Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Conosciamo tutti l’immagine del Buon Pastore che si carica sulle spalle la pecorella smarrita. Da sempre questa icona rappresenta la sollecitudine di Gesù verso i peccatori e la misericordia di Dio che non si rassegna a perdere alcuno. La parabola viene raccontata da Gesù per far comprendere che la sua vicinanza ai peccatori non deve scandalizzare, ma al contrario provocare in tutti una seria riflessione su come viviamo la nostra fede. Il racconto vede da una parte i peccatori che si avvicinano a Gesù per ascoltarlo e dall’altra parte i dottori della legge, gli scribi sospettosi che si discostano da Lui per questo suo comportamento. Si discostano perchè Gesù si avvicinava ai peccatori. Questi erano orgogliosi, erano superbi, si credevano giusti.
La nostra parabola si snoda intorno a tre personaggi: il pastore, la pecora smarrita e il resto del gregge. Chi agisce però è solo il pastore, non le pecore. Il pastore quindi è l’unico vero protagonista e tutto dipende da lui. Una domanda introduce la parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?» (v. 4). Si tratta di un paradosso che induce a dubitare dell’agire del pastore: è saggio abbandonare le novantanove per una pecora sola? E per di più non al sicuro di un ovile ma nel deserto? Secondo la tradizione biblica il deserto è luogo di morte dove è difficile trovare cibo e acqua, senza riparo e in balia delle fiere e dei ladri. Cosa possono fare novantanove pecore indifese? Il paradosso comunque continua dicendo che il pastore, ritrovata la pecora, «se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: Rallegratevi con me» (v. 6). Sembra quindi che il pastore non torni nel deserto a recuperare tutto il gregge! Proteso verso quell’unica pecora sembra dimenticare le altre novantanove. Ma in realtà non è così. L’insegnamento che Gesù vuole darci è piuttosto che nessuna pecora può andare perduta. Il Signore non può rassegnarsi al fatto che anche una sola persona possa perdersi. L’agire di Dio è quello di chi va in cerca dei figli perduti per poi fare festa e gioire con tutti per il loro ritrovamento. Si tratta di un desiderio irrefrenabile: neppure novantanove pecore possono fermare il pastore e tenerlo chiuso nell’ovile. Lui potrebbe ragionare così: “Faccio il bilancio: ne ho novantanove, ne ho persa una, ma non è una grande perdita”. Lui invece va a cercare quella, perchè ognuna è molto importante per lui e quella è la più bisognosa, la più abbandonata, la più scartata; e lui va a cercarla. Siamo tutti avvisati: la misericordia verso i peccatori è lo stile con cui agisce Dio e a tale misericordia Egli è assolutamente fedele: nulla e nessuno potrà distoglierlo dalla sua volontà di salvezza. Dio non conosce la nostra attuale cultura dello scarto, in Dio questo non c’entra. Dio non scarta nessuna persona; Dio ama tutti, cerca tutti: uno per uno! Lui non conosce questa parola “scartare la gente”, perchè è tutto amore e tutta misericordia.
Il gregge del Signore è sempre in cammino: non possiede il Signore, non può illudersi di imprigionarlo nei nostri schemi e nelle nostre strategie. Il pastore sarà trovato là dove è la pecora perduta. Il Signore quindi va cercato là dove Lui vuole incontrarci, non dove noi pretendiamo di trovarlo! In nessun altro modo si potrà ricomporre il gregge se non seguendo la via tracciata dalla misericordia del pastore. Mentre ricerca la pecora perduta, egli provoca le novantanove perché partecipino alla riunificazione del gregge. Allora non solo la pecora portata sulle spalle, ma tutto il gregge seguirà il pastore fino alla sua casa per far festa con “amici e vicini”.
Dovremmo riflettere spesso su questa parabola, perché nella comunità cristiana c’è sempre qualcuno che manca e se ne è andato lasciando il posto vuoto. A volte questo è scoraggiante e ci porta a credere che sia una perdita inevitabile, una malattia senza rimedio. E’ allora che corriamo il pericolo di rinchiuderci dentro un ovile, dove non ci sarà l’odore delle pecore, ma puzza di chiuso! E i cristiani? Non dobbiamo essere chiusi, perchè avremo la puzza delle cose chiuse. Mai! Bisogna uscire e non chiudersi in sè stessi, nelle piccole comunità, nella parrocchia, ritenendosi “i giusti”. Questo succede quando manca lo slancio missionario che ci porta ad incontrare gli altri. Nella visione di Gesù non ci sono pecore definitivamente perdute, ma solo pecore che vanno ritrovate. Questo dobbiamo capirlo bene: per Dio nessuno è definitivamente perduto. Mai! Fino all’ultimo momento, Dio ci cerca. Pensate al buon ladrone; ma solo nella visione di Gesù nessuno è definitivamente perduto. La prospettiva pertanto è tutta dinamica, aperta, stimolante e creativa. Ci spinge ad uscire in ricerca per intraprendere un cammino di fraternità. Nessuna distanza può tenere lontano il pastore; e nessun gregge può rinunciare a un fratello. Trovare chi si è perduto è la gioia del pastore e di Dio, ma è anche la gioia di tutto il gregge! Siamo tutti noi pecore ritrovate e raccolte dalla misericordia del Signore, chiamati a raccogliere insieme a Lui tutto il gregge!
[Papa Francesco, Udienza Generale 4 maggio 2016]
Nell’Annunciazione
(Gen 3,9-15.20; Lc 1,26-38)
Un grande teologo del Corpo Mistico ha scritto: «All’aurora c’è un momento stupendo: quello che precede immediatamente il sorgere del sole [...] il chiarore è andato crescendo, lentamente all’inizio, poi più in fretta» (É. Mersch).
