza umana non cresce col moltiplicarsi dei segnali da capogiro. Dio non costringe i poco convinti, né surclassa con prove; così guadagna un patrimonio d’Amore.

La sua Chiesa autentica, senza strepiti né posizioni persuasive - apparentemente insignificante - è raccolta tutta in intima unità col suo Signore.

La regina del mezzogiorno cercava soluzioni accattivanti a curiosità enigmatiche, ma le poteva conoscere dentro la sua anima e nella vita.

Incarnazione: non ci sono altri segni validi che gli accadimenti e le nuove relazioni con se stessi e gli altri - le quali porgono la Persona stessa e inaudita del Risorto, senza involucri.

 

L’Eterno non è più la pura trascendenza dei giudei, né la vetta della sapienza del mondo antico: il Segno emozionante di Dio è la vicenda di Gesù vivo in noi.

Confidiamo in Cristo, quindi niente droghe spirituali che c’illudano di felicità.

È il senso della nuova Creazione: abbandono allo Spirito, ma tutto concreto (non di maniera) e che procede trascinando la realtà alternativa.

Egli è Segno unico, che scioglie dai molti surrogati della religione delle paure, delle pastoie, dei ruoli consolidati che vorrebbero imprigionarlo in un “alleato” facitore di miracoli seducenti; immediatamente risolutivi.

 

Alcuni membri di comunità sembrava volessero inquadrare il Messia nello schema delle normali attese sacrali e scenografiche.

Già se la intendevano e si mostravano stufi...

In questi “veterani” di Mt non c’era cifra alcuna di conversione all’idea del Figlio di Dio come Servitore, fiducioso nei sogni senza prestigio.

In loro? Nessuna traccia d’idea nuova - né cambio di passo che segnasse tramonto della società plateale, disumanizzante, cui erano abituati.

 

C’è sempre chi rimane legato a una ideologia di potere. Quindi non vuole aprire gli occhi se non per farsi catturare i sensi in modo banale.

A costoro il Signore non riserva mai conferme impressionanti - che sarebbero la paradossale convalida dei convincimenti antichi.

Unico ‘segnale’ è la sua Chiesa vivente e lo stesso Risorto che pulsa in tutti coloro che lo prendono sul serio; ad es. nei recuperi, risanamenti e rivalutazioni impossibili.

Ma nessun fulmine a scorciatoia.

 

Guidati dall’Amico invisibile, saremo una sola umanità inventiva ‘nel Maestro’.

La nostra testimonianza libera e vivificante rialimenterà una esperienza di Fede rigeneratrice, singolarmente incisiva.

Assai più dei miracoli, gli appelli della nostra essenza e della realtà faranno riconoscere il richiamo e l’agire di Dio negli uomini e nella trama della storia.

Il Padre vuole che i suoi figli producano ben altri sbalordimenti e prodigi di bontà divino-umana che visioni e sentimentalismi, o magie.

Unico «segno» di salvezza è Cristo in noi, senza cuciture isteriche; immagine e somiglianza dell’umanità nuova.

 

Per l’autentica conversione: potenza nativa - e nulla di esteriore.

 

 

[Lunedì 16.a sett. T.O.  21 luglio 2025]

Qual è il Segnale del Mistero?

(Mt 12,38-42)

 

Gesù si scontra con l’incredulità. Essa viene da vari accecamenti e partiti presi, o (soprattutto nei discepoli) nasce da disattenzione.

Il Signore si allontana da chi lo mette alla prova e da coloro che rifiutano ciò ch’è donato da Dio, pretendendo di fissare come debba agire.

Il Figlio dell’uomo rispetta ogni persona che lo segue, ma fa comprendere che le decisioni e ancor prima la mancanza di percezione acuta impediscono l’Incontro e la redenzione della vita.

In tale ottica, i credenti non vivono per “dimostrare”. Cristo stesso non ci aspetta in manifestazioni subliminali e mirabolanti, ma sulla sponda d’una spiritualità terrestre.

 

Il Valore non ha bisogno di applausi (arma a doppio taglio) - maschera della proposta artificiosa, e della vita inautentica.

 

La corrispondenza umanizzante non cresce col moltiplicarsi dei segnali da capogiro.

Dio non costringe i poco convinti, né surclassa con prove; così guadagna un patrimonio d’Amore nella crescita.

