don Giuseppe Nespeca

don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

20. Il vangelo di Luca registra il momento in cui «una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse», rivolgendosi a Gesù: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!» (Lc 11,27). Queste parole costituivano una lode per Maria come Madre di Gesù secondo la carne. La Madre di Gesù non era forse conosciuta personalmente da questa donna; infatti, quando Gesù iniziò la sua attività messianica, Maria non lo accompagnava e continuava a rimanere a Nazareth. Si direbbe che le parole di quella donna sconosciuta l'abbiano fatta in qualche modo uscire dal suo nascondimento. Attraverso quelle parole è balenato in mezzo alla folla, almeno per un attimo, il vangelo dell'infanzia di Gesù. È il vangelo in cui Maria è presente come la madre che concepisce Gesù nel suo grembo, lo dà alla luce e lo allatta maternamente: la madre-nutrice, a cui allude quella donna del popolo. Grazie a questa maternità, Gesù - Figlio dell'Altissimo (Lc 1,32) - è un vero figlio dell'uomo. È «carne», come ogni uomo: è «il Verbo (che) si fece carne» (Gv 1,14). È carne e sangue di Maria!43 Ma alla benedizione, proclamata da quella donna nei confronti della sua genitrice secondo la carne, Gesù risponde in modo significativo: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano» (Lc 11,28). Egli vuole distogliere l'attenzione dalla maternità intesa solo come un legame della carne, per orientarla verso quei misteriosi legami dello spirito, che si formano nell'ascolto e nell'osservanza della parola di Dio. Lo stesso trasferimento nella sfera dei valori spirituali si delinea ancor più chiaramente in un'altra risposta di Gesù, riportata da tutti i Sinottici. Quando viene annunciato a Gesù che «sua madre e i suoi fratelli sono fuori e desiderano vederlo», egli risponde: «Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,20). Questo disse «girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno», come leggiamo in Marco (Mc 3,34) o, secondo Matteo (Mt 12,49), «stendendo la mano verso i suoi discepoli». Queste espressioni sembrano collocarsi sulla scia quel che Gesù dodicenne rispose a Maria e a Giuseppe, quando fu ritrovato dopo tre giorni nel tempio di Gerusalemme. Ora, quando Gesù partì da Nazareth e diede inizio alla sua vita pubblica in tutta la Palestina, era ormai completamente ed esclusivamente «occupato nelle cose del Padre» (Lc 2,49). Egli annunciava il Regno: «Regno di Dio» e «cose del Padre», che danno anche un; nuova dimensione e un nuovo senso a tutto ciò che è umano e, quindi, ad ogni legame umano, in relazione ai fini e ai compiti assegnati a ogni uomo. In questa nuova dimensione anche un legame, come quello della «fratellanza», significa qualcosa di diverso dalla «fratellanza secondo la carne», derivante dalla comune origine dagli stessi genitori. E persino la «maternità», nella dimensione del Regno di Dio, nel raggio della paternità d Dio stesso, acquista un altro senso. Con le parole riportate da Luca Gesù insegna proprio questo nuovo senso della maternità. Si allontana per questo da colei che è stata la sua genitrice secondo la carne? Vuole forse lasciarla nel l'ombra del nascondimento, che ella stessa ha scelto' Se così può sembrare in base al suono di quelle parole si deve però rilevare che la nuova e diversa maternità di cui parla Gesù ai suoi discepoli, concerne proprio Maria in modo specialissimo. Non è forse Maria la prima tra «coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica»? E dunque non riguarda soprattutto le quella benedizione pronunciata da Gesù in risposta alle parole della donna anonima? Senza dubbio, Maria è degna di benedizione per il fatto che è divenuta Madre di Gesù secondo la carne («Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte»), ma anche e soprattutto perché già al momento dell'annunciazione ha accolto la parola di Dio, perché vi ha creduto, perché fu obbediente a Dio, perché «serbava» la parola e «la meditava nel suo cuore» (Lc 1,45); (Lc 2,19) e con tutta la sua vita l'adempiva. Possiamo dunque affermare che la beatitudine proclamata da Gesù non si contrappone, nonostante le apparenze, a quella formulata dalla donna sconosciuta, ma con essa viene a coincidere nella persona di questa Madre-Vergine, che si è chiamata solo «serva del Signore» (Lc 1,38). Se è vero che «tutte le generazioni la chiameranno beata» (Lc 1,48), si può dire che quell'anonima donna sia stata la prima a confermare inconsapevolmente quel versetto profetico del Magnificat di Maria e a dare inizio al Magnificat dei secoli. Se mediante la fede Maria è divenuta la genitrice del Figlio datole dal Padre nella potenza dello Spirito Santo, conservando integra la sua verginità, nella stessa fede ella ha scoperto ed accolto l'altra dimensione della maternità, rivelata da Gesù durante la sua missione messianica. Si può dire che questa dimensione della maternità apparteneva a Maria sin dall'inizio, cioè dal momento del concepimento e della nascita del Figlio. Fin da allora era «colei che ha creduto». Ma a mano a mano che si chiariva ai suoi occhi e nel suo spirito la missione del Figlio, ella stessa come Madre si apriva sempre più a quella «novità» della maternità, che doveva costituire la sua «parte» accanto al Figlio. Non aveva dichiarato fin dall'inizio: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38)? Mediante la fede Maria continuava ad udire ed a meditare quella parola, nella quale si faceva sempre più trasparente, in un modo «che sorpassa ogni conoscenza» (Ef 3,19), l'autorivelazione del Dio vivo. Maria madre diventava così, in un certo senso, la prima «discepola» di suo Figlio, la prima alla quale egli sembrava dire: «Seguimi», ancor prima di rivolgere questa chiamata agli apostoli o a chiunque altro (Gv 1,43). 