La Fede ecclesiale annuncia e trasmette in Maria ‘tutta Santa’ uno stile, una Fede e una Speranza specifiche, ben denotate nella Scrittura.
Prorompente e affrancata, non alienata; indipendente dalla “notte”, non imbarazzata.
Capace di passare dal Dio dei padri al Padre. Dio del Figlio.
Alba dopo alba, vicenda dopo vicenda, genesi dopo genesi, trasloco dopo trasloco, viveva in modo deciso una sorta di ‘spiritualità dell’aurora nascente’. E la fiducia nel tempo.
Quando giungeva un punto interrogativo, capiva che era il momento di chiedersi e dare risposte.
Intuiva l’Opportunità di risorgere: tutta Feconda e senza perdere motivazioni, grazie a un’Alleanza paradossale, coi limiti e i pesi emotivi.
Quando un travaglio faceva irruzione, comprendeva che quei flutti invadevano la vita non per distruggere, bensì per smuovere un mare di riflussi forse ancora troppo calmo.
Non sognava di arginare o bloccare quella marea. Interiorizzava l’inquietudine dei dubbi come un grande momento di vita.
Una Felicità la sua che veniva dall’innovazione. Come una Presenza.
Invece di sentirsi costretta, sostava sopra ogni caso, per interrogarsi: «Cosa devo ancora imparare, da questo?».
Forse comprendeva che dentro la sua figura abituale c’era una donna capace di trasgressione - nel senso di sentirsi chiamata a capovolgere tutto l’antico e artificioso che non le corrispondevano.
Così ha iniziato, accogliendo l’Invito: ospitare in sé e dare spazio a un Eterno innominabile, creduto assolutamente trascendente e che mai si sarebbe mischiato con la carne!
Non solo un sacrilegio, bensì eresia. Ma nella Madre di Dio la paradossale eterodossia viene come spazzata oltre.
La sua spiritualità era sgombra dalla vera grande “macchia”: l’incapacità di corrispondere all’Annuncio personale.
«Peccato» - si dice appunto di una occasione persa: è la flessione dell’Unicità che siamo dentro.
Perla che tutti i giorni può cedere la sua eccezionalità al contorno normalizzante e affettato dell’opinione comune, restringendo lo spazio, l’onda vitale.
L’appello divino d’ogni istante orientava altrove i sogni di Maria e il suo sapere innato - anticamera della fiducia.
Nell’Alleanza di Radice e Seme, le decisioni non erano né restavano scadenti: senza fardelli cerebrali la Madre di Dio andava direttamente a nuove possibilità, e al fine.
In tale Forma viveva e tesseva una sorta di «spiritualità del sole che risorge». Richiamo d’ogni momento, nella gioia di cambiare se stessa e le cose; ovvero nella felicità di viverle così - persino di lasciare tutto.
Pur crescendo non invecchiava d’incertezze, perché sintonizzava il suo destino in avanti - dicendo Sì a quanto si affacciava - e d’istinto anche oggi la riteniamo Giovane.
Sapeva stare con le contraddizioni dell’ambiente soggetto all’antica devozione, e coi marosi inaspettati, come con l’eccentricità del Figlio.
Lo curava stando ‘presente’, nei semplici gesti quotidiani. Si affidava solo all’energia felice che affiorava tutti i momenti, e l’abitava.
S’immergeva nelle espressioni minime dei gesti con lo sguardo sull’adesso, per un agire nitido.
Inadeguata al miracolo ma se stessa, occupandosi non stremava - perché capace di rimettersi in gioco. Per questo conosceva il dialogo con il sentimento più temuto e sofferto: la solitudine.
Ma anche nel buio rigenerava, accogliendolo e uscendone col rinforzare i germi di cambiamento - alimentando nell'anima una sorta di giardino magico.
Sempre fuori dai binari, l’Immacolata ha superato tutti i pregiudizi.
[Immacolata Concezione, 8 Dicembre]
Nell’Annunciazione
(Gen 3,9-15.20; Lc 1,26-38)
Un grande teologo del Corpo Mistico ha scritto: «All’aurora c’è un momento stupendo: quello che precede immediatamente il sorgere del sole [...] il chiarore è andato crescendo, lentamente all’inizio, poi più in fretta» (É. Mersch, vol.I).
La Fede ecclesiale annuncia e trasmette in Maria tutta Santa uno stile, una Fede e una Speranza specifiche, ben denotate nella Scrittura.
Prorompente e affrancata, non alienata; indipendente dalla ‘notte’, non imbarazzata.
Capace di passare dal Dio dei padri al Padre. Dio del Figlio.
La tradizione rassicurante della Madre flebile e quasi trasognata ha un suo rilevante punto di forza - bisogna ammetterlo: l’intento di rappresentare la nobiltà d’una creatura in equilibrio.
Eppure nei Vangeli Ella è caratterizzata da una sorprendente emancipazione.
Anche in tal guisa, Maria permane icona del Popolo orante e autentico, dell’anima sposa, della Chiesa amichevole.
Persona e Comunità relazionale, generosa, qualificata da una dignità nello Spirito non esclusiva, bensì a portata di mano, personalizzante.
Alba dopo alba, vicenda dopo vicenda, genesi dopo genesi, trasloco dopo trasloco, viveva in modo deciso - istante per istante - una sorta di ‘spiritualità dell’aurora nascente’. E la fiducia nel tempo.
Questo il suo appiglio verecondo e riflessivo (più che ritirato e pensoso).
Malgrado gli allarmi, le fatiche e i pericoli, stranamente per noi non sviluppava senso di vuoto, né si lasciava condizionare o atterrire dalla percezione di essere osservata e giudicata.
