Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Fede e Parola: Dio non è legato a un’espressione esterna
(Mt 8,5-11)
«L’essenziale è stare nell’ascolto di ciò che sale da dentro.
Le nostre azioni spesso non sono altro che imitazione, dovere ipotetico
o rappresentazione erronea di che cosa deve essere un essere umano.
Ma la sola vera certezza che tocca la nostra vita e le nostre azioni
può venire solo dalle sorgenti che zampillano nel profondo di noi stessi.
Si è a casa sotto il cielo si è a casa dovunque su questa terra se si porta tutto in noi stessi.
Spesso mi sono sentita, e ancora mi sento, come una nave che ha preso a bordo un carico prezioso:
le funi vengono recise e ora la nave va, libera di navigare dappertutto».
[Etty Hillesum, Diario]
Dice il Tao Tê Ching (LIII): «La gran Via è assai piana, ma la gente preferisce i sentieri».
Commentando il passo, i maestri Wang Pi e Ho-shang Kung sottolineano: «sentieri tortuosi».
La Fede incipiente di un pagano convertito è l’esempio che Gesù antepone a quella degli israeliti osservanti.
Ciò che guarisce è credere all’efficacia della sua sola Parola (vv.8-9.16), evento che possiede forza generatrice e ricreatrice.
Il Signore dimostra cura, in genere toccando i malati o imponendo le mani, quasi ad assorbire ciò che s’immaginava fosse impurità, alterazione rispetto alla normalità [una “febbre” o paralisi che si riteneva rendesse indegno agli occhi di Dio il bisognoso].
Nelle comunità di Galilea e Siria giudaizzanti, ancora a metà anni 70 ci si chiedeva: la nuova Legge di Dio proclamata su “il Monte” delle Beatitudini crea esclusioni?
O corrisponde alle speranze e alla sensibilità profonda del cuore umano, di ogni luogo e tempo (vv.10-12)?
I lontani possedevano una spiccata intuizione per le novità dello Spirito, e scoprivano il vissuto di Fede da altre posizioni - non installate, meno legate a concatenazioni conformi; forse scomode.
Non di rado erano proprio gli ultimi arrivati che si distinguevano per freschezza d’intuizione sostanziale - e vedevano chiaro.
Bastava comunicare a tu per Tu col Signore, in un senso d’amicizia sicura (v.6).
Non c’è bisogno di chissà quali aggiunte a questo segreto, per rinascere. Dio è Azione immediata (v.7).
La Relazione personale fra uomo comune e il Padre in Cristo è sobria e istantanea.
Partendo dalla sua semplice esperienza, il centurione comprende il valore “a distanza” della Parola e l’effetto-calamita della vera Fede [che non pretende ”contatti” o elementi materiali e locali: vv.8-9].
Insomma, il retaggio culturale e il conformismo religioso antico restavano un fardello.
Qua e là mancavano sia l’esperienza del Cristo Salvatore personale, che la completa scoperta della potenza di Vita piena contenuta nella nuova proposta totale e creatrice de «il Monte».
Mt scrive il suo Vangelo per incoraggiare i membri di comunità e stimolare la missione ai pagani, che appunto i giudeo cristiani non erano ancora pronti a fare propria.
Ma dire «Fede» (vv.10.13) significa caldeggiare un’adesione più profonda, e [insieme] una manifestazione meno forte.
Espressione di Fede personale non è ripetere o edulcorare una dottrina appresa, né la convinzione altrui.
Non c’è da temere: Dio ci ha preceduti; il diverso e lontano non è un estraneo, bensì fratello.
Pertanto, ciò che salva non è l’appartenenza a una tradizione o moda di pensiero e di culto.
Non esigere che il Signore arrivi in una certa forma significa non immaginarlo legato a una espressione esterna.
Lo si raggiunge e coglie solo intimamente, per visione certa - sgombra di convinzioni immaginate indispensabili - qualunque cosa accada.
Si rivelerà volta per volta nel modo più adatto ai nostri limiti.
I distanti da noi sono creature totalmente «degne» sebbene talora vacillanti e fallibili.
