Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga!
Con gli auguri ancora freschi per questo nuovo anno, ecco il commento delle letture della solennità dell’Epifania
Epifania del Signore [6 gennaio 2025]
*Prima Lettura dal Libro del profeta Isaia (60,1-6)
Il richiamo ai simboli dell’oro, incenso e mirra, presente in questo testo del profeta Isaia, l’hanno fatto scegliere per l’odierna festa dell’Epifania del Signore con evidente connessione ai doni dei Magi, ma c’è molto di più. Da notare tutte le espressioni di luce che sono in questo passaggio: “Rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te”…(come sorge il sole) su di te risplende il Signore , la sua gloria appare su di te… cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere”. Insomma la tua luce, lo splendore della tua aurora ti renderà radiosa. Contrariamente a quel che si può immaginare, come spesso capita con i profeti che coltivano la speranza, dobbiamo dedurre immediatamente che l’umore generale in quel momento era piuttosto cupo. Perché l’umore generale era cupo, e che cosa suggerisce il profeta per invitare il popolo alla speranza? Per quanto riguarda l’umore, guardiamo al contesto: questo testo fa parte degli ultimi capitoli del libro di Isaia; siamo negli anni 525-520 a.C., cioè circa quindici o vent’anni dopo il ritorno dall’esilio a Babilonia. I deportati erano tornati in patria, e si credeva che la felicità si sarebbe stabilita, ma questo ritorno tanto atteso non ha soddisfatto tutte le aspettative. C’erano quelli che, rimasti nel paese, avevano vissuto il periodo di guerra e occupazione; gli esuli tornati dall’esilio speravano di ritrovare il loro posto e i loro beni. Poiché l’esilio durò cinquant’anni, coloro che erano partiti erano morti là e i superstiti rientrati in patria erano i loro figli o nipoti. Questo non doveva semplificare le riunioni, tanto più che coloro che tornavano non potevano pretendere di recuperare l’eredità dei loro genitori perché, proprio a causa del lungo periodo di cinquant’anni, i beni degli assenti e degli esiliati erano stati occupati e altri se ne erano impossessati. Inoltre molti stranieri si erano stabiliti nella città di Gerusalemme e in tutto il paese e vi avevano introdotto altre usanze, altre religioni. Appare evidente che quest’ammasso di persone tanto diverse non costituiva un clima ideale per vivere insieme. Prima causa di disaccordo fu la ricostruzione del Tempio. Fin dal ritorno dall’esilio, autorizzato nel 538 dal re Ciro, i primi rientrati, che formavano la cosiddetta “comunità del ritorno”, avevano ristabilito l’antico altare del Tempio di Gerusalemme e avevano ripreso a celebrare il culto come in passato. Si volle al tempo stesso cominciare la ricostruzione del Tempio, ma alcune persone considerate eretiche vollero intervenire. Si tratta di un miscuglio di ebrei rimasti nel paese e di popolazioni straniere pagane insediate lì dall’occupante mescolate insieme persino attraverso dei matrimoni che avevano preso abitudini giudicate eretiche dagli ebrei che tornavano dall’Esilio e per questo motivo la “comunità del ritorno” rifiutò che il Tempio del Dio unico fosse costruito da persone che poi vi avrebbero celebrato altri culti. Questo rifiuto fu mal accolto e coloro che erano stati respinti si opposero con tutti i mezzi: il risultato fu l’arresto dei lavori e il tramonto del sogno di ricostruire il Tempio. Con il passare degli anni crebbe e si diffuse lo scoraggiamento. La tristezza e lo sconforto non sono però degni del popolo portatore delle promesse di Dio e per questo Isaia insieme al profeta Aggeo decisero di risvegliare i loro compatrioti invitandoli a non piangersi addosso e a mettersi al lavoro per ricostruire il Tempio. Conoscendo questo contesto, il linguaggio quasi trionfante d’Isaia ci sorprende, ma è il linguaggio abituale nei profeti. Se promettono tutta questa luce è perché il popolo è moralmente a terra e ci si trova nella notte più cupa. Tuttavia è proprio durante la notte che si scrutano i segni del sorgere del giorno e il ruolo del profeta è ridare coraggio annunciando l’alba del nuovo giorno. E’ chiaro: più il profeta insiste sul tema della luce più vuol dire che il popolo è oppresso dal buio dello scoramento. Per risollevarne il morale Isaia e Aggeo insistono su un solo argomento fondamentale per gli ebrei: Gerusalemme è la Città santa, scelta da Dio per farvi dimorare il segno della sua presenza. Dio stesso si è impegnato con il re Salomone, decidendo che “qui sarà il mio Nome”. Possiamo così sintetizzare e attualizzare il messaggio di Isaia: “Vi sentite in un tunnel, nel buio più profondo, ma alla fine del tunnel vi attende la luce. Ricardatevi la promessa: giunge il Giorno in cui tutti riconosceranno in Gerusalemme la Città santa”. E allora non lasciatevi abbattere e mettetevi al lavoro, dedicate tutte le vostre forze a ricostruire il Tempio come avete promesso. In ogni tempo quando ci si sente scoraggiati dalle difficoltà e si brancola nel buio dell’incertezza occorrono profeti che ridestano il coraggio della speranza. Isaia lo fa capire con determinazione e questo è il suo ragionamento: quando si è credenti, anche il buio più oscuro non riesce a soffocare la speranza. E qui non si tratta di promessa legata a un trionfo politico, ma della promessa di Dio: un giorno l’intera umanità sarà finalmente riunita in un’armonia perfetta nella Città santa.
*Salmo Responsoriale (71/72)
Questo salmo ci fa assistere all’incoronazione di un nuovo re, quando i sacerdoti pronunciano su di lui preghiere che raccolgono i desideri e i sogni del popolo all’inizio di ogni nuovo regno. Si auspica la potenza politica per il re, la pace e la giustizia, la felicità, la ricchezza e prosperità per tutti e il popolo eletto ha il vantaggio di sapere che questi sogni degli uomini coincidono con il progetto stesso di Dio. L’ultima strofa del salmo, che non fa parte dell’odierna liturgia, cambia però tono: non si parla più del re terreno, ma di Dio: “Benedetto sia il Signore, il Dio d’Israele, lui solo compie meraviglie! Benedetto sia per sempre il suo nome glorioso, tutta la terra sia piena della sua gloria! Amen! Amen!”. Ed è proprio quest’ultima strofa a offrire la chiave per capire l’intero salmo composto e cantato dopo l’esilio a Babilonia (quindi tra il 500 e il 100 a.C.), in un’epoca in cui non c’era più un re in Israele. I voti e le preghiere non riguardano quindi un re in carne e ossa, ma il futuro re promesso da Dio, il re-messia. E poiché si tratta di una promessa di Dio, si può essere certi che si realizzerà. L’intera Bibbia è attraversata da questa speranza indistruttibile: la storia umana ha un fine, un senso dove il termine “senso” significa due cose: sia “significato” che “direzione”. Dio ha un unico progetto che ispira tutte le vicende della Bibbia e assume nomi diversi secondo i diversi autori: è il “Giorno di Dio” per i profeti, il “regno dei cieli” per l’evangelista Matteo, il “disegno della sua benevolenza (eudokia) ” per san Paolo (Ef1,9-10). Dio ama l’umanità e ripropone instancabilmente il suo progetto di felicità. Progetto che sarà realizzato dal messia che viene invocato ogni qualvolta si cantano i salmi nel Tempio di Gerusalemme.
Il salmo 71 è la descrizione del re ideale, che Israele attende da secoli: quando nasce Gesù, sono passati circa 1000 anni da quando il profeta Natan si recò dal re Davide da parte di Dio e gli fece la promessa di cui parla il nostro salmo. (cf 2 Sam 7,12-16). Di secolo in secolo, la promessa è stata ribadita e meglio precisata. La certezza della fedeltà di Dio alle sue promesse ha permesso di scoprire a poco a poco tutta la sua ricchezza e le sue conseguenze; se questo re meritava davvero il titolo di figlio di Dio, allora sarebbe stato a immagine di Dio, re di giustizia e di pace. A ogni incoronazione di un nuovo re, la promessa veniva ripetuta su di lui e si tornava a sognare, ma il popolo ebraico attende ancora, e bisogna riconoscere che il regno ideale non ha ancora visto la luce sulla terra. Si finirebbe quasi per credere che sia solo un’utopia. I credenti però sanno che non si tratta di un’utopia ma di una promessa di Dio, quindi di una certezza. E l’intera Bibbia è attraversata da questa certezza, speranza invincibile che il progetto di Dio si realizzerà. È il miracolo della fede: di fronte a questa promessa ogni volta delusa, due diverse reazioni sono possibili: il non credente dice “ve l’avevo detto, non accadrà mai”; il credente afferma risolutamente “pazienza, poiché Dio l’ha promesso, non può rinnegare se stesso”, come ricorda san Paolo (2 Tm 2,13). Oggi, il popolo ebraico canta questo salmo nell’attesa del re-messia e in certe sinagoghe gli ebrei manifestano la loro impazienza di vedere il messia recitando questa professione di fede di Mosè Maimonide, filosofo, medico e giurista ebreo (1135-1204) di Toledo in Spagna: “Credo con fede certa che il messia verrà, e anche se tarda a venire, nonostante tutto, io aspetterò fino al giorno del suo arrivo”. Noi, cristiani, lo applichiamo a Gesù Cristo e ci sembra che i magi venuti dall’Oriente abbiano iniziato a realizzare la promessa: “I re di Tarsis e delle isole porteranno doni, i re di Saba e di Seba offriranno tributi… Tutti i re si prostreranno davanti a lui, tutte le nazioni lo serviranno”. E non è lontano il giorno in cui tutta l’umanità accoglierà il Cristo e si realizzerà il regno del suo amore.
*Seconda Lettura, dalla lettera di san Paolo Apostolo agli Efesini (3,2-6)
Questo testo è tratto dal capitolo terzo della Lettera agli Efesini, e nel primo capitolo Paolo ha usato la famosa espressione “il disegno d’amore della sua volontà” (v.5), “facendoci conoscere il mistero della sua volontà” (v 9). Ritroviamo qui la parola “mistero” che per san Paolo non è un segreto che Dio custodisce gelosamente; al contrario, è la sua intimità, nella quale ci fa entrare. Paolo spiega meglio affermando: “Per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero”: il mistero è il disegno di amore che Dio rivela progressivamente. Tutta la storia biblica è una lunga, lenta e paziente pedagogia che Dio utilizza per introdurre il suo popolo in questo suo mistero, nella sua intimità. L’esperienza mostra che non si può insegnare a un bambino tutto in una volta; va educato con pazienza, giorno per giorno e a seconda delle circostanze. Non si possono dare lezioni teoriche in anticipo su vita, morte, matrimonio o famiglia. Il bambino scopre la famiglia vivendo con i genitori, i nonni e i fratelli e sorelle: quando la famiglia celebra un matrimonio o una nascita, quando affronta un lutto, il bambino vive questi eventi con i parenti i quali, pian piano, lo accompagnano nella scoperta della vita. Dio ha usato la stessa pedagogia con il suo popolo rivelandosi progressivamente. Questa rivelazione con Cristo ha compiuto un passo decisivo per cui la storia si divide in due periodi, prima di Cristo e dopo Cristo e spiega l’apostolo che questo mistero “non é stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito” e chiarisce ancor più che il mistero di cui parla è Cristo stesso, il centro del mondo e della storia e l’universo intero sarà un giorno riunito in lui, come le membra sono unite al capo. Nella frase “ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose” (1,10), la parola greca che traduciamo con capo significa proprio la testa. Si tratta inoltre davvero dell’universo intero e Paolo precisa che “le genti sono chiamate in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo”. In altre parole si può dire che l’eredità è Cristo, la Promessa è Cristo, il Corpo èCristo, Il disegno di amore di Dio è che Cristo sia il centro del mondo e che l’universo intero sia riunito in lui. Quando nel Padre Nostro diciamo “sia fatta la tua volontà”, parliamo proprio di questo progetto divino e, ripetendo quest’invocazione, ci impregniamo sempre di più del desiderio del Giorno in cui tale progetto sarà pienamente realizzato. Paolo spiega che questo progetto riguarda l’umanità intera, non solo il popolo ebreo: è l’universalismo del piano di Dio, dimensione universale scoperta progressivamente nella Bibbia e ben radicata nel popolo di Israele, visto che si fa risalire ad Abramo la promessa della benedizione di tutta l’umanità: “In te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gen 12,3). Il passaggio di Isaia che leggiamo nella prima lettura della festa dell’Epifania è esattamente su questa linea. Ovviamente, se un profeta come Isaia ha ritenuto opportuno insistervi, è perché si tendeva a dimenticarlo. Allo stesso modo, al tempo di Cristo, se Paolo precisa che “le genti sono chiamate in Cristo Gesù a condividere a la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo” è perché ciò non era scontato. Dobbiamo fare uno sforzo d’immaginazione: non ci troviamo affatto nella stessa situazione dei contemporanei di Paolo; per noi, nel ventunesimo secolo, questa è un’evidenza: la gran parte di noi non sono di origine ebraica e trovano normale il fatto che tutti noi partecipiamo alla salvezza recata dal Messia. Dopo duemila anni di cristianesimo, sappiamo che Israele rimane il popolo eletto, perché, come dice altrove san Paolo, “Dio non può rinnegare sé stesso”, ma crediamo di essere anche noi in questo piano chiamati a testimoniare il vangelo nel mondo. Al tempo di Cristo, però, la situazione era diversa. Gesù è nato all’interno del popolo ebraico: questa era la logica del piano di Dio e dell’elezione di Israele. I Giudei erano il popolo eletto, scelto da Dio per essere apostoli, testimoni e strumenti della salvezza di tutta l’umanità. I giudei diventati cristiani hanno avuto difficoltà, talvolta, ad accettare l’ammissione di ex pagani nelle loro comunità e san Paolo ricorda loro che anche i pagani, ormai, possono essere apostoli e testimoni della salvezza. Del resto, l’episodio dei Magi, narrato da Matteo nel Vangelo dell’Epifania, ci dice esattamente la stessa cosa. Le ultime parole di questa seconda lettura risuonano come un invito: “le genti sono chiamate in Cristo Gesù a condividere a la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo”. Certamente Dio attende la nostra collaborazione al suo disegno d’amore: i Magi allora hanno visto una stella e si sono messi in cammino. Per tanti nostri contemporanei, non ci sarà una stella nel cielo, ma siamo noi i testimoni di Cristo e per questo bisognosi di diventare pieni di luce e di gioia.
