Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
2) Il libro di Giona ci annuncia l’avvenimento di Gesù Cristo – Giona è una prefigurazione della venuta di Gesù. Il Signore stesso ci dice questo nel Vangelo del tutto chiaramente.
Richiesto dai giudei di dar loro un segno che lo riveli apertamente come il Messia, risponde, secondo Matteo: "Nessun segno sarà dato a questa generazione se non il segno di Giona profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra" (Mt12,39s).
La versione di Luca delle parole di Gesù è più semplice: "Questa generazione [...] cerca un segno ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona. Poiché come Giona fu un segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione" (Lc 11,29s). Vediamo due elementi in entrambi i testi: lo stesso Figlio dell’uomo, Cristo, l’inviato di Dio, è il segno. Il mistero pasquale indica Gesù come il Figlio dell’uomo, egli è il segno in e attraverso il mistero pasquale.
Nel racconto veterotestamentario proprio questo mistero di Gesù traspare del tutto chiaramente.
Nel primo capitolo del libro di Giona si parla di una triplice discesa del profeta: egli scende al porto di Giaffa; scende nella nave; e nella nave egli si mette nel luogo più riposto. Nel suo caso, però, questa triplice discesa è una tentata fuga davanti a Dio. Gesù è colui che scende per amore, non per fuggire, ma per giungere nella Ninive del mondo: scende dalla sua divinità nella povertà della carne, dell’essere creatura con tutte le sue miserie e sofferenze; scende nella semplicità del figlio del carpentiere, e scende nella notte della croce, infine persino nella notte dello Sheòl, il mondo dei morti. Così facendo egli ci precede sulla strada della discesa, lontano dalla nostra falsa gloria da re; la via della penitenza, che è via verso la nostra stessa verità: via della conversione, via che ci allontana dall’orgoglio di Adamo, dal volere essere Dio, verso l’umiltà di Gesù che è Dio e per noi si spoglia della sua gloria (Fil 2,1-10). Come Giona, Gesú dorme nella barca mentre la tempesta infuria. In un certo senso nell’esperienza della croce egli si lascia gettare in mare e così placa la tempesta. I rabbini hanno interpretato la parola di Giona "Gettatemi in mare" come offerta di sé del profeta che voleva con questo salvare Israele: egli aveva timore davanti alla conversione dei pagani e al rifiuto della fede da parte di Israele, e per questo – così dicono – voleva farsi gettare in mare. Il profeta salva in quanto egli si mette al posto degli altri. Il sacrificio salva. Questa esegesi rabbinica è diventata verità in Gesù.
[Papa Benedetto card. Ratzinger, Lectio in s. Maria in Traspontina, 24 gennaio 2003; in “30Giorni” febbraio 2003]
4. In effetti Gesù invita al discernimento in rapporto alle parole ed opere, che testimoniano l'imminente avvento del Regno del Padre. Anzi, Egli indirizza e concentra tutti i segni nell'enigmatico "segno di Giona". E con ciò rovescia la logica mondana tesa a cercare segni che confermino il desiderio di autoaffermazione e di potenza dell'uomo. Come sottolinea l'apostolo Paolo, "mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani" (1 Cor 1,22-23).
Come primogenito tra molti fratelli (cfr Rm 8,29), Cristo per primo ha vinto in se stesso la "tentazione" diabolica di servirsi di mezzi mondani per realizzare la venuta del Regno di Dio. Ciò è avvenuto dal momento delle prove messianiche nel deserto alla sarcastica sfida rivoltagli mentre era inchiodato alla croce: "Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!" (Mt 27,40). In Gesù crocifisso avviene come una trasformazione e concentrazione dei segni: è Lui stesso il "segno di Dio", soprattutto nel mistero della sua morte e resurrezione. Per discernere i segni della sua presenza nella storia, occorre liberarsi d'ogni mondana pretesa ed accogliere lo Spirito che "scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio" (1 Cor 2,10).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 23 settembre 1998]
Ecco la sindrome di Giona, che «colpisce quelli che non hanno lo zelo per la conversione della gente, cercano una santità — mi permetto la parola — una santità di tintoria, cioè tutta bella, tutta ben fatta ma senza lo zelo che ci porta a predicare il Signore». Il Papa ha ricordato che il Signore «davanti a questa generazione, malata della sindrome di Giona, promette il segno di Giona». E ha aggiunto: «Nell’altra versione, quella di Matteo, si dice: ma Giona è stato nella balena tre notti e tre giorni... Il riferimento è a Gesù nel sepolcro, alla sua morte e alla sua risurrezione. E questo è il segno che Gesù promette: contro l’ipocrisia, contro questo atteggiamento di religiosità perfetta, contro questo atteggiamento di un gruppo di farisei».
Per rendere più chiaro il concetto il vescovo di Roma si è riferito a un’altra parabola del Vangelo «che rappresenta bene quello che Gesù vuole dire. È la parabola del fariseo e del pubblicano che pregano nel tempio (Luca 14, 10-14). Il fariseo è talmente sicuro davanti all’altare che dice: ti ringrazio Dio che non sono come tutti questi di Ninive e neppure come quello che è là! E quello che era là era il pubblicano, che diceva soltanto: Signore abbi pietà di me che sono peccatore».
Il segno che Gesù promette «è il suo perdono — ha precisato Papa Francesco — tramite la sua morte e la sua risurrezione. Il segno che Gesù promette è la sua misericordia, quella che già chiedeva Dio da tempo: misericordia voglio e non sacrifici». Dunque «il vero segno di Giona è quello che ci dà la fiducia di essere salvati dal sangue di Cristo. Ci sono tanti cristiani che pensano di essere salvati solo per quello che fanno, per le loro opere. Le opere sono necessarie ma sono una conseguenza, una risposta a quell’amore misericordioso che ci salva». Le opere da sole, senza questo amore misericordioso, non sono sufficienti.
