Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
2a Domenica di Avvento (anno A) [7 Dicembre 2025]
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga! Da questa domenica oltre al finale riassunto sintetico degli elementi più importanti di ogni lettura unisco un breve commento di un Padre della Chiesa al Vangelo.
*Prima Lettura dal libro del profeta Isaia (11,1-10)
Isaia parla della radice di Iesse e si riferisce alla discendenza del re Davide. Iesse aveva otto figli, Dio fece scegliere a Samuele non il più forte o il maggiore, ma il più giovane: Davide, il pastore, che divenne il più grande re d’Israele. Da quel momento Iesse divenne il capostipite di una dinastia rappresentata spesso come un albero destinato a un grande futuro, che non sarebbe mai dovuto morire. Il profeta Natan aveva promesso a Davide che i suoi discendenti avrebbero regnato per sempre e avrebbero portato al popolo unità e pace. Ma nella storia, i re della sua discendenza non hanno mantenuto pienamente queste promesse. Tuttavia, proprio dalle delusioni nasce una speranza più forte: se Dio ha promesso, allora si compirà. Come nasce l’idea di Messia? Il termine “messia” (in ebraico mashiach = “unto”) in origine indicava ogni re, perché veniva “unto” con l’olio nel giorno dell’incoronazione. Col tempo, però, la parola “messia” ha assunto il senso di “re ideale”, colui che porta giustizia, pace e felicità. Quando Isaia dice: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse”, significa: anche se la dinastia di Davide sembra un albero morto, Dio può far nascere un germoglio nuovo, un re ideale: il Messia, che sarà guidato dallo Spirito del Signore. Su di lui riposeranno i sette doni dello Spirito, simbolo della pienezza: sapienza, intelligenza, spirito di consiglio, e di fortezza, conoscenza, di timore del Signore che non è paura, ma fiducia e rispetto da figlio. Il Messia governerà come Dio vuole: con giustizia e fedeltà e il suo compito sarà fare guerra all’ingiustizia: Giudicherà con giustizia i miseri … non secondo l’apparenza… farà morire la malvagità con il soffio delle sue labbra. “L’empio” non indica una persona, ma la malvagità stessa come dire “fare la guerra alla guerra”. Isaia descrive un mondo dove il lupo vive con l’agnello, il bambino gioca senza paura, non c’è più violenza né conflitto. Non è un ritorno al paradiso terrestre, ma il compimento finale del progetto di Dio, quando la conoscenza del Signore riempirà la terra. La radice di Iesse sarà un segno per tutti i popoli e il Messia non riguarda solo Israele, ma tutte le nazioni. Gesù stesso riprenderà questa idea: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me.” (Gv 12,32) Isaia predica nel VIII secolo a.C., in un tempo di pressione politica e minacce da parte di imperi vicini. L’albero di Davide sembra proprio morto, ma Isaia invita a non perdere la speranza. La “favola degli animali” usa simboli per parlare degli uomini, come farà molti secoli dopo La Fontaine e costituisce una promessa di pace, di fraternità e di riconciliazione universale. Martin Luther King, nel suo discorso “I have a dream”, si ispirerà direttamente a queste immagini usate da Isaia (Cf.11, 2): un mondo dove giustizia e fraternità vincono la violenza.
Il tema centrale si riassume in una frase: Dal tronco apparentemente morto della dinastia di Davide, Dio è così fedele che, quando tutto sembra finito, fa rinascere la sua promessa da un frammento, da un ceppo: la speranza nasce proprio là dove l’uomo non vede più nulla. Dio farà sorgere un Messia guidato dallo Spirito, che combatterà l’ingiustizia e porterà la pace universale a tutti i popoli. Dio è fedele, e anche da un tronco morto può far nascere vita nuova. È la pace messianica, la riconciliazione finale della creazione.Ci sono momenti in cui anche noi ci sentiamo come un albero tagliato: fallimenti, delusioni, peccati ripetuti, relazioni spezzate, progetti che non si realizzano, comunità che sembrano perdere forza. Isaia annuncia: Dio non ha finito anche con te e proprio dove tu non vedi futuro, Lui vede un germoglio. Continua anche tu a sperare perché Dio vede germogli dove noi vediamo solo legno secco.
*Salmo responsoriale (71/72, 1-2.7-8.12-13.17)
Il Salmo 71/72 è una preghiera nata dopo l’esilio babilonese, in un tempo in cui non esisteva più un re in Israele. Ciò significa che il salmo non parla più di un sovrano terreno, ma del re promesso da Dio: il Messia. Poiché è Dio a prometterlo, la realizzazione è certa. L’intera Bibbia è attraversata da una speranza indistruttibile: la storia ha un significato e una direzione e Dio ha un progetto di felicità per l’umanità. Questo progetto assume nomi diversi (Giorno del Signore, Regno dei cieli, Disegno benevolo), ma è sempre lo stesso: come un innamorato che ripete parole d’amore, Dio ripropone senza stancarsi il suo piano di salvezza.
Questo progetto è annunciato fin dall’inizio, nella vocazione di Abramo (Gen 12,3): “In te saranno benedette tutte le famiglie della terra”. La rivelazione è dunque universale fin dall’origine. Israele è eletto non per gestire un privilegio, ma per essere servizio e segno per tutti i popoli. Il salmo riprende questa promessa: nel Messia tutte le nazioni saranno benedette e lo chiameranno beato. Riprende anche l’altra promessa ad Abramo (Gen 15,18), cioè il dono della terra “dal torrente d’Egitto al grande fiume”. In eco, il salmo dice: “Dominerà da mare a mare e dal Fiume ai confini della terra”. Il libro del Siracide (Sir 44,21) conferma questa lettura, collegando insieme benedizione universale, moltiplicazione della discendenza ed eredità estesa. Anche se oggi un’idea di sovrano universale può sembrare lontana dalla sensibilità democratica e anzi si teme l’imposizione di un’autorità mondiale occulta che dominerebbe l’intera umanità, la Bibbia ricorda che ogni sovrano è solo uno strumento nelle mani di Dio, e ciò che conta è il popolo considerando un solo vasto opolo l’intera umanitàe il salmo annuncia un’umanità pacificata: In quei giorni fiorirà la giustizia, grande pace fino alla fine dei tempi, sconfitte la povertà e l’oppressione. Il sogno di giustizia e pace attraversa tutta la Scrittura: Gerusalemme significa “città della pace”; Deuteronomio 15 afferma che non ci sarà più alcun povero. Il salmo si inserisce in questa linea: il Messia soccorrerà il povero che invoca, il debole senza aiuto, il misero che non ha difesa. La preghiera del salmo non serve a ricordare a Dio le sue promesse, perché Dio non dimentica. Serve invece all’uomo per imparare a guardare il mondo con gli occhi di Dio, ricordare il suo progetto e trovare la forza per lavorare alla sua realizzazione. Giustizia, pace e liberazione dei poveri non arriveranno magicamente: Dio invita i credenti a cooperare, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo con luce, forza e grazia.