*Dal Vangelo secondo Matteo ( 2,1-12)
Innanzitutto un’osservazione storica: l’episodio dei Magi narrato dall’evangelista Matteo ci dà uno dei rari indizi sulla data di nascita esatta di Gesù. La data della morte di Erode il Grande è certa: 4 a.C. (visse dal 73 al 4 a.C.) e, poiché fece uccidere tutti i bambini di età inferiore ai due anni, si trattava di bambini nati tra il 6 e il 4 a.C. Quindi, Gesù nacque probabilmente tra il 6 e il 5 a.C. L’errore di calcolo avvenne nel VI secolo, quando un monaco, Dionigi il Piccolo, stabilì, a giusto titolo, di contare gli anni a partire dalla nascita di Gesù, e non più dalla fondazione di Roma. All’epoca, come si desume anche da altre fonti storiche,
molto viva era l’attesa del Messia e se ne parlava dappertutto. Tutti pregavano Dio affinché affrettasse la sua venuta e alcuni Giudei pensavano che sarebbe stato un re: un discendente di Davide che avrebbe regnato sul trono di Gerusalemme, dopo ver scacciato i Romani e stabilito definitivamente pace, giustizia e fraternità in Israele. Altri con più ottimismo speravano persino che questa felicità si sarebbe estesa al mondo intero. In questo senso, si citavano diverse profezie convergenti dell’Antico Testamento: innanzitutto, quella di Balaam nel Libro dei Numeri. La ricordo: nel momento in cui le tribù d’Israele si avvicinavano alla Terra Promessa sotto la guida di Mosè, attraversando le pianure di Moab (oggi in Giordania), il re di Moab, Balak, aveva convocato Balaam (profeta e indovino pagano) affinché maledicesse questi invasori. Ma, ispirato da Dio, Balaam, anziché maledire, aveva pronunciato profezie di felicità e gloria per Israele, dicendo in particolare: “Io lo vedo, lo contemplo: da Giacobbe spunta una stella, da Israele si alza uno scettro” (Num 24,17). Il re di Moab si era infuriato, perché aveva interpretato questa profezia come l’annuncio della sua futura sconfitta contro Israele. Ma in Israele, nei secoli successivi, questa bella promessa era stata trasmessa con cura, arrivando a pensare che il regno del Messia sarebbe stato annunciato dall’apparizione di una stella. Ecco perché il re Erode, consultato dai Magi riguardo a una stella, prese la questione molto seriamente. Un’altra profezia riguardante il Messia è quella di Michea: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo tra i capoluoghi di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”. Una profezia perfettamente in linea con la promessa fatta da Dio a Davide, secondo cui la sua dinastia non si sarebbe mai estinta e avrebbe portato al paese la felicità tanto attesa.
I Magi, probabilmente, non sapevano tutte queste cose: erano astrologi e si erano messi in cammino semplicemente perché avevano visto sorgere una nuova stella. Arrivati a Gerusalemme, si informarono presso le autorità locali. Ed è qui che incontriamo la prima sorpresa del racconto di Matteo: da una parte, i Magi, pagani che non hanno preconcetti, sono alla ricerca del Messia e alla fine lo troveranno guardando l’astro visibile a tutti. Dall’altra parte, ci sono quelli che conoscono le Scritture, gli scribi d’Israele che possono citarle senza errori e possono rivelarne il significato… a condizione, però, che essi stessi si lascino guidare dalle Scritture, ma purtroppo non muovono un dito; non si spingeranno nemmeno da Gerusalemme a Betlemme e quindi non incontreranno il Bambino nella mangiatoia. E’ davvero una provocazione: coloro che attendevano il Messia come gli scribi non riescono a vedere e quindi non incontrano il Messia, mentre i magi estranei alle scritture si lasciano guidare dalla stella , che tutti vedevano, e arrivano all’incontro con Gesù. Quanto a Erode, è tutta un’altra storia. Mettiamoci nei suoi panni: è il re dei Giudei, riconosciuto come tale dal potere romano. È molto fiero del suo titolo e ferocemente geloso di chiunque possa offuscarlo. Non dimentichiamo che ha fatto assassinare diversi membri della sua famiglia, compresi i suoi stessi figli. Ogni volta che qualcuno diventava un po’ troppo popolare, Erode lo faceva eliminare per gelosia. E ora si diffonde una voce in città: degli astrologi stranieri hanno compiuto un lungo viaggio e dicono: “Abbiamo visto sorgere una stella del tutto eccezionale; sappiamo che annuncia la nascita di un bambino-re… altrettanto eccezionale. Sicuramente è nato il vero re dei Giudei!”. Possiamo immaginare la furia e l’angoscia di Erode. Così, quando san Matteo dice: “Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme”, si tratta sicuramente di un modo molto delicato di esprimersi. Ovviamente, Erode non poteva mostrare la sua rabbia; doveva saper manovrare: il suo obiettivo era ottenere qualche informazione su questo bambino, un potenziale rivale da eliminare. Perciò si informa prima di tutto sul luogo. Matteo scrive che convocò i capi dei sacerdoti e gli scribi per chiedere loro dove sarebbe nato il Messia. Ed è qui che interviene la profezia di Michea: il Messia sarebbe nato a Betlemme. Erode si informa inoltre sull’età del bambino, perché aveva già in mente un piano per eliminarlo. Convocò i Magi per chiedere loro il momento preciso in cui era apparsa la stella. Non conosciamo la loro risposta, ma gli eventi successivi ci permettono di dedurla: Erode ordinò di uccidere tutti i bambini di età inferiore ai due anni, prendendo così un ampio margine. Molto probabilmente, nel racconto della visita dei Magi, Matteo ci offre già un riassunto di tutta la vita di Gesù: sin dall’inizio, a Betlemme, incontrò l’ostilità e la collera delle autorità politiche e religiose. Non lo riconoscono come il Messia, lo trattano da impostore e alla fine lo eliminano crocifiggendolo come un malfattore . Eppure, era davvero il Messia. Grande lezione di fede per tutti! E’ proprio vero: solamente chi cerca Dio con sincerità e senza preconcetti arriva, come i Magi, a incontrarlo e a entrare nel piano della sua Misericordia infinita
N.B. Unisco questa preghiera tratta dal libretto di preghiere del santuario Santissima Trinità Misericordia di Maccio – Como
PREGHIERA ALLA SS. TRINITÀ PER IL DONO DELLA FEDE
Signore, sostieni la mia Fede!
O Mio Signor, o Mio Dio,
con fede profondissima son qui prostrato a Te.
Tu sei Speranza Certa in cui son fatto salvo!
Tu sei Misericordia che in Te tutto m’attiri!
Tu sei la Carità, Tu Tutto a me donato!
Tu sei l’Amore Eterno in cui il mio cuor s’acqueta!
Per questo Dono immenso,
di Te che Tutto sei e a me Tutto Ti doni,
del buio de la mia notte la Luce il velo squarcia,
e canto e prego e grido, con quanta fede io possa:
Io credo, io credo, io credo,
in te Dio Uno e Trino, mio Unico Signore!
Tu, Padre, Tu, Principio, che d’essa sei la Fonte;
Tu, Figlio, Eterno Verbo, per Cui essa s’accresce;
Tu, Spirito Divino, che in essa me confermi.
Tu, Trinità Santissima, Mistero impenetrabile di Te Unico Dio,
nel Sacrificio Santo del Dio che si fa Figlio,
fa’ che io trovi ognora Cibo, Conforto e Forza
e l’Acqua che purifica,
per render più salda e santa,
in Te che sei la Via, La Verità e la Vita,
per la sicura mano de la Virgo Purissima
che a Te, e da Te per me, Tu Amor, Madre facesti,
fermo e sicur restando
nel seno della tua Santa ed Amata Sposa,
la Fede che, nel Figlio, mi unisce e fa’ dono a Te!
+ Giovanni D’Ercole
Accogliere e non trasferire valutazioni
(Mt 4,12-17.23-25)
Il Regno è vicino se grazie al nostro coinvolgimento Dio viene sulla terra e la felicità bussa alla porta, convertendoci a qualcosa di profondamente nuovo: scelte di luce in vece del giudizio, del possesso, dell’esercizio del potere, dello sfoggio di gloria.
Il Vangelo di Mt è stato scritto per sostenere le comunità di Galilea e Siria, composte di giudei convertiti, i quali soffrivano le accuse d’aver tradito le promesse del Patto e accolto i pagani.
Scopo del testo è far emergere la figura di Gesù Messia [non più il figlio di Davide] che reca salvezza, dispiegata oltre i perimetri: non solo al popolo eletto e agli osservanti dei suoi cliché normativi.
Egli non esclude nessuno, e tutti devono sentirsi adeguati.
Già nella genealogia iniziale, Mt preannuncia l’ecclesiologia universale del nuovo Rabbi qual fonte di benedizione ampia, anche fuori d’Israele e le osservanze.
Realtà non ambiziosa, alternativa all’Impero o alla vita di culture ristrette - assolutamente non allestita né retta da noi.
La triste situazione dei tempi antichi (vv.14-16) è alle spalle.
Persino nel Discorso de «il Monte» - al quale Mt 4 prepara l’uditorio - l’evangelista sottolinea lo specifico della vocazione delle fraternità cristiane.
Loro tratto speciale: volgersi a tutta la terra, persino i nemici. Senza presunzione, senza preclusione alcuna.
In Cristo, non c’è più imperfezione, sbaglio o condizione malferma che possa tenerci distanti.
Ciascuno è indispensabile e prezioso. Tutti sono legittimati. Nessuno deve espiare.
In tal guisa, la Chiamata a non sentirsi emarginati, la Vocazione a non trascurarsi e non trascurare, viene ribadita in tutto il libro.
L’Araldo autentico e divino non alza il tono né il ritmo, non spezza la canna incrinata (Mt 12,2-3), supera le frontiere di purità e razza.