Dunque «la sindrome di Giona colpisce quelli che hanno fiducia solo nella loro giustizia personale, nelle loro opere». E quando Gesù dice «questa generazione malvagia», si riferisce «a tutti quelli che hanno in sé la sindrome di Giona». Ma c’è di più: «La sindrome di Giona — ha affermato il Papa — ci porta all’ipocrisia, a quella sufficienza che crediamo di raggiungere perché siamo cristiani puliti, perfetti, perché compiamo queste opere osserviamo i comandamenti, tutto. Una grossa malattia, la sindrome di Giona!». Mentre «il segno di Giona» è «la misericordia di Dio in Gesù Cristo morto e risorto per noi, per la nostra salvezza».
«Ci sono due parole nella prima lettura — ha aggiunto — che si collegano con questo. Paolo dice di se stesso che è apostolo, non perché ha studiato, ma è apostolo per chiamata. E ai cristiani dice: siete voi chiamati da Gesù Cristo. Il segno di Giona ci chiama». La liturgia odierna, ha concluso il Pontefice, ci aiuti a capire e a fare una scelta: «Vogliamo seguire la sindrome di Giona o il segno di Giona?».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 15.10.13]
Due realtà di fedeli: Ascoltatori o distratti in giro
(Lc 10,38-42)
Betania è comunità ideale, coordinata da una donna [Marta: ‘signora’].
Il Volto amabile del Signore trapela nei contesti di soli fratelli e sorelle, ove si possono condividere scelte difficili.
Ma anche nei focolari in cui Gesù è capito, ci sono due modi diversi di accogliere il Figlio di Dio.
Alcuni mancano di qualcosa, «assorbiti per grande servizio» (v.40); altri fanno la scelta «buona».
«Parte buona» (v.42) è la Libertà personale, che nessuna intimidazione o fretta altrui potrà togliere via e opprimere.
Infatti Maria «addirittura» (v.39) stava seduta presso i piedi di Gesù e ascoltava.
La posizione è significativa, perché era quella del discepolo nei confronti del maestro.
Maria non ha un atteggiamento intimista astruso, ma sorprendente e gravemente trasgressivo [opportuno con Dio].
L’ospite infatti era accolto da soli uomini; le donne dovevano stare appartate e non comparire.
Nessuna guida spirituale avrebbe mai accettato una donna fra i suoi discepoli.
Ma qui si parla di accoglienza di Gesù e della sua Parola: quel recepire che qualifica le cose che stanno in fondo alla lista, invece che in cima.
«Marta era distratta in giro per il molto ‘servizio’...» (v.40).
‘Servire’ non è lo stesso che fare Comunione. Ciò la travolge, ed ella si fa «sopra» Gesù (v.40 testo greco).
Resta nell’affanno, nel turbamento; divisa nel cuore (v.41), attratta fra scelte opposte.
Presa dalla tensione, non capisce che ogni autentico rapporto nasce dall’Ascolto.
Non coglie l’essenziale: il ‘poco importante’ che fa star bene non è da trascurare - anzi è il fondamento del nostro essere e della gioia di vivere.
Invece delle «molte cose» (v.41) abbiamo bisogno di «Una soltanto» (v.42): essere nel proprio Centro e ospitare la Voce di carattere dimesso che si fa Regno pieno nell’intimo.
Curando prima gli inizi e non subito i termini, come traboccando di pienezza effusa in semplicità; poi ciascuno ha grandiose capacità di crescita e trasformazione.
Allora sovviene una Chiamata ulteriore [«Marta, Marta...»: v.41] che tintinna.
Appello dell’essere profondo, che incessantemente recupera dalla trascuratezza dell’essenziale.
La Vocazione nel Nome consente di fermarsi per incontrare noi stessi e gli altri, i nostri stati profondi e le motivazioni; onde capire e godere quanto già fatto o si fa, senza disumanizzare anzitempo.
Tutto ciò affinché ci riappropriamo del respiro dell’anima, del suo carattere - e non perdiamo la testa, mettendo sempre in piedi una gran confusione che ci toglie il fiato, e fa arrabbiare tutti.
Giungerà a sorprenderci persino una migliore “performance”, perché la differente Percezione trasmetterà pazienza, nervi saldi, lucidità per attendere i tempi maturi; determinazione anche nelle afflizioni; possibilità di ritrovare capacità innate.
Il Messaggio del Signore comunicherà il Giudizio del Crocifisso, e un ritmo opportuno.
Il suo Insegnamento donerà equilibrio, buona disposizione, facoltà di superare le opposizioni d’un mondo ambiguo che si agita per perpetuare se stesso - e non molla la presa.
L’istinto del Verbo dentro e la realtà provvidente costruiranno un binario tutto nostro anche attraverso perdite e cicatrici.
Anzi, quando i nostri minuti occupati diverranno vuoti e le ore lente si faranno incanto, miglioreremo persino tenuta e rendimento.
Resi sapienti e incisivi secondo il nostro Seme, non accuseremo Gesù di essere «lasciati soli a servire» (v.40).
Non gireremo più a vuoto, e i nostri gesti diverranno pregevoli: nitidi.
[16.a Domenica (anno C), 20 luglio 2025]
Due realtà di fedeli: Ascoltatori o distratti in giro
(Lc 10,38-42)
Betania è a pochi km dalla città santa di Gerusalemme: una comunità ideale di soli fratelli e sorelle, coordinata da una donna [Marta: “signora”].
Proprio a ridosso dell’ambiente ostile dei dotti e puri, il Signore non si lascia sequestrare da recinti sacri.
Tratto di un Padre che non rimane seduto in trono - ma sta alla porta e bussa.
Non si compiace d’intrallazzi: il suo Volto amabile trapela nei contesti che possono condividere scelte difficili.
Sorprende che il Figlio di Dio sia l’unico a entrare nel «villaggio», sebbene attorniato dai suoi (v.38).
Intimi, eppure incapaci d’insegnare e discernere, perché dipendenti.
A differenza degli Apostoli, solo Lui è in grado di liberarci - ed emancipare ancora - perché libero e affrancato.
In quella cultura era sommamente sconveniente accettare l’ospitalità di donne [di Lazzaro parla solo Gv].
