don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

Martedì, 25 Novembre 2025 10:16

1a Domenica di Avvento (A)

Prima Domenica di Avvento (anno A)  [30 Novembre 2025]

Dio ci benedica e la Vergine ci progetta! Inizia con l’Avvento un nuovo anno liturgico (Anno A) accompagnati dall’evangelista Matteo che già c’invita a farci collaboratori del progetto di salvezza che Dio ha preordinato per la Chiesa. e il mondo. Una piccola novità: da ora offro ogni volta anche una sintesi degli elementi principali di ogni testo.

 

Prima Lettura dal libro del profeta Isaia (2, 1-5) 

 Si sa che gli autori biblici amano le immagini! Eccone due, bellissime, nella predicazione di Isaia: prima quella di una folla immensa in cammino, poi quella di tutte le armate del mondo che decidono di trasformare le armi in strumenti agricoli. Vediamo queste immagini una dopo l’altra. La folla in cammino sale su una montagna: alla fine del percorso c’è Gerusalemme e il Tempio. Isaia, invece, è già a Gerusalemme e vede arrivare questa folla, una vera e propria marea umana. È naturalmente un’immagine, un’anticipazione, probabilmente ispirata dai grandi pellegrinaggi degli Israeliti a Gerusalemme durante la festa delle Capanne (Succot). In questa occasione, per otto giorni si vive sotto capanne, anche in città, ricordando il soggiorno nel deserto durante l’Esodo. Tutte le comunità ebraiche vi affluiscono e il Deuteronomio invita a partecipare con gioia, anche con figli, servi, stranieri, orfani e vedove (Dt 16,14-15). il profeta Isaia, osservando questo straordinario raduno annuale, ne intuì uno futuro e, ispirato dallo Spirito Santo, annunciò che un giorno non solo Israele, ma tutte le nazioni parteciperanno a questo pellegrinaggio e il Tempio diventerà il luogo di raccolta di tutti i popoli, perché l’umanità intera conoscerà l’amore di Dio. Il testo intreccia Israele e le nazioni: “il monte del tempio del Signore s’innalzerà sopra i colli … e ad esso affluiranno tutte le genti”. Questa affluenza simboleggia l’ingresso delle altre nazioni nell’Alleanza. La legge uscirà da Sion e la parola del Signore da Gerusalemme: Israele è eletto da Dio, ma ha anche la responsabilità di collaborare all’inclusione delle nazioni nel progetto divino. Così l’Alleanza ha una dimensione doppia: particolare (Israele eletto) e universale (tutte le nazioni). L’ingresso delle nazioni nel Tempio non riguarda il sacrificio, ma l’ascolto della Parola di Dio e la vita secondo la sua Legge: “Venite, saliamo sul monte del Signore … perché c’insegni le sue vie e possiamo camminare peri suoi sentieri”. La seconda immagine mostra il frutto di questa obbedienza: le nazioni vivranno in pace, Dio sarà giudice e arbitro, e le armi saranno trasformate in strumenti di lavoro: Dalle loro spade forgeranno aratri, dalle loro lance falci. Non alzeranno più la spada contro un popolo. Infine Isaia invita Israele a camminare nella luce del Signore, a realizzare la propria vocazione e a guidare tutti verso la Luce: salire al Tempio significa celebrare l’Alleanza, camminare nella luce significa vivere secondo la Legge.

In sintesi ecco tutti gli elementi principali del testo: 

+Due immagini simboliche di Isaia: la folla in pellegrinaggio e la trasformazione delle armi in strumenti di pace.

+Gerusalemme e il Tempio: meta del pellegrinaggio, simbolo della presenza di Dio e centro dell’Alleanza.

+Festa delle Capanne (Succot): riferimento storico al pellegrinaggio annuale degli Israeliti.

+Universalità della salvezza: Israele eletto guida tutte le nazioni, che saranno incluse nell’Alleanza.

+Dimensione dell’Alleanza: particolare (Israele) e universale (tutte le nazioni).

+Ascolto della Parola e vita secondo la Legge: la partecipazione non è solo rituale, ma impegno concreto di vita.

+Pace e trasformazione delle armi: simbolo della realizzazione del progetto divino di giustizia e concordia.

+Invito finale: Israele deve camminare nella luce del Signore e guidare l’umanità verso Dio.

+Profezia come promessa, non predizione: i profeti parlano della volontà di Dio, non del futuro in senso divinatorio.

 

Salmo responsoriale (121/122, 1-9)

Abbiamo qui la migliore traduzione possibile della parola ebraica “Shalom”: “Pace a chi ti ama! Che la pace regni nelle tue mura, la felicità nei tuoi palazzi…”. Quando si saluta qualcuno con questo termine, gli si augura tutto questo. Qui questo augurio è rivolto a Gerusalemme: “Chiedete pace per Gerusalemme… Per i miei fratelli e i miei amici, io dirò: Sia su di te pace! Per la casa del Signore nostro Dio, chiederò per te il bene”. Nel nome stesso di Gerusalemme è contenuta la parola shalom; essa è, dovrebbe essere, e sarà la città della pace. Questo augurio di pace e felicità è però ancora lontano dall’essere realizzato. La storia di Gerusalemme è turbolenta: intorno al 1000 a.C. era un piccolo villaggio chiamato Jebus, abitato dai Gebusei. Davide scelse questo luogo per la capitale del suo regno: inizialmente la capitale era Ebron, e Davide era re solo della tribù di Giuda; poi, con l’adesione delle altre tribù, fu scelta Jebus, che diventò Gerusalemme, “città di Davide”. Qui Davide trasferì l’Arca dell’Alleanza e acquistò il campo di Arauna per il Tempio, seguendo la volontà di Dio. La definizione di Gerusalemme come “città santa” significa che appartiene a Dio: è il luogo dove si deve vivere secondo Dio. Con Davide e Salomone, la città raggiunge il suo splendore culturale e spirituale, e diventa centro della vita religiosa con il Tempio, meta dei pellegrinaggi tre volte l’anno, in particolare per la festa delle Capanne. Il profeta Natan ricorda a Davide che Dio è più interessato al popolo che al Tempio: “Tu vuoi costruire una casa a Dio, ma è Dio che ti costruirà una casa (discendenza)”. Così Dio promette di mantenere per sempre la discendenza di Davide, da cui verrà il Messia. Alla fine, fu Salomone a costruire il Tempio, rendendo Gerusalemme il centro cultuale. La città conoscerà poi distruzioni e ricostruzioni: la conquista di Nabucodonosor nel 587 a.C., l’Esilio a Babilonia, il ritorno autorizzato da Ciro nel 538 a.C. e la ricostruzione del Tempio di Salomone. Anche dopo le persecuzioni di Antioco Epifane e la distruzione del Tempio nel 70 d.C., Gerusalemme resta la città santa, simbolo della presenza di Dio, e la speranza della sua piena restaurazione rimane viva. I credenti, ovunque siano, continuano a rivolgersi a Gerusalemme nelle preghiere quotidiane, ricordando la fedeltà di Dio alle promesse fatte a Davide. Questo salmo 121/122, cantico dei pellegrinaggi, celebrava questa centralità di Gerusalemme, invitando i fedeli a salire verso la casa del Signore e a camminare nella luce di Dio.

Sintesi dei punti principali

+Shalom e Gerusalemme: Shalom significa pace e felicità; Gerusalemme è la città della pace.

+Storia della città: da Jebus a capitale di Davide, trasferimento dell’Arca, costruzione del Tempio.

+Città santa: appartiene a Dio; vivere a Gerusalemme significa vivere secondo Dio.

+Natan e la discendenza di Davide: Dio più interessato al popolo che al Tempio; promessa del Messia.

+Pellegrinaggi e vita religiosa: Gerusalemme centro cultuale con pellegrinaggi tre volte l’anno.

+Distruzioni e ricostruzioni: Nabucodonosor, Esilio, Ciro, persecuzioni di Antioco, distruzione del Tempio nel 70 d.C.

+Speranza e fede: Gerusalemme resta simbolo della fedeltà di Dio; i fedeli pregano orientandosi verso di essa.

+Psalmo 121/122: cantico dei pellegrinaggi, invita a salire verso la casa del Signore e camminare nella luce divina.

 

Seconda Lettura dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (13, 11 – 14)

In questo testo san Paolo sviluppa la classica contrapposizione fra “luce e tenebre”.  “La nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti”. Questa frase resta sempre vera! Uno degli articoli della fede cattolica è che la storia non è un continuo ripetersi, ma al contrario il progetto di Dio avanza inesorabilmente. Ogni giorno possiamo dire che il disegno provvidenziale di Dio è più avanti di ieri: si sta compiendo, procede… lentamente ma con sicurezza. Dimenticare di annunciare questo significa dimenticare un punto essenziale della fede cristiana. I cristiani non hanno diritto a essere tristi, perché ogni giorno “la salvezza è più vicina”, come dice Paolo. Questo disegno provvidenziale e misericordioso di Dio ha bisogno di noi: non è tempo di dormire. Chi conosce il progetto di Dio non può rischiare di ritardarlo. Come dice la seconda lettera di Pietro: «Il Signore non tarda nel compiere la sua promessa… ma è paziente verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti giungano alla conversione» (2 Pt 3,9). La nostra inattività, il nostro “sonno” ha conseguenze sul compiersi del progetto di Dio; lasciare dormienti le nostre capacità significa comprometterlo o almeno ritardarlo. Ecco perché i peccati di omissione sono gravi. Paolo dice: “La notte è avanzata, il giorno è vicino”; e altrove parla di un tempo breve, usando un termine marinaro: la nave ha spiegato le vele, si avvicina al porto (1 Cor 7,26.29). Può sembrare presuntuoso pensare che la nostra condotta influisca sul progetto di Dio, ma è proprio questo il valore e la gravità della nostra vita. Paolo ricorda: «Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno, non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie”. Esistono comportamenti di luce e di tenebra, quando il battezzato non vive secondo il vangelo. Paolo non dice solo ci scegliere le opere della luce, ma di rifiutare quelle delle tenebre combattendo sempre per la luce. Ciò significa due cose: Ogni giorno dobbiamo scegliere la luce, un vero combattimento, soprattutto di fronte alle sfide antropologiche, sociali, al perdono, al rifiuto dei compromessi e dei privilegi (cfr. Fil 2,12). Anche altrove san Paolo parla delle armature della giustizia, della corazza della fede e dell’amore, del casco della speranza della salvezza (cf.2 Cor 6,7; 1 Tess 5,8). Qui la veste di luce è Gesù Cristo stesso, la cui luce ci avvolge come un mantello. Nel battesimo l’immersione simboleggia la morte al peccato e il rivestirsi di Cristo (Ga 3,27). Il combattimento cristiano non è solo nostro, ma è Cristo che combatte in noi e ci promette che quando siamo perseguitati, dobbiamo non prepararci perché è lui a dirci parole e darci saggezza che nessuno potrà contrastare.