[Papa Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater]

Le parole di Gesù suscitano un grande scandalo: Egli sta dicendo che Dio ha scelto di manifestare sé stesso e di attuare la salvezza nella debolezza della carne umana. È il mistero dell’incarnazione. E l’incarnazione di Dio è ciò che suscita scandalo e che rappresenta per quella gente – ma spesso anche per noi – un ostacolo. Infatti, Gesù afferma che il vero pane della salvezza, che trasmette la vita eterna, è la sua stessa carne; che per entrare in comunione con Dio, prima di osservare delle leggi o soddisfare dei precetti religiosi, occorre vivere una relazione reale e concreta con Lui. Perché la salvezza è venuta da Lui, nella sua incarnazione. Questo significa che non bisogna inseguire Dio in sogni e immagini di grandezza e di potenza, ma bisogna riconoscerlo nell’umanità di Gesù e, di conseguenza, in quella dei fratelli e delle sorelle che incontriamo sulla strada della vita. Dio si è fatto carne. E quando noi diciamo questo, nel Credo, il giorno del Natale, il giorno dell’annunciazione, ci inginocchiamo per adorare questo mistero dell’incarnazione. Dio si è fatto carne e sangue: si è abbassato fino a diventare uomo come noi, si è umiliato fino a caricarsi delle nostre sofferenze e del nostro peccato, e ci chiede di cercarlo, perciò, non fuori dalla vita e dalla storia, ma nella relazione con Cristo e con i fratelli. Cercarlo nella vita, nella storia, nella vita nostra quotidiana. E questa, fratelli e sorelle, è la strada per l’incontro con Dio: la relazione con Cristo e i fratelli.

[Papa Francesco, Angelus 22 agosto 2021]

Ott 2, 2025

La seconda caduta

Pubblicato in Commento precedente

Pro e contro, e il Dito di Dio

(Lc 11,15-26)

 

Il pregiudizio intacca l’unione, e nessuno può mettere Gesù sotto sequestro, tenendolo in ostaggio. Egli è il forte che nessuna cittadella arroccata può arginare.

Chi teme di perdere il comando e smarrire il proprio prestigio artefatto ha già perduto. Non c’è armatura o bottino che tenga.

Non c’è costume né compromesso o gendarmeria in cui confidare, che possa resistere all’assedio della Libertà in Cristo.

Le Scritture formano una unità inscindibile. Tuttavia, solo in Lui la Tradizione non blocca i carismi, non ci sminuisce, non causa ansietà, né porta allo scrupolo - bensì acquista il suo risvolto vitale.

L’amicizia col Risorto è infatti straordinariamente originale, e ha rispetto delle unicità. Sta in una continuità e insieme nella rottura con la mente antica. Monoteismo vitale d’uno Spirito nuovo, che accoglie i Doni.

Le autorità erano attaccate al finto prestigio conquistato e preoccupatissime del fatto che Gesù fosse fedele al proprio compito unico.

In Lui, anche l’attività della sua Chiesa opera esorcismi: emancipa da forze-condizionamenti-strutture disumanizzanti. Si muove non su un piano legalista, ma di credo-amore operante che garantisce a ciascuno quel cammino di spontaneità e pienezza desiderate nell’intimo.

Col superamento di antiche convinzioni che mettevano fra parentesi la realtà delle persone e ne accentuavano i blocchi, la comunità dei figli nel Risorto è chiamata a diventare ‘potenza’ di Dio.

Segno palese della presenza intraprendente dello Spirito personale e solerte [«il dito di Dio»: v.20] che surclassa la spiritualità vuota e indolente.

E come mai Gesù sottolinea che la seconda caduta è più rovinosa della prima (vv.24-26)?

Mentre Lc redige il Vangelo, a metà anni 80 si registravano non poche defezioni, a motivo delle persecuzioni.

I credenti avvilivano, costernati dal disprezzo sociale - così molti vedevano impallidire l’ebbrezza entusiastica dei primi tempi.

I modi di fare non spostavano il quadro normale di riferimento, mentre le difficoltà facevano cadere le braccia ad alcuni.

Afflizioni che parevano mettere una pietra tombale sulla speranza di poter effettivamente edificare una società alternativa.

Ma il Vangelo ribadisce che non è previsto un atteggiamento neutrale (v.23) a distanza di sicurezza. Nella vocazione non ci sono mezze misure: solo scelte chiare, e niente esigenze represse.

Il battezzato in Cristo vive attitudini piene, indipendentemente da circostanze favorevoli o meno; rimane ben distante da timori puerili, gode d’un cuore libero. È fermo nell’azione. 

Mette in preventivo di poter essere ‘viandante’ posto sotto assedio dal sistema che non sopporta cambiamenti veri (v.22).

In ciò riposa, sempre chiamando in causa le proprie radici naturali e caratteriali - dove sono custodite le energie primordiali dell’anima e i sogni innati [che curano e guidano].

Del resto, il suo itinerario è contromano e sicuramente punteggiato di dure lezioni. Ma i momenti difficilissimi saranno ulteriori ‘chiamate’ alla trasformazione.

Rinati in Cristo che tutela e promuove la nostra eccezionale originalità, non possiamo “morire” perdendo l’Incontro irripetibile e tornando a essere fotocopie - senza Viaggio dell’anima.

 

Liberi verso la Terra Promessa che ci appartiene, non cerchiamo perfezioni di circostanza, bensì Pienezza.

 

 

[Venerdì 27.a sett. T.O.  10 ottobre 2025]

Ott 2, 2025

La seconda caduta

Pubblicato in il Mistero

Pro e contro, e il Dito di Dio

(Lc 11,15-26)

 

Il pregiudizio intacca l’unione, e nessuno può mettere Gesù sotto sequestro, tenendolo in ostaggio. Egli è il forte che nessuna cittadella arroccata può arginare.

Chi teme di perdere il comando e smarrire il proprio prestigio artefatto ha già perduto. Non c’è armatura o bottino che tenga.

Non c’è costume né compromesso o gendarmeria in cui confidare, che possa resistere all’assedio della Libertà in Cristo.

Le Scritture formano una unità inscindibile. Tuttavia, solo in Lui la Tradizione non blocca i carismi, non ci sminuisce, non causa ansietà, né porta allo scrupolo - bensì acquista il suo risvolto vitale.

L’amicizia col Risorto è infatti straordinariamente originale, e ha rispetto delle unicità. Sta in una continuità e insieme nella rottura con la mente antica.

Monoteismo vitale d’uno Spirito nuovo, che accoglie i Doni.

Chi non s’impegna a dilatare l’opera creativa del Padre, chi non ce la mette tutta a capire e vivificare situazioni o persone - persino nel rispetto delle eccentricità che prima non avevano campo e sembravano incomunicabili - aleggia sulle illusioni, disperde se stesso, intacca tutto l’ambiente.

 

Dice il Tao Tê Ching (LXV): «In antico chi ben praticava il Tao, con esso non rendeva perspicace il popolo, ma con esso si sforzava di renderlo ottuso: il popolo con difficoltà si governa, perché la sua sapienza è troppa».

La gente normale accetta il caos, non elude la vita.

I missionari sono allenati a trovare in ogni fatica, in qualsiasi errore o imperfezione, un nuovo assetto, ordinato e segreto. Nulla di esteriore.