Non autonome, insufficienti, come tutti - per il fatto che non si rendono conto che Dio è nella loro carne e nel loro focolare.
Grazie a tale nitida consapevolezza nel Figlio, essi possono finalmente comprendere l’Amore supremo del Padre, gratuito, senza riserve; che sbalordisce, fa superare l’impaccio e li lancia.
Il pagano è condizionato dal suo mondo piramidale, ma incontrando Cristo si scopre persona totalmente adeguata e realizzata.
Non perché ha meritato o concesso favori al popolo eletto, o adempiuto uno speciale genere di osservanze (recitando formule da imprimatur).
Nel Signore, egli stesso viene educato a dilatare l’orizzonte della solita religione - fatta di rapporti verticali esterni.
Sebbene si riconosca manchevole [v.8 testo greco] intuisce che la sua relazione con Dio non dipende da uno scambio di favori.
Tale amicizia personale immediata e spontanea non si fa subalterna ad opere di legge, né scaturisce da norme di purità adempiute.
Tantomeno si assoggetta ad una relazione religiosa a testa china.
Il “lontano” comprende l’amore. In tal guisa, egli è già emancipato da una mentalità appariscente, epidermica, comune.
Nel Signore, egli stesso viene educato a dilatare l’orizzonte della solita religione.
Ritiene appunto che la Parola del Signore - per Via, fuori di luoghi e tempi sincronizzati o stabiliti - produca quel che afferma.
E lo realizzi anche a distanza; senza neppure segni clamorosi e perentori, che facciano baccano.
Piuttosto, liberando l’Energia misteriosa [ancora prigioniera] del «Logos» (v.7).
Verbo non convenzionale, che non gira a vuoto.
Ciò, malgrado questa Potenza si possa trovare mescolata a convincimenti talora contraddittori:
Egli è già lontano da una mentalità magica e carnale.
Ma deve ancora fare il passo decisivo, che lo farà crescere oltre - e ci riguarda da vicino.
La stima di sé dev’essere attitudine dei figli anche remoti, a ogni costo.
Non per sensazione recondita vaga o emotiva, bensì per Presenza garantita a prescindere - persino già operante, sebbene talora inconsapevole.
Interiorizzarla sarà opera - e il “di più” - della Fede matura, che vede, coglie, penetra le energie preparatorie in atto.
E le attualizza, anticipando futuro.
«Io non sono degno» è insieme a «Pietà di me» o «Figlio di Davide» - una delle espressioni più infelici della vita spirituale e missionaria.
Formule che Gesù aborrisce, sebbene siano divenute abituali in alcune espressioni della liturgia.
Il figlio prodigo prova con la medesima sconclusionata espressione [«non sono più degno»] a commuovere il Padre, che appunto non gli consente di finire l’assurda sviolinata.
Piuttosto gl’impedisce di considerarsi «uno dei suoi servi» e mettersi in ginocchio davanti a Lui [Lc 15,21ss].
Questo sarebbe davvero l’unico pericolo che pone a repentaglio tutta la vita; non solo un piccolo tratto di esistenza.
Per Fede in Cristo, da incompleti diventiamo non solo degnissimi, ma siamo così qui e ora Perfetti per realizzare la nostra Vocazione.
Certo, qualche ideologo o purista da mulino bianco potrebbe considerarci fuori moda, o ancora paganeggianti.
Il nostro grande e unico rischio è appunto quello di assorbire tali oppressive opinioni dall’ambiente, e lasciarci condizionare.
Ogni contorno funziona non di rado con la logica delle gerarchie ed i rapporti di forza, per cui ad es. l’inferiore non dovrebbe considerarsi allo stesso livello dell’anteposto.
Ma di questo passo non si riesce più a percepire il Cospetto divino.
Il Volto dell’Eterno è dentro noi e in casa nostra; non nella catena di comando con influssi condizionanti, bensì nel nostro ambiente e in chi ci affianca - anche oltre confine.
Famigliari, amici, persone care e non, sono sullo stesso piano. Vale anche con Dio: siamo faccia a faccia.