Ma dove arriva Gesù i retaggi che discriminano le persone vengono sorvolati.
Tuttavia, anche nei focolari in cui il Messia è capito, ci sono due modi diversi di accogliere il Signore.
Alcuni mancano di qualcosa, «assorbiti per grande servizio» (v.40); altri fanno la scelta «buona».
«Parte buona» (v.42 testo greco) è la Libertà personale, che nessuna intimidazione o fretta altrui potrà togliere via e opprimere.
Infatti Maria «addirittura» (v.39 testo greco) stava seduta presso i piedi di Gesù e ascoltava.
La posizione è significativa, perché era quella del discepolo nei confronti del maestro.
Maria non ha un atteggiamento intimista, astruso e devoto, ma sorprendente e gravemente trasgressivo (opportuno con Dio).
L’ospite infatti era accolto da soli uomini; le donne dovevano stare appartate e non comparire.
Nessuna guida spirituale avrebbe mai accettato una donna fra i suoi discepoli.
Ma qui si parla di accoglienza di Gesù e della sua Parola: quel recepire che qualifica le cose che stanno in fondo alla lista, invece che in cima.
«Marta era distratta in giro per il molto servizio...» (v.40).
Servire non è lo stesso che fare Comunione.
Ella resta nell’affanno, nel turbamento; divisa nel cuore (v.41 testo greco), attratta fra scelte opposte, quasi buttata per aria.
Profilo che anche oggi riconosciamo: di titolati con un’agenda fittissima d’impegni; che appena svegli cominciano ad agitarsi e punzecchiare.
Sembra loro importante non far sentire se stessi e gli altri già ricchi, “perfetti” per la loro missione; colmi di risorse.
Sempre inquieti e dispersi su cose materiali - che poi li travolgono - si fanno «sopra» Gesù (v.40 testo greco).
E arrivano a sera senza aver mai trovato un cardine ideale che dia senso, nutra lo spirito, plachi l’anima, unisca gli sforzi al dialogo personale con Dio - almeno in linea d’ideali.
Ogni giorno agitati e insoddisfatti, questi tormentati faccendieri non ascolteranno i malfermi e insignificanti: mai distrarsi dal “grande” e rimandare.
Così purtroppo nessun muro o alcuna delle fatiche potrà sfumare.
Né concederanno ad alcuno di notare altre vie di Esodo personale, e occasioni che su due piedi non si vedono nell’immediato.
Presi dalla tensione, come Marta non capiscono che ogni autentico rapporto nasce dall’Ascolto.
Non colgono l’essenziale: il poco importante che fa star bene non è da trascurare - anzi è il fondamento del nostro essere e della gioia di vivere.
I sempre inquieti e praticoni restano purtroppo all’esterno, talora come opportunisti. E fanno rimanere (tutti) in trappola.
Così bisogna sottomettersi a mete affannose o stare fuori dai piedi, per evitare d’intralciare programmi agitati e indigesti - i quali ovviamente sopravanzano il Vangelo, così esiguo e inapparente.
Richiamo e Sintonia che viceversa dovrebbe precedere e accompagnare l’idea e l’azione.
Ciò che non sanno e non li riguarda diventa tutto banale.
Viceversa è l’attenzione, la preghiera, il desiderio (o il luogo e il tempo) che davvero potrebbero contribuire alla comprensione, all’innamoramento, all’equilibrio, e alla stessa efficace incisività delle opere.
Invece delle «molte cose» (v.41) abbiamo bisogno di «Una soltanto» (v.42 testo greco): essere nel proprio centro e ospitare la Voce di carattere dimesso che si fa Regno pieno nell’intimo.
Quindi, come traboccando di pienezza effusa in semplicità, poi ciascuno ha grandiose capacità di crescita e trasformazione.
I primi della classe non hanno mai voglia, né testa - e ormai neppure tempo - per curare gli inizi e non subito i loro termini.
Quindi non ascoltano la Parola nella Novità dello Spirito. (Chissà se la crisi globale sarà richiamo eloquente).
I leaders tuttofare sono appunto desiderosi di stabilire il maggior numero di appariscenze, legami, cordate e alleanze, troppe: nessuno di esse davvero importante - e forse solo per impressionare.
Il disagio sulla formazione, la vita e la pastorale è enorme, perché l’attaccamento ai ruoli taglia l’apporto degli stupori. Momenti felici, annidati nelle possibilità di ricambio, e - come vediamo - lasciando ovunque un senso di vuoto.
Allora sovviene una Chiamata («Marta, Marta...»: v.41) ulteriore, che tintinna.
Appello dell’essere profondo, che incessantemente recupera dalla trascuratezza dell’essenziale.
La Vocazione nel Nome consente di fermarsi per incontrare noi stessi e gli altri, i nostri stati profondi e le motivazioni; onde capire e godere quanto già fatto o si fa, senza disumanizzare anzitempo.
Tutto ciò affinché ci riappropriamo del respiro dell’anima, del suo carattere - e non perdiamo la testa, mettendo sempre in piedi una gran confusione che fa arrabbiare tutti.
Giungerà a tessere sorprese persino una migliore performance:
«Due boscaioli lavoravano nella stessa foresta ad abbattere alberi. I tronchi erano imponenti, solidi e tenaci. I due boscaioli usavano le loro asce con identica bravura, ma con una diversa tecnica: i primo colpiva il suo albero con incredibile costanza, un colpo dietro l’altro, senza fermarsi se non per riprendere fiato rari secondi. Il secondo boscaiolo faceva una discreta sosta ogni ora di lavoro. Al tramonto, il primo boscaiolo era a metà del suo albero. Aveva sudato sangue e lacrime e non avrebbe resistito cinque minuti di più. Il secondo era incredibilmente al termine del suo tronco. Avevano cominciato insieme e i due alberi erano uguali! Il primo boscaiolo non credeva ai suoi occhi. ‘Non ci capisco niente! Come hai fatto ad andare così veloce se ti fermavi tutte le ore?’. L’altro sorrise: ‘Hai visto che mi fermavo ogni ora. Ma quello che non hai visto è che approfittavo della sosta per affilare la mia ascia’. Il nostro spirito è come l’ascia, non bisogna lasciarlo arrugginire: ogni giorno va affilato un poco». (B. FERRERO, Il segreto dei pesci rossi, p.64).