In ogni incertezza sussiste una certezza, in ogni insicurezza una sicurezza maggiore, in qualsiasi lato in ombra una Perla inattesa, in ciascun disordine un cosmo: è il segreto della vita, della felicità, dell’esperienza di Fede.

Le autorità erano attaccate al finto prestigio conquistato e preoccupatissime del fatto che Gesù fosse fedele al proprio compito unico, e potesse riuscire a sottrarre loro il popolo adescato - ma ora liberato - dalla religione delle paure.

Egli [la sua comunità] rimaneva più convincente perché avverava il Regno, iniziava a mostrarlo; non in fantasie di cataclismi che mettessero le anime a guinzaglio, ma vivo ed efficiente, passo dopo passo, persona persona.

Esso veniva incontro al desiderio di completezza umana che abitava ogni cuore, così non faceva leva su ossessioni e parossismi o sulla Legge, bensì sul bene reale, la guarigione, la vita sempre diversa.

La cura delle infermità individuali e di relazione non era più un fatto secondario: così ad es. la liberazione d’un singolo infelice iniziava a sembrare un evento che avesse valore assoluto, definitivo.

 

La scena della terra non poteva più essere dominata da catechismi adattati e da una consuetudine pia che negasse tutto meno i timori.

Insomma, Cristo stesso è l’uomo forte che vede lontano, segno della venuta efficace di Dio tra gli uomini.

Con lui declina il regno delle illusioni e posizioni fisse; subentra il mondo contrario al disfacimento dell’esistenza concreta, nel rispetto dell’unicità e convivialità delle differenze.

L’attività della sua Chiesa opera esorcismi: emancipa da forze-condizionamenti-strutture disumanizzanti.

Nel Signore, essa si muove non su un piano legalista, ma di credo-amore operante, che garantisce a ciascuno quel cammino di spontaneità e pienezza desiderate nell’intimo.

 

Anche oggi la comunità fraterna deve farsi consapevole d’essere strumento di redenzione e presenza energica di Dio fra le donne e gli uomini normali, di ogni estrazione culturale.

Cospetto, esistenza, partecipazione. Per condurre, accompagnare verso un presente-futuro che doni respiro non solo al gruppo, ma anche all’inclinazione individuale, per nome.

Le assemblee dei figli sono abilitate per grazia e vocazione a sciogliere nodi e superare steccati di mentalità - suscitando così un ambiente comprensivo, che accetta i viandanti.

Questo il principio, orizzonte non negoziabile della Fede.

Col superamento di antiche convinzioni fisse che mettono fra parentesi la realtà delle persone e ne accentuano i blocchi, la comunità dei figli nel Risorto è chiamata a diventare potenza di Dio, per ciascuno.

Essa è sollecitata a farsi segno palese della vicinanza intraprendente dello Spirito Santo personale e solerte [«il dito di Dio»: v.20].

Contatto che surclassa la spiritualità rassicurante e vuota, nonché la distrazione superficiale, indolente, della devozione secondo usanza imposta dalle convenzioni o mode, e da catene di comando.

 

Ma come mai Gesù sottolinea che la seconda caduta è più rovinosa della prima (vv.24-26)?

La mente del fedele può venire svuotata del grande passo di Cristo vivo - che prima ha praticato e riconosciuto dentro sé e nella missione.

In tal guisa, essa non permane concentrata su qualcosa di utile, di vitale e splendido: fiaccata, si perde.

Mentre Lc redige il Vangelo, a metà anni 80 si registravano non poche defezioni a motivo delle persecuzioni.

I credenti avvilivano, costernati dal disprezzo sociale - così molti vedevano impallidire l’ebbrezza entusiastica dei primi tempi.

L’Amore non si poteva mettere in banca, ma diversi fratelli di comunità già provenienti dal paganesimo, dopo una prima esperienza di conversione, preferivano tornare alla vita precedente, all’imitazione dei modelli, ai soliti pensieri facili, alle attrattive e al consenso delle folle.

Ripiegando e rassegnandosi alle forze in campo, alcuni abbandonavano la posizione di autonomia interiore conquistata grazie all’azione liberatrice dagli idoli, favorita dalla vita sapiente e orante nella comunità fraterna.

Poi tentavano anche la ricerca individuale d’un risarcimento e rivalsa per gli anni difficili trascorsi nell’essere stati fedeli alla propria vocazione, in quello stimolo di crescere insieme grazie allo scambio dei doni e delle risorse.

Lc avverte: è normale che ci siano tante notti quanti i giorni.

Si capisce lo stress del peregrinare per accostarsi all’infinito dell’anima, ai prossimi (persino di comunità), alla realtà competitiva - ma attenzione... una seconda caduta sarebbe peggiore della prima.

 

La persona un tempo restituita a se stessa e che molla tutto demoralizzata, poi si lascerebbe andare alla disillusione generale, a una più globale mancanza di giudizio, di consapevolezza, e fiducia.

Tutto ciò capita ancora oggi per impellenze particolari, scoramento, o precipitazioni, dopo aver visto ideali infranti da circostanze imperfette.

O per la fatica di affrontare scoperte ed evoluzioni che rimettono sempre tutto in discussione - nel lungo tempo necessario per una coerenza paziente ai propri codici profondi.

Così chi si lascia tramortire, facilmente tornerebbe a ricercare il via libera altrui.

Bramerebbe quell’allinearsi che nasconde i conflitti e fa tremare meno - perché il convincimento antico diventato modus vivendi non sposta i modi di fare, né il quadro normale di riferimento.

 

Le difficoltà facevano cadere le braccia ad alcuni e ciò pareva mettere una pietra tombale sulla speranza di poter effettivamente edificare una società alternativa senza farsi troppo del male.

Ma il Vangelo ribadisce che non è previsto un atteggiamento neutrale (v.23) a distanza di sicurezza.

Non ci sono mezze misure: solo scelte chiare, e niente esigenze represse.

Integrate sì: in cuore abitano sempre lati contraddittori, non c’è da sbigottire per questo.

Gli stati opposti dell’essere sono una ricchezza che ci completa.

Anzi, si diventa nevrotici proprio quando le manie riduzioniste o le esigenze monotematiche (di club) prevaricano e soffocano la Chiamata poliedrica - che sebbene cesellata per l’unicità, non si fa mai unilaterale.

 

Per vivere in modo pieno, libero e felice è bene essere noi stessi, consapevoli di ciò che siamo: figli perfetti.

Donne e uomini indefettibili, per il nostro compito nel mondo.