 

Sintesi dei punti principali

+La salvezza è sempre più vicina: la storia non è un ciclo, ma un progresso del progetto di Dio.

+I credenti non possono essere passivi: la nostra inattività ritarda il compiersi del disegno divino e i peccati di omissione sono gravi perché ogni giorno dobbiamo realizzare il progetto di Dio.

+Esistono attività di luce e di tenebra: comportamenti cristiani e non cristiani che non coincidono sempre con la fede o il battesimo.

+Il combattimento cristiano è quotidiano: scegliere la luce, il perdono, rifiutare compromessi e immoralità.

+L’immagine della veste di luce rappresenta Gesù Cristo che ci avvolge e guida la nostra vita. Il battesimo simboleggia il rivestirsi di Cristo e l’inizio del combattimento della luce.

+La forza del cristiano non è solo propria: Cristo combatte in noi, garantendo saggezza e parole contro le persecuzioni.

       

Dal Vangelo secondo Matteo (24, 37 – 44)

Una cosa è certa: questo testo non è stato scritto per spaventarci, ma per illuminarci. Testi come questo vengono definiti apocalittici, il che significa letteralmente che “sollevano un lembo del velo”: rivelano la realtà. E la realtà, l’unica che conta, è la venuta di Cristo. Notate il linguaggio: venire, venuta, avvento, sempre riferito a Gesù: Gesù parlava ai discepoli della sua venuta che sarà come ai tempi di Noè. Anche voi non conoscete il giorno in cui il Signore verrà perché sarà proprio all’ora in cui non pensate. Il cuore del messaggio  è dunque l’annuncio che Gesù Cristo verrà. Curiosamente, Gesù parla al futuro: “Il Signore vostro verrà”. Sarebbe più logico parlare al passato perché Gesù era già venuto... Questo ci mostra che la “venuta” non è la nascita, ma qualcosa che riguarda il compimento del progetto di Dio. Molto spesso ci disturbano le immagini del giudizio, come la comparazione con il diluvio: “Due uomini saranno nel campo nei campi, uno verrà portato via e l’altro lasciato”. Questo non è un arbitrio divino, ma un invito alla fiducia: come Noè fu trovato giusto e salvato, così tutto ciò che è giusto sarà salvato. Il giudizio distingue il buono dal cattivo, il buon grano dalla zizzania, e questo avviene nel cuore di ciascuno. Gesù usa il titolo Figlio dell’Uomo per parlare di sé, ma non solo di sé come individuo: riprende la visione del profeta Daniele, in cui il “Figlio dell’Uomo” rappresenta anche il popolo dei santi, un essere collettivo. Così, la venuta di Cristo riguarda l’intera umanità. Come dice san Paolo, Cristo è la testa e noi siamo i membri; sant’Agostino parla del Cristo totale: testa nei cieli, membri sulla terra. Quando diciamo pregando che attendiamo  il bene che Dio ci prometti, cioè l’avvento di Gesù Cristo, ci riferiamo a Cristo totale: l’uomo Gesù è già venuto, ma il Cristo totale è in crescita e compimento continuo. San Paolo e recentemente Teilhard de Chardin sottolineano che la creazione intera geme in attesa del compimento di Cristo, che si completa progressivamente nella storia e in ciascuno di noi. Quando Gesù invita a vegliare, è un invito a custodire il grande progetto di Dio, dedicando la nostra vita a farlo avanzare. Infine, questo discorso avviene poco prima della Passione: Gesù avverte della distruzione del Tempio, il simbolo della sua presenza e dell’Alleanza, ma non risponde a domande precise sulla fine del mondo; invita invece alla vigilanza, rassicurando i discepoli davanti alle prove.

 

Sintesi dei punti principali

+Scopo del testo: non spaventare, ma illuminare; rivelare la realtà della venuta di Cristo.

+Venuta di Cristo: Gesù parla al futuro perché la venuta completa riguarda Cristo totale, non solo la nascita storica di Gesù.

+Giudizio e giustizia: distinguere il buono dal cattivo avviene nel cuore di ciascuno; il giusto sarà salvato.

+Titolo Figlio dell’Uomo: indica non solo Gesù, ma il popolo dei santi, cioè l’umanità salvata. Cristo totale: Cristo come testa e i credenti come membri; il compimento è progressivo nella storia.

+Veglia e vigilanza: i discepoli sono chiamati a custodire il progetto di Dio e dedicare la loro vita al suo compimento.

+Tempio e passione: il discorso precede la Passione, annuncia la distruzione del Tempio e invita di discepoli alla fiducia nonostante le prove che dovranno subire.

 

+ Giovanni D’Ercole

Giovedì, 20 Novembre 2025 05:17

Avvento, Venuta. Perché? e Dove

Giovedì, 20 Novembre 2025 03:37

Parole e Natura, codici che non passeranno

Le Fonti della Speranza

(Lc 21,29-33)

 

Lc termina il suo Discorso Apocalittico con delle raccomandazioni sull’attenzione e lo sguardo penetrante da porre al ‘segno dei tempi’.

E - radicata nella Parola di Dio che si fa evento e dirige al futuro, la Speranza inaugura una fase nuova della storia.

La sua profondità sorpassa tutte le possibilità attuali, le quali viceversa oscillano inquiete fra segni di catastrofe.

Gesù rasserena i discepoli sui timori di fine del mondo, e impone di non guardare messaggi in codice, ma la Natura.

Solo così essi riusciranno a leggere e interpretare gli avvenimenti.

Discernimento saggio, che serve a non chiuderci nel presente immediato: esso spinge su una strada di uniformità o difesa.

Infatti, a motivo degli sconvolgimenti, una valutazione precipitosa potrebbe indurci a temere rovesci, bloccando la crescita e la testimonianza.

 

Il mondo e le cose camminano verso una Primavera, e anzitutto in tal senso abbiamo un ruolo di sentinella.

Sulle rovine d’un secolo che crolla, il Padre fa capire quanto succede - e continua a costruire ciò che speriamo [non secondo gusti immediati].

Qua e là possiamo coglierne i vagiti, come i germogli sul ‘fico’.

È un albero che allude al frutto d’amore che Dio attende dal suo popolo, chiamato a essere tenero e dolce: segni della nuova stagione - quella delle relazioni sane.

In tal guisa, lo spirito di dedizione manifestato dai figli sarà prefigurazione dell’avvento prossimo d’un impero completamente differente - in grado di sostituire nelle coscienze tutti gli altri di carattere competitivo.

Il fico è appunto immagine dell’ideale popolo delle benedizioni; Israele dell’esodo verso la libertà, e traccia del Padre [nella sobrietà riflessiva e condivisione del deserto].

Esso permane a lungo spoglio e scheletrito; d’improvviso le sue gemme spuntano, si schiudono e in pochi giorni si riveste di foglie rigogliose.

Tale sarà il passaggio dal caos all’ordine sensibile e fraterno prodotto dalla proclamazione e assimilazione della Parola: pensiero non uguale; passo divino nella storia.

 

Attraverso suggestioni che appartengono a processi di natura, siamo introdotti nel discernimento del Mistero - espresso nell’arco della fiumana di trasformazioni.

Le sue ricchezze sono contenute nei codici del Verbo e negli eventi ordinari concreti, i quali hanno un sintomatico peso. Scrigni delle realtà invisibili, che non passano.

Tale dovizia svilupperà persino (e in specie) dalla confusione e dai crolli, come per intrinseca forza ed essenza, giorno per giorno.

Non per un’astratta esemplarità, ma per pienezza della vita che ritrova le proprie radici - riscoprendole nell’errore e nel piccolo.

Un paradossale germe di speranza, e presagio di condizioni migliori.

Perché senza imperfezione e limite non esiste crescita o fioritura, né Regno vicino (vv.30-31) il quale prende sempre «contatto con le ferite» [Fratelli Tutti n.261].

 

Parola di Dio e ritmi della Natura sono codici che passano il tempo. Rilievi autentici, creati, donati, e rivelati.

Sorgenti di discernimento, dello sguardo penetrante, dei segni del tempo, del pensiero libero, della Speranza che non si accoda.

 

 

[Venerdì 34.a sett. T.O.  28 Novembre 2025]

Giovedì, 20 Novembre 2025 03:32

Parole e Natura, codici che non passeranno

Le Fonti della Speranza

(Lc 21,29-33)

 

I Sadducei pensavano che il loro benessere esagerato fosse il segno più espressivo dei tempi messianici.