Tale la base della buona formazione degli intimi. Poi invia i discepoli a tutti i popoli - nello stile dell’aprirsi senza remore, e non fare gli schizzinosi.
L’idea compiuta di ciò che oggi chiameremmo «cultura dell’incontro» nasceva già nel confronto con la realtà interna della scuola del Battista.
Il figlio di Zaccaria ed Elisabetta pretendeva essere in grado di ben ‘preparare’ la Venuta del Regno. Viceversa, esso permaneva imprevedibile - non subito pieno di giudizi.
Invece, se il Regno dalle sfaccettature inattese è qui, non c’è che da viverlo appieno e con stupore.
Stimolo verso un’umanizzazione a tutto tondo - fondata sullo scambio di doni, la libertà creativa dell’amore, e uno spirito di larga comprensione.
È una Voce nuova: che ricompone l’intima energia di tutti, e dispiega la sua Guida superiore.
Appello radicale che in ogni donna e uomo indirizza e compie persino i disturbi - un mondo che ci appartiene, solo apparentemente inferiore.
E va oltre l’assoluto pio dei piani esclusivi o delle mortificazioni.
Una realtà che non trasferisce valutazioni al di là della persona - ma la sa attendere e non detta procedure, misure, cadenze altrui; elettive.
Nessun primo piano, neppure religiosamente “corretto”.
[Feria propria del 7 gennaio]
Accogliere e non trasferire valutazioni
(Mt 4,12-17.23-25)
Il Regno è vicino se grazie al nostro coinvolgimento Dio viene sulla terra e la felicità bussa alla porta, convertendoci a qualcosa di profondamente nuovo: scelte di luce in vece del giudizio, del possesso, dell’esercizio del potere, dello sfoggio di gloria.
Il Vangelo di Mt è stato scritto per sostenere le comunità di Galilea e Siria, composte di giudei convertiti, i quali soffrivano le accuse d’aver tradito le promesse del Patto e accolto i pagani.
Scopo del testo è far emergere la figura di Gesù Messia [non più il figlio di Davide] che reca salvezza, dispiegata oltre i perimetri: non solo al popolo eletto e agli osservanti dei suoi cliché normativi.
Egli non esclude nessuno, e tutti devono sentirsi adeguati.
Già nella genealogia iniziale, Mt preannuncia l’ecclesiologia universale del nuovo Rabbi qual fonte di benedizione ampia, anche fuori d’Israele e le osservanze.
Realtà non ambiziosa, alternativa all’Impero o alla vita di culture ristrette - assolutamente non allestita né retta da noi.
Per incoraggiare i suoi fedeli a non temere di essere esclusi, e riconoscersi nel Maestro, l’evangelista ribadisce appunto il criterio di redenzione senza confini.
Lo fa nel testo dei Magi e in quello in oggetto: una salvezza proposta come in viaggio, e senza troppo battagliare contro.
La triste situazione dei tempi antichi (vv.14-16) è alle spalle.
Persino nel Discorso de «il Monte» - al quale Mt 4 prepara l’uditorio - l’autore evangelista sottolinea lo specifico della vocazione delle fraternità cristiane.
Loro tratto speciale: volgersi a tutta la terra, persino i nemici. Senza presunzione, senza preclusione alcuna.
In Cristo, non c’è più imperfezione, sbaglio o condizione malferma che possa tenerci distanti.
Ciascuno è indispensabile e prezioso. Tutti sono legittimati. Nessuno deve espiare.
In tal guisa, la Chiamata a non sentirsi emarginati, la Vocazione a non trascurarsi e non trascurare, viene ribadita in modo diffuso in tutto il libro.
L’Araldo autentico e divino non alza il tono né il ritmo, non spezza la canna incrinata (Mt 12,2-3), supera le frontiere di purità e razza.
Tale la base della buona formazione degli intimi; nessun gap culturale, etnico, né di bagaglio religioso.
Il giovane Annunciatore poi invia i discepoli a tutti i popoli - nello stile dell’aprirsi senza remore, e non fare gli schizzinosi.
L’idea compiuta di ciò che oggi chiameremmo “cultura dell’incontro”, nasceva già nel confronto con la realtà interna della scuola del Battista.
Il figlio di Zaccaria ed Elisabetta pretendeva essere in grado di ben preparare la Venuta del Regno. Viceversa, esso permaneva imprevedibile.
Un ambiente - quello di Giovanni - in cui l’Annuncio non era unicamente positivo, né sempre pieno di vita e solo di gioia e accoglienza: spesso di giudizio e taglio netto.
Il Battezzatore non legittimava pienamente la spontaneità, i modi propri di ciascuno. Non spegneva i timori; né le paure di ogni anima perplessa, di poter essere “sbagliata”.
Invece, se il Regno dalle sfaccettature inattese è qui, non c’è che da viverlo appieno e con stupore.
Al seguito del Battista [e allievo, insieme ai suoi primi discepoli] il nuovo Maestro aveva colto in modo definitivo la differenza tra dinamiche ascetiche riduzioniste e il progetto di salvezza del Padre.
Stimolo verso un’umanizzazione a tutto tondo - fondata sullo scambio di doni, la libertà creativa dell’amore, e uno spirito di larga comprensione.
La missione luminosa e di carattere universale del Figlio di Dio non viene capita se non da pochissimi - tutta gente fragile e di poco conto - e tardava ad affermarsi.
È la condizione dei fedeli cui si rivolge Mt.
Gli amici del Signore non devono lasciarsi andare, se non riescono a convincere tutti, immediatamente.
Troppo difficile far credere ai religiosi veterani e alle loro realtà consolidate che nessuno ha l’esclusiva.
Anche i forti e sicuri di sé devono solo accettare la Vita che viene - figuriamoci deboli ed erranti.
Ma sino a quando lo stesso Precursore non viene imprigionato e messo a tacere, anche il Messia autentico vive quasi all’ombra dell’ultimo dei Profeti antichi (cf. Gv 3,22-23).
Poi si vede costretto a fuggire persino dal suo piccolo villaggio, tradizionalista e nazionalista (Mt 4,12-13.25).
Nessuno riusciva a credere ad un Regno senza grandi proclami e ardue condizioni.
Sembrava impossibile che l’Eterno potesse condividere la sua vita a maglie larghe; già fra noi, così ordinaria e niente di eccezionale.
Come fosse un Padre che trascende ma ci accosta tutti, senza previe condizioni di purità.
Sembrava improbabile passare dall’idea d’imminenza dell’impero di potenza annunciato, a una sua presenza quotidiana e non clamorosa.
A maggior ragione - tutto ciò, nella Persona del Messia servitore; non giustiziere, né capo, o vendicatore autosufficiente.
Vicinanza tanto dimessa, nulla di clamoroso, proprio al pari dei suoi amici, convertiti appunto dal giudaismo popolare e dal paganesimo.
Per animare le chiese in un momento critico, Mt fa emergere nella stessa vicenda del Signore il vissuto caratteristico e i medesimi picchi di discriminazione patiti dai poveri membri delle sue minuscole fraternità.
Al pari di Gesù, essi non dovevano lasciarsi prendere da spavento, condanne, grettezza d’idee separatiste e distintive, né dal sentirsi minoranza - o da timori per i rischi di persecuzione.
Infatti, i rinati da tale Spirito largo non dovevano soffocare più le loro tendenze, inclinazioni innate, percependo la mente e le capacità naturali come conflitto da aggiustare secondo modelli.
Non siamo chiamati a una piccola e stagnante delega, bensì a essere Luce e Presenza - in movimento - verso noi stessi e le moltitudini che riconosciamo dentro e fuori di noi (vv.23-25).
Anche con Fede silenziosa e non forsennata.
Il Carattere sapienziale innato trasmesso da Dio creatore a ciascuno può affiorare ovunque, nell’autenticità dell’Evangelo.
La Parola valica i sacri confini: in specie quando essa si fa eco non artificioso della nostra essenza, e richiamo dell’istinto bonario.
È una Voce nuova: che ricompone l’intima energia di tutti, e dispiega la sua Guida superiore.
Appello radicale che in ogni donna e uomo indirizza e compie persino i disturbi - un mondo che ci appartiene, solo apparentemente inferiore.
E va oltre l’assoluto pio dei piani esclusivi o delle mortificazioni.
Una realtà che non trasferisce valutazioni al di là della persona - ma la sa attendere e non detta procedure, misure, cadenze altrui; elettive.
Nessun primo piano, neppure religiosamente “corretto”.
Commentando il Tao Tê Ching (i) il maestro Ho-shang Kung afferma: «Mistero è il Cielo. Dice che tanto l’uomo che ha desideri quanto quello che non ne ha, ricevono parimenti il ch’ì dal Cielo».
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Come puoi evitare le chiusure culturali, dottrinali o di carisma (già tutto progettato-regolato), e vivere l’universalità della nuova umanizzazione?
Qual è il metro di valutazione con cui la tua realtà ecclesiale approccia i diversi?
Significato di “Vangeli”, e Guarigione integrale
Nella liturgia odierna l'evangelista Matteo presenta l'inizio della missione pubblica di Cristo. Essa consiste essenzialmente nella predicazione del Regno di Dio e nella guarigione dei malati, a dimostrare che questo Regno si è fatto vicino, anzi, è ormai venuto in mezzo a noi. Gesù comincia a predicare in Galilea, la regione in cui è cresciuto, territorio di "periferia" rispetto al centro della nazione ebraica, che è la Giudea, e in essa Gerusalemme. Ma il profeta Isaia aveva preannunciato che quella terra, assegnata alle tribù di Zabulon e di Neftali, avrebbe conosciuto un futuro glorioso: il popolo immerso nelle tenebre avrebbe visto una grande luce (cfr Is 8, 23-9, 1), la luce di Cristo e del suo Vangelo (cfr Mt 4, 12-16). Il termine "vangelo", ai tempi di Gesù, era usato dagli imperatori romani per i loro proclami. Indipendentemente dal contenuto, essi erano definiti "buone novelle", cioè annunci di salvezza, perché l'imperatore era considerato come il signore del mondo ed ogni suo editto come foriero di bene. Applicare questa parola alla predicazione di Gesù ebbe dunque un senso fortemente critico, come dire: Dio, non l'imperatore, è il Signore del mondo, e il vero Vangelo è quello di Gesù Cristo.
La "buona notizia" che Gesù proclama si riassume in queste parole: "Il regno di Dio - o regno dei cieli - è vicino" (Mt 4, 17; Mc 1, 15). Che significa questa espressione? Non indica certo un regno terreno delimitato nello spazio e nel tempo, ma annuncia che è Dio a regnare, che è Dio il Signore e la sua signoria è presente, attuale, si sta realizzando. La novità del messaggio di Cristo è dunque che Dio in Lui si è fatto vicino, regna ormai in mezzo a noi, come dimostrano i miracoli e le guarigioni che compie. Dio regna nel mondo mediante il suo Figlio fatto uomo e con la forza dello Spirito Santo, che viene chiamato "dito di Dio" (cfr Lc 11, 20). Dove arriva Gesù, lo Spirito creatore reca vita e gli uomini sono sanati dalle malattie del corpo e dello spirito. La signoria di Dio si manifesta allora nella guarigione integrale dell'uomo. Con ciò Gesù vuole rivelare il volto del vero Dio, il Dio vicino, pieno di misericordia per ogni essere umano; il Dio che ci fa dono della vita in abbondanza, della sua stessa vita. Il regno di Dio è pertanto la vita che si afferma sulla morte, la luce della verità che disperde le tenebre dell'ignoranza e della menzogna.
Preghiamo Maria Santissima, affinché ottenga sempre alla Chiesa la stessa passione per il Regno di Dio che animò la missione di Gesù Cristo: passione per Dio, per la sua signoria d'amore e di vita; passione per l'uomo, incontrato in verità col desiderio di donargli il tesoro più prezioso: l'amore di Dio, suo Creatore e Padre.
[Papa Benedetto, Angelus 27 gennaio 2008]
Cari fratelli e sorelle!