Quindi possiamo trascurare il malessere delle ingiurie di chi ci sgrida e livella, lasciarle scorrere via - e fare a meno di rincorrere lodi.

L’uomo di Fede ha sperimentato e conosce l’essenziale: è la vita che vince la morte, non il viceversa. Quindi trascura le ossessioni, anche ammantate di sacro; e non si lascia sfiancare lo spirito.

Gode di una coscienza critica che sa collocare sullo sfondo i risultati immediati; così rigenera. Incessantemente riattiva e non debella le forze.

Il battezzato in Cristo vive attitudini piene, in ordine all’autenticità e totalità d’essere. Ciò, indipendentemente da circostanze favorevoli o meno.

L’amico di Gesù Risorto rimane distante da timori puerili, gode d’un cuore libero; è fermo nell’azione. 

Mette in preventivo di poter essere viandante, posto sotto assedio dal sistema isterico, che non sopporta cambiamenti veri (v.22).

In ciò riposa, sempre chiamando in causa le proprie radici naturali e caratteriali - dove sono custodite le energie primordiali dell’anima e i sogni innati (non derivati) che curano e guidano.

Del resto, il suo viaggio è contromano e sarà sicuramente punteggiato di dure lezioni.

Ma il cliché è tutta solfa indotta; tenta d’invaderci con recriminazioni senza peso specifico: tentativi di blocco privi di futuro.

 

Non c’è da sorprendere che gli accoliti del mondo conformista si difendano in tutti i modi.

E attacchi con quel vociare standard - socialmente “apprezzabile” - che tenta di accentuare i conflitti intimi e personali.

Sempre con grandi mezzi a disposizione, e facendo leva sui sensi di colpa.

Cammineremo ugualmente spediti sulla Via del Signore, pur sollecitati da dubbi e indecisioni. Senza retrocedere, persino quando ci sentiremo persi - ma col sapore del guadagno finanche nella perdita.

I momenti difficilissimi saranno ulteriori chiamate alla trasformazione.

E in ogni circostanza proveremo il gusto della vittoria della vita piena sul potere del male e sul tenore culturale imitativo, altrui, banale.

Qui - nella fedeltà al proprio mondo interiore che vuole esprimersi, e nel cambio di stile o immaginazione negli approcci - risolveremo i veri problemi e tutte le questioni, in modo ricco, personale.

Rinati in Cristo che tutela e promuove a partire dall’eccezionale originalità, non possiamo “morire” perdendo l’essenza e l’Incontro irripetibile.

Torneremmo a identificarci nei ruoli, quali fotocopie - senza il Viaggio dell’anima.

 

Liberi verso la terra promessa che ci appartiene, non cerchiamo perfezioni di circostanza, bensì pienezza.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Chi e cosa mi attiva o mi perde?

È Gesù il mio Signore o sono io [lo status, il mio gruppo, le maniere “perbene”, gli influssi anche religiosi] il Suo padrone?

Come affronto le situazioni?

Apro brecce e non mi disperdo, in armonia con la Voce antica e nuova dell’anima, e nello Spirito?

Il lavoro del Signore era cominciato con grande entusiasmo. Si vedeva che i malati erano guariti, tutti ascoltavano con gioia la parola: "Il Regno di Dio è vicino". Sembrava che, veramente, il cambiamento del mondo e l'avvento del Regno di Dio sarebbe stato imminente; che, finalmente, la tristezza del popolo di Dio si sarebbe cambiata in gioia. Si era in attesa di un messaggero di Dio che avrebbe preso in mano il timone della storia. Ma poi vedevano che, sì, gli ammalati erano guariti, i demoni espulsi, il Vangelo annunciato ma, per il resto, il mondo rimaneva come era. Niente cambiava. I romani dominavano ancora. La vita era difficile ogni giorno, nonostante questi segni, queste belle parole. E così l'entusiasmo si spegneva e, alla fine, come sappiamo dal sesto capitolo di Giovanni, anche i discepoli abbandonarono questo Predicatore che predicava, ma non cambiava il mondo.

Che cosa è questo messaggio? Che cosa porta questo Profeta di Dio?, si domandano finalmente tutti. Il Signore parla del seminatore che semina nel campo del mondo. E il seme sembra come la sua Parola, come quelle guarigioni, una cosa veramente piccola in confronto con la realtà storica e politica. Come il seme è piccolo, trascurabile, così anche la Parola.

Tuttavia, dice, nel seme è presente il futuro perché il seme porta in sé il pane di domani, la vita di domani. Il seme appare quasi niente, tuttavia il seme è la presenza del futuro, è promessa già presente oggi. E così con questa parabola dice: siamo nel tempo della seminagione, la Parola di Dio sembra solo parola, quasi niente. Ma abbiate coraggio, questa Parola porta in sé la vita! E porta frutto! La parabola dice anche che tanta parte del seme non porta frutto perché è caduto sulla strada, sulla terra sassosa, eccetera. Ma la parte caduta su terra buona frutta trenta, sessanta, cento volte tanto.

Ciò fa capire che dobbiamo essere coraggiosi anche se la Parola di Dio, il Regno di Dio, sembra senza importanza storico-politica. Alla fine Gesù, nella Domenica delle Palme, ha come sintetizzato tutti questi insegnamenti sul seme della parola: Se il chicco di grano non cade in terra e muore rimane solo, se cade in terra e muore porta grande frutto. E così ha fatto capire che Egli stesso è il chicco di grano che cade in terra e muore. Nella crocifissione tutto sembra fallito, ma proprio così, cadendo in terra, morendo, sulla Via della Croce, porta frutto per ogni tempo, per tutti i tempi. Qui abbiamo anche sia la finalizzazione cristologica secondo cui Cristo stesso è il seme, è il Regno presente, sia anche la dimensione eucaristica: questo chicco di grano cade in terra e così cresce il nuovo Pane, il Pane della vita futura, la Sacra Eucaristia che ci nutre e che si apre ai misteri divini, per la vita nuova.

Mi sembra che nella storia della Chiesa, in forme diverse, ci sono sempre queste questioni che ci tormentano realmente: che cosa fare? La gente sembra non aver bisogno di noi, sembra inutile tutto quanto facciamo. Tuttavia impariamo dalla Parola del Signore che solo questo seme trasforma sempre di nuovo la terra e la apre alla vera vita.