Gli Esseni reputavano che il Regno di Dio [di cui volevano essere un anticipo] potesse manifestarsi solo quando il popolo eletto si fosse purificato completamente da ogni obbrobrio e mercato sacro.

I Farisei ritenevano che il Messia si sarebbe instaurato allorché tutti fossero tornati alle sacre tradizioni, scritte e orali.

Anche fra i primi cristiani c’era una varietà di opinioni in merito.

Fortunatamente (allora come oggi) alcuni consideravano il Risorto già del tutto Presente, mai allontanatosi.

Il suo Spirito vivente si manifesta dentro ciascun credente e in mezzo a noi - specialmente percepibile ove si lotta per la giustizia, l’emancipazione, la vita piena di tutti.

 

Lc termina il suo Discorso Apocalittico con delle raccomandazioni sull’attenzione e lo sguardo penetrante da porre al ‘segno dei tempi’.

E - radicata nella Parola di Dio che si fa evento e dirige al futuro, la Speranza inaugura una fase nuova della storia.

La sua profondità sorpassa tutte le possibilità attuali, le quali viceversa oscillano inquiete fra segni di catastrofe.

(Nella vecchia Europa, dopo diversi decenni di andazzo spirituale accomodante e soporifero, lo sperimentiamo per constatazione diretta).

«Quando già hanno germogliato, guardando, da voi stessi sapete che l’estate è già vicina» (Lc 21,31).

 

Gesù rasserena i discepoli sui timori di fine del mondo, e impone di non guardare messaggi in codice, ma la Natura.

Solo così essi riusciranno a leggere e interpretare gli avvenimenti.

Discernimento saggio, che serve a non chiuderci nel presente immediato: esso spinge su una strada di uniformità o difesa.

Infatti, a motivo degli sconvolgimenti, una valutazione precipitosa potrebbe indurci a temere rovesci, bloccando la crescita e la testimonianza.

 

Il mondo e le cose camminano verso una Primavera, e anzitutto in tal senso abbiamo un ruolo di sentinella.

Sulle rovine d’un secolo che crolla, il Padre fa capire quanto succede - e continua a costruire ciò che speriamo [non secondo gusti immediati].

Qua e là possiamo coglierne i vagiti, come i germogli sul ‘fico’.

È un albero che allude al frutto d’amore che Dio attende dal suo popolo, chiamato a essere tenero e dolce: segni della nuova stagione - quella delle relazioni sane.

 

In tal guisa, lo spirito di dedizione manifestato dai figli sarà prefigurazione dell’avvento prossimo d’un impero completamente differente - in grado di sostituire nelle coscienze tutti gli altri di carattere competitivo.

Il fico è appunto immagine dell’ideale popolo delle benedizioni; Israele dell’esodo verso la libertà, e traccia del Padre [nella sobrietà riflessiva e condivisione del deserto].

Esso permane a lungo spoglio e scheletrito; d’improvviso le sue gemme spuntano, si schiudono e in pochi giorni si riveste di foglie rigogliose.

Tale sarà il passaggio dal caos all’ordine sensibile e fraterno prodotto dalla proclamazione e assimilazione della Parola: pensiero non uguale; passo divino nella storia.

 

Attraverso suggestioni che appartengono a processi di natura, siamo introdotti nel discernimento del Mistero - espresso nell’arco della fiumana di trasformazioni.

Le sue ricchezze sono contenute nei codici del Verbo e negli eventi ordinari concreti, i quali hanno un sintomatico peso. Scrigni delle realtà invisibili, che non passano.

Tale dovizia svilupperà persino (e in specie) dalla confusione e dai crolli, come per intrinseca forza ed essenza, giorno per giorno.

Non per un’astratta esemplarità, ma per pienezza della vita che ritrova le proprie radici - riscoprendole nell’errore e nel piccolo.

Un paradossale germe di speranza, e presagio di condizioni migliori.

Perché senza imperfezione e limite non esiste crescita o fioritura, né Regno vicino (vv.30-31) il quale prende sempre «contatto con le ferite» [Fratelli Tutti n.261].

 

Dice il Tao Tê Ching (LII): «Il mondo ebbe un principio, che fu la madre del mondo; chi è pervenuto alla madre, da essa conosce il figlio; chi conosce il figlio e torna a conservar la madre, fino alla morte non corre pericolo [...] Illuminazione è vedere il piccolo; forza è attenersi alla mollezza [...] Questo dicesi praticar l’eterno».

 

Parola di Dio e ritmi della Natura sono codici che passano il tempo. Rilievi autentici, creati, donati, e rivelati.

Sorgenti di discernimento, dello sguardo penetrante, dei segni del tempo, del pensiero libero, della Speranza che non si accoda.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Cosa hai imparato contemplando la natura? Una diversa Sapienza? 

Come mai la si ritiene così lontana dalla dottrina usuale e dai suoi codici dirigisti o cerebrali, che nel tempo si rivelano scadenti?

 

 

Il mondo diventa libro. Arte della vigilanza

 

Uno degli atteggiamenti caratteristici della Chiesa dopo il Concilio è quello d’una particolare attenzione sopra la realtà umana, considerata storicamente; cioè sopra i fatti, gli avvenimenti, i fenomeni del nostro tempo. Una parola del Concilio è entrata nelle nostre abitudini: quella di scrutare «i segni dei tempi». Ecco una espressione, che ha una lontana reminiscenza evangelica: «Non sapete distinguere - chiede una volta Gesù ai suoi ostili e malfidi ascoltatori - i segni dei tempi?» (Matth. 16, 4). Il Signore alludeva allora ai prodigi ch’Egli andava compiendo, e che dovevano indicare l’avvento dell’ora messianica. Ma l’espressione ha oggi, sulla stessa linea, se vogliamo, un significato nuovo di grande importanza: la riprese infatti Papa Giovanni XXIII nella Costituzione apostolica, con la quale indisse il Concilio Ecumenico Vaticano II, quando, dopo aver osservato le tristi condizioni spirituali del mondo contemporaneo, volle rianimare la speranza della Chiesa, scrivendo: «A noi piace collocare una fermissima fiducia del divino Salvatore ... che ci esorta a riconoscere i segni dei tempi», così che «vediamo fra tenebre oscure numerosi indizi, i quali sembrano annunciare tempi migliori per la Chiesa e per il genere umano» (A.A.S. 1962, p. 6). I segni dei tempi sono, in questo senso, dei presagi di condizioni migliori.

GIOVANNI XXIII E IL CONCILIO

L’espressione è passata nei documenti conciliari (specialmente nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 4; la intravediamo nella mirabile pagina del n. 10: poi nel n. 11; così nei nn. 42, 44; così nel Decreto sull’attività dei Laici, n. 14; nella Costituzione sulla S. Liturgia, n. 43; ecc.). Questa locuzione «i segni dei tempi» ha pertanto acquistato un uso corrente e un significato profondo, molto ampio e molto interessante; e cioè quello della interpretazione teologica della storia contemporanea. Che la storia, considerata nelle sue grandi linee, abbia offerto al pensiero cristiano l’occasione, anzi l’invito a scoprirvi un disegno divino, è ben saputo da sempre: che cosa è la «storia sacra», se non l’identificazione di un pensiero divino, d’un’«economia» trascendente, nello svolgimento degli avvenimenti che conducono a Cristo, e da Cristo derivano? Ma questa scoperta è postuma; è una sintesi, alle volte discutibile nelle sue formulazioni, che lo studioso compie quando gli avvenimenti sono ormai compiuti, e possono essere considerati in una prospettiva d’insieme, e talora collocati deduttivamente in un quadro ideologico derivato da altre fonti dottrinali, che non dalla analisi induttiva degli avvenimenti stessi. Ora invece è offerto al pensiero moderno l’invito a decifrare nella realtà storica, in quella presente specialmente, i «segni», cioè le indicazioni d’un senso ulteriore a quello registrato dall’osservatore passivo.

Questa presenza del «segno» nelle realtà percepite dalla nostra conoscenza immediata meriterebbe una, lunga riflessione. Nel campo religioso il «segno» tiene un posto importantissimo: il regno divino non è ordinariamente accessibile alla nostra conoscenza per via diretta, sperimentale, intuitiva, ma per via di segni (così la conoscenza di Dio è a noi possibile mediante introspezione delle cose, che assumono valore di segno [cfr. Rom. 1, 20]; così l’ordine soprannaturale ci è comunicato dai sacramenti, che sono segni sensibili d’una realtà invisibile, ecc.); anche il linguaggio umano poi avviene per via di segni fonetici o scritturali convenzionali, con cui il pensiero si trasmette; e così via. In tutto l’universo creato possiamo trovare segni d’un ordine, d’un pensiero, d’una verità, che può fare da ponte metafisico (cioè oltre il quadro della realtà fisica) al mondo ineffabile, ma surreale del «Dio ignoto» (cfr. Act. 17, 23, ss.; Rom. 8, 22; Lumen gentium, n. 16). Nella prospettiva, che ora stiamo considerando, si tratta di individuare «nei tempi», cioè nel corso degli avvenimenti, nella storia, quegli aspetti, quei «segni», che ci possono dare qualche notizia d’una immanente Provvidenza (pensiero questo abituale agli spiriti religiosi); ovvero ci possono essere indizi (ed è questo che ora c’interessa) d’un qualche rapporto col «regno di Dio», con la sua azione segreta, ovvero - ancor meglio per il nostro studio e per il nostro dovere - con la possibilità, con la disponibilità, con l’esigenza di un’azione apostolica. Questi indizi sembrano a Noi propriamente «i segni dei tempi».