Nella liturgia odierna l'evangelista Matteo, che ci accompagnerà lungo tutto questo anno liturgico, presenta l'inizio della missione pubblica di Cristo. Essa consiste essenzialmente nella predicazione del Regno di Dio e nella guarigione dei malati, a dimostrare che questo Regno si è fatto vicino, anzi, è ormai venuto in mezzo a noi. Gesù comincia a predicare in Galilea, la regione in cui è cresciuto, territorio di "periferia" rispetto al centro della nazione ebraica, che è la Giudea, e in essa Gerusalemme. Ma il profeta Isaia aveva preannunciato che quella terra, assegnata alle tribù di Zabulon e di Neftali, avrebbe conosciuto un futuro glorioso: il popolo immerso nelle tenebre avrebbe visto una grande luce (cfr Is 8, 23-9, 1), la luce di Cristo e del suo Vangelo (cfr Mt 4, 12-16). Il termine "vangelo", ai tempi di Gesù, era usato dagli imperatori romani per i loro proclami. Indipendentemente dal contenuto, essi erano definiti "buone novelle", cioè annunci di salvezza, perché l'imperatore era considerato come il signore del mondo ed ogni suo editto come foriero di bene. Applicare questa parola alla predicazione di Gesù ebbe dunque un senso fortemente critico, come dire: Dio, non l'imperatore, è il Signore del mondo, e il vero Vangelo è quello di Gesù Cristo.
La "buona notizia" che Gesù proclama si riassume in queste parole: "Il regno di Dio - o regno dei cieli - è vicino" (Mt 4, 17; Mc 1, 15). Che significa questa espressione? Non indica certo un regno terreno delimitato nello spazio e nel tempo, ma annuncia che è Dio a regnare, che è Dio il Signore e la sua signoria è presente, attuale, si sta realizzando. La novità del messaggio di Cristo è dunque che Dio in Lui si è fatto vicino, regna ormai in mezzo a noi, come dimostrano i miracoli e le guarigioni che compie. Dio regna nel mondo mediante il suo Figlio fatto uomo e con la forza dello Spirito Santo, che viene chiamato "dito di Dio" (cfr Lc 11, 20). Dove arriva Gesù, lo Spirito creatore reca vita e gli uomini sono sanati dalle malattie del corpo e dello spirito. La signoria di Dio si manifesta allora nella guarigione integrale dell'uomo. Con ciò Gesù vuole rivelare il volto del vero Dio, il Dio vicino, pieno di misericordia per ogni essere umano; il Dio che ci fa dono della vita in abbondanza, della sua stessa vita. Il regno di Dio è pertanto la vita che si afferma sulla morte, la luce della verità che disperde le tenebre dell'ignoranza e della menzogna.
Preghiamo Maria Santissima, affinché ottenga sempre alla Chiesa la stessa passione per il Regno di Dio che animò la missione di Gesù Cristo: passione per Dio, per la sua signoria d'amore e di vita; passione per l'uomo, incontrato in verità col desiderio di donargli il tesoro più prezioso: l'amore di Dio, suo Creatore e Padre.
[Papa Benedetto, Angelus 27 gennaio 2008]
"Cooperare all’avvento del Regno di Dio nel mondo" (Mt 13,31-33)
1. In quest'anno del Grande Giubileo, tema di fondo delle nostre catechesi è la gloria della Trinità, quale ci è stata rivelata nella storia della Salvezza. Abbiamo riflettuto sull’Eucaristia, massima celebrazione di Cristo presente sotto gli umili segni del pane e del vino. Vogliamo ora dedicare alcune catechesi all’impegno che ci viene chiesto, perché la gloria della Trinità rifulga pienamente nel mondo.
E la nostra riflessione parte dal vangelo di Marco dove leggiamo: “Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,14-15). Sono queste le prime parole che Gesù pronunzia davanti alla folla: esse contengono il cuore del suo Vangelo di speranza e di salvezza, l’annuncio del Regno di Dio. Da quel momento in poi, come notano gli evangelisti, ‘Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del Regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo’ (Mt 4,23; cfr Lc 8,1). Sulla sua scia si pongono gli Apostoli e con loro Paolo, l’Apostolo delle genti, chiamato ad ‘annunziare il Regno di Dio’ in mezzo alle nazioni fino alla capitale dell’impero romano (cfr At 20, 25; 28, 23.31).
2. Con il Vangelo del Regno, Cristo si collega alle Scritture Sacre che, attraverso l’immagine regale, celebrano la signoria di Dio sul cosmo e sulla storia. Così leggiamo nel Salterio: ‘Dite tra i popoli: Il Signore regna! Sorregge il mondo, perché non vacilli; governa le nazioni’ (Sal 96,10). Il Regno è, quindi, l’azione efficace ma misteriosa che Dio svolge nell’universo e nel groviglio delle vicende umane. Egli vince le resistenze del male con pazienza, non con prepotenza e clamore.
Per questo il Regno è paragonato da Gesù al granello di senape, il più piccolo di tutti i semi, destinato però a diventare un albero frondoso (cfr Mt 13,31-32), o al seme che un uomo ha deposto nella terra: ‘dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa’ (Mc 4,27). Il Regno è grazia, amore di Dio per il mondo, sorgente per noi di serenità e di fiducia: ‘Non temere, piccolo gregge - dice Gesù - perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo Regno’ (Lc 12,32). Le paure, gli affanni, gli incubi si dissolvono, perché il Regno di Dio è in mezzo a noi nella persona di Cristo (cfr Lc 17,21).
3. Tuttavia l’uomo non è un inerte testimone dell’ingresso di Dio nella storia. Gesù ci invita a ‘cercare’ attivamente ‘il Regno di Dio e la sua giustizia’ e a fare di questa ricerca la nostra preoccupazione principale (Mt 6,33). A quelli che ‘credevano che il Regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro’ (Lc 10,11), egli prescrisse un atteggiamento attivo invece di una attesa passiva, raccontando loro la parabola delle dieci mine da far fruttare (cfr Lc 19,12-27). Dal canto suo, l’apostolo Paolo dichiara che ‘il Regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è - anzitutto – giustizia’ (Rm 14,17) ed invita pressantemente i fedeli a mettere le loro membra a servizio della giustizia in vista della santificazione (cfr Rm 6,13.19).
La persona umana è quindi chiamata a cooperare con le sue mani, la sua mente ed il suo cuore all’avvento del Regno di Dio nel mondo. Questo è vero specialmente di coloro che sono chiamati all’apostolato, e che sono, come dice Paolo, ‘cooperatori del Regno di Dio’ (Col 4,11), ma è anche vero di ogni persona umana.
4. Nel Regno entrano le persone che hanno scelto la via delle Beatitudini evangeliche, vivendo come ‘poveri di spirito’ nel distacco dai beni materiali, per sollevare gli ultimi della terra dalla polvere della loro umiliazione. ‘Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo - si domanda Giacomo nella sua Lettera - per farli ricchi con la fede ed eredi del Regno che ha promesso a quelli che lo amano?’ (Gc 2,5). Nel Regno entrano coloro che sopportano con amore le sofferenze della vita: ‘È, infatti, necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel Regno di Dio’ (At 14,22; cfr 2 Ts 1,4-5), dove Dio stesso ‘tergerà ogni lacrima (‘) e non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno’ (Ap 21,4). Nel Regno entrano i puri di cuore che scelgono la via della giustizia, cioè dell’adesione alla volontà di Dio, come ammonisce san Paolo: ‘Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il Regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il Regno di Dio’ (1 Cor 6,9-10; cfr 15,50; Ef 5,5).
5. Tutti i giusti della terra, anche quelli che ignorano Cristo e la sua Chiesa e che, sotto l'influsso della grazia, cercano Dio con cuore sincero (cfr Lumen gentium, 16), sono, dunque, chiamati a edificare il Regno di Dio, collaborando col Signore che ne è l’artefice primo e decisivo. Per questo dobbiamo affidarci alle sue mani, alla sua Parola, alla sua guida, come bambini inesperti che trovano solo nel Padre la sicurezza: ‘Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino - ha detto Gesù - non vi entrerà’ (Lc 18,17).
Con questo animo dobbiamo far nostra l’invocazione: ‘Venga il tuo Regno!’. Un’invocazione che nella storia dell’umanità è salita tante volte al cielo come un grande respiro di speranza: ‘Vegna vêr noi la pace del tuo regno’, esclama Dante nella sua parafrasi del Padre Nostro (Purgatorio XI,7). Un’invocazione che orienta lo sguardo al ritorno di Cristo e alimenta il desiderio della venuta finale del Regno di Dio. Questo desiderio però non distoglie la Chiesa dalla sua missione in questo mondo, anzi la impegna maggiormente (cfr CCC, 2818), nell’attesa di poter varcare la soglia del Regno, del quale la Chiesa è il germe e l'inizio (cfr Lumen gentium, 5), quando esso giungerà nel mondo in pienezza. Allora, ci assicura Pietro nella Seconda Lettera, "vi sarà ampiamente aperto l’ingresso nel Regno eterno del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo" (2 Pt 1,11).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 6 dicembre 2000]
«Gesù cominciò a predicare» (Mt 4,17). Così l’evangelista Matteo ha introdotto il ministero di Gesù. Egli, che è la Parola di Dio, è venuto per parlarci, con le sue parole e con la sua vita. In questa prima Domenica della Parola di Dio andiamo alle origini della sua predicazione, alle sorgenti della Parola di vita. Ci aiuta il Vangelo odierno (Mt 4,12-23), che ci dice come, dove e a chi Gesù incominciò a predicare.
1. Come iniziò? Con una frase molto semplice: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (v. 17). Questa è la base di tutti i suoi discorsi: dirci che il regno dei cieli è vicino. Che cosa significa? Per regno dei cieli si intende il regno di Dio, ovvero il suo modo di regnare, di porsi nei nostri confronti. Ora, Gesù ci dice che il regno dei cieli è vicino, che Dio è vicino. Ecco la novità, il primo messaggio: Dio non è lontano, Colui che abita i cieli è sceso in terra, si è fatto uomo. Ha tolto le barriere, ha azzerato le distanze. Non ce lo siamo meritato noi: Egli è disceso, ci è venuto incontro. E questa vicinanza di Dio al suo popolo è un’abitudine sua, dall’inizio, anche dall’Antico Testamento. Diceva Lui al popolo: “Pensa: quale popolo ha i suoi dei così vicini, come io sono vicino a te?” (cfr Dt 4,7). E questa vicinanza si è fatta carne in Gesù.
È un messaggio di gioia: Dio è venuto a visitarci di persona, facendosi uomo. Non ha preso la nostra condizione umana per senso di responsabilità, no, ma per amore. Per amore ha preso la nostra umanità, perché si prende quello che si ama. E Dio ha preso la nostra umanità perché ci ama e gratuitamente ci vuole dare quella salvezza che da soli non possiamo darci. Egli desidera stare con noi, donarci la bellezza di vivere, la pace del cuore, la gioia di essere perdonati e di sentirci amati.
Allora capiamo l’invito diretto di Gesù: “Convertitevi”, ovvero “cambiate vita”. Cambiate vita perché è iniziato un modo nuovo di vivere: è finito il tempo di vivere per sé stessi, è cominciato il tempo di vivere con Dio e per Dio, con gli altri e per gli altri, con amore e per amore. Gesù ripete oggi anche a te: “Coraggio, ti sono vicino, fammi posto e la tua vita cambierà!”. Gesù bussa alla porta. Per questo il Signore ti dona la sua Parola, perché tu l’accolga come la lettera d’amore che ha scritto per te, per farti sentire che Egli ti è accanto. La sua Parola ci consola e incoraggia. Allo stesso tempo provoca la conversione, ci scuote, ci libera dalla paralisi dell’egoismo. Perché la sua Parola ha questo potere: di cambiare la vita, di far passare dall’oscurità alla luce. Questa è la forza della sua Parola.
2. Se vediamo dove Gesù cominciò a predicare, scopriamo che iniziò proprio dalle regioni allora ritenute “oscure”. La prima Lettura e il Vangelo ci parlano infatti di coloro che stavano «in regione e ombra di morte»: sono gli abitanti della «terra di Zabulon e di Neftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti» (Mt 4,15-16; cfr Is 8,23-9,1). Galilea delle genti: la regione dove Gesù iniziò a predicare veniva chiamata così perché era abitata da genti diverse e risultava un vero e proprio miscuglio di popoli, lingue e culture. Vi era infatti la Via del mare, che rappresentava un crocevia. Lì vivevano pescatori, commercianti e stranieri: non era certo il luogo dove si trovava la purezza religiosa del popolo eletto. Eppure Gesù cominciò da lì: non dall’atrio del tempio di Gerusalemme, ma dalla parte opposta del Paese, dalla Galilea delle genti, da un luogo di confine. Cominciò da una periferia.