L’Ascolto soppianterà lamenti, disistima, calcoli opportunistici ed esteriori; ragionamenti, rimpianti, e l’opinione attorno - anche su di noi - tutti nemici della Rinascita, quella che non blocca le energie intime.
Ci riconosciamo.
Le cose “nostre”, da regno dell’uomo, s’insediano e si riconoscono subito, perché tutte estranee - e tolgono il fiato.
Solo una differente Percezione trasmetterà pazienza, nervi saldi, lucidità per attendere i tempi maturi, determinazione anche nelle afflizioni; possibilità di ritrovare capacità innate.
Il Messaggio del Signore comunicherà il Giudizio del Crocifisso, e un ritmo opportuno.
Il suo Insegnamento donerà equilibrio, buona disposizione, facoltà di superare le opposizioni d’un mondo ambiguo che si agita per perpetuare se stesso (e non molla l’osso di bocca).
L’istinto del Verbo dentro e la realtà provvidente costruiranno un binario tutto nostro anche attraverso perdite e cicatrici.
Anzi, quando i nostri minuti occupati diverranno vuoti e le ore lente si faranno incanto, miglioreremo persino tenuta e rendimento.
Resi sapienti e incisivi secondo il nostro Seme, non accuseremo Gesù di essere «lasciati soli a servire» (v.40).
Non gireremo più a vuoto, e i nostri gesti diverranno pregevoli: nitidi.
Assorbiti, o Sorpresi
«Anche in questa domenica continua la lettura del decimo capitolo dell’evangelista Luca. Il brano di oggi è quello di Marta e Maria. Chi sono queste due donne? Marta e Maria, sorelle di Lazzaro, sono parenti e fedeli discepole del Signore, che abitavano a Betania. San Luca le descrive in questo modo: Maria, ai piedi di Gesù, «ascoltava la sua parola», mentre Marta era impegnata in molti servizi (cfr Lc 10, 39-40). Entrambe offrono accoglienza al Signore di passaggio, ma lo fanno in modo diverso. Maria si pone ai piedi di Gesù, in ascolto, Marta invece si lascia assorbire dalle cose da preparare, ed è così occupata da rivolgersi a Gesù dicendo: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» (v. 40). E Gesù le risponde rimproverandola con dolcezza: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una … sola c’è bisogno» (v. 41).
Che cosa vuole dire Gesù? Qual è questa cosa sola di cui abbiamo bisogno? Anzitutto è importante capire che non si tratta della contrapposizione tra due atteggiamenti: l’ascolto della parola del Signore, la contemplazione, e il servizio concreto al prossimo. Non sono due atteggiamenti contrapposti, ma, al contrario, sono due aspetti entrambi essenziali per la nostra vita cristiana; aspetti che non vanno mai separati, ma vissuti in profonda unità e armonia. Ma allora perché Marta riceve il rimprovero, anche se fatto con dolcezza? Perché ha ritenuto essenziale solo quello che stava facendo, era cioè troppo assorbita e preoccupata dalle cose da “fare”. In un cristiano, le opere di servizio e di carità non sono mai staccate dalla fonte principale di ogni nostra azione: cioè l’ascolto della Parola del Signore, lo stare - come Maria - ai piedi di Gesù, nell’atteggiamento del discepolo. E per questo Marta viene rimproverata.
Anche nella nostra vita cristiana preghiera e azione siano sempre profondamente unite. Una preghiera che non porta all’azione concreta verso il fratello povero, malato, bisognoso di aiuto, il fratello in difficoltà, è una preghiera sterile e incompleta. Ma, allo stesso modo, quando nel servizio ecclesiale si è attenti solo al fare, si dà più peso alle cose, alle funzioni, alle strutture, e ci si dimentica della centralità di Cristo, non si riserva tempo per il dialogo con Lui nella preghiera, si rischia di servire se stessi e non Dio presente nel fratello bisognoso. San Benedetto riassumeva lo stile di vita che indicava ai suoi monaci in due parole: “ora et labora”, prega e opera. E’ dalla contemplazione, da un forte rapporto di amicizia con il Signore che nasce in noi la capacità di vivere e di portare l’amore di Dio, la sua misericordia, la sua tenerezza verso gli altri. E anche il nostro lavoro con il fratello bisognoso, il nostro lavoro di carità nelle opere di misericordia, ci porta al Signore, perché noi vediamo proprio il Signore nel fratello e nella sorella bisognosi.
Chiediamo alla Vergine Maria, Madre dell’ascolto e del servizio, che ci insegni a meditare nel nostro cuore la Parola del suo Figlio, a pregare con fedeltà, per essere sempre di più attenti concretamente alle necessità dei fratelli».
[Papa Francesco, Angelus 21 luglio 2013]
«Nel brano di questa domenica, l’evangelista Luca narra la visita di Gesù a casa di Marta e di Maria, le sorelle di Lazzaro (cfr Lc 10,38-42). Esse lo accolgono, e Maria si siede ai suoi piedi ad ascoltarlo; lascia quello che stava facendo per stare vicina a Gesù: non vuole perdere nessuna delle sue parole. Tutto va messo da parte perché, quando Lui viene a visitarci nella nostra vita, la sua presenza e la sua parola vengono prima di ogni cosa. Il Signore ci sorprende sempre: quando ci mettiamo ad ascoltarlo veramente, le nubi svaniscono, i dubbi cedono il posto alla verità, le paure alla serenità, e le diverse situazioni della vita trovano la giusta collocazione. Il Signore sempre, quando viene, sistema le cose, anche a noi.