Elementi importanti da ricordare: +Il Salmo 72 è messianico: scritto quando non c’erano più re, annuncia il Messia promesso da Dio.+La storia ha un senso: Dio ha un progetto di felicità per tutta l’umanità.+Le promesse ad Abramo sono il fondamento: benedizione universale e eredità senza confini.+Il Messia sarà strumento di Dio, al servizio del popolo e non del potere.+Il mondo che viene sarà segnato da giustizia, pace e fine della povertà. +La preghiera non serve a convincere Dio, ma educa noi: apre gli occhi al progetto divino. +La pace e la giustizia arriveranno anche attraverso l’impegno umano guidato dallo Spirito.
*Seconda Lettura dalla lettera di san Paolo ai Romani (15, 4-9)
San Paolo scrive ai Romani: “Tutto ciò che è stato scritto prima di noi , è stato scritto per la nostra istruzione …perché teniamo viva la speranza”. Questa frase è la chiave per leggere tutta la Bibbia: la Scrittura esiste per illuminare, liberare, dare speranza. Se un testo sembra oscuro o duro, ciò significa semplicemente che non l’abbiamo ancora compreso fino in fondo: la Buona Notizia è sempre presente e bisogna scavare per trovarla, come in un tesoro nascosto. La Scrittura alimenta la speranza perché annuncia in ogni pagina un unico progetto di Dio: quel “disegno misericordioso” che è la grande storia d’amore di Dio con l’umanità. Tutta la Bibbia, dall’Antico al Nuovo Testamento, ha un solo soggetto: il progetto di salvezza e di comunione che Dio vuole realizzare nel Messia. Paolo passa poi a un tema concreto: i cristiani di Roma erano divisi. C’erano due gruppi: cristiani provenienti dal giudaismo, ancora legati alle pratiche religiose e alimentari ebraiche; cristiani provenienti dal paganesimo, che consideravano tali osservanze superate. Da questa diversità nascevano discordie, giudizi reciproci e sospetto. Le divergenze liturgiche e culturali diventavano scontri veri e propri. Una situazione molto simile alle tensioni che esistono anche oggi nella Chiesa tra sensibilità diverse. Paolo non propone di dividere la comunità in due gruppi separati. Propone invece la via della coabitazione, la costruzione della pace, la pazienza e la tolleranza reciproca, invitando tutti a ricercare ciò che favorisce la pace e ciò che edifica la comunità. Ognuno cerchi il bene dell’altro e “il Dio della perseveranza e della consolazione” vi conceda di vivere concordi secondo Cristo. Il principio fondamentale è: “Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo ha accolto voi”. Paolo ricorda che Cristo ha preso su di sé la missione del Servo di Dio annunciato da Isaia: scelto ed eletto da Dio, formato ogni mattina dalla Parola, donatore della propria vita, portatore di salvezza a tutte le nazioni. Cristo, morendo e risorgendo, ha unito i Giudei, salvati in continuità con la loro Alleanza e i pagani, salvati dalla gratuita misericordia divina. Per questo nessuno può vantare una superiorità, anzi tutto è grazia, tutto è dono del Cristo e il vero culto è questo: superare il passato, riconoscere il dono ricevuto, accogliersi senza distinzioni, cantare insieme la fedeltà e la misericordia di Dio.
Elementi importanti da ricordare: +La Scrittura esiste per dare speranza. Ogni pagina della Bibbia è Buona Notizia. Se non troviamo liberazione, non abbiamo ancora capito il testo. + La Bibbia annuncia un unico progetto. Il “disegno provvidenziale” di Dio: portare l’umanità alla comunione e alla salvezza tramite il Messia. +Paolo corregge una comunità divisa: A Roma c’erano tensioni tra cristiani di origine ebraica e pagana. Le differenze pratiche e culturali creavano giudizi e conflitti. La soluzione cristiana non è separarsi. Paolo propone coabitazione, pazienza, edificazione reciproca. La comunità è un “edificio” che va costruito con pace e tolleranza. +Il modello è Cristo Servo che ha unito tutti: ebrei e pagani. Nessuno può vantarsi: tutto è grazia. +Parola d’ordine: accoglienza: Accoglietevi come Cristo vi ha accolti. La Chiesa è viva quando supera le divisioni e vive la misericordia.
*Dal Vangelo secondo Matteo (3,1-12)
Quando Giovanni Battista inizia la sua predicazione, la Giudea è sotto dominazione romana da 90 anni, Erode è al potere ma profondamente detestato; le correnti religiose sono divise e confuse; ci sono collaborazionisti, resistenti, falsi profeti, agitatori messianici. Il popolo è stanco e disorientato e in questo clima nasce la predicazione di Giovanni che vive nel deserto di Giudea (tra Gerusalemme e il Giordano). Matteo insiste sul senso spirituale del deserto: ricorda l’Esodo, l’Alleanza, la purificazione, il rapporto d’amore tra Dio e Israele (Osea) e vede il deserto come il luogo del ritorno alla verità e della decisione. In Giovanni tutto richiama i grandi profeti: Veste di peli di cammello, si ciba di locuste e miele, vive con uno stile ascetico. Molti lo considerano il possibile ritorno di Elia, atteso per preparare la venuta di Dio (Ml 3,23). La sua predicazione ha il doppio tono profetico: Dolce e consolante per gli umili; duro e provocatorio per gli orgogliosi. L’espressione “razza di vipere” non è un insulto personale, ma un modo per dire: “state seguendo la logica del serpente tentatore”, ed è quindi un invito a cambiare atteggiamento. Giovanni invita tutti a compiere un retto discernimento nella propria vita: ciò che è sano rimanga, ciò che è corrotto venga eliminato. E per essere incisivo usa immagini forti: Fuoco che brucia la paglia (richiamo al profeta Malachia), setaccio che separa grano e pula, aia dove si compie la scelta - e questo è il significato: Tutto ciò che in noi è morte sarà purificato; tutto ciò che è autentico sarà salvato e custodito. È un giudizio liberante, non distruttivo. Giovanni annuncia Gesù: “Io vi battezzo nell’acqua, ma colui che viene dopo di me…vi battezzerà nello Spirito Santo e fuoco”. Solo Dio può dare lo Spirito e dunque Giovanni afferma implicitamente la divinità di Gesù. Le immagini usate:“Più forte di me” è un attributo tipico di Dio. “Non sono degno di portargli o sciogliergli i sandali”: con questo riconosce in Gesù una dignità divina. Pur essendo maestro seguito da discepoli, Giovanni si mette in seconda fila; riconosce la superiorità di Gesù e apre la strada al Messia. La sua grandezza consiste proprio nel far spazio. Matteo lo mostra come “voce nel deserto” con riferimento a Isaia 40,3, legato anche a Elia (2 Re 1,8; Ml 3,23), nella linea dei profeti per introdurre Gesù come Dio presente e giudice. I capitoli 3-4 di Matteo sono una cerniera: Qui comincia la predicazione del Regno.