Possiamo cogliervi un messaggio: la Parola che salva non va in cerca di luoghi preservati, sterilizzati, sicuri. Viene nelle nostre complessità, nelle nostre oscurità. Oggi come allora Dio desidera visitare quei luoghi dove pensiamo che Egli non arrivi. Quante volte siamo invece noi a chiudere la porta, preferendo tener nascoste le nostre confusioni, le nostre opacità e doppiezze. Le sigilliamo dentro di noi, mentre andiamo dal Signore con qualche preghiera formale, stando attenti che la sua verità non ci scuota dentro. E questa è un’ipocrisia nascosta. Ma Gesù, dice oggi il Vangelo, «percorreva tutta la Galilea […] annunciando il vangelo e guarendo ogni sorta di infermità» (v. 23): attraversava tutta quella regione multiforme e complessa. Allo stesso modo non ha paura di esplorare i nostri cuori, i nostri luoghi più aspri e difficili. Egli sa che solo il suo perdono ci guarisce, solo la sua presenza ci trasforma, solo la sua Parola ci rinnova. A Lui che ha percorso la Via del mare, apriamo le nostre vie più tortuose – quelle che noi abbiamo dentro e che non vogliamo vedere o nascondiamo –, lasciamo entrare in noi la sua Parola, che è «viva, efficace, […] e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12).
3. Infine, a chi cominciò a parlare Gesù? Il Vangelo dice che «mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli […] che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: “Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini”» (Mt 4,18-19). I primi destinatari della chiamata furono dei pescatori: non persone accuratamente selezionate in base alle capacità o uomini pii che stavano nel tempio a pregare, ma gente comune che lavorava.
Notiamo quello che Gesù disse loro: vi farò pescatori di uomini. Parla a dei pescatori e usa un linguaggio loro comprensibile. Li attira a partire dalla loro vita: li chiama lì dove sono e come sono, per coinvolgerli nella sua stessa missione. «Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono» (v. 20). Perché subito? Semplicemente perché si sentirono attratti. Non furono veloci e pronti perché avevano ricevuto un ordine, ma perché erano stati attirati dall’amore. Per seguire Gesù non bastano i buoni impegni, occorre ascoltare ogni giorno la sua chiamata. Solo Lui, che ci conosce e ci ama fino in fondo, ci fa prendere il largo nel mare della vita. Come fece con quei discepoli che lo ascoltarono.
Perciò abbiamo bisogno della sua Parola: di ascoltare, in mezzo alle migliaia di parole di ogni giorno, quella sola Parola che non ci parla di cose, ma ci parla di vita.
Cari fratelli e sorelle, facciamo spazio dentro di noi alla Parola di Dio! Leggiamo quotidianamente qualche versetto della Bibbia. Cominciamo dal Vangelo: teniamolo aperto sul comodino di casa, portiamolo in tasca con noi o nella borsa, visualizziamolo sul cellulare, lasciamo che ogni giorno ci ispiri. Scopriremo che Dio ci è vicino, che illumina le nostre tenebre e che con amore conduce al largo la nostra vita.
[Papa Francesco, omelia 26 gennaio 2020]
Parto e Manifestazione
(Mt 2,1-12)
Mt scrive negli anni 80 per i fedeli di terza generazione. È un tempo in cui constata che nelle prime comunità i pagani sono entrati a frotte, mentre proprio coloro che da secoli attendevano la Luce cui sembravano tanto affezionati la stavano sdegnosamente rifiutando.
Il racconto dell’Epifania trae spunto da ciò che stava accadendo sotto gli occhi dei credenti alla fine del primo secolo.
Le persone che da sempre avevano l’abitudine di aspettare, ormai non attendevano né vedevano nulla. Si erano talmente assuefatte alle aspettative antiche che non immaginavano più di poter fare un Incontro reale con la Novità di Dio.
Ben differente l’impatto di coloro che onestamente stavano cercando la Stella: un approccio diverso, pur in equilibrio precario, che tuttavia consentiva proprio ai lontani in cammino di farsi le domande giuste.
Privi d’interessi da difendere, i nuovi cercatori di Dio erano ancora in marcia, si smuovevano da tutte le pastoie antiche e dalle loro stesse idee. Senza tregua percorrevano una lunga e nuova Via.
Non cercavano solo rassicurazioni quietiste. Capivano che il Tesoro di Dio è in un Cammino, per una meraviglia non mediocre; tutta d’Origine.
Pur rivolgendosi alle autorità religiose e agli esperti delle antiche Scritture (vv.1-2) gli autentici pellegrini continuavano a dirigersi avanti.
In tal guisa, sorvolando gli steccati abitudinari del rispetto dei ruoli, del risalto sociale, dell’interpretazione conformista.
Ma se il trono temeva per il potere, il tempio aveva paura di perdere l’esclusiva su Dio, quindi l’egemonia sulle coscienze.
[Nei Vangeli, troni e altari sono all’insegna della supremazia, della forza, della dote, dell’inganno: qui vv.3-4].
Tuttavia gli Esploratori non si sottomettono a cerimoniali di verticismo assodato, né all’influsso d’una finta uniformità.
Ricevendo così il Fulgore della Rivelazione del Natale: Dio non è un dominatore, bensì inerme. Tenero e Piccolo, tra indifesi.
Per tradizione, il popolo delle promesse messianiche si riteneva insignito d’una dignità regale, sacerdotale e sponsale.
Questi Doni [oro e incenso e mirra: v.11] vengono ora trasmessi a persone di qualsiasi estrazione culturale.
Papa Francesco accennerebbe forse a coloro che sono dotati d’un «fiuto senza cittadinanza» - tesoro remoto, «efficace», così prezioso per il cammino sinodale (e altrettanto trascurato) [Discorso 18 settembre 2021].
Insomma, i cercatori di Dio sono chiamati e tratti da una geografia e da una storia impensabili, perché restano gli unici ad avere il fegato d’intraprendere costantemente una strada differente: «altra Via» (v.12).
Perché la normalità dei sentieri dettati uccide la vita - annientando lo spirito d’avventura e sorpresa che briga nel tuffarsi dentro il presente.
E chi nasce di onda in onda produce sane opportunità.
Il Signore conosce a quali potenzialità di bene le creature perfino più imbarazzanti possono convertirsi, e le rincalza.
A un certo punto del nostro percorso - poi di volta in volta - comprenderemo che il disagio dell’esplorazione aveva la funzione di far venire alla luce il Bambino in noi, celato e malgiudicato.
Insomma, certi difetti “religiosi” ci rendono Unici, Speciali. Fanno venerare quel Frugolo presente, che ci è complice.
Fanno tornare a Casa, quella davvero nostra.
[Epifania del Signore, 6 Gennaio]
Parto e Manifestazione
Mt 2,1-12 (1-18)
Il racconto dell’Epifania trae spunto da ciò che stava accadendo sotto gli occhi dei credenti, alla fine primo secolo.
Mt scrive negli anni 80 per i fedeli di terza generazione.
È un tempo in cui anche nelle prime comunità si constata che i pagani erano entrati a frotte - mentre coloro che da secoli attendevano la Luce cui sembravano tanto affezionati la stavano sdegnosamente rifiutando.
Le persone certe di sé, tutte pie, scelte, sempre installate, che avevano l’abitudine di aspettare… ormai non attendevano più nulla.
Vedevano ogni accadimento uguale a prima; niente di nuovo.
Si erano talmente assuefatte alle speranze antiche o alle loro certezze, che non immaginavano più di poter fare un Incontro personale, reale, con la Novità di Dio.
Si rifugiavano nel loro piccolo mondo abitudinario, conosciuto e sicuro; senza rimedio - taluni anche per opportunismo di posizione.
Così evitando la seccatura di dover rielaborare un pensiero di fondo.
Erano gli esperti della pratica religiosa; come contraddire i calati nel ruolo, veterani giudaizzanti, primi della classe?
Non era la vita giovane, il tu per tu, né la realtà, che li coinvolgeva. Solo forse i rimpianti del passato glorioso; imperiale, addirittura.
Nessun terremoto doveva reclamare spazio, all’interno delle convinzioni e dell’immagine di popolo eletto.
Del resto, chi concepisce secondo ranghi comuni, non ha altro cui pensare che i suoi stessi cliché illusori - perdendo il contatto con gli eventi.
Infine annaspando nel tentativo di aggrapparsi ai consueti motivi, da sempre ripetuti; senza incisività presente, né traiettoria futura.
I reduci a capo delle stesse fraternità delle origini facevano difficoltà ad abbandonarsi alla nuova marea di persone e di spinte che veniva loro - cedendo agli stimoli con fiducia, godendo di nuovo respiro.
Mt nota che i già sicuri e titolati si sentivano legati a meriti “culturali” e religiosi che non ammettevano fratture, variazioni, altre idee di fondo.
In particolare, non avendo fiducia nella potenza della vita concreta, non si lasciavano salvare né sostenere dalla Provvidenza, che stava rinnovando la faccia della terra.
Piuttosto, le persone devote sembravano legate all’abitudine delle consuete impalcature esterne di culto, e maniere d’intendere e fare.
Così in questa pericope l’evangelista incoraggia i fratelli credenti delle sue comunità, a spostare lo sguardo, aprire la Visione.
Per una Fede che potesse sapere più, e cogliere-oltre quanto ristagnava nel mondo identitario meccanico della religiosità stabilita, ormai quasi inutile.
Ben differente l’impatto di coloro che onestamente cercavano la Salvezza, la Luce, la Stella; anche a partire dal senso intimo di vuoto, invece che dalle sicurezze.
Quello dell’opzione di Fede è anche per noi un approccio diverso, tutto in equilibrio precario, che tuttavia consente persino ai lontani di farsi le domande giuste.
Privi d’interessi da difendere, i viandanti dell’autentico Sacro abbandonano le loro concezioni. Si mettono in marcia, smossi da tutte le pastoie del costume (particolare, ereditato) o del pensiero à la page dominante.
Senza tregua i pellegrini dello Spirito divino percorrono indifesi la loro lunga Via; senza falsità.
Non cercano solo rassicurazioni quietiste; non si accontentano di ciò che hanno in tasca, né del facile consenso esterno.
Capiscono che il Tesoro di Dio è celato in un Cammino misterioso, che però fiancheggia e vale più del benessere o dell’approvazione.
Presenza [niente di clamoroso, ma] sulla quale ci si può paradossalmente appoggiare, per una meraviglia non mediocre; tutta d’Origine.
Pur rivolgendosi alle autorità religiose e agli esperti delle antiche Scritture (vv.1-2) i viandanti continuano a dirigersi avanti.
Essi sorvolano gli steccati abitudinari del rispetto dei ruoli, del risalto sociale, dell’interpretazione conformista.
Nel frattempo, se il trono teme per il potere, il tempio ha paura di perdere l’esclusiva su Dio, quindi l’egemonia sulle coscienze.
[Nei Vangeli, troni e altari sono all’insegna della supremazia, della forza, della dote, dell’inganno: qui vv.3-4].
Tuttavia gli Esploratori non si sottomettono a cerimoniali di verticismo assodato, né all’influsso d’una finta uniformità.
Ricevendo così il Fulgore della Rivelazione del Natale: Dio non è un dominatore, bensì inerme. Tenero e Piccolo, tra indifesi.
Per tradizione, il popolo delle promesse messianiche si riteneva insignito d’una dignità regale, sacerdotale e sponsale.
Questi Doni [oro e incenso e mirra: v.11] vengono ora trasmessi a persone di qualsiasi estrazione culturale.
Rincarando la dose, Mt mette in scena non solo dei lontanissimi pagani, ma il peggio che il target etico d’allora potesse immaginare: i maghi!
Persone ragguardevoli a quel tempo, se svolgevano attività di astrologi: una sorta di scrutatori del cielo e intellettuali dei luoghi sacri - quindi rappresentanti eminenti delle diverse culture.
Ma il termine greco «màgoi» - letteralmente: «maghi» - indicava anche ciarlatani, corruttori, persino i deviatori della spiritualità biblica.