IL MONDO DIVENTA LIBRO

Donde una serie di conclusioni importanti e interessanti. Il mondo per noi diventa libro. La nostra vita, oggi, è assai impegnata nella continua visione del mondo esteriore. I mezzi di comunicazione sono così cresciuti, così aggressivi, che ci impegnano, ci distraggono, ci distolgono da noi stèssi, ci svuotano dalla nostra coscienza personale. Ecco: facciamo attenzione. Noi possiamo passare dalla posizione di semplici osservatori a quella di critici, di pensatori, di giudici. Quest’attitudine di conoscenza riflessa è della massima importanza per l’anima moderna, se vuole restare anima viva, e non semplice schermo delle mille impressioni a cui è soggetta. E per noi cristiani questo atto riflesso è necessario, se vogliamo scoprire «i segni dei tempi»; perché come insegna il Concilio (Gaudium et spes, n. 4), l’interpretazione dei «tempi», cioè della realtà empirica e storica, che ci circonda e ci impressiona, deve essere fatta «alla luce del Vangelo». La scoperta dei «segni dei tempi» è un fatto di coscienza cristiana; risulta da un confronto della fede con la vita; non per sovrapporre artificiosamente e superficialmente un pensiero devoto ai casi della nostra esperienza, ma piuttosto per vedere dove questi casi postulano, per il loro intrinseco dinamismo, per la loro stessa oscurità, e talvolta per la loro stessa immoralità, un raggio di fede, una parola evangelica, che li classifichi, che li redima; ovvero la scoperta dei «segni dei tempi» avviene per farci rilevare dove essi vengono da sé incontro a disegni superiori, che noi sappiamo cristiani e divini (come la ricerca dell’unità, della pace, della giustizia), e dove un’eventuale nostra azione di carità o di apostolato viene a combaciare con una maturazione di circostanze favorevoli, indicatrici che l’ora è venuta pei- un progresso simultaneo del regno di Dio nel regno umano.

IL METODO DA SEGUIRE

Questo metodo Ci sembra indispensabile per ovviare ad alcuni pericoli, a cui l’attraente ricerca dei «‘segni dei tempi» potrebbe esporci. Primo pericolo, quello di un profetismo carismatico, spesso degenerante in fantasia bigotta, che conferisce a coincidenze fortuite e spesso insignificanti interpretazioni miracolistiche. L’avidità di scoprire facilmente «i segni dei tempi» può farci dimenticare l’ambiguità spesso possibile della valutazione dei fatti osservati; e ciò tanto più se dobbiamo riconoscere al «Popolo di Dio», cioè ad ogni credente, un’eventuale capacità di discernere «i segni della presenza o del disegno di Dio» (Gaudium et spes, n. 11): «il sensus fidei» può conferire questo dono di sapiente veggenza, ma l’assistenza del magistero gerarchico sarà sempre provvida e decisiva, quando l’ambiguità della interpretazione meritasse d’essere risolta o nella certezza della verità, o nell’utilità del bene comune.

Pericolo secondo sarebbe costituito dall’osservazione puramente fenomenica dei fatti dai quali si desidera estrarre l’indicazione dei «segni dei tempi»; ed è ciò che può avvenire quando tali fatti sono rilevati e classificati in schemi puramente tecnici e sociologici. Che la sociologia sia scienza di grande merito per se stessa e per lo scopo che qui c’interessa, cioè per la ricerca d’un senso superiore e indicativo dei fatti medesimi, volentieri noi ammettiamo. Ma la sociologia non può essere criterio morale a se stante, né può sostituire la teologia. Questo nuovo umanesimo scientifico potrebbe mortificare l’autenticità e l’originalità del nostro cristianesimo e dei suoi valori soprannaturali.

L'ARTE DELLA VIGILANZA CRISTIANA

Altro pericolo potrebbe nascere dal considerare come prevalente l’aspetto storico di questo problema. Vero è che lo studio qui verte sulla storia, verte sul tempo, e cerca di ricavarne segni propri del campo religioso, che per noi tutto è raccolto nell’avvenimento centrale della presenza storica di Cristo nel tempo e nel mondo, donde deriva il Vangelo, la Chiesa e la sua missione di salvezza. Cioè l’elemento immutabile della verità rivelata non dovrebbe soggiacere alla mutabilità .dei tempi, nei quali si diffonde e talvolta fa la sua apparizione con «segni», che non lo alterano, ma lo lasciano intravedere e lo realizzano nell’umanità pellegrina (cfr. CHENU, Les signes des temps, in Nouv. Revue Théol. 1-1-65, pp. 29-39). Ma tutto questo non fa che richiamarci all’attenzione, allo studio dei «segni dei tempi», che devono rendere sagace e moderno il nostro giudizio cristiano e il nostro apostolato in mezzo alla fiumana delle trasformazioni del mondo contemporaneo. È l’antica, sempre viva parola del Signore che risuona ai nostri spiriti: «Vigilate» (Luc. 21, 36). La vigilanza cristiana sia l’arte per noi nel discernimento dei «segni dei tempi».

[Papa Paolo VI, Udienza Generale 16 aprile 1969]

 

 

Parola e diversità

 

Tutte le cose umane, tutte le cose che noi possiamo inventare, creare, sono finite. Anche tutte le esperienze religiose umane sono finite, mostrano un aspetto della realtà, perché il nostro essere è finito e capisce solo sempre una parte, alcuni elementi: «latum praeceptum tuum nimis». Solo Dio è infinito. E perciò anche la sua Parola è universale e non conosce confine. Entrando quindi nella Parola di Dio, entriamo realmente nell'universo divino. Usciamo dalla limitatezza delle nostre esperienze e entriamo nella realtà, che è veramente universale. Entrando nella comunione con la Parola di Dio, entriamo nella comunione della Chiesa che vive la Parola di Dio. Non entriamo in un piccolo gruppo, nella regola di un  piccolo gruppo, ma usciamo dai nostri limiti. Usciamo verso il largo, nella vera larghezza dell'unica verità, la grande verità di Dio. Siamo realmente nell'universale. E così usciamo nella comunione di tutti i fratelli e le sorelle, di tutta l'umanità, perché nel cuore nostro si nasconde il desiderio della Parola di Dio che è una. Perciò anche l'evangelizzazione, l'annuncio del Vangelo, la missione non sono una specie di colonialismo ecclesiale, con cui vogliamo inserire altri nel nostro gruppo. È uscire dai limiti delle singole culture nella universalità che collega tutti, unisce tutti, ci fa tutti fratelli. Preghiamo di nuovo affinché il Signore ci aiuti a entrare realmente nella “larghezza” della sua Parola e così aprirci all'orizzonte universale dell'umanità, quello che ci unisce con tutte le diversità.

[Papa Benedetto, Meditazione alla XII Assemblea Generale del Sinodo, 6 ottobre 2008]

All'inizio del nostro Sinodo la Liturgia delle Ore ci propone un brano del grande Salmo 118 sulla Parola di Dio: un elogio di questa sua Parola, espressione della gioia di Israele di poterla conoscere e, in essa, di poter conoscere la sua volontà e il suo volto. Vorrei meditare con voi alcuni versetti di questo brano del Salmo.

Comincia così: «In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet». Si parla della solidità della Parola. Essa è solida, è la vera realtà sulla quale basare la propria vita. Ricordiamoci della parola di Gesù che continua questa parola del Salmo: «Cieli e terra passeranno, la mia parola non passerà mai». Umanamente parlando, la parola, la nostra parola umana, è quasi un niente nella realtà, un alito. Appena pronunciata, scompare. Sembra essere niente. Ma già la parola umana ha un forza incredibile. Sono le parole che creano poi la storia, sono le parole che danno forma ai pensieri, i pensieri dai quali viene la parola. È la parola che forma la storia, la realtà.

Ancor più la Parola di Dio è il fondamento di tutto, è la vera realtà. E per essere realisti, dobbiamo proprio contare su questa realtà. Dobbiamo cambiare la nostra idea che la materia, le cose solide, da toccare, sarebbero la realtà più solida, più sicura. Alla fine del Sermone della Montagna il Signore ci parla delle due possibilità di costruire la casa della propria vita: sulla sabbia e sulla roccia. Sulla sabbia costruisce chi costruisce solo sulle cose visibili e tangibili, sul successo, sulla carriera, sui soldi. Apparentemente queste sono le vere realtà. Ma tutto questo un giorno passerà. Lo vediamo adesso nel crollo delle grandi banche: questi soldi scompaiono, sono niente. E così tutte queste cose, che sembrano la vera realtà sulla quale contare, sono realtà di secondo ordine. Chi costruisce la sua vita su queste realtà, sulla materia, sul successo, su tutto quello che appare, costruisce sulla sabbia. Solo la Parola di Dio è fondamento di tutta la realtà, è stabile come il cielo e più che il cielo, è la realtà. Quindi dobbiamo cambiare il nostro concetto di realismo. Realista è chi riconosce nella Parola di Dio, in questa realtà apparentemente così debole, il fondamento di tutto. Realista è chi costruisce la sua vita su questo fondamento che rimane in permanenza. E così questi primi versetti del Salmo ci invitano a scoprire che cosa è la realtà e a trovare in questo modo il fondamento della nostra vita, come costruire la vita.