Quando giungeva un punto interrogativo, capiva che era il momento di chiedersi e dare risposte.
Intuiva l’Opportunità di risorgere: tutta Feconda e senza perdere motivazioni, grazie a un’Alleanza paradossale, coi limiti e i pesi emotivi.
Quando un travaglio faceva irruzione, comprendeva che quei flutti invadevano la vita non per distruggere, bensì per smuovere un mare di riflussi forse ancora troppo calmo.
In questo modo sorvolava sia le questioni che la stasi: l’avrebbero ancorata alla forma consueta di essere e pensare - al mondo corrivo e identificato, senza immaginazione (per questo più insicuro).
Non sognava di arginare o bloccare la marea, la Novità, l’energia vitale della Provvidenza, sebbene la Chiamata per Nome prorompesse in modo anche violento. Per rialzarla a nuova Pasqua.
Interiorizzava l’inquietudine dei dubbi come un grande momento di vita, un Appello incarnato che le ricordava che c’è Altro.
Leggeva le sue ansie, accogliendole e interpretandole, per sorpassarle.
In tale stile d’approccio agli eventi, la Vergine rigenerava - e dentro le sorgeva una sottile gioia; quella dell’alba tutta bella che c’innalza.
Primo bagliore d’un sole nascente.
Una Felicità la sua che veniva dall’innovazione. Come una Presenza.
Lato segreto che fa decollare la vita delle creature, e sorvolare le questioni che imbrigliano l’anima.
Invece di sentirsi costretta, sostava sopra ogni caso, per interrogarsi: «Cosa devo ancora imparare, da questo?».
In tal modo riusciva a mettere al centro delle giornate non i progetti, bensì le qualità e le predisposizioni, anche dei famigliari - spendendole bene.
Forse comprendeva che dentro la sua figura abituale c’era una donna capace di trasgressione religiosa - nel senso di sentirsi chiamata a capovolgere tutto l’antico e artificioso che non le corrispondevano.
Così ha iniziato, accogliendo l’Invito: ospitare in sé e dare spazio a un Eterno allora immaginato innominabile, creduto assolutamente trascendente e che mai si sarebbe mischiato con la carne!
Non solo un sacrilegio, bensì totale eresia. Ma nella Madre di Dio la paradossale eterodossia [tutta nostra e orizzontale] viene come spazzata oltre.
La sua spiritualità era sgombra dalla vera grande “macchia”: l’incapacità di corrispondere all’Annuncio personale.
«Peccato» - si dice appunto di una occasione persa: è la flessione dell’Unicità che siamo dentro.
Perla che tutti i giorni può cedere la sua eccezionalità al contorno normalizzante e affettato dell’opinione comune, restringendo lo spazio, l’onda vitale.
L’appello divino d’ogni istante orientava altrove i sogni di Maria e il suo sapere innato - anticamera della fiducia.
Nell’Alleanza di Radice e Seme, le decisioni non erano né restavano scadenti: senza fardelli cerebrali la Madre di Dio andava direttamente a nuove possibilità, e al fine.
In tale Forma viveva e tesseva una sorta di «spiritualità del sole che risorge». Richiamo d’ogni momento, nella gioia di cambiare se stessa e le cose; ovvero nella felicità di viverle così - persino di lasciare tutto.
Pur crescendo non invecchiava d’incertezze, perché sintonizzava il suo destino in avanti - dicendo Sì a quanto si affacciava - e d’istinto anche oggi la riteniamo Giovane.
Sapeva stare con le contraddizioni dell’ambiente soggetto all’antica devozione, e coi marosi inaspettati, come con l’eccentricità del Figlio.
Lo curava stando ‘presente’, nei semplici gesti quotidiani. Si affidava solo all’energia felice che affiorava tutti i momenti, e l’abitava.
S’immergeva nelle espressioni minime dei gesti con lo sguardo sull’adesso, per un agire nitido.
Inadeguata al miracolo ma se stessa, occupandosi non stremava - perché capace di rimettersi in gioco. Per questo conosceva il dialogo con il sentimento più temuto e sofferto: la solitudine.
Ma anche nel buio rigenerava, accogliendolo e uscendone col rinforzare i germi di cambiamento - alimentando nell'anima una sorta di giardino magico.
Sempre fuori dai binari, l’Immacolata ha superato tutti i pregiudizi.
Annunciazione: come entrare nel regno dell’anima
Dalla religione alla Fede, da sterile ad Amata
La solennità del momento che restituisce l’anima al Mistero, invita a un passaggio onda su onda: dalla religione del Tempio alla Fede domestica e personale.
Dall’esterno a dentro noi stessi. Dai modelli, alla profezia d’innato. Promessa Unica, condizione più sottile.
Fede-resa - quella di Madre - che mostra la libertà e bellezza dei nuovi orientamenti, nel progredire delle immagini-guida interiori.
Alleanza non più per ciò che è già conosciuto.
Il suo Patto sta tutto nell’Apertura all’Inesplicabile che ci abita. Intimo Eterno, che può ora concretizzare la speranza e il cammino dei popoli. Una svolta di autenticità, crescente.
Se i vergini di cuore non frappongono pretese, la Chiamata per Nome (dalle nostre stesse fibre) dischiude l’animo incapace e sterile.
Ad coeli Reginam: Eco silente… tale nucleo-Vocazione invisibile fa trasalire. E con virtù spontanea introduce lo spirito nella sinergia feconda di Dio stesso.
Fiducia sponsale che riannoda i fili della storia di Salvezza: e si contrappone alla strada larga delle alleanze con gente “che conta”.