Un’attività severamente condannata dalle Scritture, e nella Didaché messa all’indice fra le attività più degradanti: compresa fra il divieto di abortire e quello di rubare.
Dio accoglie e riconosce per primi non i potenti (o i religiosissimi) ubriachi e drogati dell’apparire; piuttosto, i distanti.
E fra loro, quelli proprio estranei a ogni etichetta o criterio usuale di discernimento.
Papa Francesco accennerebbe forse a coloro che sono dotati d’un «fiuto senza cittadinanza» - tesoro remoto, «efficace», così prezioso per il cammino sinodale (e altrettanto trascurato) [Discorso 18 settembre 2021].
Il Natale di Lc introduce i pastori, i cani della prateria che conducevano una vita impura e selvatica, come le bestie che accudivano.
In Mt troviamo i maghi: addirittura gli ingannatori!
Insomma, i cercatori di Dio sono chiamati e tratti da una geografia e da una storia impensabili, perché restano gli unici ad avere il fegato di intraprendere costantemente una strada differente: «altra Via» (v.12).
I testimoni critici non si fermano alle meline del terzo incomodo: vogliono il rischio d’amore diretto.
La normalità di zone comfort, di ragionamenti, procedure, sentieri dettati, uccide la vita - annientando lo spirito d’avventura e sorpresa che briga nel tuffarsi dentro il presente.
Le acque della nuova energia che si nutre di stupore vengono contaminate da luoghi comuni, dai soliti nidi che non evolvono e solo puntellano ruoli o posizioni - facendo impallidire lo stupore della ricerca vitale.
Ma allorché si sorvolano i giudizi banali, i conformismi, le gabbie mentali, i costumi locali, le fantasie glamour - la nostra Unicità ardisce partorire una Persona sconosciuta.
E chi nasce di onda in onda produce sane opportunità.
A un certo punto della nostra strada - poi di volta in volta - comprenderemo che il disagio dell’esplorazione aveva la funzione di far venire alla luce il Bambino in noi, celato e malgiudicato.
Il Signore conosce a quali potenzialità di bene proprio le creature più imbarazzanti possono convertirsi, e le rincalza.
Ma si può rischiare tutto non per abitudine: solo per Fede, ossia per Amicizia e Speranza fiduciose, in atto.
Insomma, certi difetti “religiosi” ci rendono Unici, Speciali. Fanno venerare quel Frugolo presente, che ci è complice.
Fanno tornare a Casa, quella davvero nostra.
Rivelazione, sostegno, nuova Via e nuovo Popolo
L’energia della tristezza
(Mt 2,13-18)
La crudeltà di Erode - un egocentrico esasperato - divenne proverbiale persino a Roma.
Nei suoi ultimi anni, assurdamente ripiegato in una inquieta adesione a se stesso, fece perire tre dei suoi figli ed emanò un decreto [non eseguito per sopravvenuta morte] col quale dispose che fossero eliminati i più influenti tra i giudei - sia per cancellare via via i (ritenuti) pretendenti al trono che i dissensi sul territorio.
Nel passo di Vangelo il re è icona della volontà di potenza che uccide coloro i quali richiamano lo spirito d’infanzia del Cristo: il Figlio di Dio poneva nella Missione del Padre il suo essere.
[Tale umiltà decentrata non ci salva solo nell’ordine della grazia, ma anche in quello dell’equilibrio umano].
Mt scrive il suo Vangelo per rispondere alla situazione che viveva la Chiesa in un momento assai critico.
Dopo l’anno 70, gli unici gruppi che sopravvissero alla distruzione del Giudaismo furono i cristiani messianici e i farisei - entrambi convinti che la lotta armata contro l’impero romano non avesse nulla a che fare con l'adempimento delle Promesse.
A distanza di non molti anni dal disastro di Gerusalemme, proprio la setta dei farisei ormai priva del luogo di culto - centro dell’identità nazionale - iniziò ad organizzarsi in modo da accentrare il governo delle sinagoghe.
Accusati di tradire la cultura particolare e le usanze, i giudaizzanti che riconoscevano Gesù Figlio di Dio furono infine cacciati dalle stesse sinagoghe.
L’opposizione crescente e poi l’esplicita separazione dal popolo del Patto resero acuto lo smarrimento dei fedeli e il problema della stessa identità delle prime assemblee di Fede; gruppi in evidente sofferenza.
Mt incoraggia a evitare defezioni, sostenendo coloro che avevano ricevuto la tagliente scomunica da parte dei leaders della religiosità popolare - sino allora ammirati per spiccata devozione, e tenuti in gran conto.
Per aiutare a superare il trauma, la Lieta Notizia rivolta ai convertiti di matrice giudaizzante si proponeva di rivelare Gesù come vero compimento delle Profezie e autentico Messia - nella figura del nuovo Mosè che attua le promesse di liberazione.
Come lui, perseguitato che ha dovuto incessantemente muoversi e fuggire (cf. Es 4,19).
Secondo una credenza generalizzata nel giudaismo, il tempo dell’Unto del Signore avrebbe riattualizzato il tempo di Mosè.
Ma l’antico condottiero de «il Monte» aveva imposto una relazione tra Dio e il popolo fondata sul banale obbedire a una Legge.
Il Figlio genuino e trasparente, invece, propone ora ai fratelli di Fede un rapporto creativo di beatitudine e comunione basato sulla Somiglianza.
Relazione chiamata a superare l’antica giustizia dei farisei (Mt 5,20).
Nessuna paura dunque - anche per noi - delle vessazioni, che vanno semplicemente messe in conto.
Anzi, colte quali occasioni di testimonianza d’amore e coinvolgimento forte, nella vicenda stessa del Maestro - reinterpretata in prima persona.
Ecco indicato anche un nuovo Cammino di ricerca della Luce o Stella che guida i nostri passi.
Tutto come i Magi - stranieri, eppure autentici adoratori del Signore.
Essi seppero evitare la vigilanza del sovrano - così ritrovarono la propria Dimora, deviando dalla strada già prevista.
Al pari dell’Inviato di Dio per eccellenza che ha sperimentato la medesima sorte del suo popolo, le chiese di ogni tempo possono vivere in Lui un’identica vicenda di Esodo.
Un cammino inedito, fucina di esplorazioni e cambio di mentalità; di consolazione e più vive speranze - con inesorabili contrapposizioni.
Cristo è il Messia nascosto e perseguitato, fondatore di un Popolo nuovo, dimesso e fraterno. Germe di una società alternativa a quella spietata sul campo.
Coronamento delle speranze di tutti gli uomini.
Il diniego della stessa Via del Signore proietta un’atmosfera oscura: diventa conservazione del belluino.
Rifiuto dell’umanizzazione… la cui terapia sta nella fiducia dei «piccoli», nell’audacia giovane e “infantile” che non conosce l’impossibile.
I bimbi innocenti di quello sterminio sono figura dei figli di Dio di ogni secolo, quali “coetanei” di Gesù, in grado di riattualizzarne il tempo spontaneo - contrario alla violenza e alla morte.
Essi sono i perseguitati e fatti fuori a causa della paradossale forza sovversiva della loro tenera Fede di minuscoli e schietti che si lasciano salvare, e non badano a ruoli.
Il contrario dei servili e adulatori, divorati dal calcolo; sempre pronti alla deferenza nei confronti dei feroci detentori del potere. Intimiditi dalla possibilità che una forma di vita morbida e gracile possa destabilizzarne le posizioni.
Ma in caso di gravi angherie, persino l’energia della tristezza che attraversa gli eventi dolorosi (vv.17-18) farà riscoprire quel che conta davvero.
Ciò consentirà di rinascere (nel pianto, nel buio) separando anche noi da quel genere di personaggi.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Nella realizzazione di te stesso in Cristo, come hai teneramente abbattuto la prigione del pensiero comune, del potere e dei suoi timori?
Mettiamoci in cammino,
per cambiare idea, per ritrovare noi stessi
Cari giovani!
Nel nostro pellegrinaggio con i misteriosi Magi dell'Oriente siamo giunti a quel momento che san Matteo nel suo Vangelo ci descrive così: "Entrati nella casa (sulla quale la stella si era fermata), videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono" (Mt 2, 11). Il cammino esteriore di quegli uomini era finito. Erano giunti alla meta. Ma a questo punto per loro comincia un nuovo cammino, un pellegrinaggio interiore che cambia tutta la loro vita. Poiché sicuramente avevano immaginato questo Re neonato in modo diverso. Si erano appunto fermati a Gerusalemme per raccogliere presso il Re locale notizie sul promesso Re che era nato. Sapevano che il mondo era in disordine, e per questo il loro cuore era inquieto. Erano certi che Dio esisteva e che era un Dio giusto e benigno. E forse avevano anche sentito parlare delle grandi profezie in cui i profeti d'Israele annunciavano un Re che sarebbe stato in intima armonia con Dio, e che a nome e per conto di Lui avrebbe ristabilito il mondo nel suo ordine. Per cercare questo Re si erano messi in cammino: dal profondo del loro intimo erano alla ricerca del diritto, della giustizia che doveva venire da Dio, e volevano servire quel Re, prostrarsi ai suoi piedi e così servire essi stessi al rinnovamento del mondo. Appartenevano a quel genere di persone "che hanno fame e sete della giustizia" (Mt 5, 6). Questa fame e questa sete avevano seguito nel loro pellegrinaggio - si erano fatti pellegrini in cerca della giustizia che aspettavano da Dio, per potersi mettere al servizio di essa.
Anche se gli altri uomini, quelli rimasti a casa, li ritenevano forse utopisti e sognatori - essi invece erano persone con i piedi sulla terra, e sapevano che per cambiare il mondo bisogna disporre del potere. Per questo non potevano cercare il bambino della promessa se non nel palazzo del Re. Ora però s'inchinano davanti a un bimbo di povera gente, e ben presto vengono a sapere che Erode - quel Re dal quale si erano recati - con il suo potere intendeva insidiarlo, così che alla famiglia non sarebbe restata che la fuga e l'esilio. Il nuovo Re, davanti al quale si erano prostrati in adorazione, si differenziava molto dalla loro attesa. Così dovevano imparare che Dio è diverso da come noi di solito lo immaginiamo. Qui cominciò il loro cammino interiore. Cominciò nello stesso momento in cui si prostrarono davanti a questo bambino e lo riconobbero come il Re promesso. Ma questi gesti gioiosi essi dovevano ancora raggiungerli interiormente.
Dovevano cambiare la loro idea sul potere, su Dio e sull'uomo e, facendo questo, dovevano anche cambiare se stessi. Ora vedevano: il potere di Dio è diverso dal potere dei potenti del mondo. Il modo di agire di Dio è diverso da come noi lo immaginiamo e da come vorremmo imporlo anche a Lui. Dio in questo mondo non entra in concorrenza con le forme terrene del potere. Non contrappone le sue divisioni ad altre divisioni. A Gesù, nell'Orto degli ulivi, Dio non manda dodici legioni di angeli per aiutarlo (cfr Mt 26, 53). Egli contrappone al potere rumoroso e prepotente di questo mondo il potere inerme dell'amore, che sulla Croce - e poi sempre di nuovo nel corso della storia - soccombe, e tuttavia costituisce la cosa nuova, divina che poi si oppone all'ingiustizia e instaura il Regno di Dio. Dio è diverso - è questo che ora riconoscono. E ciò significa che ora essi stessi devono diventare diversi, devono imparare lo stile di Dio.
Erano venuti per mettersi a servizio di questo Re, per modellare la loro regalità sulla sua. Era questo il significato del loro gesto di ossequio, della loro adorazione. Di essa facevano parte anche i regali - oro, incenso e mirra - doni che si offrivano a un Re ritenuto divino. L'adorazione ha un contenuto e comporta anche un dono. Volendo con il gesto dell'adorazione riconoscere questo bambino come il loro Re al cui servizio intendevano mettere il proprio potere e le proprie possibilità, gli uomini provenienti dall'Oriente seguivano senz'altro la traccia giusta. Servendo e seguendo Lui, volevano insieme con Lui servire la causa della giustizia e del bene nel mondo. E in questo avevano ragione. Ora però imparano che ciò non può essere realizzato semplicemente per mezzo di comandi e dall'alto di un trono. Ora imparano che devono donare se stessi - un dono minore di questo non basta per questo Re. Ora imparano che la loro vita deve conformarsi a questo modo divino di esercitare il potere, a questo modo d'essere di Dio stesso. Devono diventare uomini della verità, del diritto, della bontà, del perdono, della misericordia. Non domanderanno più: Questo a che cosa mi serve? Dovranno invece domandare: Con che cosa servo io la presenza di Dio nel mondo? Devono imparare a perdere se stessi e proprio così a trovare se stessi. Andando via da Gerusalemme, devono rimanere sulle orme del vero Re, al seguito di Gesù.