[Papa Benedetto, Incontro con il clero della Diocesi di Aosta 25 luglio 2005]

Combattere il peccato personale e le “strutture di peccato”

1. Continuando a riflettere sul cammino di conversione, sostenuti dalla certezza dell'amore del Padre, vogliamo oggi portare la nostra attenzione sul senso del peccato sia personale che sociale. Guardiamo innanzitutto all’atteggiamento di Gesù venuto appunto a liberare gli uomini dal peccato e dall’influsso di Satana.

Il Nuovo Testamento sottolinea fortemente l’autorità di Gesù sui demoni, che egli scaccia “con il dito di Dio” (Lc 11, 20). Nella prospettiva evangelica, la liberazione degli indemoniati (cfr Mc 5, 1-20) assume un significato più ampio della semplice guarigione fisica, in quanto il male fisico è posto in relazione con un male interiore. La malattia dalla quale Gesù libera è anzitutto quella del peccato. Gesù stesso lo spiega in occasione della guarigione del paralitico: “Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua” (Mc 2, 10-11). Prima ancora che nelle guarigioni, Gesù ha vinto il peccato superando egli stesso le “tentazioni” che il diavolo gli presentava nel periodo da lui trascorso nel deserto dopo il battesimo ricevuto da Giovanni (cfr Mc 1, 12-13; Mt 4, 1-11; Lc 4, 1-13). Per combattere il peccato che si annida dentro di noi e attorno a noi, dobbiamo metterci sulle orme di Gesù e imparare il gusto del “sì” da Lui continuamente pronunciato al progetto di amore del Padre. Questo “sì” richiede tutto il nostro impegno, ma non potremmo pronunciarlo senza l’aiuto della grazia, che Gesù stesso ci ha ottenuto con la sua opera redentrice.

2. Guardando ora al mondo contemporaneo, dobbiamo constatare che in esso la coscienza del peccato si è notevolmente affievolita. A causa di una diffusa indifferenza religiosa, o del rifiuto di quanto la retta ragione e la Rivelazione ci dicono di Dio, viene meno in tanti uomini e donne il senso dell’alleanza di Dio e dei suoi comandamenti. Molto spesso poi la responsabilità umana viene offuscata dalla pretesa di una libertà assoluta, che si reputa minacciata e condizionata da Dio legislatore supremo.

Il dramma della situazione contemporanea, che sembra abbandonare alcuni valori morali fondamentali, dipende in gran parte dalla perdita del senso del peccato. Su questo punto avvertiamo quanto grande debba essere il cammino della ‘nuova evangelizzazione’. Occorre restituire alla coscienza il senso di Dio, della sua misericordia, della gratuità dei suoi doni, perché possa riconoscere la gravità del peccato, che mette l’uomo contro il suo Creatore. La consistenza della libertà personale va riconosciuta e difesa come dono prezioso di Dio, contro la tendenza a dissolverla nella catena dei condizionamenti sociali o a staccarla dal suo irrinunciabile riferimento al Creatore.

3. È anche vero che il peccato personale ha sempre una valenza sociale. Mentre offende Dio e danneggia se stesso, il peccatore si rende pure responsabile della cattiva testimonianza e degli influssi negativi legati al suo comportamento. Anche quando il peccato è interiore, produce comunque un peggioramento della condizione umana e costituisce una diminuzione di quel contributo che ogni uomo è chiamato a dare al progresso spirituale della comunità umana.

Oltre a tutto ciò, i peccati dei singoli consolidano quelle forme di peccato sociale che sono appunto frutto dell’accumulazione di molte colpe personali. Le vere responsabilità restano ovviamente delle persone, dato che la struttura sociale in quanto tale non è soggetto di atti morali. Come ricorda l’Esortazione Apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia, “la Chiesa, quando parla di situazioni di peccato o denuncia come peccati sociali certe situazioni o certi comportamenti collettivi di gruppi sociali più o meno vasti, o addirittura di intere nazioni o blocchi di nazioni, sa e proclama che tali casi di peccato sociale sono il frutto, l’accumulazione e la concentrazione di molti peccati personali … Le vere responsabilità sono delle persone” (n. 16).

È tuttavia un fatto incontrovertibile, come più volte ho avuto modo di ribadire, che l’interdipendenza dei sistemi sociali, economici e politici, crea nel mondo di oggi molteplici strutture di peccato (cfr Sollicitudo rei socialis, 36; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1869). Esiste una spaventosa forza di attrazione del male che fa giudicare ‘normali’ e ‘inevitabili’ molti atteggiamenti. Il male si accresce e preme con effetti devastanti sulle coscienze, che rimangono disorientate e non sono neppure in grado di discernere. Se si pensa poi alle strutture di peccato che frenano lo sviluppo dei popoli più svantaggiati sotto il profilo economico e politico (cfr Sollicitudo rei socialis, 37), verrebbe quasi da arrendersi di fronte a un male morale che sembra ineluttabile. Tante persone avvertono l’impotenza e lo smarrimento di fronte a una situazione schiacciante che appare senza via d'uscita. Ma l’annuncio della vittoria di Cristo sul male ci dà la certezza che anche le strutture più consolidate dal male possono essere vinte e sostituite da “strutture di bene” (cfr Ibidem, 39).

4. La “nuova evangelizzazione” affronta questa sfida. Essa deve impegnarsi perché tutti gli uomini recuperino la consapevolezza che in Cristo è possibile vincere il male con il bene. Occorre formare al senso della responsabilità personale, intimamente connessa agli imperativi morali e alla coscienza del peccato. Il cammino di conversione implica l’esclusione di ogni connivenza con quelle strutture di peccato che oggi particolarmente condizionano le persone nei diversi contesti di vita.

Il Giubileo può costituire un’occasione provvidenziale perché i singoli e le comunità camminino in questa direzione, promuovendo un’autentica “metánoia”, ossia un cambiamento di mentalità, che contribuisca alla creazione di strutture più giuste e più umane, a vantaggio del bene comune.

[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 25 agosto 1999]

Lasciarsi scivolare lentamente nel peccato, relativizzando le cose ed entrando «in negoziato» con gli dèi del denaro, della vanità e dell’orgoglio: da quella che ha definito una «caduta con anestesia» ha messo in guardia il Papa nell’omelia della messa celebrata a Casa Santa Marta giovedì mattina, 13 febbraio, riflettendo sulla storia del re Salomone.