Nell’intreccio fra Iniziativa che feconda e nostro accogliere in seno, l’Ancella è icona dell’attesa e del cammino di ciascuno - dove ciò che resta determinante non è il desiderio consueto, prevedibile.
Appello vibrante che si prolunga nella storia, in una sorta d’Incarnazione dispiegata e continua, grazie alla collaborazione di lontani, malfermi e insignificanti servitori, come Maria.
Anche nostra, malgrado ancora colmi di aspettative normali.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Quali Parole ci aprono alla vita nello Spirito e mettono in discussione la strada prevista?
Qual è la nostra zona ancora intermedia, senza Incontro?
Come realizzare il Seme invisibile
Dice il Tao Tê Ching (LXI): «Il gran regno che si tiene in basso, è la confluenza del mondo; è la femmina del mondo. La femmina sempre vince il maschio con la quiete, poiché chetamente se ne sta sottomessa. Per questo, il gran regno che si pone al disotto del piccol regno, attrae il piccol regno; il piccol regno che sta al disotto del gran regno, attrae il gran regno: l’un s’abbassa per attrarre, l’altro attrae perché sta in basso. Il gran regno non ecceda, per la brama di pascere e unire gli altri; il piccol regno non ecceda, per la brama d’esser accetto e servire gli altri. Affinché ciascuno ottenga ciò che brama, al grande conviene tenersi in basso».
Cari fratelli e sorelle!
Quest’oggi celebriamo una delle feste della Beata Vergine più belle e popolari: l’Immacolata Concezione. Maria non solo non ha commesso alcun peccato, ma è stata preservata persino da quella comune eredità del genere umano che è la colpa originale. E ciò a motivo della missione alla quale da sempre Dio l’ha destinata: essere la Madre del Redentore. Tutto questo è contenuto nella verità di fede dell’"Immacolata Concezione". Il fondamento biblico di questo dogma si trova nelle parole che l’Angelo rivolse alla fanciulla di Nazaret: "Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te" (Lc 1,28). "Piena di grazia" – nell’originale greco kecharitoméne – è il nome più bello di Maria, nome che Le ha dato Dio stesso, per indicare che è da sempre e per sempre l’amata, l’eletta, la prescelta per accogliere il dono più prezioso, Gesù, "l’amore incarnato di Dio" (Enc. Deus caritas est, 12).
Possiamo domandarci: perché, tra tutte le donne, Dio ha scelto proprio Maria di Nazaret? La risposta è nascosta nel mistero insondabile della divina volontà. Tuttavia c’è una ragione che il Vangelo pone in evidenza: la sua umiltà. Lo sottolinea bene Dante Alighieri nell’ultimo Canto del Paradiso: "Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, / umile ed alta più che creatura, / termine fisso d’eterno consiglio" (Par. XXXIII, 1-3). La Vergine stessa nel "Magnificat", il suo cantico di lode, questo dice: "L’anima mia magnifica il Signore… perché ha guardato l’umiltà della sua serva" (Lc 1,46.48). Sì, Dio è stato attratto dall’umiltà di Maria, che ha trovato grazia ai suoi occhi (cfr Lc 1,30). E’ diventata così la Madre di Dio, immagine e modello della Chiesa, eletta tra i popoli per ricevere la benedizione del Signore e diffonderla sull’intera famiglia umana. Questa "benedizione" non è altro che Gesù Cristo stesso. E’ Lui la Fonte della grazia, di cui Maria è stata colmata fin dal primo istante della sua esistenza. Ha accolto con fede Gesù e con amore l’ha donato al mondo. Questa è anche la nostra vocazione e la nostra missione, la vocazione e la missione della Chiesa: accogliere Cristo nella nostra vita e donarlo al mondo, "perché il mondo si salvi per mezzo di Lui" (Gv 3,17).
Cari fratelli e sorelle, l’odierna festa dell’Immacolata illumina come un faro il tempo dell’Avvento, che è tempo di vigilante e fiduciosa attesa del Salvatore. Mentre avanziamo incontro a Dio che viene, guardiamo a Maria che "brilla come segno di sicura speranza e di consolazione per il popolo di Dio in cammino" (Lumen gentium, 68).
[Papa Benedetto, Angelus 8 dicembre 2006]
1. Celebriamo quest'oggi la solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, ricorrenza tanto cara al popolo cristiano. Essa ben si inserisce nel clima dell'Avvento ed illumina con fulgore di purissima luce il nostro itinerario spirituale verso il Natale.
Contempliamo quest'oggi l'umile fanciulla di Nazaret preservata, con privilegio straordinario ed ineffabile, dal contagio del peccato originale e da ogni colpa, per poter essere degna dimora del Verbo incarnato. In Maria, nuova Eva, Madre del nuovo Adamo, l'originario mirabile disegno d'amore del Padre viene ristabilito in modo ancor più mirabile. Per questo, la Chiesa riconoscente acclama: "Per Te, Vergine Immacolata, abbiamo ritrovato la vita: hai concepito per opera dello Spirito Santo ed il mondo ha avuto da Te il Salvatore" (Liturgia delle Ore, Memoria di S. Maria in sabato, Antifona al Benedictus).
2. L'odierna liturgia ripropone il racconto evangelico dell'Annunciazione. La Vergine, rispondendo all'Angelo, proclama: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38). Maria manifesta il suo totale assenso di mente e di cuore ai divini ed arcani voleri e si dispone ad accogliere, prima nella fede e quindi nel grembo verginale, il Figlio di Dio.
"Eccomi!". Questa sua pronta adesione alla volontà divina costituisce un modello per tutti noi credenti, affinché nei grandi avvenimenti, come nelle vicende ordinarie, ci affidiamo interamente al Signore.