Elementi importanti da ricordare: +Giovanni appare in un contesto di oppressione e confusione morale: la sua parola porta luce e discernimento. +Il deserto è luogo di nuova alleanza, verità e conversione. +Giovanni si presenta con segni profetici (vestito, cibo, stile) che ricordano Elia. +La sua predicazione è doppia: consolazione ai piccoli, provocazione per chi è sicuro di sé. +Il giudizio è interiore, non contro categorie di persone: purifica il male in ciascuno. Il fuoco non distrugge l’uomo, ma ciò che in lui è morto: è un fuoco d’amore e verità. +Gesù compie la purificazione battezzando nello Spirito Santo, cosa che solo Dio può fare e Giovanni riconosce la divinità di Gesù con gesti di grande umiltà. +La grandezza del Precursore sta nel farsi da parte per lasciare spazio al Messia e Matteo lo colloca come ponte tra l’Antica e la Nuova Alleanza, inaugurando la predicazione del Regno.
San Giovanni Crisostomo – Commento a Matteo 3,1-12
“Giovanni appare nel deserto non per caso, ma per richiamare l’antico cammino di Israele.
Nel deserto Israele fu educato, e nel deserto ora ricomincia la conversione. Il suo abito rude e il cibo semplice mostrano che egli è libero da ogni vanità, come Elia. Per questo il popolo, stanco dei capi del tempo, accorre a lui: vede in Giovanni un uomo veritiero, che non cerca la gloria ma conduce alla verità.” Poi Crisostomo spiega il contenuto profetico e morale della predicazione di Giovanni: Chiamando “razza di vipere” non li insulta, ma li scuote perché si rendano conto del veleno che li corrompe. Non attacca le persone, ma il male che le possiede.
Il giudizio che annuncia non è contro gli uomini, ma contro le loro opere cattive: il fuoco brucia la colpa, non la natura dell’uomo.” E riguardo all’annuncio del Messia: “Dicendo: “Viene dopo di me Uno più forte di me”, Giovanni non si paragona a un altro uomo, ma a Dio. Poiché solo di Dio si dice che è il Forte. E quando aggiunge: “Vi battezzerà nello Spirito Santo”, confessa apertamente che Colui che viene ha potere divino. Per questo dichiara di non essere degno neppure di sciogliergli i sandali: non perché disprezzi se stesso, ma perché riconosce la grandezza di Cristo.” Infine, Crisostomo interpreta la missione del Precursore:
“La sua grandezza consiste nel diminuire perché Cristo cresca. È la voce che prepara la Parola; è il ponte che congiunge l’Antica Alleanza alla Nuova. Egli mostra che tutto ciò che i profeti attendevano si compie ora: il Re è vicino, e il Regno comincia.»
+Giovanni D’Ercole
Nell’Annunciazione
(Gen 3,9-15.20; Lc 1,26-38)
Un grande teologo del Corpo Mistico ha scritto: «All’aurora c’è un momento stupendo: quello che precede immediatamente il sorgere del sole [...] il chiarore è andato crescendo, lentamente all’inizio, poi più in fretta» (É. Mersch).
La Fede ecclesiale annuncia e trasmette in Maria ‘tutta Santa’ uno stile, una Fede e una Speranza specifiche, ben denotate nella Scrittura.
Prorompente e affrancata, non alienata; indipendente dalla “notte”, non imbarazzata.
Capace di passare dal Dio dei padri al Padre. Dio del Figlio.
Alba dopo alba, vicenda dopo vicenda, genesi dopo genesi, trasloco dopo trasloco, viveva in modo deciso una sorta di ‘spiritualità dell’aurora nascente’. E la fiducia nel tempo.
Quando giungeva un punto interrogativo, capiva che era il momento di chiedersi e dare risposte.
Intuiva l’Opportunità di risorgere: tutta Feconda e senza perdere motivazioni, grazie a un’Alleanza paradossale, coi limiti e i pesi emotivi.
Quando un travaglio faceva irruzione, comprendeva che quei flutti invadevano la vita non per distruggere, bensì per smuovere un mare di riflussi forse ancora troppo calmo.
Non sognava di arginare o bloccare quella marea. Interiorizzava l’inquietudine dei dubbi come un grande momento di vita.
Una Felicità la sua che veniva dall’innovazione. Come una Presenza.
Invece di sentirsi costretta, sostava sopra ogni caso, per interrogarsi: «Cosa devo ancora imparare, da questo?».
Forse comprendeva che dentro la sua figura abituale c’era una donna capace di trasgressione - nel senso di sentirsi chiamata a capovolgere tutto l’antico e artificioso che non le corrispondevano.
Così ha iniziato, accogliendo l’Invito: ospitare in sé e dare spazio a un Eterno innominabile, creduto assolutamente trascendente e che mai si sarebbe mischiato con la carne!
Non solo un sacrilegio, bensì eresia. Ma nella Madre di Dio la paradossale eterodossia viene come spazzata oltre.
La sua spiritualità era sgombra dalla vera grande “macchia”: l’incapacità di corrispondere all’Annuncio personale.
«Peccato» - si dice appunto di una occasione persa: è la flessione dell’Unicità che siamo dentro.
Perla che tutti i giorni può cedere la sua eccezionalità al contorno normalizzante e affettato dell’opinione comune, restringendo lo spazio, l’onda vitale.
L’appello divino d’ogni istante orientava altrove i sogni di Maria e il suo sapere innato - anticamera della fiducia.
Nell’Alleanza di Radice e Seme, le decisioni non erano né restavano scadenti: senza fardelli cerebrali la Madre di Dio andava direttamente a nuove possibilità, e al fine.
In tale Forma viveva e tesseva una sorta di «spiritualità del sole che risorge». Richiamo d’ogni momento, nella gioia di cambiare se stessa e le cose; ovvero nella felicità di viverle così - persino di lasciare tutto.
Pur crescendo non invecchiava d’incertezze, perché sintonizzava il suo destino in avanti - dicendo Sì a quanto si affacciava - e d’istinto anche oggi la riteniamo Giovane.
Sapeva stare con le contraddizioni dell’ambiente soggetto all’antica devozione, e coi marosi inaspettati, come con l’eccentricità del Figlio.