La prima lettura della liturgia del giorno (1 Re 11, 4-13) «ci racconta — ha esordito — l’apostasia, diciamo così, di Salomone», che non è stato fedele al Signore. Quando era vecchio, le sue donne gli fecero infatti «deviare il cuore» per seguire altri dèi. Fu dapprima un «ragazzo bravo», che al Signore chiese solo la saggezza e Dio lo rese saggio, al punto che da lui vennero i giudici e anche la Regina di Saba, dall’Africa, con regali perché aveva sentito parlare della sua saggezza. «Si vede che questa donna era un po’ filosofa e gli fece domande difficili», ha affermato il Pontefice notando che «Salomone uscì da queste domande vittorioso» perché sapeva rispondere.

A quel tempo, ha proseguito Francesco, si poteva avere più di una sposa, che non vuol dire — ha spiegato — che fosse lecito fare «il donnaiolo». Il cuore di Salomone, però, si indebolì non per aver sposato queste donne — poteva farlo — ma perché le aveva scelte di un altro popolo, con altri dèi. E Salomone quindi cadde nel «tranello» e lasciò fare quando una delle mogli gli chiedeva di andare ad adorare Camos o Moloc. E così fece per tutte le sue donne straniere che offrivano sacrifici ai loro dèi. In una parola, «permise tutto, smise di adorare l’unico Dio». Dal cuore indebolito per la troppa affezione alle donne, «entrò il paganesimo nella sua vita». Quindi, ha evidenziato Francesco, quel ragazzo saggio che aveva pregato bene chiedendo la saggezza, è caduto al punto da essere rigettato dal Signore.

«Non è stata un’apostasia da un giorno all’altro, è stata un’apostasia lenta», ha chiarito il Papa. Anche il re Davide, suo padre, infatti, aveva peccato — in modo forte almeno due volte — ma subito si era pentito e aveva chiesto perdono: era rimasto fedele al Signore che lo custodì fino alla fine. Davide pianse per quel peccato e per la morte del figlio Assalonne e quando, prima, fuggiva da lui, si umiliò pensando al suo peccato, quando la gente lo insultava. «Era santo. Salomone non è santo», ha affermato il Pontefice. Il Signore gli aveva dato tanti doni ma lui aveva sprecato tutto perché si era lasciato indebolire il cuore. Non si tratta, ha notato, del «peccato di una volta», ma dello «scivolare».

«Le donne gli fecero deviare il cuore e il Signore lo rimprovera: “Tu hai deviato il cuore”. E questo succede nella nostra vita. Nessuno di noi è un criminale, nessuno di noi fa dei grossi peccati come aveva fatto Davide con la moglie di Uria, nessuno. Ma dove è il pericolo? Lasciarsi scivolare lentamente perché è una caduta con anestesia, tu non te ne accorgi, ma lentamente si scivola, si relativizzano le cose e si perde la fedeltà a Dio», ha rimarcato Francesco. «Queste donne erano di altri popoli, avevano altri dèi, e quante volte noi dimentichiamo il Signore ed entriamo in negoziato con altri dèi: il denaro, la vanità, l’orgoglio. Ma questo si fa lentamente e se non c’è la grazia di Dio, si perde tutto», ha avvertito ancora.

Di nuovo il Papa ha richiamato il Salmo 105 (106) per sottolineare che questo mescolarsi con i pagani e imparare ad agire come loro, significa farsi mondani. «E per noi questa scivolata lenta nella vita è verso la mondanità, questo è il grave peccato: “Lo fanno tutti, ma sì, non c’è problema, sì, davvero non è l’ideale, ma...”. Queste parole che ci giustificano al prezzo di perdere la fedeltà all’unico Dio. Sono degli idoli moderni», ha avvertito Francesco, chiedendo di pensare «a questo peccato della mondanità» che porta a «perdere il genuino del Vangelo. Il genuino della Parola di Dio» a «perdere l’amore di questo Dio che ha dato la vita per noi. Non si può stare bene con Dio e con il diavolo. Questo lo diciamo tutti noi quando parliamo di una persona che è un po’ così: “Questo sta bene con Dio e con il diavolo”. Ha perso la fedeltà».

E, in pratica, ha continuato il Pontefice, ciò significa non essere fedele «né a Dio né al diavolo». Per questo in conclusione, il Papa ha esortato a chiedere al Signore la grazia di fermarsi quando si capisce che il cuore inizia a scivolare. «Pensiamo a questo peccato di Salomone — ha raccomandato —, pensiamo a come è caduto quel Salomone saggio, benedetto dal Signore, con tutte le eredità del padre Davide, come è caduto lentamente, anestetizzato verso questa idolatria, verso questa mondanità e gli è stato tolto il regno».

E «chiediamo al Signore — ha concluso Francesco — la grazia di capire quando il nostro cuore incomincia a indebolirsi e a scivolare, per fermarci. Saranno la sua grazia e il suo amore a fermarci se noi lo preghiamo».

[Papa Francesco, s. Marta, in L'Osservatore Romano 14/02/2020]

E vuoto consapevole: venir meno senza venir meno

(Lc 11,5-13)

 

A volte mettiamo il Padre sul banco degli imputati, perché sembra lasciar andare le cose come le orienta la nostra libertà.

Ma il suo Disegno non è far funzionare il mondo alla perfezione dei transistor di una volta, o dei circuiti integrati (nei rispettivi “package”) o “chip” [vari “pezzetti”]…

Dio vuol farci acquisire una mentalità da Nuova Creazione. La sua Azione ci modella sul Figlio, trasformando progetti, idee, desideri, parole, comportamenti standard.

All’inizio forse la preghiera può sembrare venata di sole richieste. Più si procede nell’esperienza dell’orazione nello Spirito del Cristo, meno si chiede.

Le domande si attenuano, sino a cessare quasi del tutto - nell’accoglienza sempre più cosciente, che si fa contemplazione e unione reali.

Non sappiamo quanto tempo, ma il ‘Risultato’ subentra improvviso: non solo certo, bensì sproporzionato.

Ma come estratto da un processo d’incandescenza continua, dove non esistono reti logiche, né facili scorciatoie.

Riceviamo il Dono massimo e completo.

E possiamo ospitarlo con dignità. Una nuova Creazione nello Spirito, un diverso aspetto.

Un Volto insperato - non semplicemente quello fantasticato o ben sistemato [come trasmesso o atteso].

 

Dio lascia che gli eventi seguano un loro corso, apparentemente distante da noi; quindi la preghiera può assumere toni drammatici e suscitare l’irritazione - come fosse una disputa aperta fra noi e Lui.

Ma Egli sceglie di non farsi garante dei nostri sogni esterni. Non si lascia introdurre nei limiti piccini.

Vuole coinvolgerci in ben altro che le nostre mète, di frequente troppo conformi a quello che abbiamo sotto il naso.