Con la testimonianza della sua vita, Maria ci incoraggia a credere nel compimento delle promesse divine. Ci richiama allo spirito di umiltà, giusto atteggiamento interiore della creatura verso il Creatore; ci esorta a riporre sicura speranza in Cristo, che realizza appieno il disegno salvifico, anche quando gli eventi appaiono oscuri e sono difficili da accettare. Quale Stella fulgente, Maria guida i nostri passi incontro al Signore che viene.
3. Carissimi Fratelli e Sorelle! Volgiamo gli occhi verso l'Immacolata tutta Santa e tutta Bella. Maria, Avvocata nostra, Madre del "Re della pace", che schiaccia il capo del serpente, aiuti noi, uomini e donne del terzo millennio, a resistere alle seduzioni del male; ravvivi nei nostri cuori la fede, la speranza e la carità perché, fedeli alla nostra chiamata, sappiamo essere, a costo di qualunque sacrificio, testimoni intrepidi di Cristo Gesù, Porta Santa di eterna salvezza.
[Papa Giovanni Paolo II, Angelus 8 dicembre 2000]
Oggi celebriamo la solennità di Maria Immacolata, che si colloca nel contesto dell’Avvento, tempo di attesa: Dio compirà ciò che ha promesso. Ma nell’odierna festa ci è annunciato che qualcosa è già compiuto, nella persona e nella vita della Vergine Maria. Di questo compimento noi oggi consideriamo l’inizio, che è ancora prima della nascita della Madre del Signore. Infatti, la sua immacolata concezione ci porta a quel preciso momento in cui la vita di Maria cominciò a palpitare nel grembo di sua madre: già lì era presente l’amore santificante di Dio, preservandola dal contagio del male che è comune eredità della famiglia umana.
Nel Vangelo di oggi risuona il saluto dell’Angelo a Maria: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). Dio l’ha pensata e voluta da sempre, nel suo imperscrutabile disegno, come una creatura piena di grazia, cioè ricolma del suo amore. Ma per essere colmati occorre fare spazio, svuotarsi, farsi da parte. Proprio come ha fatto Maria, che ha saputo mettersi in ascolto della Parola di Dio e fidarsi totalmente della sua volontà, accogliendola senza riserve nella propria vita. Tanto che in lei la Parola si è fatta carne. Questo è stato possibile grazie al suo “sì”. All’Angelo che le chiede la disponibilità a diventare la madre di Gesù, Maria risponde: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (v. 38).
Maria non si perde in tanti ragionamenti, non frappone ostacoli al Signore, ma con prontezza si affida e lascia spazio all’azione dello Spirito Santo. Mette subito a disposizione di Dio tutto il suo essere e la sua storia personale, perché siano la Parola e la volontà di Dio a plasmarli e portarli a compimento. Così, corrispondendo perfettamente al progetto di Dio su di lei, Maria diventa la “tutta bella”, la “tutta santa”, ma senza la minima ombra di autocompiacimento. È umile. Lei è un capolavoro, ma rimanendo umile, piccola, povera. In lei si rispecchia la bellezza di Dio che è tutta amore, grazia, dono di sé.
Mi piace anche sottolineare la parola con cui Maria si definisce nel suo consegnarsi a Dio: si professa «la serva del Signore». Il “sì” di Maria a Dio assume fin dall’inizio l’atteggiamento del servizio, dell’attenzione alle necessità altrui. Lo testimonia concretamente il fatto della visita ad Elisabetta, che segue immediatamente l’Annunciazione. La disponibilità verso Dio si riscontra nella disponibilità a farsi carico dei bisogni del prossimo. Tutto questo senza clamori e ostentazioni, senza cercare posti d’onore, senza pubblicità, perché la carità e le opere di misericordia non hanno bisogno di essere esibite come un trofeo. Le opere di misericordia si fanno in silenzio, di nascosto, senza vantarsi di farle. Anche nelle nostre comunità, siamo chiamati a seguire l’esempio di Maria, praticando lo stile della discrezione e del nascondimento.
La festa della nostra Madre ci aiuti a fare di tutta la nostra vita un “sì” a Dio, un “sì” fatto di adorazione a Lui e di gesti quotidiani di amore e di servizio.
[Papa Francesco, Angelus 8 dicembre 2019]
(Is 11,1-10; Mt 3,1-12)
Il Figlio di Dio che Viene «non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire» (Is. 11,3).
Così la Chiesa che lo testimonia.
Ma come si fa nella società dell’esterno, a non lasciarsi condizionare da opinioni dominanti?
Non cercando di riprodurre il mondo che si trova attorno.
Bensì tentando il principio di un rinnovamento che può essere introdotto solo a partire dalla Scaturigine del Senso di sé e del cosmo - poi sfocerà anche fuori, e avverrà costantemente.
Non... subito col fard, labbra a canotto, zigomi gonfiati, livellamento di solchi; né con una velleitaria “conversione a U”.
Non uno sfibrante regresso alla religione esterna; piuttosto, stabilendosi dentro, in quella Forza del Logos nel cuore.
In tal guisa, nei Vangeli il termine greco «metanoia» non indica un ritorno al Dio del culto normalizzato; piuttosto, cambiamento di mentalità.
La vita di Fede è appunto segnata dal rovesciamento della gerarchia dei valori, che si riflette nelle scelte reali.
Conversione neotestamentaria è un riappropriarsi di sé, ma non come nelle devozioni, bensì con un colpo di mano.
Un balzo in avanti il quale rende fecondo, verde e felice il recupero di tutta la Chiesa che attinge alla propria Fonte.