In questa scena di Maria di Betania ai piedi di Gesù, san Luca mostra l’atteggiamento orante del credente, che sa stare alla presenza del Maestro per ascoltarlo e mettersi in sintonia con Lui. Si tratta di fare una sosta durante la giornata, di raccogliersi in silenzio, qualche minuto, per fare spazio al Signore che “passa” e trovare il coraggio di rimanere un po’ “in disparte” con Lui, per ritornare poi, con serenità ed efficacia, alle cose di tutti i giorni. Lodando il comportamento di Maria, che «ha scelto la parte migliore» (v. 42), Gesù sembra ripetere a ciascuno di noi: “Non lasciarti travolgere dalle cose da fare, ma ascolta prima di tutto la voce del Signore, per svolgere bene i compiti che la vita ti assegna”.
C’è poi l’altra sorella, Marta. San Luca dice che fu lei a ospitare Gesù (cfr v. 38). Forse Marta era la più grande delle due sorelle, non sappiamo, ma certamente questa donna aveva il carisma dell’ospitalità. Infatti, mentre Maria sta ad ascoltare Gesù, lei è tutta presa dai molti servizi. Perciò Gesù le dice: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose» (v. 41). Con queste parole Egli non intende certo condannare l’atteggiamento del servizio, ma piuttosto l’affanno con cui a volte lo si vive. Anche noi condividiamo la preoccupazione di Santa Marta e, sul suo esempio, ci proponiamo di far sì che, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità, si viva il senso dell’accoglienza, della fraternità, perché ciascuno possa sentirsi “a casa”, specialmente i piccoli e i poveri quando bussano alla porta.
Dunque, il Vangelo di oggi ci ricorda che la sapienza del cuore sta proprio nel saper coniugare questi due elementi: la contemplazione e l’azione. Marta e Maria ci indicano la strada. Se vogliamo assaporare la vita con gioia, dobbiamo associare questi due atteggiamenti: da una parte, lo “stare ai piedi” di Gesù, per ascoltarlo mentre ci svela il segreto di ogni cosa; dall’altra, essere premurosi e pronti nell’ospitalità, quando Lui passa e bussa alla nostra porta, con il volto dell’amico che ha bisogno di un momento di ristoro e di fraternità. Ci vuole questa ospitalità.
Maria Santissima, Madre della Chiesa, ci doni la grazia di amare e servire Dio e i fratelli con le mani di Marta e il cuore di Maria, perché rimanendo sempre in ascolto di Cristo possiamo essere artigiani di pace e di speranza. E questo è interessante: con questi due atteggiamenti saremo artigiani di pace e di speranza».
[Papa Francesco, Angelus 21 luglio 2019]
Cari fratelli e sorelle!
Siamo ormai nel cuore dell’estate, almeno nell’emisfero boreale. E’ questo il tempo in cui sono chiuse le scuole e si concentra la maggior parte delle ferie. Anche le attività pastorali delle parrocchie sono ridotte, e io stesso ho sospeso per un periodo le udienze. E’ dunque un momento favorevole per dare il primo posto a ciò che effettivamente è più importante nella vita, vale a dire l’ascolto della Parola del Signore. Ce lo ricorda anche il Vangelo di questa domenica, con il celebre episodio della visita di Gesù a casa di Marta e Maria, narrato da san Luca (10,38-42).
Marta e Maria sono due sorelle; hanno anche un fratello, Lazzaro, che però in questo caso non compare. Gesù passa per il loro villaggio e – dice il testo – Marta lo ospitò (cfr 10,38). Questo particolare lascia intendere che, delle due, Marta è la più anziana, quella che governa la casa. Infatti, dopo che Gesù si è accomodato, Maria si mette a sedere ai suoi piedi e lo ascolta, mentre Marta è tutta presa dai molti servizi, dovuti certamente all’Ospite eccezionale. Ci sembra di vedere la scena: una sorella che si muove indaffarata, e l’altra come rapita dalla presenza del Maestro e dalle sue parole. Dopo un po’ Marta, evidentemente risentita, non resiste più e protesta, sentendosi anche in diritto di criticare Gesù: “Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Marta vorrebbe addirittura insegnare al Maestro! Invece Gesù, con grande calma, risponde: “Marta, Marta – e questo nome ripetuto esprime l’affetto –, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (10,41-42). La parola di Cristo è chiarissima: nessun disprezzo per la vita attiva, né tanto meno per la generosa ospitalità; ma un richiamo netto al fatto che l’unica cosa veramente necessaria è un’altra: ascoltare la Parola del Signore; e il Signore in quel momento è lì, presente nella Persona di Gesù! Tutto il resto passerà e ci sarà tolto, ma la Parola di Dio è eterna e dà senso al nostro agire quotidiano.
Cari amici, come dicevo, questa pagina di Vangelo è quanto mai intonata al tempo delle ferie, perché richiama il fatto che la persona umana deve sì lavorare, impegnarsi nelle occupazioni domestiche e professionali, ma ha bisogno prima di tutto di Dio, che è luce interiore di Amore e di Verità. Senza amore, anche le attività più importanti perdono di valore, e non danno gioia. Senza un significato profondo, tutto il nostro fare si riduce ad attivismo sterile e disordinato. E chi ci dà l’Amore e la Verità, se non Gesù Cristo? Impariamo dunque, fratelli, ad aiutarci gli uni gli altri, a collaborare, ma prima ancora a scegliere insieme la parte migliore, che è e sarà sempre il nostro bene più grande.
[Papa Benedetto, Angelus 18 luglio 2010]
Abbiamo appena letto nel Vangelo secondo Luca l’episodio dell’ospitalità concessa a Gesù da Marta e Maria. Queste due sorelle, nella storia della spiritualità cristiana, sono state intese come figure emblematiche riferite, rispettivamente, all’azione e alla contemplazione: Marta è occupatissima nei lavori di casa, mentre Maria è seduta ai piedi di Gesù per ascoltare la sua parola. Possiamo cogliere, da questo testo evangelico, due lezioni.