Neanche conta più lo schema “io e Tu”, col Figlio: perché - Incarnato diffusamente - ha piantato il suo Cielo nonché la sua stessa capacità terapeutica [addirittura di autoguarigione] «in» noi.
Grazie al Maestro non siamo più all’interno di una ideologia di sottomessi - identica a quella che vigeva nell’impero - né in una caserma ben disciplinata, a ruoli distinti e ambiti confinati.
L’assetto di correttezze esterne non attiene ai Vangeli.
Insomma, il Padre non chiede più a nessuno di obbedire a delle “autorità”, bensì di «somigliare» a Lui.
Ciò si realizza semplicemente corrispondendo - ciascuno di noi - a questa sorta di Presenza superiore che ci abita e ama.
È la fine delle vuote trafile: siamo intimi e consanguinei del nostro stesso Sé recondito, Volto sovreminente.
Non c’è assolutamente bisogno di «scongiurare» Dio (v.5) come se fossimo dei «subalterni» (v.9).
La nostra opera è quella di dissodare e acquisire un nuovo “occhio”, non di sottostare a organigrammi.
Lo sguardo rinato è intuitivo di altre virtù - non sottostà a nomenclature incapaci di fecondità immediata.
Basta con i sensi di manchevolezza!
Essi finiscono per introdurci in cappe e dinamiche a guglia (v.9) tipiche d’ogni feudalesimo stagnante.
Palude che annienta la potenza nuova d’amore - cronicizzando gli assetti.
Configurazioni ingessate da troppe noiose concatenazioni e monarchie locali [come ad es. constatiamo in provincia].
Nell’Ascolto naturale di se stessi e degli eventi, stima genuina e divina Gratuità ci guidano onda su onda verso un nuovo modo di vivere e scambiarsi doni.
Strada impervia per l’abitudine; per l’ovvietà che non sposta i pensieri, e non percepisce.
Cifra inaccessibile a coloro che agiscono per dovere - sentiero enigmatico, poco trasparente, subdolo e assai «tortuoso».
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Come intendi e coltivi la certa e libera Venuta di Gesù nella tua Casa?
Cattolica
La Chiesa è cattolica perché Cristo abbraccia nella sua missione di salvezza tutta l’umanità. Mentre la missione di Gesù nella sua vita terrena era limitata al popolo giudaico, «alle pecore perdute della casa d’Israele» (Mt 15,24), era tuttavia orientata dall’inizio a portare a tutti i popoli la luce del Vangelo e a far entrare tutte le nazioni nel Regno di Dio. Davanti alla fede del Centurione a Cafarnao, Gesù esclama: «Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli» (Mt 8,11). Questa prospettiva universalistica affiora, tra l’altro, dalla presentazione che Gesù fece di se stesso non solo come «Figlio di Davide», ma come «figlio dell’uomo» (Mc 10,33), come abbiamo sentito anche nel brano evangelico poc’anzi proclamato. Il titolo di «Figlio dell’uomo», nel linguaggio della letteratura apocalittica giudaica ispirata alla visione della storia nel Libro del profeta Daniele (cfr 7,13-14), richiama il personaggio che viene «con le nubi del cielo» (v. 13) ed è un’immagine che preannuncia un regno del tutto nuovo, un regno sorretto non da poteri umani, ma dal vero potere che proviene da Dio. Gesù si serve di questa espressione ricca e complessa e la riferisce a Se stesso per manifestare il vero carattere del suo messianismo, come missione destinata a tutto l’uomo e ad ogni uomo, superando ogni particolarismo etnico, nazionale e religioso. Ed è proprio nella sequela di Gesù, nel lasciarsi attrarre dentro la sua umanità e dunque nella comunione con Dio che si entra in questo nuovo regno, che la Chiesa annuncia e anticipa, e che vince frammentazione e dispersione.