Una riconquista del medesimo Nucleo che trascina l’intera realtà.
Dio nell’anima non solo migliora, ma rimonta in Pienezza vitale. Agisce rifondando, e cesella il nostro vero Cammino.
Anzitutto sorvola le cricche consolidate. Sarebbe inutile insistere su ambienti e personaggi refrattari alla novità dello Spirito.
Così, la Parola-evento va a posarsi su un visionario del presente e del futuro.
A meno di vent’anni, Giovanni avrebbe dovuto presentarsi ai professionisti del rito e della Legge per essere esaminato secondo le norme puriste della Torah, onde poi officiare i culti al Tempio di Gerusalemme.
Ma pur essendo di stirpe sacerdotale, rifiuta quell’ambiente formale, insensibile e corrotto - che ben conosceva.
Insomma, la scelta e la figura del Battista è un Richiamo per noi: alla Chiesa autentica non basta stirare le rughe.
Botulino e creme non graffiano la realtà, ma disturbano l’Essenza.
Il Profeta si sentiva giovane e vivo proprio perché non aveva voluto assomigliare, abbinarsi a tutti i costi, essere individuabile, ripetere opinioni - né si è limitato a un risanamento della situazione.
Non ha voluto spegnersi. Ha voluto fissare lo sguardo non sui grandi segni, ma sulle proprie (e altrui) attitudini.
Anche per noi il “destino” che ci appartiene si annida in quell’impeto quotidiano a voler fare qualcosa di creativo e personale, inedito e attinto solo dal Nucleo delle nostre onde, dei flutti, dei molti volti.
L’Avvento [Venuta] ci ripropone in tal guisa quel Richiamo delle Radici che aprono la strada - affinché realizziamo qualcosa di non abituale, ma che ci appartiene.
Saremo «virgulti che germogliano» non accasciati, anzi che «si levano a vessillo per le moltitudini» perché rapiti e collocati su tale Raggio d’inconsueta «conoscenza del Signore che riempirà la terra».
Controesodo del Battista, controesodo di Gesù
Rifare il Passaggio del Giordano.
Epistrèphein: Convertirsi è nella mentalità antica, ‘girarsi’, ‘tornare indietro’ (ebraico Shùb) [perché il popolo si è allontanato da Dio, dal Tempio, dai Padri].
Nel secondo Testamento il termine è solo Metanoein:
Per il Battista Convertirsi [già nella sfera del «metanoein»] non ha un senso specificamente religioso, liturgico, dottrinale, bensì esistenziale: significa ad es. cessare le ingiustizie sociali.
Ma secondo la nuova predicazione di Gesù, il Convertirsi ha un senso più ampio e centrale. Cristo propone una visione nuova di Dio stesso, del suo Cuore - quindi di uomo autentico e di società.
Mentre la «razza di vipere» continua a inoculare i suoi veleni… ecco invece il «Frutto Bello» e completo, pieno, di questo nuovo albero (v.10).
La traduzione CEI ‘74 proponeva “frutti buoni” [che ha un altro senso, legato alla morale, semplicistica]. Ora è “buon frutto”, che forse sta a metà.
«Frutto Bello» è l’Amore; il prodotto del Fuoco dello Spirito [Gal 5,22: amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé].
Tale Fuoco non è più un elemento esterno. Non più una potenza estrinseca. Viene da dentro.
Come l’Azione delle nuove Acque, ora Allegre, che sono assimilate in vista non della pulitura e mondatura, bensì della crescita.
Fiamma sì che brucia tutto il male - beninteso senza più fare «piazza pulita».
Non vita spirituale: Vita nello Spirito!
Tutt’altro peso specifico, tutt’altro Respiro.
[2.a Domenica Avvento (anno A), 7 dicembre 2025]
(Is 11,1-10; Mt 3,1-12)
Il Figlio di Dio che Viene «non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire» (Is. 11,3).
Così la Chiesa che lo testimonia.
Ma come si fa nella società dell’esterno, a non lasciarsi condizionare da opinioni dominanti?
Come può una realtà avvizzita rifiorire e mostrarsi splendida, manifestando la condizione divina?
Non certo facendo lo sforzo di restare giovane e imbellettata.
Non cercando di riprodurre il mondo che si trova attorno.
Bensì tentando il principio di un rinnovamento che può essere introdotto solo a partire dalla Scaturigine del Senso di sé e del cosmo - poi sfocerà anche fuori, e avverrà costantemente.
Non... subito col fard, labbra a canotto, zigomi gonfiati, livellamento di solchi; né con una velleitaria “conversione a U”.
Non uno sfibrante regresso alla religione esterna del Tempio; piuttosto, stabilendosi dentro, in quella Forza del Logos nel cuore.
In tal guisa, nei Vangeli il termine greco «metanoia» non indica un ritorno al Dio del culto normalizzato; piuttosto, cambiamento di mentalità.
La vita di Fede è appunto segnata dal rovesciamento della gerarchia dei valori, che si riflette nelle scelte reali.
Conversione neotestamentaria è un riappropriarsi di sé, ma non come nelle devozioni, bensì con un colpo di mano.
Un balzo in avanti il quale rende fecondo, verde e felice il recupero di tutta la Chiesa che attinge alla propria Fonte.
Una riconquista del medesimo Nucleo che trascina l’intera realtà.
Dio nell’anima non solo migliora, ma rimonta in Pienezza vitale.
Il Signore non riconfeziona i contenuti, truccandoli con aggiornamenti d’apparenza; interviene creando.
Agisce rifondando, e cesella il nostro vero Cammino.
Anzitutto sorvola le cricche consolidate dei grandi del mondo e del sacro.