Innanzitutto, va notata la frase finale di Gesù: “Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”. Egli sottolinea così, con forza, il valore fondamentale ed insostituibile che, per la nostra esistenza, ha l’ascolto della Parola di Dio: essa dev’essere il nostro costante punto di riferimento, la nostra luce e la nostra forza. Ma occorre ascoltarla.
Occorre saper fare silenzio, creare spazi di solitudine o, meglio, di incontro riservato ad un’intimità col Signore. Occorre saper contemplare. L’uomo d’oggi sente molto il bisogno di non limitarsi alle pure preoccupazioni materiali, e di integrare invece la propria cultura tecnica con superiori e disintossicanti apporti provenienti dal mondo dello spirito. Purtroppo la nostra vita quotidiana rischia o addirittura esperimenta casi, più o meno diffusi, di inquinamento interiore. Ma il contatto di fede con la parola del Signore ci purifica, ci eleva e ci ridona energia.
Perciò, bisogna che conserviamo sempre davanti agli occhi del cuore il mistero dell’amore, con cui Dio ci è venuto incontro nel Figlio suo, Gesù Cristo: l’oggetto della nostra contemplazione è tutto qui, e di qui proviene la nostra salvezza, il riscatto da ogni forma di alienazione e soprattutto da quella del peccato. In sostanza, siamo invitati a fare come l’altra Maria, la Madre di Gesù, la quale “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). È a questa condizione che non saremo uomini a una sola dimensione, ma ricchi della stessa grandezza di Dio.
Ma c’è una seconda lezione da imparare; ed è che non dobbiamo mai vedere un contrasto tra l’azione e la contemplazione. Infatti, leggiamo nel Vangelo che fu “Marta” (e non Maria) ad accogliere Gesù “nella sua casa”. Del resto, la Prima Lettura di oggi ci suggerisce l’armonia fra le due cose: l’episodio dell’ospitalità concessa da Abramo ai tre misteriosi personaggi inviati dal Signore, i quali, secondo una antica interpretazione, sono addirittura immagine della Santa Trinità, ci insegna che anche con i nostri più minuti lavori quotidiani possiamo servire il Signore e stare a contatto con lui. E, poiché ricorre quest’anno il XV centenario della nascita di San Benedetto, ricordiamo il suo celebre motto: “Prega e lavora”, Ora et labora! Queste parole contengono un intero programma: non di opposizione ma di sintesi, non di contrasto ma di fusione tra due elementi ugualmente importanti.
Ne consegue per noi un ammaestramento molto concreto, che si può esprimere in forma interrogativa: fino a che punto siamo capaci di vedere nella contemplazione e nella preghiera un momento di autentica carica per i nostri quotidiani impegni? e, d’altra parte, fino a che punto siamo capaci di innervare fin nell’intimo il nostro lavoro con una lievitante comunione col Signore? Queste domande possono servire per un esame di coscienza e diventare stimolo per una ripresa della nostra vita di ogni giorno, che sia insieme più contemplativa e più attiva.
[Papa Giovanni Paolo II, omelia 20 luglio 1980]
Nel Vangelo odierno l’evangelista Luca racconta di Gesù che, mentre è in cammino verso Gerusalemme, entra in un villaggio ed è accolto a casa di due sorelle: Marta e Maria (cfr Lc 10,38-42). Entrambe offrono accoglienza al Signore, ma lo fanno in modi diversi. Maria si mette seduta ai piedi di Gesù e ascolta la sua parola (cfr v. 39), invece Marta è tutta presa dalle cose da preparare; e a un certo punto dice a Gesù: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» (v. 40). E Gesù le risponde: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (vv. 41-42).
Nel suo affaccendarsi e darsi da fare, Marta rischia di dimenticare - e questo è il problema - la cosa più importante, cioè la presenza dell’ospite, che era Gesù in questo caso. Si dimentica della presenza dell’ospite. E l’ospite non va semplicemente servito, nutrito, accudito in ogni maniera. Occorre soprattutto che sia ascoltato. Ricordate bene questa parola: ascoltare! Perché l’ospite va accolto come persona, con la sua storia, il suo cuore ricco di sentimenti e di pensieri, così che possa sentirsi veramente in famiglia. Ma se tu accogli un ospite a casa tua e continui a fare le cose, lo fai sedere lì, muto lui e muto tu, è come se fosse di pietra: l’ospite di pietra. No. L’ospite va ascoltato. Certo, la risposta che Gesù dà a Marta – quando le dice che una sola è la cosa di cui c’è bisogno – trova il suo pieno significato in riferimento all’ascolto della parola di Gesù stesso, quella parola che illumina e sostiene tutto ciò siamo e che facciamo. Se noi andiamo a pregare - per esempio - davanti al Crocifisso, e parliamo, parliamo, parliamo e poi ce ne andiamo, non ascoltiamo Gesù! Non lasciamo parlare Lui al nostro cuore. Ascoltare: questa è la parola-chiave. Non dimenticatevi! E non dobbiamo dimenticare che nella casa di Marta e Maria, Gesù, prima di essere Signore e Maestro, è pellegrino e ospite. Dunque, la sua risposta ha questo primo e più immediato significato: “Marta, Marta, perché ti dai tanto da fare per l’ospite fino a dimenticare la sua presenza? - L’ospite di pietra! - Per accoglierlo non sono necessarie molte cose; anzi, necessaria è una cosa sola: ascoltarlo - ecco la parola: ascoltarlo -, dimostrargli un atteggiamento fraterno, in modo che si accorga di essere in famiglia, e non in un ricovero provvisorio”.