Lo curava stando ‘presente’, nei semplici gesti quotidiani. Si affidava solo all’energia felice che affiorava tutti i momenti, e l’abitava.
S’immergeva nelle espressioni minime dei gesti con lo sguardo sull’adesso, per un agire nitido.
Inadeguata al miracolo ma se stessa, occupandosi non stremava - perché capace di rimettersi in gioco. Per questo conosceva il dialogo con il sentimento più temuto e sofferto: la solitudine.
Ma anche nel buio rigenerava, accogliendolo e uscendone col rinforzare i germi di cambiamento - alimentando nell'anima una sorta di giardino magico.
Sempre fuori dai binari, l’Immacolata ha superato tutti i pregiudizi.
[Immacolata Concezione, 8 Dicembre]
Nell’Annunciazione
(Gen 3,9-15.20; Lc 1,26-38)
Un grande teologo del Corpo Mistico ha scritto: «All’aurora c’è un momento stupendo: quello che precede immediatamente il sorgere del sole [...] il chiarore è andato crescendo, lentamente all’inizio, poi più in fretta» (É. Mersch, vol.I).
La Fede ecclesiale annuncia e trasmette in Maria tutta Santa uno stile, una Fede e una Speranza specifiche, ben denotate nella Scrittura.
Prorompente e affrancata, non alienata; indipendente dalla ‘notte’, non imbarazzata.
Capace di passare dal Dio dei padri al Padre. Dio del Figlio.
La tradizione rassicurante della Madre flebile e quasi trasognata ha un suo rilevante punto di forza - bisogna ammetterlo: l’intento di rappresentare la nobiltà d’una creatura in equilibrio.
Eppure nei Vangeli Ella è caratterizzata da una sorprendente emancipazione.
Anche in tal guisa, Maria permane icona del Popolo orante e autentico, dell’anima sposa, della Chiesa amichevole.
Persona e Comunità relazionale, generosa, qualificata da una dignità nello Spirito non esclusiva, bensì a portata di mano, personalizzante.
Alba dopo alba, vicenda dopo vicenda, genesi dopo genesi, trasloco dopo trasloco, viveva in modo deciso - istante per istante - una sorta di ‘spiritualità dell’aurora nascente’. E la fiducia nel tempo.
Questo il suo appiglio verecondo e riflessivo (più che ritirato e pensoso).
Malgrado gli allarmi, le fatiche e i pericoli, stranamente per noi non sviluppava senso di vuoto, né si lasciava condizionare o atterrire dalla percezione di essere osservata e giudicata.
Quando giungeva un punto interrogativo, capiva che era il momento di chiedersi e dare risposte.
Intuiva l’Opportunità di risorgere: tutta Feconda e senza perdere motivazioni, grazie a un’Alleanza paradossale, coi limiti e i pesi emotivi.
Quando un travaglio faceva irruzione, comprendeva che quei flutti invadevano la vita non per distruggere, bensì per smuovere un mare di riflussi forse ancora troppo calmo.
In questo modo sorvolava sia le questioni che la stasi: l’avrebbero ancorata alla forma consueta di essere e pensare - al mondo corrivo e identificato, senza immaginazione (per questo più insicuro).
Non sognava di arginare o bloccare la marea, la Novità, l’energia vitale della Provvidenza, sebbene la Chiamata per Nome prorompesse in modo anche violento. Per rialzarla a nuova Pasqua.
Interiorizzava l’inquietudine dei dubbi come un grande momento di vita, un Appello incarnato che le ricordava che c’è Altro.
Leggeva le sue ansie, accogliendole e interpretandole, per sorpassarle.
In tale stile d’approccio agli eventi, la Vergine rigenerava - e dentro le sorgeva una sottile gioia; quella dell’alba tutta bella che c’innalza.
Primo bagliore d’un sole nascente.
Una Felicità la sua che veniva dall’innovazione. Come una Presenza.
Lato segreto che fa decollare la vita delle creature, e sorvolare le questioni che imbrigliano l’anima.
Invece di sentirsi costretta, sostava sopra ogni caso, per interrogarsi: «Cosa devo ancora imparare, da questo?».
In tal modo riusciva a mettere al centro delle giornate non i progetti, bensì le qualità e le predisposizioni, anche dei famigliari - spendendole bene.
Forse comprendeva che dentro la sua figura abituale c’era una donna capace di trasgressione religiosa - nel senso di sentirsi chiamata a capovolgere tutto l’antico e artificioso che non le corrispondevano.
Così ha iniziato, accogliendo l’Invito: ospitare in sé e dare spazio a un Eterno allora immaginato innominabile, creduto assolutamente trascendente e che mai si sarebbe mischiato con la carne!
Non solo un sacrilegio, bensì totale eresia. Ma nella Madre di Dio la paradossale eterodossia [tutta nostra e orizzontale] viene come spazzata oltre.
La sua spiritualità era sgombra dalla vera grande “macchia”: l’incapacità di corrispondere all’Annuncio personale.
«Peccato» - si dice appunto di una occasione persa: è la flessione dell’Unicità che siamo dentro.
Perla che tutti i giorni può cedere la sua eccezionalità al contorno normalizzante e affettato dell’opinione comune, restringendo lo spazio, l’onda vitale.
L’appello divino d’ogni istante orientava altrove i sogni di Maria e il suo sapere innato - anticamera della fiducia.
Nell’Alleanza di Radice e Seme, le decisioni non erano né restavano scadenti: senza fardelli cerebrali la Madre di Dio andava direttamente a nuove possibilità, e al fine.
In tale Forma viveva e tesseva una sorta di «spiritualità del sole che risorge». Richiamo d’ogni momento, nella gioia di cambiare se stessa e le cose; ovvero nella felicità di viverle così - persino di lasciare tutto.
Pur crescendo non invecchiava d’incertezze, perché sintonizzava il suo destino in avanti - dicendo Sì a quanto si affacciava - e d’istinto anche oggi la riteniamo Giovane.
Sapeva stare con le contraddizioni dell’ambiente soggetto all’antica devozione, e coi marosi inaspettati, come con l’eccentricità del Figlio.
Lo curava stando ‘presente’, nei semplici gesti quotidiani. Si affidava solo all’energia felice che affiorava tutti i momenti, e l’abitava.
S’immergeva nelle espressioni minime dei gesti con lo sguardo sull’adesso, per un agire nitido.
Inadeguata al miracolo ma se stessa, occupandosi non stremava - perché capace di rimettersi in gioco. Per questo conosceva il dialogo con il sentimento più temuto e sofferto: la solitudine.
Ma anche nel buio rigenerava, accogliendolo e uscendone col rinforzare i germi di cambiamento - alimentando nell'anima una sorta di giardino magico.