[Papa Benedetto, allocuzione Concistoro 24 novembre 2012]
La Chiesa è cattolica perché Cristo abbraccia nella sua missione di salvezza tutta l’umanità. Mentre la missione di Gesù nella sua vita terrena era limitata al popolo giudaico, «alle pecore perdute della casa d’Israele» (Mt 15,24), era tuttavia orientata dall’inizio a portare a tutti i popoli la luce del Vangelo e a far entrare tutte le nazioni nel Regno di Dio. Davanti alla fede del Centurione a Cafarnao, Gesù esclama: «Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli» (Mt 8,11). Questa prospettiva universalistica affiora, tra l’altro, dalla presentazione che Gesù fece di se stesso non solo come «Figlio di Davide», ma come «figlio dell’uomo» (Mc 10,33), come abbiamo sentito anche nel brano evangelico poc’anzi proclamato. Il titolo di «Figlio dell’uomo», nel linguaggio della letteratura apocalittica giudaica ispirata alla visione della storia nel Libro del profeta Daniele (cfr 7,13-14), richiama il personaggio che viene «con le nubi del cielo» (v. 13) ed è un’immagine che preannuncia un regno del tutto nuovo, un regno sorretto non da poteri umani, ma dal vero potere che proviene da Dio. Gesù si serve di questa espressione ricca e complessa e la riferisce a Se stesso per manifestare il vero carattere del suo messianismo, come missione destinata a tutto l’uomo e ad ogni uomo, superando ogni particolarismo etnico, nazionale e religioso. Ed è proprio nella sequela di Gesù, nel lasciarsi attrarre dentro la sua umanità e dunque nella comunione con Dio che si entra in questo nuovo regno, che la Chiesa annuncia e anticipa, e che vince frammentazione e dispersione.
[Papa Benedetto, allocuzione Concistoro 24 novembre 2012]
3. In che cosa consiste la fede? La Costituzione Dei Verbum spiega che con essa "l'uomo si abbandona a Dio tutt'intero liberamente, prestandogli 'il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà' e acconsentendo volontariamente alla rivelazione data da Lui" (n. 5). La fede non è, dunque, solo adesione dell'intelligenza alla verità rivelata, ma anche ossequio della volontà e dono di sé a Dio che si rivela. E' un atteggiamento che impegna l'intera esistenza.
Il Concilio ricorda ancora che per la fede sono necessari "la grazia di Dio, che previene e soccorre, e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità" (ibid.). Si vede così come la fede, da una parte, fa accogliere la verità contenuta nella Rivelazione e proposta dal magistero di coloro che, come Pastori del Popolo di Dio, hanno ricevuto un "carisma certo di verità" (Dei Verbum, 8). D'altra parte, la fede spinge anche ad una vera e profonda coerenza, che deve esprimersi in tutti gli aspetti di una vita modellata su quella di Cristo.
4. Frutto com'è della grazia, la fede esercita un influsso sugli avvenimenti. Lo si vede mirabilmente nel caso esemplare della Vergine Santa. Nell'Annunciazione la sua adesione di fede al messaggio dell'angelo è decisiva per la stessa venuta di Gesù nel mondo. Maria è Madre di Cristo perché prima ha creduto in Lui.
Alle nozze di Cana Maria per la sua fede ottiene il miracolo. Dinanzi a una risposta di Gesù che sembrava poco favorevole, Ella mantiene un atteggiamento fiducioso, diventando così modello della fede audace e costante che supera gli ostacoli.
Audace e insistente fu anche la fede della cananea. A questa donna, venuta a chiedere la guarigione della figlia, Gesù aveva opposto il piano del Padre, che limitava la sua missione alle pecore perdute della casa d'Israele. La cananea rispose con tutta la forza della sua fede e ottenne il miracolo: "Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri" (Mt 15,28).
5. In molti altri casi il Vangelo testimonia la potenza della fede. Gesù esprime la sua ammirazione per la fede del centurione: "In verità vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande" (Mt 8,10). E a Bartimeo dice: "Va', la tua fede ti ha salvato" (Mc 10,52). La stessa cosa ripete all'emorroissa (cfr Mc 5,34).
Le parole rivolte al padre dell'epilettico, che desiderava la guarigione del figlio, non sono meno impressionanti: "Tutto è possibile per chi crede" (Mc 9,23).