Così intesa, l’ospitalità, che è una delle opere di misericordia, appare veramente come una virtù umana e cristiana, una virtù che nel mondo di oggi rischia di essere trascurata. Infatti, si moltiplicano le case di ricovero e gli ospizi, ma non sempre in questi ambienti si pratica una reale ospitalità. Si dà vita a varie istituzioni che provvedono a molte forme di malattia, di solitudine, di emarginazione, ma diminuisce la probabilità per chi è straniero, emarginato, escluso di trovare qualcuno disposto ad ascoltarlo: perché è straniero, profugo, migrante, ascoltare quella dolorosa storia. Persino nella propria casa, tra i propri familiari, può capitare di trovare più facilmente servizi e cure di vario genere che ascolto e accoglienza. Oggi siamo talmente presi, con frenesia, da tanti problemi - alcuni dei quali non importanti - che manchiamo della capacità di ascolto. Siamo indaffarati continuamente e così non abbiamo tempo per ascoltare. E io vorrei domandare a voi, farvi una domanda, ognuno risponda nel proprio cuore: tu, marito, hai tempo per ascoltare tua moglie? E tu, donna, hai tempo per ascoltare tuo marito? Voi genitori, avete tempo, tempo da “perdere”, per ascoltare i vostri figli? o i vostri nonni, gli anziani? – “Ma i nonni dicono sempre le stesse cose, sono noiosi…” – Ma hanno bisogno di essere ascoltati! Ascoltare. Vi chiedo di imparare ad ascoltare e di dedicarvi più tempo. Nella capacità di ascolto c’è la radice della pace.
La Vergine Maria, Madre dell’ascolto e del servizio premuroso, ci insegni ad essere accoglienti e ospitali verso i nostri fratelli e le nostre sorelle.
[Papa Francesco, Angelus 17 luglio 2016]
Per una leggerezza senza maschere
(Mt 12,14-21)
Le autorità condannano Gesù a morte. Le persone minute lo aspettano, lo attendono come unica speranza.
Sentono che c’è ancora molto da trovare, e che solo Lui può ispirare il loro agire, così aprirli alla Rinascita.
Intuiscono sintonia col giovane Maestro che ha scelto il loro ceto sociale, quello dei malfermi, ritenuto sbagliato e sconcertante.
La vita dura e soffocata dei Piccoli ha insegnato loro ad essere sempre pronti alle sorprese, ad azioni nuove; perfino a crisi destabilizzanti.
Modo migliore per rimanere agganciati alla vita e alla possibilità stessa di realizzarla, attivandola dal Nascondimento.
Nel clamore e nell’approvazione sociale, che nega i problemi, la loro Missione resterebbe falsata.
Mentre l’esteriorità dei leaders non cede alla dedizione, allo spezzarsi - anche dal proprio intimo. Così non diventa coscienza nuova.
Malati di grandezza e bramosi di tranquillità, i capi politici e religiosi antichi proiettano nell’idea del Messia il loro essere doppio, corrotto e artificioso, solo appariscente.
Incapace di misurarsi con il sommario - e mettersi a disposizione.
Non capiscono la Forza discreta del Signore, la sua energia sapiente [e stile dimesso] dai vantaggi duraturi.
Essi sono disposti a stordire la gente avvilita, e lo fanno volentieri con modelli, paragoni, bilanci, formule vuote, e incitamenti stracolmi di riserve.
Ma restano a distanza di sicurezza per quanto concerne il convivere, condividere, e rallegrarne la vita.
Continuano a sentenziare ma senza dare nulla, tantomeno porgendo se stessi - e convertirsi ai poveri, se non per manipolarli.
La loro avversione a Cristo - venuto per il riscatto delle «moltitudini» (vv.15.18.21) - va appunto a cozzare con l’incessante bisogno della gente.
Le persone conoscono il proprio tessuto di fango tutto reale, e desiderano un’emancipazione.
Senza sotterfugi, si presentano privi di maschere.
Oggi come allora il Silenzio dell’Unto del Signore [non manipolato] si ripropone nei suoi testimoni autentici - vincendo la tentazione dello spettacolare.
Superando la mania dello straordinario; di ciò che è propaganda e pubblicità a fini di proselitismo e tornaconto.
Dio sa che il lato Ombra è profezia e germe di futuro: la parte migliore del suo popolo, e di noi stessi.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Ci sono persone ambigue inclini a valorizzare interventi normalizzati, che ritengono la tua Missione falsata dal Silenzio?
Ritieni tu stesso che la tua realizzazione sia soffocata dal Nascondimento? O viceversa attivata?
[Sabato 15.a sett. T.O. 19 Luglio 2025]
Per una leggerezza senza maschere
(Mt 12,14-21)
«Non litigherà né sgriderà, né alcuno udrà nelle piazze la sua voce. Una canna incrinata non spezzerà e un lucignolo fumigante non spegnerà, finché non abbia condotto a vittoria il giudizio. E nel suo nome spereranno le nazioni» (Mt 12,19-20).
Le autorità condannano Gesù a morte, perché Egli ha osato smascherare la malignità dei loro espedienti mercenari (arte in cui sono maestri).
Invece di farsi educatrici, le guide della religiosità ufficiale restano protagoniste d’una struttura piramidale, opprimente.
Gli estromessi e respinti - invece - alienati e reietti dalla società e dal giro dei “grandi”, si presentano al Signore senza maschere, con tante insicurezze e malanni.
Colgono che l’essere umanizzante e divino permane esattamente contrario a quello di chi li rappresenta. Secondo quel che il popolo sperava in cuore, senza sotterfugi; a disposizione.
Non un padrone onnipotente, che rendesse più comodo e prestigioso il cammino degli eletti.
Viceversa, perché molti sono i problemi quotidiani e interiori che meritano maggiore Presenza.
I “migliori” del mondo (anche pio) beffeggiano il Volto del Padre. Le persone minute lo aspettano, lo attendono come unica speranza.
Sentono che c’è ancora molto da trovare, e che solo Lui può ispirare il loro agire, così aprirli alla Rinascita.
Intuiscono sintonia col giovane Maestro che ha scelto il loro ceto sociale, quello dei malfermi, ritenuto sbagliato e sconcertante, ma che ogni giorno si ripropone lo stesso problema di Dio in modo schietto.
Sentirsi persona e lasciarsi liberare è motivo di tutta la storia sacra: frutto di Esodo che spezza legami delimitati.
Li sfalda, perché addirittura predilige l’andirivieni itinerante dell’inesperto che cerca e si lascia mettere in discussione - contrario del falsato “permanere insediati”.