La sua Chiesa autentica, senza strepiti né posizioni persuasive - apparentemente insignificante - è raccolta tutta in intima unità col suo Primogenito: potenza nativa, portentosa e rigeneratrice - solida e reale.

 

La regina del mezzogiorno cercava soluzioni accattivanti a curiosità enigmatiche, ma le poteva conoscere dentro la sua anima e nella vita.

Incarnazione: non ci sono altri segni validi che gli accadimenti e le nuove relazioni - con se stessi e gli altri - le quali porgono la Persona stessa e inaudita del Risorto (quello senza involucri).

L’Eterno non è più la pura trascendenza dei giudei, né la vetta della sapienza del mondo antico.

Il segno dell’Altissimo è la vicenda di Gesù (vivo in noi). Essa apre la strada emozionante che conduce verso il Padre.

 

Confidiamo in Cristo, quindi niente droghe spirituali che c’illudano di felicità.

È il senso della nuova Creazione: nell’abbandono allo Spirito - ma tutto concreto (non di maniera) e che procede trascinando la realtà alternativa.

La sua Persona è segnale unico, che scioglie dai molti surrogati della religione delle paure, delle pastoie, dei ruoli consolidati.

Tare che vorrebbero imprigionarlo in “alleato” facitore di miracoli seducenti e immediatamente risolutivi.

Qualcuno in semplice purificatore del tempio o in un personaggio da mulino bianco - e così noi, se ci lasciamo manipolare.

 

Infatti, i leaders religiosi cui Gesù si rivolge sono quelli di ritorno nelle sue comunità!

Si trattava di giudaizzanti i quali volevano inquadrare il Messia nello schema delle normali attese cui erano stati da sempre abituati.

O già se la intendevano e si mostravano stufi...

In questi “veterani” non c’era cifra alcuna di conversione all’idea del Figlio di Dio come Servitore, fiducioso nei sogni senza prestigio.

In loro? Nessuna traccia d’idea nuova - né cambio di passo che segnasse tramonto della società plateale, disumanizzante - e anche sacrale - dell’esterno.

 

Ai leaders popolari talora sfugge il significato dell’unico Segno vivo: Gesù Alimento della vita.

Per causa loro, non dei lontani, il Signore «geme nello spirito» (cf. Mc 8,12 testo greco) - ancora oggi, rattristato da tanta cecità.

La vita è infatti preclusa a chi non sa spostare lo sguardo.

Subito dopo Mt (16,6) si riferisce infatti al pericolo dell’ideologia dominante che faceva perdere alle stesse guide la percezione obiettiva degli accadimenti.

Un «lievito» grossolano ma radicato nell’esperienza penosa della gente - che stimolava gonfiori persino nei discepoli, contaminandoli.

 

Ai primi della classe poteva sembrare che Gesù fosse un leader come Mosè, per il fatto che avrebbe alimentato il popolo affamato nel deserto (cf. Mt 14,13-21; 15,32-39).

Ma il rifiuto è netto: in specie Mc (8,12) lo rende vivo sottolineando il senso di sofferenza del Maestro.

Quindi - come anche Mt e Lc nell’episodio appunto di Giona - il suo radicale, perentorio diniego.

Per salvare il popolo bisognoso di tutto non c’è altra via che partire da dentro.

Poi procedere verso una pienezza di essere che dilaga, ci approva, e sfociando consente di spezzare la vita in favore dei fratelli.

 

Non c’è scappatoia. Unicamente la comunione con la sorgente celata del proprio Sé eminente e il dialogo rispettoso e fattivo con gli altri, salva da una mentalità di gruppo chiuso.

In tal guisa, nessun club è ammesso - che rivendicasse l’esclusiva monopolista su Dio e sulle anime (Mt 9,38-40) con esplicita pretesa a disciplinare le moltitudini.

La comunità del Risorto aborrisce la concezione competitiva della stessa vita religiosa, se riflesso sacrale del mondo imperiale e d’una società che angustia e amareggia l’esistenza dei piccoli.

Sarebbe una vita malata nella ricerca di prestigio purchessia, anche solo apparente.

 

Viceversa, nelle realtà fraterne «chiunque si abbasserà, questi è il più grande nel regno dei cieli» (Mt 18,4).