Il ruolo della fede è di cooperare con questa onnipotenza. Gesù chiede tale cooperazione al punto che, tornando a Nazaret, non opera quasi nessun miracolo per il motivo che gli abitanti del suo villaggio non credevano in lui (cfr Mc 6,5-6). Ai fini della salvezza, la fede ha per Gesù un'importanza decisiva.
San Paolo svilupperà l'insegnamento di Cristo quando, in contrasto con quanti volevano fondare la speranza di salvezza sull'osservanza della legge giudaica, affermerà con forza che la fede in Cristo è la sola fonte di salvezza: "Noi riteniamo, infatti, che l'uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della legge" (Rm 3,28). Non bisogna, tuttavia, dimenticare che san Paolo pensava a quella fede autentica e piena "che opera per mezzo della carità" (Gal 5,6). La vera fede è animata dall'amore verso Dio, che è inseparabile dall'amore verso i fratelli.
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 18 marzo 1998]
Lasciamoci incontrare da Gesù «con la guardia bassa, aperti», affinché egli possa rinnovarci dal profondo della nostra anima. È questo l’invito di Papa Francesco all’inizio del tempo di Avvento. Il Pontefice lo ha rivolto ai fedeli durante la messa celebrata questa mattina, lunedì 2 dicembre, nella cappella di Santa Marta.
Il cammino che cominciamo in questi giorni, ha esordito, è «un nuovo cammino di Chiesa, un cammino del popolo di Dio, verso il Natale. E camminiamo all’incontro del Signore». Il Natale è infatti un incontro: non solo «una ricorrenza temporale oppure — ha specificato il Pontefice — un ricordo di qualcosa bella. Il Natale è di più. Noi andiamo per questa strada per incontrare il Signore». Dunque nel periodo dell’Avvento «camminiamo per incontrarlo. Incontrarlo con il cuore, con la vita; incontrarlo vivente, come lui è; incontrarlo con fede».
In verità, non è «facile vivere con la fede», ha notato il vescovo di Roma. E ha ricordato l’episodio del centurione che, secondo il racconto del vangelo di Matteo (8, 5-11), si prostra dinnanzi a Gesù per chiedergli di guarire il proprio servo. «Il Signore, nella parola che abbiamo ascoltato — ha spiegato il Papa — si meravigliò di questo centurione. Si meravigliò della fede che lui aveva. Aveva fatto un cammino per incontrare il Signore. Ma l’aveva fatto con fede. Per questo non solo lui ha incontrato il Signore, ma ha sentito la gioia di essere incontrato dal Signore. E questo è proprio l’incontro che noi vogliamo, l’incontro della fede. Incontrare il Signore, ma lasciarci incontrare da lui. È molto importante!».
Quando ci limitiamo solo a incontrare il Signore, ha puntualizzato, «siamo noi — ma questo diciamolo tra virgolette — i “padroni” di questo incontro». Quando invece «ci lasciamo incontrare da lui, è lui che entra dentro di noi» e ci rinnova completamente.
«Questo — ha ribadito il Santo Padre — è quello che significa quando viene Cristo: rifare tutto di nuovo, rifare il cuore, l’anima, la vita, la speranza, il cammino».
In questo periodo dell’anno liturgico, dunque, siamo in cammino per incontrare il Signore, ma anche e soprattutto «per lasciarci incontrare da lui». E dobbiamo farlo con cuore aperto, «perché lui mi incontri, mi dica quello che vuole dirmi, che non sempre è quello che voglio che lui mi dica!». Non dimentichiamo allora che «lui è il Signore e lui mi dirà quello che ha per me», per ciascuno di noi, perché «il Signore — ha precisato il Pontefice — non ci guarda tutti insieme, come una massa: no, no! Lui ci guarda uno a uno, in faccia, negli occhi, perché l’amore non è un amore astratto ma è un amore concreto. Persona per persona. Il Signore, persona, guarda a me, persona». Ecco perché lasciarci incontrare dal Signore significa in definitiva «lasciarci amare dal Signore».