Cari amici, ci domandiamo che cosa tutto questo significhi per noi. Poiché quello che abbiamo appena detto sulla natura diversa di Dio, che deve orientare la nostra vita, suona bello, ma resta piuttosto sfumato e vago. Per questo Dio ci ha donato degli esempi. I Magi provenienti dall'Oriente sono soltanto i primi di una lunga processione di uomini e donne che nella loro vita hanno costantemente cercato con lo sguardo la stella di Dio, che hanno cercato quel Dio che a noi, esseri umani, è vicino e ci indica la strada. È la grande schiera dei santi - noti o sconosciuti - mediante i quali il Signore, lungo la storia, ha aperto davanti a noi il Vangelo e ne ha sfogliato le pagine; questo, Egli sta facendo tuttora. Nelle loro vite, come in un grande libro illustrato, si svela la ricchezza del Vangelo. Essi sono la scia luminosa di Dio che Egli stesso lungo la storia ha tracciato e traccia ancora. Il mio venerato predecessore Papa Giovanni Paolo II, che è con noi in questo momento, ha beatificato e canonizzato una grande schiera di persone di epoche lontane e vicine. In queste figure ha voluto dimostrarci come si fa ad essere cristiani; come si fa a svolgere la propria vita in modo giusto - a vivere secondo il modo di Dio. I beati e i santi sono stati persone che non hanno cercato ostinatamente la propria felicità, ma semplicemente hanno voluto donarsi, perché sono state raggiunte dalla luce di Cristo. Essi ci indicano così la strada per diventare felici, ci mostrano come si riesce ad essere persone veramente umane. Nelle vicende della storia sono stati essi i veri riformatori che tante volte l'hanno risollevata dalle valli oscure nelle quali è sempre nuovamente in pericolo di sprofondare; essi l'hanno sempre nuovamente illuminata quanto era necessario per dare la possibilità di accettare - magari nel dolore - la parola pronunciata da Dio al termine dell'opera della creazione: "È cosa buona". Basta pensare a figure come San Benedetto, San Francesco d'Assisi, Santa Teresa d'Avila, Sant'Ignazio di Loyola, San Carlo Borromeo, ai fondatori degli Ordini religiosi dell'Ottocento che hanno animato e orientato il movimento sociale, o ai santi del nostro tempo - Massimiliano Kolbe, Edith Stein, Madre Teresa, Padre Pio. Contemplando queste figure impariamo che cosa significa "adorare", e che cosa vuol dire vivere secondo la misura del bambino di Betlemme, secondo la misura di Gesù Cristo e di Dio stesso.
I santi, abbiamo detto, sono i veri riformatori. Ora vorrei esprimerlo in modo ancora più radicale: Solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo. Nel secolo appena passato abbiamo vissuto le rivoluzioni, il cui programma comune era di non attendere più l'intervento di Dio, ma di prendere totalmente nelle proprie mani il destino del mondo. E abbiamo visto che, con ciò, sempre un punto di vista umano e parziale veniva preso come misura assoluta d'orientamento. L'assolutizzazione di ciò che non è assoluto ma relativo si chiama totalitarismo. Non libera l'uomo, ma gli toglie la sua dignità e lo schiavizza. Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero. La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l'amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l'amore?
Cari amici! Permettetemi di aggiungere soltanto due brevi pensieri. Sono molti coloro che parlano di Dio; nel nome di Dio si predica anche l'odio e si esercita la violenza. Perciò è importante scoprire il vero volto di Dio. I Magi dell'Oriente l'hanno trovato, quando si sono prostrati davanti al bambino di Betlemme. "Chi ha visto me ha visto il Padre", diceva Gesù a Filippo (Gv 14, 9). In Gesù Cristo, che per noi ha permesso che si trafiggesse il suo cuore, in Lui è comparso il vero volto di Dio. Lo seguiremo insieme con la grande schiera di coloro che ci hanno preceduto. Allora cammineremo sulla via giusta.
Questo significa che non ci costruiamo un Dio privato, non ci costruiamo un Gesù privato, ma che crediamo e ci prostriamo davanti a quel Gesù che ci viene mostrato dalle Sacre Scritture e che nella grande processione dei fedeli chiamata Chiesa si rivela vivente, sempre con noi e al tempo stesso sempre davanti a noi. Si può criticare molto la Chiesa. Noi lo sappiamo, e il Signore stesso ce l'ha detto: essa è una rete con dei pesci buoni e dei pesci cattivi, un campo con il grano e la zizzania. Papa Giovanni Paolo II, che nei tanti beati e santi ci ha mostrato il volto vero della Chiesa, ha anche chiesto perdono per ciò che nel corso della storia, a motivo dell'agire e del parlare di uomini di Chiesa, è avvenuto di male. In tal modo fa vedere anche a noi la nostra vera immagine e ci esorta ad entrare con tutti i nostri difetti e debolezze nella processione dei santi, che con i Magi dell'Oriente ha preso il suo inizio. In fondo, è consolante il fatto che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori. La Chiesa è come una famiglia umana, ma è anche allo stesso tempo la grande famiglia di Dio, mediante la quale Egli forma uno spazio di comunione e di unità attraverso tutti i continenti, le culture e le nazioni. Perciò siamo lieti di appartenere a questa grande famiglia che vediamo qui; siamo lieti di avere fratelli e amici in tutto il mondo. Lo sperimentiamo proprio qui a Colonia quanto sia bello appartenere ad una famiglia vasta come il mondo, che comprende il cielo e la terra, il passato, il presente e il futuro e tutte le parti della terra. In questa grande comitiva di pellegrini camminiamo insieme con Cristo, camminiamo con la stella che illumina la storia.
"Entrati nella casa, videro il bambino e Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono" (Mt 2, 11). Cari amici, questa non è una storia lontana, avvenuta tanto tempo fa. Questa è presenza. Qui nell'Ostia sacra Egli è davanti a noi e in mezzo a noi. Come allora, si vela misteriosamente in un santo silenzio e, come allora, proprio così svela il vero volto di Dio. Egli per noi si è fatto chicco di grano che cade in terra e muore e porta frutto fino alla fine del mondo (cfr Gv 12, 24). Egli è presente come allora in Betlemme. Ci invita a quel pellegrinaggio interiore che si chiama adorazione. Mettiamoci ora in cammino per questo pellegrinaggio e chiediamo a Lui di guidarci. Amen.
[Papa Benedetto, veglia GMG Colonia 20 agosto 2005]
Cari giovani!
Nel nostro pellegrinaggio con i misteriosi Magi dell'Oriente siamo giunti a quel momento che san Matteo nel suo Vangelo ci descrive così: "Entrati nella casa (sulla quale la stella si era fermata), videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono" (Mt 2, 11). Il cammino esteriore di quegli uomini era finito. Erano giunti alla meta. Ma a questo punto per loro comincia un nuovo cammino, un pellegrinaggio interiore che cambia tutta la loro vita. Poiché sicuramente avevano immaginato questo Re neonato in modo diverso. Si erano appunto fermati a Gerusalemme per raccogliere presso il Re locale notizie sul promesso Re che era nato. Sapevano che il mondo era in disordine, e per questo il loro cuore era inquieto. Erano certi che Dio esisteva e che era un Dio giusto e benigno. E forse avevano anche sentito parlare delle grandi profezie in cui i profeti d'Israele annunciavano un Re che sarebbe stato in intima armonia con Dio, e che a nome e per conto di Lui avrebbe ristabilito il mondo nel suo ordine. Per cercare questo Re si erano messi in cammino: dal profondo del loro intimo erano alla ricerca del diritto, della giustizia che doveva venire da Dio, e volevano servire quel Re, prostrarsi ai suoi piedi e così servire essi stessi al rinnovamento del mondo. Appartenevano a quel genere di persone "che hanno fame e sete della giustizia" (Mt 5, 6). Questa fame e questa sete avevano seguito nel loro pellegrinaggio - si erano fatti pellegrini in cerca della giustizia che aspettavano da Dio, per potersi mettere al servizio di essa.
Anche se gli altri uomini, quelli rimasti a casa, li ritenevano forse utopisti e sognatori - essi invece erano persone con i piedi sulla terra, e sapevano che per cambiare il mondo bisogna disporre del potere. Per questo non potevano cercare il bambino della promessa se non nel palazzo del Re. Ora però s'inchinano davanti a un bimbo di povera gente, e ben presto vengono a sapere che Erode - quel Re dal quale si erano recati - con il suo potere intendeva insidiarlo, così che alla famiglia non sarebbe restata che la fuga e l'esilio. Il nuovo Re, davanti al quale si erano prostrati in adorazione, si differenziava molto dalla loro attesa. Così dovevano imparare che Dio è diverso da come noi di solito lo immaginiamo. Qui cominciò il loro cammino interiore. Cominciò nello stesso momento in cui si prostrarono davanti a questo bambino e lo riconobbero come il Re promesso. Ma questi gesti gioiosi essi dovevano ancora raggiungerli interiormente.
Dovevano cambiare la loro idea sul potere, su Dio e sull'uomo e, facendo questo, dovevano anche cambiare se stessi. Ora vedevano: il potere di Dio è diverso dal potere dei potenti del mondo. Il modo di agire di Dio è diverso da come noi lo immaginiamo e da come vorremmo imporlo anche a Lui. Dio in questo mondo non entra in concorrenza con le forme terrene del potere. Non contrappone le sue divisioni ad altre divisioni. A Gesù, nell'Orto degli ulivi, Dio non manda dodici legioni di angeli per aiutarlo (cfr Mt 26, 53). Egli contrappone al potere rumoroso e prepotente di questo mondo il potere inerme dell'amore, che sulla Croce - e poi sempre di nuovo nel corso della storia - soccombe, e tuttavia costituisce la cosa nuova, divina che poi si oppone all'ingiustizia e instaura il Regno di Dio. Dio è diverso - è questo che ora riconoscono. E ciò significa che ora essi stessi devono diventare diversi, devono imparare lo stile di Dio.
Erano venuti per mettersi a servizio di questo Re, per modellare la loro regalità sulla sua. Era questo il significato del loro gesto di ossequio, della loro adorazione. Di essa facevano parte anche i regali - oro, incenso e mirra - doni che si offrivano a un Re ritenuto divino. L'adorazione ha un contenuto e comporta anche un dono. Volendo con il gesto dell'adorazione riconoscere questo bambino come il loro Re al cui servizio intendevano mettere il proprio potere e le proprie possibilità, gli uomini provenienti dall'Oriente seguivano senz'altro la traccia giusta. Servendo e seguendo Lui, volevano insieme con Lui servire la causa della giustizia e del bene nel mondo. E in questo avevano ragione. Ora però imparano che ciò non può essere realizzato semplicemente per mezzo di comandi e dall'alto di un trono. Ora imparano che devono donare se stessi - un dono minore di questo non basta per questo Re. Ora imparano che la loro vita deve conformarsi a questo modo divino di esercitare il potere, a questo modo d'essere di Dio stesso. Devono diventare uomini della verità, del diritto, della bontà, del perdono, della misericordia. Non domanderanno più: Questo a che cosa mi serve? Dovranno invece domandare: Con che cosa servo io la presenza di Dio nel mondo? Devono imparare a perdere se stessi e proprio così a trovare se stessi. Andando via da Gerusalemme, devono rimanere sulle orme del vero Re, al seguito di Gesù.