Inventa orizzonti dilatati; ci fa dialogare coi nostri stati profondi, affinché cediamo il punto di vista rigido e veniamo introdotti in altro genere di programmi.

 

Leggere gli accadimenti secondo un punto di vista totalmente “inadeguato” può aprire la mente - e modificare i sentimenti, trasformare dentro.

Quando qualcuno crede di aver capito il mondo, già si condiziona altre attese, più intense, che vorrebbero invadere il nostro spazio.

La preghiera allora dev’essere insistente, perché è come uno sguardo posato su di sé; non come avevamo pensato.

L’occhio interiore serve a fare una sorta di spazio sgombro, dentro, per accogliere la Presenza che non tira altrove l’io essenziale della persona.

Dimorando a lungo nella Casa della nostra essenza molto speciale.

 

Lo svuotamento consapevole dalle cianfrusaglie accatastate viene come colmato dal dialogo-Ascolto interpersonale con la Fonte dell’essere.

In essa è annidato il nostro Seme particolare: lì è come seduta e in fieri la differenza di volto che ci appartiene.

Via le definizioni e aspirazioni da nomenclatura, in uno stato “scarico” ma colmo di energie potenziali - la nostra Pianta caratteristica e inconfondibile sfiora la condizione divina.

Attraverso il dialogo incessante col Padre nell’orazione, facciamo spazio alle radici dell’Essere, per una sorte differente.

Ciò nella lacuna consapevole di quella parte di noi che cerca sicurezze, approvazioni.

 

La preghiera continua [ascolto e percezione, non saltuari] scava e smaltisce il volume dei banali pensieri ridondanti.

In tale spazio si spalancano opportunità, si crea la pulizia interiore affinché giunga il Dono - anche stravagante. Non di seconda mano.

 

 

[Giovedì 27.a sett. T.O.  9 ottobre 2025]

(Lc 11,5-13)

 

Venir meno senza venir meno. Lotta: incessante, efficace, con noi stessi e con Dio

 

A volte mettiamo il Padre sul banco degli imputati, perché sembra lasciar andare le cose come le orienta la nostra libertà.

Ma il suo Disegno non è far funzionare il mondo alla perfezione dei transistor (di una volta) o dei circuiti integrati (nei rispettivi “package”) o “chip” [vari “pezzetti”]…

Dio vuol farci acquisire una mentalità da Nuova Creazione. La sua Azione ci modella sul Figlio, trasformando progetti, idee, desideri, parole, comportamenti standard.

All’inizio forse la preghiera può sembrare venata di sole richieste. Più si procede nell’esperienza dell’orazione nello Spirito del Cristo, meno si chiede.

Le domande si attenuano, sino a cessare quasi del tutto.

I desideri di accumulo, o rivalsa e trionfo, lasciano il posto all’ascolto e alla percezione.

L’occhio che penetra si accorge di quanto è a portata di mano e dell’inusitato - nell’accoglienza sempre più cosciente, che si fa contemplazione e unione reali.

Non sappiamo quanto tempo, ma il “risultato” subentra improvviso: non solo certo, bensì sproporzionato.

Ma come estratto da un processo d’incandescenza continua, dove non esistono reti logiche, né facili scorciatoie.

 

Riceviamo il Dono massimo e completo. E possiamo ospitarlo con dignità. Una nuova Creazione nello Spirito, un diverso aspetto.

Un Volto insperato - non semplicemente quello fantasticato o ben sistemato (come trasmesso dalla famiglia o atteso a contorno).

 

Dio lascia che gli eventi seguano un loro corso, apparentemente distante da noi; quindi la preghiera può assumere toni drammatici e suscitare l’irritazione - come fosse una disputa aperta fra noi e Lui.

Ma Egli sceglie di non farsi garante dei nostri sogni esterni. Non si lascia introdurre nei limiti piccini.

Vuole coinvolgerci in ben altro che le nostre mète, di frequente troppo conformi a quello che abbiamo sotto il naso.

Inventa orizzonti dilatati, ma in questo travaglio dev’essere chiaro che non bisogna venir meno a noi stessi. Ossia al carattere della nostra essenza e vocazione.

Tutto ciò, proprio venendo meno a noi stessi - ossia cedendo il punto di vista rigido e dialogando coi nostri strati profondi.

Tale processo sposta l’accento condizionato.

Non è che Dio si compiace di farsi senza posa pregare e ripiegare dai poveretti.

Siamo noi ad aver bisogno di tempo per incontrare la nostra stessa anima e lasciarci introdurre in un altro genere di programmi che non siano conformisti e scontati.

 

Leggere gli accadimenti secondo visioni totalmente “inadeguate”, eccentriche o eccessive, meno contratte dentro le solite armature (e così via) può aprire la mente.

L’espansione dello sguardo accresce l’intuizione, modifica i sentimenti, trasforma, attiva. Coglie altri disegni, spalanca differenti orizzonti - con risultati intermedi già prodigiosi, sicuramente imprevedibili.

Quando qualcuno crede di aver capito il mondo, già si condiziona auspici ulteriori, più intensi, che vorrebbero invadere il nostro spazio.

Questa “natura” artificiale di assetti spuri, esterni o altrui, blocca l’itinerario che va verso la natura del carattere, la vera chiamata e missione personale.

 

La preghiera dev’essere insistente, perché è come una visuale posata su di sé; non come avevamo pensato: autenticamente. 

L’occhio interiore serve a fare una sorta di spazio sgombro e individuale dentro, che apre alla nostra e altrui Presenza, tutta da guardare (nel modo che conta).

Sarà il più sapiente, forte e affidabile compagno di viaggio… che porta la nostra identità-carattere e non tira altrove l’io essenziale della persona.

Lo svuotamento consapevole dalle cianfrusaglie accatastate (da noi stessi o altri) dev’essere colmato nel tempo mediante una intensità di Relazione.

Ecco il dialogo-Ascolto interpersonale con la Fonte dell’essere.

In essa è annidato il nostro Seme particolare: lì è come seduta e in fieri la differenza di volto che ci appartiene.

Sarà la profondità radicale del rapporto con la nostra Radice - forse smarrita in troppe aspettative regolarissime, anche elevate o funzionanti - che conferisce un’altra Via, più convincente.

E farà scoprire la tendenza e destinazione unica che ci appartiene, per la Felicità che non pensavamo.

 

Obbiettivi, propositi, discipline, memorie del passato, sogni di futuro, ricerche dei punti di riferimento, valutazioni abitudinarie di possibilità, cumuli di merito... talora sono zavorre.