Sempre fuori dai binari, l’Immacolata ha superato tutti i pregiudizi.
Annunciazione: come entrare nel regno dell’anima
Dalla religione alla Fede, da sterile ad Amata
La solennità del momento che restituisce l’anima al Mistero, invita a un passaggio onda su onda: dalla religione del Tempio alla Fede domestica e personale.
Dall’esterno a dentro noi stessi. Dai modelli, alla profezia d’innato. Promessa Unica, condizione più sottile.
Fede-resa - quella di Madre - che mostra la libertà e bellezza dei nuovi orientamenti, nel progredire delle immagini-guida interiori.
Alleanza non più per ciò che è già conosciuto.
Il suo Patto sta tutto nell’Apertura all’Inesplicabile che ci abita. Intimo Eterno, che può ora concretizzare la speranza e il cammino dei popoli. Una svolta di autenticità, crescente.
Se i vergini di cuore non frappongono pretese, la Chiamata per Nome (dalle nostre stesse fibre) dischiude l’animo incapace e sterile.
Ad coeli Reginam: Eco silente… tale nucleo-Vocazione invisibile fa trasalire. E con virtù spontanea introduce lo spirito nella sinergia feconda di Dio stesso.
Fiducia sponsale che riannoda i fili della storia di Salvezza: e si contrappone alla strada larga delle alleanze con gente “che conta”.
Nell’intreccio fra Iniziativa che feconda e nostro accogliere in seno, l’Ancella è icona dell’attesa e del cammino di ciascuno - dove ciò che resta determinante non è il desiderio consueto, prevedibile.
Appello vibrante che si prolunga nella storia, in una sorta d’Incarnazione dispiegata e continua, grazie alla collaborazione di lontani, malfermi e insignificanti servitori, come Maria.
Anche nostra, malgrado ancora colmi di aspettative normali.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quali Parole ci aprono alla vita nello Spirito e mettono in discussione la strada prevista?
Qual è la nostra zona ancora intermedia, senza Incontro?
Come realizzare il Seme invisibile
Dice il Tao Tê Ching (LXI): «Il gran regno che si tiene in basso, è la confluenza del mondo; è la femmina del mondo. La femmina sempre vince il maschio con la quiete, poiché chetamente se ne sta sottomessa. Per questo, il gran regno che si pone al disotto del piccol regno, attrae il piccol regno; il piccol regno che sta al disotto del gran regno, attrae il gran regno: l’un s’abbassa per attrarre, l’altro attrae perché sta in basso. Il gran regno non ecceda, per la brama di pascere e unire gli altri; il piccol regno non ecceda, per la brama d’esser accetto e servire gli altri. Affinché ciascuno ottenga ciò che brama, al grande conviene tenersi in basso».
Cari fratelli e sorelle!
Quest’oggi celebriamo una delle feste della Beata Vergine più belle e popolari: l’Immacolata Concezione. Maria non solo non ha commesso alcun peccato, ma è stata preservata persino da quella comune eredità del genere umano che è la colpa originale. E ciò a motivo della missione alla quale da sempre Dio l’ha destinata: essere la Madre del Redentore. Tutto questo è contenuto nella verità di fede dell’"Immacolata Concezione". Il fondamento biblico di questo dogma si trova nelle parole che l’Angelo rivolse alla fanciulla di Nazaret: "Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te" (Lc 1,28). "Piena di grazia" – nell’originale greco kecharitoméne – è il nome più bello di Maria, nome che Le ha dato Dio stesso, per indicare che è da sempre e per sempre l’amata, l’eletta, la prescelta per accogliere il dono più prezioso, Gesù, "l’amore incarnato di Dio" (Enc. Deus caritas est, 12).
Possiamo domandarci: perché, tra tutte le donne, Dio ha scelto proprio Maria di Nazaret? La risposta è nascosta nel mistero insondabile della divina volontà. Tuttavia c’è una ragione che il Vangelo pone in evidenza: la sua umiltà. Lo sottolinea bene Dante Alighieri nell’ultimo Canto del Paradiso: "Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, / umile ed alta più che creatura, / termine fisso d’eterno consiglio" (Par. XXXIII, 1-3). La Vergine stessa nel "Magnificat", il suo cantico di lode, questo dice: "L’anima mia magnifica il Signore… perché ha guardato l’umiltà della sua serva" (Lc 1,46.48). Sì, Dio è stato attratto dall’umiltà di Maria, che ha trovato grazia ai suoi occhi (cfr Lc 1,30). E’ diventata così la Madre di Dio, immagine e modello della Chiesa, eletta tra i popoli per ricevere la benedizione del Signore e diffonderla sull’intera famiglia umana. Questa "benedizione" non è altro che Gesù Cristo stesso. E’ Lui la Fonte della grazia, di cui Maria è stata colmata fin dal primo istante della sua esistenza. Ha accolto con fede Gesù e con amore l’ha donato al mondo. Questa è anche la nostra vocazione e la nostra missione, la vocazione e la missione della Chiesa: accogliere Cristo nella nostra vita e donarlo al mondo, "perché il mondo si salvi per mezzo di Lui" (Gv 3,17).
Cari fratelli e sorelle, l’odierna festa dell’Immacolata illumina come un faro il tempo dell’Avvento, che è tempo di vigilante e fiduciosa attesa del Salvatore. Mentre avanziamo incontro a Dio che viene, guardiamo a Maria che "brilla come segno di sicura speranza e di consolazione per il popolo di Dio in cammino" (Lumen gentium, 68).
[Papa Benedetto, Angelus 8 dicembre 2006]
1. Celebriamo quest'oggi la solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, ricorrenza tanto cara al popolo cristiano. Essa ben si inserisce nel clima dell'Avvento ed illumina con fulgore di purissima luce il nostro itinerario spirituale verso il Natale.
Contempliamo quest'oggi l'umile fanciulla di Nazaret preservata, con privilegio straordinario ed ineffabile, dal contagio del peccato originale e da ogni colpa, per poter essere degna dimora del Verbo incarnato. In Maria, nuova Eva, Madre del nuovo Adamo, l'originario mirabile disegno d'amore del Padre viene ristabilito in modo ancor più mirabile. Per questo, la Chiesa riconoscente acclama: "Per Te, Vergine Immacolata, abbiamo ritrovato la vita: hai concepito per opera dello Spirito Santo ed il mondo ha avuto da Te il Salvatore" (Liturgia delle Ore, Memoria di S. Maria in sabato, Antifona al Benedictus).
2. L'odierna liturgia ripropone il racconto evangelico dell'Annunciazione. La Vergine, rispondendo all'Angelo, proclama: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38). Maria manifesta il suo totale assenso di mente e di cuore ai divini ed arcani voleri e si dispone ad accogliere, prima nella fede e quindi nel grembo verginale, il Figlio di Dio.