Nel successivo versetto si dice: «Omnia serviunt tibi». Tutte le cose vengono dalla Parola, sono un prodotto della Parola. “All'inizio era la Parola”. All'inizio il cielo parlò. E così la realtà nasce dalla Parola, è “creatura Verbi”. Tutto è creato dalla Parola e tutto è chiamato a servire la Parola. Questo vuol dire che tutta la creazione, alla fine, è pensata per creare il luogo dell'incontro tra Dio e la sua creatura, un luogo dove l'amore della creatura risponda all'amore divino, un luogo in cui si sviluppi la storia dell'amore tra Dio e la sua creatura. «Omnia serviunt tibi». La storia della salvezza non è un piccolo avvenimento, in un pianeta povero, nell'immensità dell'universo. Non è una cosa minima, che succede per caso in un pianeta sperduto. È il movente di tutto, il motivo della creazione. Tutto è creato perché ci sia questa storia, l'incontro tra Dio e la sua creatura. In questo senso, la storia della salvezza, l'alleanza, precede la creazione. Nel periodo ellenistico, il giudaismo ha sviluppato l'idea che la Torah avrebbe preceduto la creazione del mondo materiale. Questo mondo materiale sarebbe stato creato solo per dare luogo alla Torah, a questa Parola di Dio che crea la risposta e diventa storia d'amore. Qui traspare già misteriosamente il mistero di Cristo. È quello che ci dicono le Lettere agli Efesini e ai Colossesi: Cristo è il protòtypos, il primo nato della creazione, l'idea per la quale è concepito l'universo. Egli accoglie tutto. Noi entriamo nel movimento dell'universo unendoci a Cristo. Si può dire che, mentre la creazione materiale è la condizione per la storia della salvezza, la storia dell'alleanza è la vera causa del cosmo. Arriviamo alle radici dell'essere arrivando al mistero di Cristo, a questa sua parola viva che è lo scopo di tutta la creazione. «Omnia serviunt tibi». Servendo il Signore realizziamo lo scopo dell'essere, lo scopo della nostra propria esistenza.

Facciamo ora un salto: «Mandata tua exquisivi». Noi siamo sempre alla ricerca della Parola di Dio. Essa non è semplicemente presente in noi. Se ci fermiamo alla lettera, non necessariamente abbiamo compreso realmente la Parola di Dio. C'è il pericolo che noi vediamo solo le parole umane e non vi troviamo dentro il vero attore, lo Spirito Santo. Non troviamo nelle parole la Parola. Sant'Agostino, in questo contesto, ci ricorda gli scribi e i farisei consultati da Erode nel momento dell'arrivo dei Magi. Erode vuol sapere dove sarebbe nato il Salvatore del mondo. Essi lo sanno, danno la risposta giusta: a Betlemme. Sono grandi specialisti, che conoscono tutto. E tuttavia non vedono la realtà, non conoscono il Salvatore. Sant'Agostino dice: sono indicatori di  strada per gli altri, ma loro stessi non si muovono. Questo è un grande pericolo anche nella nostra lettura della Scrittura: ci fermiamo alle parole umane, parole del passato, storia del passato, e non scopriamo il presente nel passato, lo Spirito Santo che parla oggi a noi nelle parole del passato. Così non entriamo nel movimento interiore della Parola, che in parole umane nasconde e apre le parole divine. Perciò c'è sempre bisogno dell’«exquisivi». Dobbiamo essere in ricerca della Parola nelle parole.

Quindi l'esegesi, la vera lettura della Sacra Scrittura, non è solamente un fenomeno letterario, non è soltanto la lettura di un testo. È il movimento della mia esistenza. È muoversi verso la Parola di Dio nelle parole umane. Solo conformandoci al mistero di Dio, al Signore che è la Parola, possiamo entrare all'interno della Parola, possiamo  trovare veramente in parole umane la Parola di Dio. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a cercare non solo con l'intelletto, ma con tutta la nostra esistenza, per trovare la parola.

Alla fine: «Omni consummationi vidi finem, latum praeceptum tuum nimis». Tutte le cose umane, tutte le cose che noi possiamo inventare, creare, sono finite. Anche tutte le esperienze religiose umane sono finite, mostrano un aspetto della realtà, perché il nostro essere è finito e capisce solo sempre una parte, alcuni elementi: «latum praeceptum tuum nimis». Solo Dio è infinito. E perciò anche la sua Parola è universale e non conosce confine. Entrando quindi nella Parola di Dio, entriamo realmente nell'universo divino. Usciamo dalla limitatezza delle nostre esperienze e entriamo nella realtà che, è veramente universale. Entrando nella comunione con la Parola di Dio, entriamo nella comunione della Chiesa che vive la Parola di Dio. Non entriamo in un piccolo gruppo, nella regola di un  piccolo gruppo, ma usciamo dai nostri limiti. Usciamo verso il largo, nella vera larghezza dell'unica verità, la grande verità di Dio. Siamo realmente nell'universale. E così usciamo nella comunione di tutti i fratelli e le sorelle, di tutta l'umanità, perché nel cuore nostro si nasconde il desiderio della Parola di Dio che è una. Perciò anche l'evangelizzazione, l'annuncio del Vangelo, la missione non sono una specie di colonialismo ecclesiale, con cui vogliamo inserire altri nel nostro gruppo. È uscire dai limiti delle singole culture nella universalità che collega tutti, unisce tutti, ci fa tutti fratelli.  Preghiamo di nuovo affinché il Signore ci aiuti a entrare realmente nella “larghezza” della sua Parola e così aprirci all'orizzonte universale dell'umanità, quello che ci unisce con tutte le diversità.

Alla fine ritorniamo ancora a un versetto precedente: «Tuus sum ego: salvum me fac». Il testo italiano traduce: «Io sono tuo». La parola di Dio è come una scala sulla quale possiamo salire e, con Cristo, anche scendere nella profondità del suo amore. È una scala per arrivare alla Parola nelle parole. «Io sono tuo».  La parola ha un volto, è persona, Cristo. Prima che noi possiamo dire «Io sono tuo», Egli ci ha già detto «Io sono tuo». La Lettera agli Ebrei, citando il Salmo 39, dice: «Un corpo invece mi hai preparato... Allora ho detto: Ecco, io vengo». Il Signore si è fatto preparare un corpo per venire. Con la sua incarnazione ha detto: io sono tuo. E nel Battesimo ha detto a me: io sono tuo. Nella sacra Eucaristia lo dice sempre di nuovo: io sono tuo, perché noi possiamo rispondere: Signore, io sono tuo. Nel cammino della Parola, entrando nel mistero della sua incarnazione, del suo essere con noi, vogliamo appropriarci del suo essere, vogliamo espropriarci della nostra esistenza, dandoci a Lui che si è dato a noi.

«Io sono tuo». Preghiamo il Signore di poter imparare con tutta la nostra esistenza a dire questa parola. Così saremo nel cuore della Parola. Così saremo salvi.

[Papa Benedetto, Meditazione alla XII Assemblea Generale del Sinodo 6 ottobre 2008]

Giovedì, 20 Novembre 2025 03:25

Parole che non passeranno

1. "Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria" (Mc 13,26).

In questa penultima domenica del tempo ordinario, la Liturgia ci parla della seconda venuta di Cristo. Il Signore apparirà sulle nubi rivestito di gloria e di potenza. E' lo stesso Figlio dell'uomo, misericordioso e compassionevole, che i discepoli hanno conosciuto nel suo itinerario terreno. Quando sarà il momento della sua manifestazione gloriosa, Egli verrà a dare compimento definitivo alla storia umana.

Attraverso il simbolismo di sconvolgimenti cosmologici, l'evangelista Marco ricorda che Dio pronuncerà, nel Figlio, il suo giudizio sulle vicende degli uomini, ponendo fine ad un universo corrotto dalla menzogna e dilaniato dalla violenza e dall'ingiustizia.

3. La vostra quotidiana esperienza vi porta ad affrontare situazioni difficili e talora drammatiche, che pongono a repentaglio le sicurezze umane. Il Vangelo, però, ci conforta presentando la figura vittoriosa di Cristo giudice della storia. Egli con la sua presenza illumina il buio e persino la disperazione dell'uomo, ed offre a chi confida in Lui la consolante certezza della sua costante assistenza.

Nel Vangelo, poc'anzi proclamato, abbiamo ascoltato un significativo riferimento all'albero del fico, i cui rami, con lo spuntare delle prime gemme, annunciano il tempo primaverile ormai vicino. Con queste sue parole, Gesù incoraggia gli apostoli a non arrendersi di fronte alle difficoltà ed alle incertezze del tempo presente. Li esorta piuttosto a saper attendere e a prepararsi ad accoglierlo quando tornerà. Anche voi quest'oggi, carissimi Fratelli e Sorelle, siete invitati dalla Liturgia a saper scrutare i "segni dei tempi", secondo un'espressione cara al mio venerato predecessore, il Papa Giovanni XXIII, recentemente proclamato Beato.

Per quanto le situazioni siano complesse e problematiche, non perdete la fiducia. Nel cuore dell'uomo non deve mai morire il germe della speranza. Anzi, siate sempre attenti a scorgere e ad incoraggiare ogni segno positivo di rinnovamento personale e sociale. Siate pronti a favorire con ogni mezzo la coraggiosa costruzione della giustizia e della pace.

[Papa Giovanni Paolo II, omelia 19 novembre 2000]

Giovedì, 20 Novembre 2025 03:16

Pensiero libero

Un invito a «pensare in cristiano», perché «un cristiano non pensa solo con la testa, pensa anche con il cuore e con lo spirito che ha dentro», è stato rivolto da Papa Francesco stamane, venerdì 29 novembre, durante la messa celebrata a Santa Marta. Un invito particolarmente attuale in un contesto sociale dove — ha fatto notare il Pontefice — si va sempre più insinuando «un pensiero debole, un pensiero uniforme, un pensiero pret-à-porter».