Ciò che non si fa di tonalità affettiva e peso emotivo profondo, eppure chiede in continuazione di essere preso in carico e in coscienza.
La vita dura e soffocata dei Piccoli ha insegnato loro ad essere sempre pronti alle sorprese, ad azioni nuove; perfino a crisi destabilizzanti.
Modo migliore per rimanere agganciati alla vita e alla possibilità stessa di realizzarla, attivandola dal Nascondimento.
Nel clamore e nell’approvazione sociale, che nega i problemi, la loro Missione resterebbe falsata.
Mentre l’esteriorità dei leaders non cede alla dedizione, allo spezzarsi - anche dal proprio intimo.
Così non diventa coscienza nuova.
Malati di grandezza e bramosi di tranquillità, i capi politici e religiosi antichi proiettano nell’idea del Messia il loro essere doppio, corrotto e artificioso, solo appariscente.
Incapace di misurarsi con il sommario.
Non capiscono la Forza discreta del Signore, la sua energia sapiente (e stile dimesso), dai vantaggi duraturi.
Essi sono disposti a stordire la gente avvilita, e lo fanno volentieri con modelli, paragoni, bilanci, formule vuote, e incitamenti stracolmi di riserve.
Ma restano a distanza di sicurezza per quanto concerne il convivere, condividere, e rallegrarne la vita.
Continuano a sentenziare ma senza dare nulla, tantomeno porgendo se stessi - e convertirsi ai poveri, senza manipolarli.
La loro avversione a Cristo - venuto per il riscatto delle «moltitudini» (vv.15.18.21) - va appunto a cozzare con l’incessante bisogno della gente.
Le persone conoscono il proprio tessuto di fango tutto reale, e desiderano un’emancipazione.
Oggi come allora il Silenzio del vero Unto del Signore [che si ripropone nei suoi testimoni autentici] vince la tentazione dello spettacolare.
Supera la mania dello straordinario; di ciò che è propaganda e pubblicità a fini di proselitismo e moneta.
Anche noi conserviamo le caratteristiche dell’Opera del Maestro, di cui proseguiamo l’Azione universalmente benefica.
Desideriamo corrispondere, nella discrezione e piccola semplicità di una vita ignota, ma di prospettiche vedute.
Dio sa che il lato Ombra è talora la parte migliore del suo popolo, e di noi.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Ci sono persone ambigue inclini a valorizzare interventi normalizzati - ovvero prodigiosi - che ritengono la tua Missione falsata dal Silenzio?
Ritieni tu stesso che la tua realizzazione sia soffocata dal Nascondimento? O viceversa attivata?
She is finally called by her name: “Mary!” (v. 16). How nice it is to think that the first apparition of the Risen One — according to the Gospels — took place in such a personal way! [Pope Francis]
Viene chiamata per nome: «Maria!» (v. 16). Com’è bello pensare che la prima apparizione del Risorto – secondo i Vangeli – sia avvenuta in un modo così personale! [Papa Francesco]
Jesus invites us to discern the words and deeds which bear witness to the imminent coming of the Father’s kingdom. Indeed, he indicates and concentrates all the signs in the enigmatic “sign of Jonah”. By doing so, he overturns the worldly logic aimed at seeking signs that would confirm the human desire for self-affirmation and power (Pope John Paul II)
Gesù invita al discernimento in rapporto alle parole ed opere, che testimoniano l'imminente avvento del Regno del Padre. Anzi, Egli indirizza e concentra tutti i segni nell'enigmatico "segno di Giona". E con ciò rovescia la logica mondana tesa a cercare segni che confermino il desiderio di autoaffermazione e di potenza dell'uomo (Papa Giovanni Paolo II)
Without love, even the most important activities lose their value and give no joy. Without a profound meaning, all our activities are reduced to sterile and unorganised activism (Pope Benedict)
Senza amore, anche le attività più importanti perdono di valore, e non danno gioia. Senza un significato profondo, tutto il nostro fare si riduce ad attivismo sterile e disordinato (Papa Benedetto)
In reality, an abstract, distant god is more comfortable, one that doesn’t get himself involved in situations and who accepts a faith that is far from life, from problems, from society. Or we would even like to believe in a ‘special effects’ god (Pope Francis)
In realtà, è più comodo un dio astratto, distante, che non si immischia nelle situazioni e che accetta una fede lontana dalla vita, dai problemi, dalla società. Oppure ci piace credere a un dio “dagli effetti speciali” (Papa Francesco)
It is as though you were given a parcel with a gift inside and, rather than going to open the gift, you look only at the paper it is wrapped in: only appearances, the form, and not the core of the grace, of the gift that is given! (Pope Francis)
È come se a te regalassero un pacchetto con dentro un dono e tu, invece di andare a cercare il dono, guardi soltanto la carta nel quale è incartato: soltanto le apparenze, la forma, e non il nocciolo della grazia, del dono che viene dato! (Papa Francesco)
The Evangelists Matthew and Luke (cf. Mt 11:25-30 and Lk 10:21-22) have handed down to us a “jewel” of Jesus’ prayer that is often called the Cry of Exultation or the Cry of Messianic Exultation. It is a prayer of thanksgiving and praise [Pope Benedict]
Gli evangelisti Matteo e Luca (cfr Mt 11,25-30 e Lc 10, 21-22) ci hanno tramandato un «gioiello» della preghiera di Gesù, che spesso viene chiamato Inno di giubilo o Inno di giubilo messianico. Si tratta di una preghiera di riconoscenza e di lode [Papa Benedetto]
It may have been a moment of disillusionment, of that extreme disillusionment and the perception of his own failure. But at that instant of sadness, in that dark instant Francis prays. How does he pray? “Praised be You, my Lord…”. He prays by giving praise [Pope Francis]
Potrebbe essere il momento della delusione, di quella delusione estrema e della percezione del proprio fallimento. Ma Francesco in quell’istante di tristezza, in quell’istante buio prega. Come prega? “Laudato si’, mi Signore…”. Prega lodando [Papa Francesco]
don Giuseppe Nespeca
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