"Eccomi!". Questa sua pronta adesione alla volontà divina costituisce un modello per tutti noi credenti, affinché nei grandi avvenimenti, come nelle vicende ordinarie, ci affidiamo interamente al Signore.
Con la testimonianza della sua vita, Maria ci incoraggia a credere nel compimento delle promesse divine. Ci richiama allo spirito di umiltà, giusto atteggiamento interiore della creatura verso il Creatore; ci esorta a riporre sicura speranza in Cristo, che realizza appieno il disegno salvifico, anche quando gli eventi appaiono oscuri e sono difficili da accettare. Quale Stella fulgente, Maria guida i nostri passi incontro al Signore che viene.
3. Carissimi Fratelli e Sorelle! Volgiamo gli occhi verso l'Immacolata tutta Santa e tutta Bella. Maria, Avvocata nostra, Madre del "Re della pace", che schiaccia il capo del serpente, aiuti noi, uomini e donne del terzo millennio, a resistere alle seduzioni del male; ravvivi nei nostri cuori la fede, la speranza e la carità perché, fedeli alla nostra chiamata, sappiamo essere, a costo di qualunque sacrificio, testimoni intrepidi di Cristo Gesù, Porta Santa di eterna salvezza.
[Papa Giovanni Paolo II, Angelus 8 dicembre 2000]
Oggi celebriamo la solennità di Maria Immacolata, che si colloca nel contesto dell’Avvento, tempo di attesa: Dio compirà ciò che ha promesso. Ma nell’odierna festa ci è annunciato che qualcosa è già compiuto, nella persona e nella vita della Vergine Maria. Di questo compimento noi oggi consideriamo l’inizio, che è ancora prima della nascita della Madre del Signore. Infatti, la sua immacolata concezione ci porta a quel preciso momento in cui la vita di Maria cominciò a palpitare nel grembo di sua madre: già lì era presente l’amore santificante di Dio, preservandola dal contagio del male che è comune eredità della famiglia umana.
Nel Vangelo di oggi risuona il saluto dell’Angelo a Maria: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). Dio l’ha pensata e voluta da sempre, nel suo imperscrutabile disegno, come una creatura piena di grazia, cioè ricolma del suo amore. Ma per essere colmati occorre fare spazio, svuotarsi, farsi da parte. Proprio come ha fatto Maria, che ha saputo mettersi in ascolto della Parola di Dio e fidarsi totalmente della sua volontà, accogliendola senza riserve nella propria vita. Tanto che in lei la Parola si è fatta carne. Questo è stato possibile grazie al suo “sì”. All’Angelo che le chiede la disponibilità a diventare la madre di Gesù, Maria risponde: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (v. 38).
Maria non si perde in tanti ragionamenti, non frappone ostacoli al Signore, ma con prontezza si affida e lascia spazio all’azione dello Spirito Santo. Mette subito a disposizione di Dio tutto il suo essere e la sua storia personale, perché siano la Parola e la volontà di Dio a plasmarli e portarli a compimento. Così, corrispondendo perfettamente al progetto di Dio su di lei, Maria diventa la “tutta bella”, la “tutta santa”, ma senza la minima ombra di autocompiacimento. È umile. Lei è un capolavoro, ma rimanendo umile, piccola, povera. In lei si rispecchia la bellezza di Dio che è tutta amore, grazia, dono di sé.
Mi piace anche sottolineare la parola con cui Maria si definisce nel suo consegnarsi a Dio: si professa «la serva del Signore». Il “sì” di Maria a Dio assume fin dall’inizio l’atteggiamento del servizio, dell’attenzione alle necessità altrui. Lo testimonia concretamente il fatto della visita ad Elisabetta, che segue immediatamente l’Annunciazione. La disponibilità verso Dio si riscontra nella disponibilità a farsi carico dei bisogni del prossimo. Tutto questo senza clamori e ostentazioni, senza cercare posti d’onore, senza pubblicità, perché la carità e le opere di misericordia non hanno bisogno di essere esibite come un trofeo. Le opere di misericordia si fanno in silenzio, di nascosto, senza vantarsi di farle. Anche nelle nostre comunità, siamo chiamati a seguire l’esempio di Maria, praticando lo stile della discrezione e del nascondimento.
La festa della nostra Madre ci aiuti a fare di tutta la nostra vita un “sì” a Dio, un “sì” fatto di adorazione a Lui e di gesti quotidiani di amore e di servizio.
[Papa Francesco, Angelus 8 dicembre 2019]
(Is 11,1-10; Mt 3,1-12)
Il Figlio di Dio che Viene «non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire» (Is. 11,3).
Così la Chiesa che lo testimonia.
Ma come si fa nella società dell’esterno, a non lasciarsi condizionare da opinioni dominanti?
Non cercando di riprodurre il mondo che si trova attorno.
Bensì tentando il principio di un rinnovamento che può essere introdotto solo a partire dalla Scaturigine del Senso di sé e del cosmo - poi sfocerà anche fuori, e avverrà costantemente.
Non... subito col fard, labbra a canotto, zigomi gonfiati, livellamento di solchi; né con una velleitaria “conversione a U”.
Non uno sfibrante regresso alla religione esterna; piuttosto, stabilendosi dentro, in quella Forza del Logos nel cuore.
In tal guisa, nei Vangeli il termine greco «metanoia» non indica un ritorno al Dio del culto normalizzato; piuttosto, cambiamento di mentalità.
La vita di Fede è appunto segnata dal rovesciamento della gerarchia dei valori, che si riflette nelle scelte reali.
Conversione neotestamentaria è un riappropriarsi di sé, ma non come nelle devozioni, bensì con un colpo di mano.
Un balzo in avanti il quale rende fecondo, verde e felice il recupero di tutta la Chiesa che attinge alla propria Fonte.
Una riconquista del medesimo Nucleo che trascina l’intera realtà.
Dio nell’anima non solo migliora, ma rimonta in Pienezza vitale. Agisce rifondando, e cesella il nostro vero Cammino.
Anzitutto sorvola le cricche consolidate. Sarebbe inutile insistere su ambienti e personaggi refrattari alla novità dello Spirito.
Così, la Parola-evento va a posarsi su un visionario del presente e del futuro.
A meno di vent’anni, Giovanni avrebbe dovuto presentarsi ai professionisti del rito e della Legge per essere esaminato secondo le norme puriste della Torah, onde poi officiare i culti al Tempio di Gerusalemme.
Ma pur essendo di stirpe sacerdotale, rifiuta quell’ambiente formale, insensibile e corrotto - che ben conosceva.
Insomma, la scelta e la figura del Battista è un Richiamo per noi: alla Chiesa autentica non basta stirare le rughe.