Cari amici, ci domandiamo che cosa tutto questo significhi per noi. Poiché quello che abbiamo appena detto sulla natura diversa di Dio, che deve orientare la nostra vita, suona bello, ma resta piuttosto sfumato e vago. Per questo Dio ci ha donato degli esempi. I Magi provenienti dall'Oriente sono soltanto i primi di una lunga processione di uomini e donne che nella loro vita hanno costantemente cercato con lo sguardo la stella di Dio, che hanno cercato quel Dio che a noi, esseri umani, è vicino e ci indica la strada. È la grande schiera dei santi - noti o sconosciuti - mediante i quali il Signore, lungo la storia, ha aperto davanti a noi il Vangelo e ne ha sfogliato le pagine; questo, Egli sta facendo tuttora. Nelle loro vite, come in un grande libro illustrato, si svela la ricchezza del Vangelo. Essi sono la scia luminosa di Dio che Egli stesso lungo la storia ha tracciato e traccia ancora. Il mio venerato predecessore Papa Giovanni Paolo II, che è con noi in questo momento, ha beatificato e canonizzato una grande schiera di persone di epoche lontane e vicine. In queste figure ha voluto dimostrarci come si fa ad essere cristiani; come si fa a svolgere la propria vita in modo giusto - a vivere secondo il modo di Dio. I beati e i santi sono stati persone che non hanno cercato ostinatamente la propria felicità, ma semplicemente hanno voluto donarsi, perché sono state raggiunte dalla luce di Cristo. Essi ci indicano così la strada per diventare felici, ci mostrano come si riesce ad essere persone veramente umane. Nelle vicende della storia sono stati essi i veri riformatori che tante volte l'hanno risollevata dalle valli oscure nelle quali è sempre nuovamente in pericolo di sprofondare; essi l'hanno sempre nuovamente illuminata quanto era necessario per dare la possibilità di accettare - magari nel dolore - la parola pronunciata da Dio al termine dell'opera della creazione: "È cosa buona". Basta pensare a figure come San Benedetto, San Francesco d'Assisi, Santa Teresa d'Avila, Sant'Ignazio di Loyola, San Carlo Borromeo, ai fondatori degli Ordini religiosi dell'Ottocento che hanno animato e orientato il movimento sociale, o ai santi del nostro tempo - Massimiliano Kolbe, Edith Stein, Madre Teresa, Padre Pio. Contemplando queste figure impariamo che cosa significa "adorare", e che cosa vuol dire vivere secondo la misura del bambino di Betlemme, secondo la misura di Gesù Cristo e di Dio stesso.
I santi, abbiamo detto, sono i veri riformatori. Ora vorrei esprimerlo in modo ancora più radicale: Solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo. Nel secolo appena passato abbiamo vissuto le rivoluzioni, il cui programma comune era di non attendere più l'intervento di Dio, ma di prendere totalmente nelle proprie mani il destino del mondo. E abbiamo visto che, con ciò, sempre un punto di vista umano e parziale veniva preso come misura assoluta d'orientamento. L'assolutizzazione di ciò che non è assoluto ma relativo si chiama totalitarismo. Non libera l'uomo, ma gli toglie la sua dignità e lo schiavizza. Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero. La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l'amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l'amore?
Cari amici! Permettetemi di aggiungere soltanto due brevi pensieri. Sono molti coloro che parlano di Dio; nel nome di Dio si predica anche l'odio e si esercita la violenza. Perciò è importante scoprire il vero volto di Dio. I Magi dell'Oriente l'hanno trovato, quando si sono prostrati davanti al bambino di Betlemme. "Chi ha visto me ha visto il Padre", diceva Gesù a Filippo (Gv 14, 9). In Gesù Cristo, che per noi ha permesso che si trafiggesse il suo cuore, in Lui è comparso il vero volto di Dio. Lo seguiremo insieme con la grande schiera di coloro che ci hanno preceduto. Allora cammineremo sulla via giusta.
Questo significa che non ci costruiamo un Dio privato, non ci costruiamo un Gesù privato, ma che crediamo e ci prostriamo davanti a quel Gesù che ci viene mostrato dalle Sacre Scritture e che nella grande processione dei fedeli chiamata Chiesa si rivela vivente, sempre con noi e al tempo stesso sempre davanti a noi. Si può criticare molto la Chiesa. Noi lo sappiamo, e il Signore stesso ce l'ha detto: essa è una rete con dei pesci buoni e dei pesci cattivi, un campo con il grano e la zizzania. Papa Giovanni Paolo II, che nei tanti beati e santi ci ha mostrato il volto vero della Chiesa, ha anche chiesto perdono per ciò che nel corso della storia, a motivo dell'agire e del parlare di uomini di Chiesa, è avvenuto di male. In tal modo fa vedere anche a noi la nostra vera immagine e ci esorta ad entrare con tutti i nostri difetti e debolezze nella processione dei santi, che con i Magi dell'Oriente ha preso il suo inizio. In fondo, è consolante il fatto che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori. La Chiesa è come una famiglia umana, ma è anche allo stesso tempo la grande famiglia di Dio, mediante la quale Egli forma uno spazio di comunione e di unità attraverso tutti i continenti, le culture e le nazioni. Perciò siamo lieti di appartenere a questa grande famiglia che vediamo qui; siamo lieti di avere fratelli e amici in tutto il mondo. Lo sperimentiamo proprio qui a Colonia quanto sia bello appartenere ad una famiglia vasta come il mondo, che comprende il cielo e la terra, il passato, il presente e il futuro e tutte le parti della terra. In questa grande comitiva di pellegrini camminiamo insieme con Cristo, camminiamo con la stella che illumina la storia.
"Entrati nella casa, videro il bambino e Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono" (Mt 2, 11). Cari amici, questa non è una storia lontana, avvenuta tanto tempo fa. Questa è presenza. Qui nell'Ostia sacra Egli è davanti a noi e in mezzo a noi. Come allora, si vela misteriosamente in un santo silenzio e, come allora, proprio così svela il vero volto di Dio. Egli per noi si è fatto chicco di grano che cade in terra e muore e porta frutto fino alla fine del mondo (cfr Gv 12, 24). Egli è presente come allora in Betlemme. Ci invita a quel pellegrinaggio interiore che si chiama adorazione. Mettiamoci ora in cammino per questo pellegrinaggio e chiediamo a Lui di guidarci. Amen.
[Papa Benedetto, veglia Giornata Mondiale della Gioventù Colonia 20 agosto 2005]
1. "Alzati, [Gerusalemme], rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te" (Is 60,1).
Il profeta Isaia volge lo sguardo verso il futuro. Non è tanto il futuro profano, quello che egli contempla. Illuminato dallo Spirito, egli spinge il suo sguardo verso la pienezza dei tempi, verso il compiersi del disegno di Dio nel tempo messianico.
L'oracolo che il profeta pronuncia riguarda la Città santa, che egli vede splendente di luce: "Ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te" (Is 60,2). Proprio questo è avvenuto con l'incarnazione del Verbo di Dio. Con lui "è venuta nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (Gv 1,9). Ormai il destino di ciascuno si decide in base all'accettazione o al rifiuto di questa luce: in essa, infatti, risiede la vita degli uomini (cfr Gv 1,4).
2. La luce apparsa nel Natale allarga oggi l'ampiezza del suo raggio: è la luce dell'epifania di Dio. Ormai non sono più solo i pastori di Betlemme a vederla e a seguirla; sono anche i Magi, che, partiti dall'Oriente, sono giunti a Gerusalemme per adorare il Re che è nato (cfr Mt 2,1-2). Con i Magi sono le nazioni, che iniziano il loro cammino verso la Luce divina.
Oggi la Chiesa celebra questa Epifania salvifica, ascoltandone la descrizione contenuta nel Vangelo di Matteo. Il celebre racconto dei Magi, venuti dall'Oriente in cerca di Colui che doveva nascere, ha ispirato da sempre anche la pietà popolare, diventando un elemento tradizionale del presepe.
L'Epifania è un evento e, al tempo stesso, un simbolo. L'evento è descritto in maniera dettagliata dall'Evangelista. Il significato simbolico è stato invece scoperto gradualmente, man mano che l'avvenimento diventava oggetto di meditazione e di celebrazione liturgica da parte della Chiesa […]
5. L'odierna Liturgia ci esorta alla gioia. Ce n'è motivo: la luce, che brillò con la stella di Natale per condurre fino a Betlemme i Magi d'Oriente, continua a orientare sullo stesso cammino i popoli e le nazioni del mondo intero.
Rendiamo grazie per gli uomini e le donne che hanno percorso questo cammino di fede lungo i passati duemila anni. Lodiamo Cristo, Lumen gentium, che li ha guidati e continua a guidare i Popoli in cammino nella storia!
A Lui, Signore del tempo, Dio da Dio, Luce da Luce, rivolgiamo fiduciosi la nostra supplica. Non cessi la sua stella, la stella dell'Epifania, di brillare nei nostri cuori, indicando nel terzo millennio agli uomini ed ai popoli la via della verità, dell'amore e della pace. Amen.
[Papa Giovanni Paolo II, omelia per l’ordinazione dei vescovi 6 gennaio 2000]
Yet Jesus started from there: not from the forecourt of the temple of Jerusalem, but from the opposite side of the country, from Galilee of the nations, from the border region. He started from a periphery. Here there is a message for us: the word of salvation does not go looking for untouched, clean and safe places. Instead, it enters the complex and obscure places in our lives. Now, as then, God wants to visit the very places we think he will never go (Pope Francis)
Eppure Gesù cominciò da lì: non dall’atrio del tempio di Gerusalemme, ma dalla parte opposta del Paese, dalla Galilea delle genti, da un luogo di confine. Cominciò da una periferia. Possiamo cogliervi un messaggio: la Parola che salva non va in cerca di luoghi preservati, sterilizzati, sicuri. Viene nelle nostre complessità, nelle nostre oscurità. Oggi come allora Dio desidera visitare quei luoghi dove pensiamo che Egli non arrivi (Papa Francesco)
“Lumen requirunt lumine”. These evocative words from a liturgical hymn for the Epiphany speak of the experience of the Magi: following a light, they were searching for the Light. The star appearing in the sky kindled in their minds and in their hearts a light that moved them to seek the great Light of Christ. The Magi followed faithfully that light which filled their hearts, and they encountered the Lord (Pope Francis)
«Lumen requirunt lumine». Questa suggestiva espressione di un inno liturgico dell’Epifania si riferisce all’esperienza dei Magi: seguendo una luce essi ricercano la Luce. La stella apparsa in cielo accende nella loro mente e nel loro cuore una luce che li muove alla ricerca della grande Luce di Cristo. I Magi seguono fedelmente quella luce che li pervade interiormente, e incontrano il Signore (Papa Francesco)
John's Prologue is certainly the key text, in which the truth about Christ's divine sonship finds its full expression (John Paul II)
Il Prologo di Giovanni è certamente il testo chiave, nel quale la verità sulla divina figliolanza di Cristo trova la sua piena espressione (Giovanni Paolo II)
The lamb is not a ruler but docile, it is not aggressive but peaceful; it shows no claws or teeth in the face of any attack; rather, it bears it and is submissive. And so is Jesus! So is Jesus, like a lamb (Pope Francis)
L’agnello non è un dominatore, ma è docile; non è aggressivo, ma pacifico; non mostra gli artigli o i denti di fronte a qualsiasi attacco, ma sopporta ed è remissivo. E così è Gesù! Così è Gesù, come un agnello (Papa Francesco)
Innocence prepares, invokes, hastens Peace. But are these things of so much value and so precious? The answer is immediate, explicit: they are very precious gifts (Pope Paul VI)
L’innocenza prepara, invoca, affretta la Pace. Ma si tratta di cose di tanto valore e così preziose? La risposta è immediata, esplicita: sono doni preziosissimi (Papa Paolo VI)
We will not find a wall, no. We will find a way out […] Let us not fear the Lord (Pope Francis)
Non troveremo un muro, no, troveremo un’uscita […] Non abbiamo paura del Signore (Papa Francesco)
Motherhood of innate Wisdom, which opens horizons: in the Church is leading us to different Dreams of being. Woman who wants to express herself by humanizing us
Maternità d’innata Sapienza, che apre gli orizzonti: nella Chiesa ci sta conducendo a differenti Sogni dell’essere. Donna che vuole esprimersi umanizzandoci
Raw life is full of powers: «Be grateful for everything that comes, because everything was sent as a guide to the afterlife» [Gialal al-Din Rumi]
don Giuseppe Nespeca
Tel. 333-1329741
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