Il vescovo di Roma ha incentrato la propria riflessione sul brano evangelico di Luca (21, 29-33) proposto durante la liturgia, nel quale il Signore «con esempi semplici insegna ai discepoli a capire cosa succede». In questo caso Gesù invita a osservare «la pianta di fico e tutti gli alberi», perché quando germogliano si capisce che l’estate è vicina. In altri contesti il Signore usa esempi analoghi per rimproverare quei farisei che non vogliono capire «i segni dei tempi»; quelli che non vedono «il passo di Dio nella storia», nella storia del popolo d’Israele, nella storia del cuore dell’uomo, «nella storia dell’umanità».

L’insegnamento, secondo il Santo Padre, è che «Gesù con parole semplici ci incoraggia a pensare per capire». Ed è un incoraggiamento a pensare «non soltanto con la testa», ma anche «con il cuore, con lo spirito», con tutto noi stessi. È questo appunto il “pensare in cristiano”, per poter «capire i segni dei tempi». E quanti non capiscono, come avviene nel caso dei discepoli di Emmaus, sono definiti da Cristo «stolti e tardi di cuore». Perché — ha spiegato il Papa — colui che «non capisce le cose di Dio è una persona così», stolta e dura di comprendonio, mentre «il Signore vuole che noi capiamo cosa succede nel nostro cuore, nella nostra vita, nel mondo, nella storia»; e capiamo «cosa significa ciò che accade adesso». Infatti è nelle risposte a queste domande che possiamo individuare «i segni dei tempi».

Eppure non sempre le cose vanno così. C’è un nemico in agguato. È «lo spirito del mondo», che — ha ricordato il Santo Padre — «ci fa altre proposte». Perché «non ci vuole popolo, ci vuole massa. Senza pensiero e senza libertà». Lo spirito del mondo, in sostanza, ci spinge lungo «una strada di uniformità, ma senza quello spirito che fa il corpo di un popolo», trattandoci «come se noi non avessimo la capacità di pensare, come persone non libere». E in proposito Papa Francesco ha chiarito espressamente i meccanismi di persuasione occulta: c’è un determinato modo di pensare che deve essere imposto, «si fa la pubblicità di questo pensiero» e «si deve pensare» in tal modo. È «il pensiero uniforme, il pensiero uguale, il pensiero debole»; un pensiero purtroppo «così diffuso», ha commentato il vescovo di Roma.

In pratica «lo spirito del mondo non vuole che noi ci chiediamo davanti a Dio: ma perché accade questo?». E per distrarci dalle domande essenziali, «ci propone un pensiero pret-à-porter, secondo i nostri gusti: io penso come mi piace». Questo modo di pensare «va bene» allo spirito del mondo; mentre quello che lui «non vuole è ciò che ci chiede Gesù: il pensiero libero, il pensiero di un uomo e di una donna che sono parte del popolo di Dio». Del resto, «la salvezza è stata proprio questa: farci popolo, popolo di Dio. Avere libertà». Perché «Gesù ci chiede di pensare liberamente, di pensare per capire cosa succede».

Certo, ha avvertito Papa Francesco, «da soli non possiamo» fare tutto: «abbiamo bisogno dell’aiuto del Signore, abbiamo bisogno dello Spirito Santo per capire i segni dei tempi». Infatti è proprio lo Spirito a donarci «l’intelligenza per capire». Si tratta di un regalo personale fatto a ogni uomo, grazie al quale «io devo capire perché accade questo a me» e «qual è la strada che il Signore vuole» per la mia vita. Da qui l’esortazione conclusiva a «chiedere al Signore Gesù la grazia che ci invii il suo spirito di intelligenza», affinché «non abbiamo un pensiero debole, un pensiero uniforme, un pensiero secondo i nostri gusti», per avere invece «soltanto un pensiero secondo Dio». E «con questo pensiero — di mente, di cuore e di anima — che è dono dello Spirito», cercare di poter capire «cosa significano le cose, capire bene i segni dei tempi».

[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 30/11/2013]

Collocarsi negli sconvolgimenti “astrali”

(Lc 21,20-28)

 

Al tempo di Gesù la città eterna si stava autodistruggendo, ma le distanze fra cielo e terra si assottigliavano.

Parola viva e meditazione ecclesiale.

Anche oggi sperimentiamo rovesciamenti: d’improvviso il centro appagante diventa periferia malmessa, e viceversa.

A cosa è finalizzato il trauma? E la caduta di fede che ne scaturisce?

Al contrario, ciò che conta della crisi è proprio negli stati interiori che attiva - malgrado le percezioni esterne di perdita.

Bisogna sganciarsi da cause apparenti, per entrare nel profondo degli spazi che sentiamo violati.

Quel dolore è parte di noi stessi, del cammino di Fede.

Riconoscendolo e accogliendolo come vena intima, lato genuino dell’essere che ci appartiene, si riconquista integrità; si può ripartire.

 

La Chiesa autentica pensa al senso del cammino… anche dell’intera storia, riflettendo in particolare sull’instabilità [ciò che era in alto ora cade rovinosamente].

Sulle macerie ecco profilarsi la fine dell’assetto antico, sconvolto nell’arcaico prestigio e nello stesso ordinamento.

Il mondo nuovo avrà gerarchie rovesciate (vv.25-26).

Esse hanno finito per spegnere la loro inutile attrattiva; hanno esaurito il loro tempo.

Frutti amari generati da potenze elette, dalle ‘star’ che parevano celesti [sole, luna, stelle e potenze che hanno sempre sovrastato l’umanità: vv.25-26].

Ai loro insegnamenti è stato tolto il velo.

Avevano programmi parziali, puramente temporali. Non formavano tutta la vita.

Ed ecco finalmente l’innesco di un nuovo Regno, che s’inaugura nell’aspetto di un Figlio, d’un Amico dal cuore di uomo e non di belva (cf. Dn 7,2-14).

 

Sul fondo della storia istituzionale s’aggira un senso di morte, ma proprio qui l'anima si libera e sublima.

Le verità ancora consolidate saranno finalmente ‘misurate’ da una Presenza salvatrice.

‘Carne’ come noi e ‘Roccia’ come Dio.

Una Grazia impegnativa si sta ergendo sulla presunta catastrofe, tappa inesorabile per l’instaurazione di tutt’altra Fraternità - e l’apparire di una nuova Creazione.

In tal guisa, rovina e distruzione si volgeranno in alta consapevolezza; Esodo, gioia di trasformazione, senso di libertà.

Saremo senza rimpianti per il “fumo” impressionante di ciò che si è autodistrutto - a motivo della sua scarsa cifra umano-divina.

Tutto questo attiveremo, anche quando saremo ritenuti poco avveduti, per le comuni configurazioni.

Ragione in più per farci convitati che ‘si accorgono’.

In Lui gli sconvolgimenti si tramuteranno: in coscienza acuta e relazioni felici, emancipate d’infinità e giustizia.

Nuova Maestà, che non respinge la notte.

 

Perché quando sostiamo nel dolore che vorremmo fuggire, le distanze fra cielo e terra si stanno assottigliando.

 

 

[Giovedì 34.a sett. T.O.  27 novembre 2025]

Collocarsi negli sconvolgimenti “astrali”

(Lc 21,20-28)

 

«E vi saranno segni nel sole e nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di nazioni in preda allo smarrimento per il fragore del mare e dei flutti» (v.25).

 

«In questi anni in cui s’inscrive la realtà quotidiana del nostro secolo, tormentato già allo spuntare di un nuovo millennio, portatrice di speranze dell’umanità. Il processo storico di inculturazione del Vangelo e dell’evangelizzazione delle culture è ben lontano dall’avere esaurito tutte le sue energie latenti. L’eterna novità del Vangelo incontra le apparizioni delle culture in genesi o in fase di rinnovamento. L’emergenza delle nuove culture fa appello, con evidenza, al coraggio e all’intelligenza di tutti i credenti e di tutti gli uomini di buona volontà. Trasformazioni sociali e culturali, sconvolgimenti politici, fermenti ideologici, inquietudini religiose, ricerche etiche, è tutto un mondo in gestazione che aspira a trovare forma e orientamento, sintesi organica e nuova stagione profetica. Sappiamo attingere risposte nuove nel tesoro della nostra speranza.

Assecondati da squilibri socio-politici, dalle scoperte scientifiche non pienamente controllate, da invenzioni tecniche di un’ampiezza inaudita, gli uomini restano confusamente il crepuscolo delle vecchie ideologie e l’usura dei vecchi sistemi. I popoli nuovi provocano le vecchie società, come per svegliarle dalla loro lassezza. I giovani alla ricerca di ideali aspirano a dare un senso che abbia valore all’avventura umana. Né la droga, né la violenza né la permissività né il nichilismo possono riempire il vuoto dell’esistenza. Le intelligenze e i cuori sono alla ricerca della luce che rischiari e dell’amore che riscaldi. La nostra epoca ci rivela nel vuoto la fame spirituale e l’immensa speranza delle coscienze».

[Papa Giovanni Paolo II, Discorso al Pontificio Consiglio per la Cultura 13 gennaio 1986]

 

Al tempo di Gesù la città eterna si stava autodistruggendo, ma la distanza fra cielo e terra si assottigliava.

Parola viva e meditazione ecclesiale.

Anche oggi sperimentiamo rovesciamenti: d’improvviso il centro appagante diventa periferia malmessa, e viceversa.

E in qualsiasi ceto sociale, ciascuno aspira, tenta, esplora, migra, vuole vivere completamente; non si accontenta più delle condizioni di partenza.

L’inquietudine si diffonde anche nell’istituzione religiosa, che pareva fissa, certa, eterna, immutabile.