Quindi bisogna assolutamente evitare che nei fedeli s’insinui una mentalità piramidale e dello scarto.

Spirito di competizione che poi inesorabilmente finisce per cercare rifugio nel miracolismo ipocrita, surrogato della vita di Fede.

Lo stesso fa il Maestro per educare i membri di Chiesa che restano - forse tuttora - affetti da senso di superiorità nei confronti delle folle e degli estranei.

Sentimento di popolo eletto e privilegiato (Lc 9,54-55) che si stava infiltrando persino nelle comunità primitive.

 

A chi non vuole aprire gli occhi se non per farsi catturare i sensi da fenomeni tutti da discernere - perché malgrado il credo ufficiale che professa rimane legato a una ideologia di potere - il Signore non riserva mai conferme impressionanti venute «dal cielo» (Mt 16,1) che ne sarebbero la paradossale convalida.

Unico segnale è e sarà la sua Chiesa vivente: la “vittoria” del Risorto che pulsa in tutti coloro che lo prendono sul serio.

Senza gerarchie fisse - sotto la guida infallibile della Chiamata e della Parola - i figli sanno reinterpretare, anche in modo inedito.

Tale il prodigio, incarnato nelle mille vicende (della storia, della vita personale e comunitaria); nei recuperi, risanamenti e rivalutazioni impossibili.

L’autentico Messia non elargisce alcuna esibizione cosmica.

Nessun festival che obblighi gli spettatori a chinare il capo, a cospetto di tanta gloria sconvolgente e degnazione - come se fosse un dittatore celeste.

E nessun fulmine a scorciatoia.

 

Nel corso dei secoli le Chiese sono cadute spesso in questa tentazione “apologetica”, tutta interna alle devozioni dall’impulso arido: cercare segni meravigliosi e sbandierarli per mettere a tacere gli avversari.

Stratagemmi per un banale tentativo di chiudere la bocca a coloro che chiedono non esperienze di parapsicologia, bensì testimonianze poco avvizzite e senza trucco o escamotage: di concreta disalienazione.

Niente male, questa nostra attività di liberazione in favore degli ultimi, e che tiene duro; non avvinghiata all’idea d’un arruffapopolo dagli aspetti trionfalistici o consolatori.

Preferiamo l’onda del Mistero.

Aneliamo essere guidati da una energia sconosciuta, che ha in serbo un obbiettivo non artificioso - condotti dall’Amico eminente ma intimo e nascosto (esclusivo in noi).

Saremo una sola umanità nel Maestro, sulla Via giusta e che ci appartiene. Anche percorrendo sentieri interrotti e incompleti, persino di smarrimento.

 

A commento del Tao Tê Ching (i) il maestro Ho-shang Kung scrive: «L’eterno Nome vuol essere come l’infante che ancora non ha parlato, come il pulcino che ancora non s’è sgusciato. La perla luminosa sta dentro l’ostrica, la bella gemma sta in mezzo alla roccia: per quanto all’interno esso risplenda, all’esterno esso è stolto e insipiente».

 

Tutto ciò è forse valutato “incoscienza” e “inconcludenza”... ma porta ciò che siamo - esprimendo un altro modo di vedere il mondo.

In noi stessi e dentro il Richiamo dei Vangeli abbiamo una potenza fresca, che approva il percorso differente dall’immediatamente normale e dal vistoso lampante.

Un Appello che è incanto, delizia e splendore, perché ci attiva rimettendo in discussione.

Verbo che non ragiona secondo gli schemi. Istanza accorata, che non si fa impressionare dalle cose eccezionali, dalle recite che soffocano l’anima in ricerca di senso e autenticità.

Genuina Meraviglia, impulso indomabile annidato nella dimensione di pienezza umana, e che non si arrende: vuole esprimersi nella sua trasparenza e farsi realtà.

Una sorta d’Infante intimo: si muove in modo giudicato “astruso”, ma rimette le cose a posto, dentro e fuori.

 

La testimonianza libera e vivificante, attenta e sempre personalmente geniale, sarà innata e inedita, graffiante, inventiva senz’accorgimenti, imprevedibile e affatto conformista.

Essa farà scaturire e incessantemente rialimenterà una esperienza di Fede convinta, singolare, incisiva - malgrado possa apparire perdente e non di successo, poco onorevole e insensazionale.