Sarebbe inutile insistere su ambienti e personaggi costituzionalmente refrattari alla novità dello Spirito.
Era già allora dannoso continuare a farsi utilizzare come paravento da una casta che dopo l’Esodo aveva sequestrato e preso in ostaggio Dio e le sue cose, accontentandosi di campare di rendite.
Così, la Parola-evento va a posarsi su un visionario del presente e del futuro.
A meno di vent’anni, Giovanni avrebbe dovuto presentarsi ai professionisti del rito e della Legge per essere esaminato secondo le norme puriste della Torah, onde poi officiare i culti al Tempio di Gerusalemme.
Ma pur essendo di stirpe sacerdotale, rifiuta quell’ambiente formale, insensibile e corrotto - che ben conosceva.
Insomma, la scelta e la figura del Battista è un Richiamo per noi: alla Chiesa autentica non basta stirare le rughe.
Botulino e creme non graffiano la realtà, ma disturbano l’Essenza.
La nostra Sorgente primordiale ripropone occasioni e persino incertezze, per farci concretizzare al meglio le nostre capacità.
Fa crudi richiami, palesando situazioni variegate; eventi anche imbarazzanti, insieme a pulsioni ideali.
Strada facendo, troveremo il modo di attivare l’energia primigenia del nostro lato eterno, imparando a riconoscere le novità d’Altrove che vogliono farsi spazio nelle pieghe della storia e in noi.
Così ogni giorno il comportamento può cambiare: posso ad es. immaginare una iniziativa da svolgere ed è come se tornassi a quel Fuoco che non si estingue dentro - per accogliere un vigore rinnovato, uno sguardo più ampio e un altro magico respiro.
Il Battista si sentiva giovane e vivo proprio perché non aveva voluto assomigliare, abbinarsi a tutti i costi, essere individuabile, ripetere opinioni - né si è limitato a un risanamento della situazione.
Comprende che il perdono dei peccati si ottiene semplicemente cambiando vita [vv.6ss]; non adempiendo una liturgia al Tempio!
Non ha voluto spegnersi, purificando l’istituzione - perché ha desiderato vedere la portata della realtà oltre il recinto sacro.
Ha voluto fissare lo sguardo non sui grandi segni, ma sulle proprie (e altrui) attitudini.
Anche per noi il “destino” che ci appartiene si annida in quell’impeto quotidiano a voler fare qualcosa di creativo e personale, inedito e attinto solo dal Nucleo delle nostre onde, dei flutti, dei molti volti.
L’Avvento [Venuta] ci ripropone quel Richiamo delle Radici che aprono la strada, spalancano il casello dei pedaggi - affinché realizziamo qualcosa di non abituale, ma che ci appartiene.
Modificare l’assetto delle cose ordinate guarisce ciascuno di noi con quella differente giovinezza che viene dallo squilibrio delle apparenze e dei giudizi conformisti.
Un brio che non procede dallo standard di commemorazioni.
Trasparenza derivante dall’operare una breccia sugli schemi tranquilli. Essi che non spalancano l’avventura d’un nuovo sentiero - quello in grado di farci «nascere» non già stagionati, e innamorare.
Altro che aggiustamenti estemporanei e sporadici, secondo moda e condizioni esterne locali!
Dobbiamo imparare a riconoscere e attivare quel nostro aspetto sorgivo che vive nel Patto di Dio.
Un Arcobaleno che niente e nessuno riuscirà più ad asfaltare.
Esso svetta sui nostri disturbi e sui disturbatori. E corre, porgendo nuovi percorsi che c’irrobustiscono - fanno divenire capaci di pensiero, d’immaginare e vivere in tale Eros fondante.
Nel rifrangersi delle esplorazioni, la nostra terra melmosa si lega al Cielo; all’inizio anche episodicamente o confusamente, ma in modo spontaneo e subito colorato.
Il Cammino di affidamento ai variegati zampilli dell’Essere - al Se stesso ancora celato - sarà la paradossale piattaforma che trasmigra la nostra «carne» [cf. parallelo Lc 3,6; testo greco] ossia la nostra vulnerabilità di creature come foglie al vento o incrinate e squarciate, in vicenda di vita salvata.
Saremo «virgulti che germogliano» non accasciati, anzi che «si levano a vessillo per le moltitudini» perché rapiti e collocati su tale Raggio d’inconsueta «conoscenza del Signore che riempirà la terra».
Quasi senza saperlo, non più sottratti o assorbiti dall’influsso esterno. Per un Veniente che fa vivere ancora l’Io nascosto senza camicie di forza, bensì nel mutamento di alterne vicende.
Un Sacro non arroccato come quello che ancora blocca la pastorale dirigista - ma che ci desta, non per un aggiustamento all’indietro e prosecuzione a tutti i costi.
L’Eterno prorompe inopinatamente.
E ci riattiva come in Giovanni, fuori dei recinti stabiliti, anche grazie al caos degli schemi.
Cari fratelli e sorelle!
[La] seconda domenica di Avvento, ci presenta l’austera figura del Precursore, che l’evangelista Matteo introduce così: "In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!»" (Mt 3,1-2). La sua missione è stata quella di preparare e spianare la via davanti al Messia, chiamando il popolo d’Israele a pentirsi dei propri peccati e a correggere ogni iniquità. Con parole esigenti Giovanni Battista annunciava il giudizio imminente: "Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco" (Mt 3,10). Metteva in guardia soprattutto dall’ipocrisia di chi si sentiva al sicuro per il solo fatto di appartenere al popolo eletto: davanti a Dio – diceva – nessuno ha titoli da vantare, ma deve portare "frutti degni di conversione" (Mt 3,8).