Di recente lo stesso Pontefice ha parlato di «degenerazione» interna.

Come spiegare questo fatto? A cosa è finalizzato il trauma? E la caduta di fede che ne scaturisce?

Al contrario, ciò che conta della crisi è proprio negli stati interiori che attiva - malgrado le percezioni esterne di perdita.

Bisogna sganciarsi da cause apparenti, per entrare nel profondo degli spazi che sentiamo violati.

Quel dolore è parte di noi stessi, del cammino di Fede.

Riconoscendolo e accogliendolo come vena intima, lato genuino dell’essere che ci appartiene, si riconquista integrità; si può ripartire.

 

La Chiesa autentica pensa al senso del cammino… anche dell’intera storia.

Essa riflette in particolare sulla disfatta della città santa e sull’instabilità del suo cosmo - quello delle gerarchie vetuste: ciò che era in alto ora cade rovinosamente.

La vecchia terra delle “promesse” è d’improvviso disseminata di rovine: il suo pareva un tempo paradisiaco, spacciato per divino; invece era un attimo, forse in gran parte di terra.

Sulle macerie ecco profilarsi la fine dell’assetto antico, sconvolto nell’arcaico prestigio e nello stesso ordinamento.

Come ha dichiarato Papa Francesco [ad esempio]: «In una Chiesa per i poveri, più missionaria, non c’è spazio per chi si arricchisce o fa arricchire il suo cerchio magico indossando indegnamente l’abito talare».

 

Il mondo nuovo avrà gerarchie rovesciate (vv.25-26) e sta provocando già lo sgretolamento dei piedistalli della mitologia politica, devota e sociale, rivelatisi terra terra.

Hanno finito per spegnere la loro inutile attrattiva; hanno esaurito il loro tempo. Ciò mentre un «meraviglioso popolo segue Gesù Cristo».

 

Prima l’ossessione di peccato, la soggezione e inadeguatezza predicate a tutti, nonché le steppe disumanizzanti, aride, prodotte dal potere civile, militare e religioso.

Frutti amari generati da potenze elette, da prìncipi mondani, dalle star che parevano celesti [sole, luna, stelle e potenze che hanno sempre sovrastato l’umanità: vv.25-26].

Ai loro insegnamenti è stato tolto il velo: erano per nulla angelici, bensì di questo mondo.

Avevano programmi parziali, puramente temporali. Non formavano tutta la vita.

Ed ecco finalmente l’innesco di un nuovo Regno, che s’inaugura nell’aspetto di un Figlio, d’un Amico dal cuore di uomo e non di belva (cf. Dn 7,2-14).

 

Sul fondo della storia istituzionale s’aggira un senso di morte, ma proprio qui l'anima si libera e sublima.

Una nuova Chiamata suscita la coscienza personale e soppianta gli antichi principati. Vertici sociali che dettavano legge e controllavano tutto, opprimendo e stritolando ogni espressione inedita di vita che saliva dal basso.

Viceversa, la Vocazione per Nome offre l’armonia e fraternità del Disegno originario, concepito come Festa nuziale.

Le verità ancora consolidate saranno invece (finalmente) misurate da una Presenza salvatrice.

“Carne” come noi e “Roccia” come Dio.

 

Una Grazia impegnativa si sta ergendo sulla presunta catastrofe, tappa inesorabile per l’instaurazione di tutt’altra Fraternità - e l’apparire di una nuova Creazione.

In tal guisa, rovina e distruzione si volgeranno in alta consapevolezza; esodo, gioia di trasformazione, senso di libertà.

Speranza fanciulla che ricompone lo spavento di coloro che pensavano la Solenne Religione e le sublimi autorità talari in trono come fortilizio sicuro.

 

Compito delle nuove comunità in Cristo sarà l’avvio, l’edificazione e il compimento di una storia umanizzante, fonte in se stessa di Speranza; che vince il tempo del pre-umano e lo soppianta con estrema decisione.

Il rapporto tra fedeli e mondanità piramidali - un tempo spacciate per sovreminenti e quasi collocate in cielo, nell’alto - sarà di contrasto.

Quel cosmo ormai divenuto senza senso sta implodendo, nell’agonia della sua finitezza.

Per tale sommovimento c’è solo da gioire.

Lo stile di coloro che rendono umano il mondo sarà viceversa foriero di vittoria che divinizza ciascuno - trionfo questo sì ultraterreno.

Perché il lievito della storia è quello del corpo piegato nel servizio, e del capo alzato nell’attesa del Signore che Viene in continuità.

 

In ogni occasione l’attitudine della donna e dell’uomo di Fede rimarrà quella di chi prepara un accadimento nuovo, imprevedibile e determinante [come sempre si rivela l’appuntamento col Cristo Veniente e Viandante anche nei dettagli dell’esistenza].

Ma bisogna aiutarsi a percepire la vicinanza di tale senso impersonato: la scelta tra crollo e disperazione o felicità e liberazione avviene ora, nel tempo della vita che volge al momento dell’incontro col Risorto glorioso.

Saremo senza rimpianti per il “fumo” impressionante di ciò che si è autodistrutto - a motivo della sua scarsa cifra umano-divina.

E a tutti i costi permarremo fedeli non a ideologie o “solidi” idoli di ciccia e cartapesta, ma all’esperienza di Dio in dimensione missionaria, consapevoli che il futuro si compie giorno per giorno.

 

Tutto questo attiveremo, anche quando saremo ritenuti poco avveduti, per le comuni configurazioni.

Quindi - estromessi da ruoli - comprometteremo la nostra bella e più serena carriera di funzionari.

Ragione in più per farci convitati che si accorgono.

In Lui gli sconvolgimenti si tramuteranno: in coscienza acuta e relazioni felici, emancipate d’infinità e giustizia.

Nuova Maestà, che non respinge la notte.

 

Perché quando sostiamo nel dolore che vorremmo fuggire, le distanze fra cielo e terra si stanno assottigliando.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Quanto è umano il tuo divino?

E in materia ecclesiale:

Assumendo il linguaggio di Papa Francesco, cosa pensi del «nemico invisibile» che ancora osteggia la riforma dei meccanismi interni (paganeggianti) e delle anomalie nei palazzi apostolici [e dei «finti amici laici», ovunque] che ben poco si addicono allo spirito evangelico e a un’ideale «casa di vetro»?

 

 

Crisi di una civiltà

 

La «paganizzazione», la «mondanità», la «corruzione» portano alla distruzione della persona. Ma il cristiano, chiamato a confrontarsi con le «prove del mondo», nelle difficoltà della vita ha un orizzonte di speranza perché è invitato alle «nozze dell’Agnello». Durante la messa celebrata a Santa Marta la mattina di giovedì 29 novembre, Papa Francesco ha continuato a seguire gli spunti della liturgia che, nella settimana conclusiva dell’anno liturgico, propone una serie di provocazioni sul tema della fine, della «fine del mondo», della «fine di ognuno di noi».

Nella liturgia della parola del giorno, ha spiegato il Pontefice all’inizio dell’omelia, le due letture tratte dall’Apocalisse (18, 1-2.21-23; 19, 1-3.9) e dal vangelo di Luca (21, 20-28) sono caratterizzate entrambe «da due parti: una parte di distruzione e poi una parte di fiducia; una parte di sconfitta, una parte di vittoria». Al centro dell’attenzione sono poste due città dalla grande potenza evocativa: Babilonia e Gerusalemme, «due città che sono sconfitte».

Innanzitutto Babilonia, «simbolo della città mondana, del lusso, dell’autosufficienza, del potere di questo mondo, ricca». Una realtà che «sembra gioiosa», eppure «sarà distrutta». Lo afferma l’Apocalisse descrivendo «un rito di vittoria: “È caduta. È caduta Babilonia, la grande. È caduta”». Ritenendola «incapace di essere fedele», il Signore la condanna: «Ha condannato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua prostituzione».

Sempre rifacendosi al testo biblico, il Pontefice è entrato nel dettaglio della realtà di Babilonia. «Quell’appariscenza di lusso, di gloria, di potere — ha detto — era una grande seduzione che portava la gente alla distruzione. E quella grande città così bella fa vedere la sua verità: “è diventata covo di demoni, rifugio di ogni spirito impuro, rifugio di ogni uccello impuro, rifugio di ogni bestia impura e orrenda”». Dietro la «magnificenza», quindi, si nasconde la «corruzione: le feste di Babilonia sembravano feste di gente felice», ma «erano feste finte di felicità, erano feste di corruzione». E per questo, ha spiegato il Papa, il gesto dell’angelo descritto dall’Apocalisse ha una potenza simbolica: «Prese una grande pietra, grande come una macina e la gettò nel mare esclamando: “Con questa violenza sarà distrutta Babilonia, la grande città”».

Significativo è l’elenco, ricordato dal Pontefice, delle conseguenze riservate a essa. Innanzitutto non ci saranno più le feste: «Il suono dei musicisti, dei suonatori di cetra, di flauto e di tromba, non si udrà più in te». Poi, giacché non è «una città di lavoro ma di corruzione», in essa non si troverà più «ogni artigiano di qualsiasi mestiere» e non si udrà più «il rumore della macina». E ancora: «La luce della lampada non brillerà più in te; sarà forse una città illuminata, ma senza luce, non luminosa; questa è la civiltà corrotta». Infine, «la voce dello sposo e della sposa non si udiranno più in te”. C’erano tante coppie, tanta gente, ma non ci sarà l’amore».

Un destino di distruzione, ha rimarcato il Pontefice, che «incomincia da dentro e finisce quando il Signore dice: “Basta”. E ci sarà un giorno nel quale il Signore dirà: “Basta, alle apparenze di questo mondo”». Di fatto, ha aggiunto, questa «è la crisi di una civiltà che si crede orgogliosa, sufficiente, dittatoriale e finisce così».