Essi distraggono dalla terra dell’anima, dove il nostro grano vorrebbe attecchire per divenire ciò che è in cuore.

E dal Nocciolo far comprendere la proposta di Missione ricevuta - non conquistata, né posseduta - affinché conceda un’altra caratura prodigiosa (non: visibilità).

Spesso il sistema mentale e affettivo si riconosce in un album di pensieri, definizioni, gesti, forme, problemi, titoli, mansioni, personaggi, ruoli e cose già morte.

Tale morfologia d’interdizione smarrisce il presente autentico, dove viceversa attecchisce il Sogno divino che completa - realizzandoci nella specificità.

Allora, ecco la terapia dell’assoluto presentimento nell’Ascolto - della non pianificazione; a partire da ciascuno.

Ciò nella lacuna consapevole di quella parte di noi che cerca sicurezze, approvazioni, e asseconda banalità.

 

Attraverso il dialogo incessante col Padre nell’orazione, facciamo spazio alle radici dell’Essere, che (nel frattempo) ci sta già colmando di visuali e occasioni per una sorte differente.

Riattivando la carica esplorativa soffocata negli ingranaggi, creiamo la giusta intercapedine e ripartiamo nell’Esodo.

Accontentarsi, fermarsi, installarsi in un punto, tramuterebbe le conquiste anche qualitative in una terra di nuove schiavitù.

Obbligherebbe a recitare e ripercorrere tappe ormai acquisite - che viceversa siamo per vocazione richiamati a valicare.

Esodo… all’interno di una Relazione sorgiva, cosmica e identificativa, singolarmente fondante.

 

Grazie all’Ascolto protratto nella preghiera, noi figli acquisiamo il sapere dell’anima e del Mistero.

Dimoriamo a lungo nella Casa della nostra essenza molto speciale.

Così la piantiamo - o radichiamo ancor più a fondo - per capirla e recuperarla completamente, nitida e colma.

Ormai affrancata dal destino tracciato in ambiente di ristrettezze, già segnato ma privo di sogni.

 

Quando saremo pronti, l’Unicità scenderà in campo con una nuova soluzione, anche stravagante.

Essa partorirà ciò che siamo davvero, al meglio - dentro quel caos che risolve i veri problemi. E di onda in onda balzerà a Traguardo.

Via le definizioni e aspirazioni da nomenclatura, in una sorta di venir meno di noi stessi - in uno stato “scarico” ma colmo di energie potenziali - daremo spazio al nuovo Germe che la sa più lunga di tutti.

Già qui e ora la nostra Pianta caratteristica e inconfondibile vuole sfiorare la condizione divina.

La preghiera continua [ascolto e percezione, non saltuari] scava e smaltisce in questo spazio il volume dei banali pensieri ridondanti.

In tale interstizio e “vuoto” si spalancano opportunità. Si crea la pulizia interiore affinché giunga il Dono - non di seconda mano.

 

Vogliamo una decisiva conversione? Desideriamo il richiamo alla totalità dell’esistenza umanizzante, senza limitazioni e nella nostra unicità?

[Allora l’azione divina può raggiungere chiunque? Attecchisce in qualsiasi volto? E come si fa a non spezzarla?].

Perché non ora il nuovo inizio? La preghiera e il “nuovo pieno” dello Spirito diventano per noi - figli in fase di crescita - il latte dell’anima.

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Those living beside us, who may be scorned and sidelined because they are foreigners, can instead teach us how to walk on the path that the Lord wishes (Pope Francis)
Chi vive accanto a noi, forse disprezzato ed emarginato perché straniero, può insegnarci invece come camminare sulla via che il Signore vuole (Papa Francesco)
Many saints experienced the night of faith and God’s silence — when we knock and God does not respond — and these saints were persevering (Pope Francis)
Tanti santi e sante hanno sperimentato la notte della fede e il silenzio di Dio – quando noi bussiamo e Dio non risponde – e questi santi sono stati perseveranti (Papa Francesco)
In some passages of Scripture it seems to be first and foremost Jesus’ prayer, his intimacy with the Father, that governs everything (Pope Francis)
In qualche pagina della Scrittura sembra essere anzitutto la preghiera di Gesù, la sua intimità con il Padre, a governare tutto (Papa Francesco)
It is necessary to know how to be silent, to create spaces of solitude or, better still, of meeting reserved for intimacy with the Lord. It is necessary to know how to contemplate. Today's man feels a great need not to limit himself to pure material concerns, and instead to supplement his technical culture with superior and detoxifying inputs from the world of the spirit [John Paul II]
Occorre saper fare silenzio, creare spazi di solitudine o, meglio, di incontro riservato ad un’intimità col Signore. Occorre saper contemplare. L’uomo d’oggi sente molto il bisogno di non limitarsi alle pure preoccupazioni materiali, e di integrare invece la propria cultura tecnica con superiori e disintossicanti apporti provenienti dal mondo dello spirito [Giovanni Paolo II]
This can only take place on the basis of an intimate encounter with God, an encounter which has become a communion of will, even affecting my feelings (Pope Benedict)
Questo può realizzarsi solo a partire dall'intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento (Papa Benedetto)
We come to bless him because of what he revealed, eight centuries ago, to a "Little", to the Poor Man of Assisi; - things in heaven and on earth, that philosophers "had not even dreamed"; - things hidden to those who are "wise" only humanly, and only humanly "intelligent"; - these "things" the Father, the Lord of heaven and earth, revealed to Francis and through Francis (Pope John Paul II)
Veniamo per benedirlo a motivo di ciò che egli ha rivelato, otto secoli fa, a un “Piccolo”, al Poverello d’Assisi; – le cose in cielo e sulla terra, che i filosofi “non avevano nemmeno sognato”; – le cose nascoste a coloro che sono “sapienti” soltanto umanamente, e soltanto umanamente “intelligenti”; – queste “cose” il Padre, il Signore del cielo e della terra, ha rivelato a Francesco e mediante Francesco (Papa Giovanni Paolo II)
We are faced with the «drama of the resistance to become saved persons» (Pope Francis)
Siamo davanti al «dramma della resistenza a essere salvati» (Papa Francesco)
That 'always seeing the face of the Father' is the highest manifestation of the worship of God. It can be said to constitute that 'heavenly liturgy', performed on behalf of the whole universe [John Paul II]
Quel “vedere sempre la faccia del Padre” è la manifestazione più alta dell’adorazione di Dio. Si può dire che essa costituisce quella “liturgia celeste”, compiuta a nome di tutto l’universo [Giovanni Paolo II]

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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