Mentre prosegue il cammino dell’Avvento, mentre ci prepariamo a celebrare il Natale di Cristo, risuona nelle nostre comunità questo richiamo di Giovanni Battista alla conversione. E’ un invito pressante ad aprire il cuore e ad accogliere il Figlio di Dio che viene in mezzo a noi per rendere manifesto il giudizio divino. Il Padre – scrive l’evangelista Giovanni – non giudica nessuno, ma ha affidato al Figlio il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo (cfr Gv 5,22.27). Ed è oggi, nel presente, che si gioca il nostro destino futuro; è con il concreto comportamento che teniamo in questa vita che decidiamo della nostra sorte eterna. Al tramonto dei nostri giorni sulla terra, al momento della morte, saremo valutati in base alla nostra somiglianza o meno con il Bambino che sta per nascere nella povera grotta di Betlemme, poiché è Lui il criterio di misura che Dio ha dato all’umanità. Il Padre celeste, che nella nascita del suo Unigenito Figlio ci ha manifestato il suo amore misericordioso, ci chiama a seguirne le orme facendo, come Lui, delle nostre esistenze un dono di amore. E i frutti dell’amore sono quei "degni frutti di conversione" a cui fa riferimento san Giovanni Battista, mentre con parole sferzanti si rivolge ai farisei e ai sadducei accorsi, tra la folla, al suo battesimo.
Mediante il Vangelo, Giovanni Battista continua a parlare attraverso i secoli, ad ogni generazione. Le sue chiare e dure parole risultano quanto mai salutari per noi, uomini e le donne del nostro tempo, in cui anche il modo di vivere e percepire il Natale risente purtroppo, assai spesso, di una mentalità materialistica. La "voce" del grande profeta ci chiede di preparare la via al Signore che viene, nei deserti di oggi, deserti esteriori ed interiori, assetati dell’acqua viva che è Cristo. Ci guidi la Vergine Maria ad una vera conversione del cuore, perché possiamo compiere le scelte necessarie per sintonizzare le nostre mentalità con il Vangelo.
[Papa Benedetto, Angelus 9 dicembre 2007]
Man is the surname of God: the Lord in fact takes his name from each of us - whether we are saints or sinners - to make him our surname (Pope Francis). God's fidelity to the Promise is realized not only through men, but with them (Pope Benedict).
L’uomo è il cognome di Dio: il Signore infatti prende il nome da ognuno di noi — sia che siamo santi, sia che siamo peccatori — per farlo diventare il proprio cognome (Papa Francesco). La fedeltà di Dio alla Promessa si attua non soltanto mediante gli uomini, ma con loro (Papa Benedetto)
In the communities of Galilee and Syria the pagans quickly became a majority - elevated to the rank of sons. They did not submit to nerve-wracking processes, but spontaneously were recognizing the Lord
Nelle comunità di Galilea e Siria i pagani diventavano rapidamente maggioranza - elevati al rango di figli. Essi non si sottoponevano a trafile snervanti, ma spontaneamente riconoscevano il Signore
And thus we must see Christ again and ask Christ: “Is it you?” The Lord, in his own silent way, answers: “You see what I did, I did not start a bloody revolution, I did not change the world with force; but lit many I, which in the meantime form a pathway of light through the millenniums” (Pope Benedict)
E così dobbiamo di nuovo vedere Cristo e chiedere a Cristo: “Sei tu?”. Il Signore, nel modo silenzioso che gli è proprio, risponde: “Vedete cosa ho fatto io. Non ho fatto una rivoluzione cruenta, non ho cambiato con forza il mondo, ma ho acceso tante luci che formano, nel frattempo, una grande strada di luce nei millenni” (Papa Benedetto)
Experts in the Holy Scriptures believed that Elijah's return should anticipate and prepare for the advent of the Kingdom of God. Since the Lord was present, the first disciples wondered what the value of that teaching was. Among the people coming from Judaism the question arose about the value of ancient doctrines…
Gli esperti delle sacre Scritture ritenevano che il ritorno di Elia dovesse anticipare e preparare l’avvento del Regno di Dio. Poiché il Signore era presente, i primi discepoli si chiedevano quale fosse il valore di quell’insegnamento. Tra i provenienti dal giudaismo sorgeva il quesito circa il peso delle dottrine antiche...
Gospels make their way, advance and free, making us understand the enormous difference between any creed and the proposal of Jesus. Even within us, the life of Faith embraces all our sides and admits many things. Thus we become more complete and emancipate ourselves, reversing positions.
I Vangeli si fanno largo, avanzano e liberano, facendo comprendere l’enorme differenza tra credo qualsiasi e proposta di Gesù. Anche dentro di noi, la vita di Fede abbraccia tutti i nostri lati e ammette tante cose. Così diventiamo più completi e ci emancipiamo, ribaltando posizioni
We cannot draw energy from a severe setting, contrary to the flowering of our precious uniqueness. New eyes are transmitted only by the one who is Friend. And Christ does it not when we are well placed or when we equip ourselves strongly - remaining in a managerial attitude - but in total listening
Non possiamo trarre energia da un’impostazione severa, contraria alla fioritura della nostra preziosa unicità. Gli occhi nuovi sono trasmessi solo da colui che è Amico. E Cristo lo fa non quando ci collochiamo bene o attrezziamo forte - permanendo in atteggiamento dirigista - bensì nell’ascolto totale
The Evangelists Matthew and Luke (cf. Mt 11:25-30 and Lk 10:21-22) have handed down to us a “jewel” of Jesus’ prayer that is often called the Cry of Exultation or the Cry of Messianic Exultation. It is a prayer of thanksgiving and praise [Pope Benedict]
don Giuseppe Nespeca
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