Ma un triste destino è riservato anche all’altra città-simbolo, Gerusalemme. Ne parla il brano evangelico nel quale Gesù — che «da buon israelita» amava Gerusalemme, ma la vedeva «adultera, non fedele alla legge» — dice: «Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina”». Cioè, ha spiegato Francesco, la città «è distrutta per un altro tipo di corruzione: la corruzione dell’infedeltà all’amore». Per questa infedeltà essa «non è stata capace di riconoscere l’amore di Dio nel suo Figlio». Anche per Gerusalemme, dunque, il destino è duro: «E cadrà, e saranno giorni di vendetta. Gerusalemme sarà calpestata dai pagani».

È proprio in questo passaggio del vangelo di Luca che il Pontefice ha individuato «una frase che aiuta a capire il senso della distruzione di ambedue le città: la città mondana e la città santa: “Finché i tempi dei pagani non siano compiuti”». La città santa sarà punita, perché ha aperto «le porte del cuore ai pagani». Il Papa ha spiegato come qui emerga «la paganizzazione della vita, nel nostro caso, cristiana»; e ha lanciato una provocazione: «Viviamo come cristiani? Sembra di sì. Ma in verità, la nostra vita è pagana». Il cristiano, cioè, entra nella medesima «seduzione della Babilonia e Gerusalemme vive come Babilonia. Vuol fare una sintesi che non si può fare. E ambedue saranno condannate». Da qui le domande: «Tu sei cristiano? Tu sei cristiana?». Allora, ha esortato, «vivi come cristiano», perché «non si può mescolare l’acqua con l’olio». Oggi invece assistiamo alla «fine di una civiltà contraddittoria in sé stessa, che dice di essere cristiana» ma «vive come pagana».

A questo punto, nella riflessione di Francesco si è aperto l’orizzonte di speranza suggerito dalle letture. Infatti, «dopo la fine della città mondana e della città di Dio paganizzata, si udrà la voce del Signore: “Dopo questo udii come una voce potente di folla immensa nel cielo che diceva: Alleluia!”». Quindi: «dopo la distruzione c’è la salvezza». Come si legge nel capitolo 19 dell’Apocalisse: «Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio, perché veri e giusti sono i suoi giudizi». E la distruzione delle due città, ha spiegato il Pontefice, è «un giudizio di Dio: Egli ha condannato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua prostituzione, vendicando su di lei il sangue dei suoi servi!». Quella città mondana, infatti, «sacrificava i servi di Dio, i martiri. E quando Gerusalemme si paganizza, sacrificò il grande martire: il Figlio di Dio».

La visione dell’Apocalisse è grandiosa: «E per la seconda volta dissero: “Alleluia!”. E l’angelo disse: “Venite: Beati gli invitati alle nozze dell’Agnello!”». È l’immagine della «grande festa, la vera festa. Non la festa pagana e la festa mondana». Un’immagine di vittoria e di speranza evocata anche da Gesù nel vangelo: «In quel momento di tragedia, allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi — davanti alle tragedie, alla distruzione della paganità, della mondanità, risollevatevi — alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».

Ecco il messaggio che interpella ogni cristiano: «Ci sono delle tragedie, anche nella nostra vita, ma davanti a queste, guardare l’orizzonte, perché siamo stati redenti e il Signore verrà a salvarci. E questo — ha aggiunto Francesco — ci insegna a vivere le prove del mondo non in un patto con la mondanità o con la paganità che ci porta alla distruzione, ma in speranza, distaccandoci da questa seduzione mondana e pagana, e guardando l’orizzonte, sperando Cristo, il Signore».

In questa prospettiva di speranza, il Papa ha invitato a gettare uno sguardo al passato, anche recente per rileggere la storia alla luce della parola di Dio: «Pensiamo come sono finite le “babilonie” di questo tempo. Pensiamo agli imperi del secolo scorso, per esempio: “Era la grande, la grande potenza...”. Tutto crollato. Solo, rimangono gli umili che hanno la propria speranza nel Signore. E così finiranno anche le grandi città di oggi». Allo stesso modo «finirà la nostra vita, se continuiamo a portarla su questa strada di paganizzazione. È il contrario della speranza: ti porta alla distruzione. È la seduzione babilonica della vita che ci allontana dal Signore». Invece il Signore, ha concluso il Pontefice, invita a un percorso «contrario: andare avanti, guardare con quell’Alleluia di speranza», perché «siamo, tutti noi, stati invitati alla festa di nozze del Figlio di Dio». Quindi «apriamo il cuore con speranza e allontaniamoci dalla paganizzazione della vita».

[Papa Francesco, omelia s. Marta, in L’Osservatore Romano 30/11/2018]

Mercoledì, 19 Novembre 2025 09:53

Venuta continua

La venuta del Signore continua, il mondo deve essere penetrato dalla sua presenza. E questa venuta permanente del Signore nell’annuncio del Vangelo richiede continuamente la nostra collaborazione; e la Chiesa, che è come la Fidanzata, la promessa Sposa dell’Agnello di Dio crocifisso e risorto (cfr Ap 21,9), in comunione con il suo Signore collabora in questa venuta del Signore, nella quale già comincia il suo ritorno glorioso.

A questo ci richiama oggi la Parola di Dio, tracciando la linea di condotta da seguire per essere pronti alla venuta del Signore (…)

In mezzo agli sconvolgimenti del mondo, o ai deserti dell’indifferenza e del materialismo, i cristiani accolgono da Dio la salvezza e la testimoniano con un diverso modo di vivere, come una città posta sopra un monte. «In quei giorni – annuncia il profeta Geremia – Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia» (33,16). La comunità dei credenti è segno dell’amore di Dio, della sua giustizia che è già presente e operante nella storia ma che non è ancora pienamente realizzata, e pertanto va sempre attesa, invocata, ricercata con pazienza e coraggio.

[Papa Benedetto, Angelus 2 dicembre 2012]

Pagina 1 di 37
"In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet". This refers to the solidity of the Word. It is solid, it is the true reality on which one must base one's life (Pope Benedict)
«In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet». Si parla della solidità della Parola. Essa è solida, è la vera realtà sulla quale basare la propria vita (Papa Benedetto)
It has made us come here the veneration of martyrdom, on which, from the beginning, the kingdom of God is built, proclaimed and begun in human history by Jesus Christ (Pope John Paul II)
Ci ha fatto venire qui la venerazione verso il martirio, sul quale, sin dall’inizio, si costruisce il regno di Dio, proclamato ed iniziato nella storia umana da Gesù Cristo (Papa Giovanni Paolo II)
The evangelization of the world involves the profound transformation of the human person (Pope John Paul II)
L'opera evangelizzatrice del mondo comporta la profonda trasformazione delle persone (Papa Giovanni Paolo II)
The Church, which is ceaselessly born from the Eucharist, from Jesus' gift of self, is the continuation of this gift, this superabundance which is expressed in poverty, in the all that is offered in the fragment (Pope Benedict)
La Chiesa, che incessantemente nasce dall’Eucaristia, dall’autodonazione di Gesù, è la continuazione di questo dono, di questa sovrabbondanza che si esprime nella povertà, del tutto che si offre nel frammento (Papa Benedetto)
He is alive and wants us to be alive; he is our hope (Pope Francis)
È vivo e ci vuole vivi. Cristo è la nostra speranza (Papa Francesco
The Sadducees, addressing Jesus for a purely theoretical "case", at the same time attack the Pharisees' primitive conception of life after the resurrection of the bodies; they in fact insinuate that faith in the resurrection of the bodies leads to admitting polyandry, contrary to the law of God (Pope John Paul II)
I Sadducei, rivolgendosi a Gesù per un "caso" puramente teorico, attaccano al tempo stesso la primitiva concezione dei Farisei sulla vita dopo la risurrezione dei corpi; insinuano infatti che la fede nella risurrezione dei corpi conduce ad ammettere la poliandria, contrastante con la legge di Dio (Papa Giovanni Paolo II)
Are we disposed to let ourselves be ceaselessly purified by the Lord, letting Him expel from us and the Church all that is contrary to Him? (Pope Benedict)
Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è contrario? (Papa Benedetto)
Jesus makes memory and remembers the whole history of the people, of his people. And he recalls the rejection of his people to the love of the Father (Pope Francis)
Gesù fa memoria e ricorda tutta la storia del popolo, del suo popolo. E ricorda il rifiuto del suo popolo all’amore del Padre (Papa Francesco)
Ecclesial life is made up of exclusive inclinations, and of tasks that may seem exceptional - or less relevant. What matters is not to be embittered by the titles of others, therefore not to play to the downside, nor to fear the more of the Love that risks (for afraid of making mistakes)
La vita ecclesiale è fatta di inclinazioni esclusive, e di incarichi che possono sembrare eccezionali - o meno rilevanti. Ciò che conta è non amareggiarsi dei titoli altrui, quindi non giocare al ribasso, né temere il di più dell’Amore che rischia (per paura di sbagliare).

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

duevie.art

don Giuseppe Nespeca

Tel. 333-1329741


Disclaimer

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge N°62 del 07/03/2001.
Le immagini sono tratte da internet, ma se il loro uso violasse diritti d'autore, lo si comunichi all'autore del blog che provvederà alla loro pronta rimozione.
L'autore dichiara di non essere responsabile dei commenti lasciati nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell'immagine o dell'onorabilità di persone terze, il cui contenuto fosse ritenuto non idoneo alla pubblicazione verranno insindacabilmente rimossi.