Botulino e creme non graffiano la realtà, ma disturbano l’Essenza.
Il Profeta si sentiva giovane e vivo proprio perché non aveva voluto assomigliare, abbinarsi a tutti i costi, essere individuabile, ripetere opinioni - né si è limitato a un risanamento della situazione.
Non ha voluto spegnersi. Ha voluto fissare lo sguardo non sui grandi segni, ma sulle proprie (e altrui) attitudini.
Anche per noi il “destino” che ci appartiene si annida in quell’impeto quotidiano a voler fare qualcosa di creativo e personale, inedito e attinto solo dal Nucleo delle nostre onde, dei flutti, dei molti volti.
L’Avvento [Venuta] ci ripropone in tal guisa quel Richiamo delle Radici che aprono la strada - affinché realizziamo qualcosa di non abituale, ma che ci appartiene.
Saremo «virgulti che germogliano» non accasciati, anzi che «si levano a vessillo per le moltitudini» perché rapiti e collocati su tale Raggio d’inconsueta «conoscenza del Signore che riempirà la terra».
Controesodo del Battista, controesodo di Gesù
Rifare il Passaggio del Giordano.
Epistrèphein: Convertirsi è nella mentalità antica, ‘girarsi’, ‘tornare indietro’ (ebraico Shùb) [perché il popolo si è allontanato da Dio, dal Tempio, dai Padri].
Nel secondo Testamento il termine è solo Metanoein:
Per il Battista Convertirsi [già nella sfera del «metanoein»] non ha un senso specificamente religioso, liturgico, dottrinale, bensì esistenziale: significa ad es. cessare le ingiustizie sociali.
Ma secondo la nuova predicazione di Gesù, il Convertirsi ha un senso più ampio e centrale. Cristo propone una visione nuova di Dio stesso, del suo Cuore - quindi di uomo autentico e di società.
Mentre la «razza di vipere» continua a inoculare i suoi veleni… ecco invece il «Frutto Bello» e completo, pieno, di questo nuovo albero (v.10).
La traduzione CEI ‘74 proponeva “frutti buoni” [che ha un altro senso, legato alla morale, semplicistica]. Ora è “buon frutto”, che forse sta a metà.
«Frutto Bello» è l’Amore; il prodotto del Fuoco dello Spirito [Gal 5,22: amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé].
Tale Fuoco non è più un elemento esterno. Non più una potenza estrinseca. Viene da dentro.
Come l’Azione delle nuove Acque, ora Allegre, che sono assimilate in vista non della pulitura e mondatura, bensì della crescita.
Fiamma sì che brucia tutto il male - beninteso senza più fare «piazza pulita».
Non vita spirituale: Vita nello Spirito!
Tutt’altro peso specifico, tutt’altro Respiro.
[2.a Domenica Avvento (anno A), 7 dicembre 2025]
(Is 11,1-10; Mt 3,1-12)
Il Figlio di Dio che Viene «non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire» (Is. 11,3).
Così la Chiesa che lo testimonia.
Ma come si fa nella società dell’esterno, a non lasciarsi condizionare da opinioni dominanti?
Come può una realtà avvizzita rifiorire e mostrarsi splendida, manifestando la condizione divina?
Non certo facendo lo sforzo di restare giovane e imbellettata.
Non cercando di riprodurre il mondo che si trova attorno.
Bensì tentando il principio di un rinnovamento che può essere introdotto solo a partire dalla Scaturigine del Senso di sé e del cosmo - poi sfocerà anche fuori, e avverrà costantemente.
Non... subito col fard, labbra a canotto, zigomi gonfiati, livellamento di solchi; né con una velleitaria “conversione a U”.
Non uno sfibrante regresso alla religione esterna del Tempio; piuttosto, stabilendosi dentro, in quella Forza del Logos nel cuore.
In tal guisa, nei Vangeli il termine greco «metanoia» non indica un ritorno al Dio del culto normalizzato; piuttosto, cambiamento di mentalità.
La vita di Fede è appunto segnata dal rovesciamento della gerarchia dei valori, che si riflette nelle scelte reali.
Conversione neotestamentaria è un riappropriarsi di sé, ma non come nelle devozioni, bensì con un colpo di mano.
Un balzo in avanti il quale rende fecondo, verde e felice il recupero di tutta la Chiesa che attinge alla propria Fonte.
Una riconquista del medesimo Nucleo che trascina l’intera realtà.
Dio nell’anima non solo migliora, ma rimonta in Pienezza vitale.
Il Signore non riconfeziona i contenuti, truccandoli con aggiornamenti d’apparenza; interviene creando.
Agisce rifondando, e cesella il nostro vero Cammino.
Anzitutto sorvola le cricche consolidate dei grandi del mondo e del sacro.
Sarebbe inutile insistere su ambienti e personaggi costituzionalmente refrattari alla novità dello Spirito.
Era già allora dannoso continuare a farsi utilizzare come paravento da una casta che dopo l’Esodo aveva sequestrato e preso in ostaggio Dio e le sue cose, accontentandosi di campare di rendite.
Così, la Parola-evento va a posarsi su un visionario del presente e del futuro.
A meno di vent’anni, Giovanni avrebbe dovuto presentarsi ai professionisti del rito e della Legge per essere esaminato secondo le norme puriste della Torah, onde poi officiare i culti al Tempio di Gerusalemme.
Ma pur essendo di stirpe sacerdotale, rifiuta quell’ambiente formale, insensibile e corrotto - che ben conosceva.
Insomma, la scelta e la figura del Battista è un Richiamo per noi: alla Chiesa autentica non basta stirare le rughe.
Botulino e creme non graffiano la realtà, ma disturbano l’Essenza.
La nostra Sorgente primordiale ripropone occasioni e persino incertezze, per farci concretizzare al meglio le nostre capacità.
Fa crudi richiami, palesando situazioni variegate; eventi anche imbarazzanti, insieme a pulsioni ideali.
Strada facendo, troveremo il modo di attivare l’energia primigenia del nostro lato eterno, imparando a riconoscere le novità d’Altrove che vogliono farsi spazio nelle pieghe della storia e in noi.
Così ogni giorno il comportamento può cambiare: posso ad es. immaginare una iniziativa da svolgere ed è come se tornassi a quel Fuoco che non si estingue dentro - per accogliere un vigore rinnovato, uno sguardo più ampio e un altro magico respiro.
Il Battista si sentiva giovane e vivo proprio perché non aveva voluto assomigliare, abbinarsi a tutti i costi, essere individuabile, ripetere opinioni - né si è limitato a un risanamento della situazione.
Comprende che il perdono dei peccati si ottiene semplicemente cambiando vita [vv.6ss]; non adempiendo una liturgia al Tempio!