Assai più dei miracoli, le suppliche della nostra essenza e della realtà faranno riconoscere il richiamo e l’agire di Dio negli uomini e nella trama della storia.

Inviti che possono germinale altri sbalordimenti e prodigi di bontà divino-umana, che visioni parossistiche condite di nevrosi e sentimentalismi vuoti, o magie.

Unico segno di salvezza è Cristo in noi - senza cuciture, né grandi gesti isterici.

Persona immagine e somiglianza dell’umanità nuova; manifestazione del potere di Dio sulla terra.

 

Per l’autentica conversione: nulla di esteriore.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Di che genere è la tua ricerca di prove?

In cosa si discosta il tuo Segno (che fa credere) dagli espedienti, da atti di forza, o da quello che altri vorrebbero che diffondessi?

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She is finally called by her name: “Mary!” (v. 16). How nice it is to think that the first apparition of the Risen One — according to the Gospels — took place in such a personal way! [Pope Francis]
Viene chiamata per nome: «Maria!» (v. 16). Com’è bello pensare che la prima apparizione del Risorto – secondo i Vangeli – sia avvenuta in un modo così personale! [Papa Francesco]
Jesus invites us to discern the words and deeds which bear witness to the imminent coming of the Father’s kingdom. Indeed, he indicates and concentrates all the signs in the enigmatic “sign of Jonah”. By doing so, he overturns the worldly logic aimed at seeking signs that would confirm the human desire for self-affirmation and power (Pope John Paul II)
Gesù invita al discernimento in rapporto alle parole ed opere, che testimoniano l'imminente avvento del Regno del Padre. Anzi, Egli indirizza e concentra tutti i segni nell'enigmatico "segno di Giona". E con ciò rovescia la logica mondana tesa a cercare segni che confermino il desiderio di autoaffermazione e di potenza dell'uomo (Papa Giovanni Paolo II)
Without love, even the most important activities lose their value and give no joy. Without a profound meaning, all our activities are reduced to sterile and unorganised activism (Pope Benedict)
Senza amore, anche le attività più importanti perdono di valore, e non danno gioia. Senza un significato profondo, tutto il nostro fare si riduce ad attivismo sterile e disordinato (Papa Benedetto)
In reality, an abstract, distant god is more comfortable, one that doesn’t get himself involved in situations and who accepts a faith that is far from life, from problems, from society. Or we would even like to believe in a ‘special effects’ god (Pope Francis)
In realtà, è più comodo un dio astratto, distante, che non si immischia nelle situazioni e che accetta una fede lontana dalla vita, dai problemi, dalla società. Oppure ci piace credere a un dio “dagli effetti speciali” (Papa Francesco)
It is as though you were given a parcel with a gift inside and, rather than going to open the gift, you look only at the paper it is wrapped in: only appearances, the form, and not the core of the grace, of the gift that is given! (Pope Francis)
È come se a te regalassero un pacchetto con dentro un dono e tu, invece di andare a cercare il dono, guardi soltanto la carta nel quale è incartato: soltanto le apparenze, la forma, e non il nocciolo della grazia, del dono che viene dato! (Papa Francesco)
The Evangelists Matthew and Luke (cf. Mt 11:25-30 and Lk 10:21-22) have handed down to us a “jewel” of Jesus’ prayer that is often called the Cry of Exultation or the Cry of Messianic Exultation. It is a prayer of thanksgiving and praise [Pope Benedict]
Gli evangelisti Matteo e Luca (cfr Mt 11,25-30 e Lc 10, 21-22) ci hanno tramandato un «gioiello» della preghiera di Gesù, che spesso viene chiamato Inno di giubilo o Inno di giubilo messianico. Si tratta di una preghiera di riconoscenza e di lode [Papa Benedetto]
It may have been a moment of disillusionment, of that extreme disillusionment and the perception of his own failure. But at that instant of sadness, in that dark instant Francis prays. How does he pray? “Praised be You, my Lord…”. He prays by giving praise [Pope Francis]
Potrebbe essere il momento della delusione, di quella delusione estrema e della percezione del proprio fallimento. Ma Francesco in quell’istante di tristezza, in quell’istante buio prega. Come prega? “Laudato si’, mi Signore…”. Prega lodando [Papa Francesco]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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