Non ha voluto spegnersi, purificando l’istituzione - perché ha desiderato vedere la portata della realtà oltre il recinto sacro.
Ha voluto fissare lo sguardo non sui grandi segni, ma sulle proprie (e altrui) attitudini.
Anche per noi il “destino” che ci appartiene si annida in quell’impeto quotidiano a voler fare qualcosa di creativo e personale, inedito e attinto solo dal Nucleo delle nostre onde, dei flutti, dei molti volti.
L’Avvento [Venuta] ci ripropone quel Richiamo delle Radici che aprono la strada, spalancano il casello dei pedaggi - affinché realizziamo qualcosa di non abituale, ma che ci appartiene.
Modificare l’assetto delle cose ordinate guarisce ciascuno di noi con quella differente giovinezza che viene dallo squilibrio delle apparenze e dei giudizi conformisti.
Un brio che non procede dallo standard di commemorazioni.
Trasparenza derivante dall’operare una breccia sugli schemi tranquilli. Essi che non spalancano l’avventura d’un nuovo sentiero - quello in grado di farci «nascere» non già stagionati, e innamorare.
Altro che aggiustamenti estemporanei e sporadici, secondo moda e condizioni esterne locali!
Dobbiamo imparare a riconoscere e attivare quel nostro aspetto sorgivo che vive nel Patto di Dio.
Un Arcobaleno che niente e nessuno riuscirà più ad asfaltare.
Esso svetta sui nostri disturbi e sui disturbatori. E corre, porgendo nuovi percorsi che c’irrobustiscono - fanno divenire capaci di pensiero, d’immaginare e vivere in tale Eros fondante.
Nel rifrangersi delle esplorazioni, la nostra terra melmosa si lega al Cielo; all’inizio anche episodicamente o confusamente, ma in modo spontaneo e subito colorato.
Il Cammino di affidamento ai variegati zampilli dell’Essere - al Se stesso ancora celato - sarà la paradossale piattaforma che trasmigra la nostra «carne» [cf. parallelo Lc 3,6; testo greco] ossia la nostra vulnerabilità di creature come foglie al vento o incrinate e squarciate, in vicenda di vita salvata.
Saremo «virgulti che germogliano» non accasciati, anzi che «si levano a vessillo per le moltitudini» perché rapiti e collocati su tale Raggio d’inconsueta «conoscenza del Signore che riempirà la terra».
Quasi senza saperlo, non più sottratti o assorbiti dall’influsso esterno. Per un Veniente che fa vivere ancora l’Io nascosto senza camicie di forza, bensì nel mutamento di alterne vicende.
Un Sacro non arroccato come quello che ancora blocca la pastorale dirigista - ma che ci desta, non per un aggiustamento all’indietro e prosecuzione a tutti i costi.
L’Eterno prorompe inopinatamente.
E ci riattiva come in Giovanni, fuori dei recinti stabiliti, anche grazie al caos degli schemi.
"Too bad! What a pity!" “Sin! What a shame!” - it is said of a missed opportunity: it is the bending of the unicum that we are inside, which every day surrenders its exceptionality to the normalizing and prim outline of common opinion. Divine Appeal of every moment directed Mary's dreams and her innate knowledge - antechamber of her trust, elsewhere
“Peccato!” - si dice di una occasione persa: è la flessione dell’unicum che siamo dentro, che tutti i giorni cede la sua eccezionalità al contorno normalizzante e affettato dell’opinione comune. L’appello divino d’ogni istante orientava altrove i sogni di Maria e il suo sapere innato - anticamera della fiducia
It is a question of leaving behind the comfortable but misleading ways of the idols of this world: success at all costs; power to the detriment of the weak; the desire for wealth; pleasure at any price. And instead, preparing the way of the Lord: this does not take away our freedom (Pope Francis)
Si tratta di lasciare le strade, comode ma fuorvianti, degli idoli di questo mondo: il successo a tutti i costi, il potere a scapito dei più deboli, la sete di ricchezze, il piacere a qualsiasi prezzo. E di aprire invece la strada al Signore che viene: Egli non toglie la nostra libertà (Papa Francesco)
Inside each woman and man resides a volcano of potential energies which are not to be smothered and aligned. The Lord doesn’t level the character; he doesn’t wear out the creatures. He doesn't make them desolate. The Kingdom is Near: it reinstates the imbalances. It does not mortify them, it convert them and enhances them
Dentro ciascuna donna e uomo risiede un vulcano di energie potenziali che non devono essere soffocate e allineate. Il Signore non livella il carattere; non sfianca le creature. Non le rende desolate. Il Regno è Vicino: reintegra gli squilibri. Non li mortifica, li tramuta e valorizza
The Person of Christ opens up another panorama to the perception of the two short-sighted (because ambitious) disciples. But sometimes it is necessary to take a leap in the dark, to contact one's vocational Seed; heal the gaze of the soul, recognize himself, flourish; make true Communion
La Persona di Cristo spalanca alla percezione dei due discepoli miopi (perché ambiziosi) un altro panorama. Ma talora bisogna fare un salto nel buio, per contattare il proprio Seme vocazionale; guarire lo sguardo dell’anima, riconoscersi, fiorire; fare vera Comunione
«Too pure water has no fish». Accepting ourselves will complete us: it will make us recover the co-present, opposite and shadowed sides. It’s the leap of profound Faith. And seems incredible, but the Rock on which we build the way of being believers is Freedom
«L’acqua troppo pura non ha pesci». Accettarsi ci completerà: farà recuperare i lati compresenti, opposti e in ombra. È il balzo della Fede profonda. Sembra incredibile, ma la Roccia sulla quale edifichiamo il modo di essere credenti è la Libertà
Our shortages make us attentive, and unique. They should not be despised, but assumed and dynamized in communion - with recoveries that renew relationships. Falls are therefore also a precious signal: perhaps we are not using and investing our resources in the best possible way. So the collapses can quickly turn into (different) climbs even for those who have no self-esteem
Le nostre carenze ci rendono attenti, e unici. Anche le cadute sono dunque un segnale prezioso: forse non stiamo utilizzando e investendo al meglio le nostre risorse
don Giuseppe Nespeca
Tel. 333-1329741
Disclaimer
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge N°62 del 07/03/2001.
Le immagini sono tratte da internet, ma se il loro uso violasse diritti d'autore, lo si comunichi all'autore del blog che provvederà alla loro pronta rimozione.
L'autore dichiara di non essere responsabile dei commenti lasciati nei post. Eventuali commenti dei lettori, lesivi dell'immagine o dell'onorabilità di persone terze, il cui contenuto fosse ritenuto non idoneo alla pubblicazione verranno insindacabilmente rimossi.