«Nella preghiera all’inizio della messa — ha ricordato il Pontefice — abbiamo chiesto la grazia di fare questo cammino con alcuni atteggiamenti che ci aiutano. La perseveranza nella preghiera: pregare di più. La operosità nella carità fraterna: avvicinarci un po’ di più a quelli che hanno bisogno. E la gioia nella lode del Signore». Dunque «cominciamo questo cammino con la preghiera, la carità e la lode, a cuore aperto, perché il Signore ci incontri». Ma, ha chiesto il Papa in conclusione, «per favore, che ci incontri con la guardia bassa, aperti!».
[Papa Francesco, s. Marta, in L’Osservatore Romano 02-03/12/2013]
Mt 24,37-44 (24-51)
Chiave di lettura del brano potrebbe essere la celebre espressione di s. Agostino: «Timeo Dominum transeuntem».
Incarnazione è filo diretto con la realtà e la condizione divina insieme.
Il tempo della persona di Fede è come stagione d’attesa, ma non di provvisorietà: piuttosto, capitalizzazione e rivolgimento continui.
Né il momento della Chiesa si configura come periodo istituzionale, un lasso di pausa - a orario, con scadenza.
Certo, non è neppure un’età d’allestimento a partire dalle nostre idee, bensì di accoglienza del Regno, che giunge nel suo Appello - oggi con proposte chiarissime (perfino nelle sue sottrazioni).
Siamo chiamati a essere pronti in ogni istante, e veloci come un ‘ladro di notte’…
Forse vuol portarci via qualcosa che crediamo assolutamente nostro, cui però siamo troppo legati.
Fin dalle prime generazioni di credenti sorgevano gruppi di visionari - purtroppo sprovveduti - collegati a un’idea di catastrofe imminente.
L’attesa del ‘ritorno’ subitaneo d’un Messia che doveva porre fine all’ingiustizia e realizzare il Giudizio finale, era aspettativa comune di quanti desideravano s’inaugurasse una nuova fase della storia.
Tuttavia, in nessun punto dei Vangeli è scritto: Gesù “torna”, come se si fosse allontanato.
Egli sopraggiunge, certo: «Viene» - non “ritorna”.
Nel Nuovo Testamento il Risorto è Veniente [‘o Erchòmenos] ossia Colui che irrompe, che incessantemente si rende Presente.
Il punto della Vita è accorgersi, percepire la Presenza di Qualcuno dentro qualcosa; nelle cose sommarie e nelle vicende di liberazione.
Anche nel dramma della rinascita dalla crisi globale.
Nessuna forma di alienazione proviene dai Vangeli: Cristo è «con-noi» in ogni momento; nel nostro impegno in favore della natura, delle culture, della vita di tutti.
L’esperienza piena, totale, di completezza, non è data nel tempo particolare.
Ma ad es. lo spirito di disinteresse che si diffonde e già rende nuove le relazioni e le cose rimane una garanzia del Regno.
Seme e preludio del nuovo mondo che la Chiesa è chiamata ad annunciare e costruire - includendolo a braccia aperte.
Con a centro il «Figlio dell’uomo» che «viene», passo dopo passo, non perdiamo l‘intesa.
Ogni momento è buono per acuire la perspicacia nello Spirito.
La flessibilità del cuore prevarrà sui pronostici, sugli imperativi della mente.
Ecco l’accorgersi e percepire le opportunità; aprire gli occhi, decifrare gli accadimenti, spostare lo sguardo - onde cogliere la Venuta del Signore, fiutarne il Senso, intuirla come Fonte di Speranza.
Nell’Eucaristia proclamiamo appunto la Venuta del Signore, perché la vita in Cristo è in ogni evento anticipazione e preparazione all’Incontro sponsale.
In ottica di Fede, qualsiasi istante critico coopera al bene.
È Chiamata e opportunità di risposta, non timore permanente.
[1.a Domenica Avvento (anno A), 30 novembre 2025]
La reinterpretazione del colore liturgico viola
Mt 24,37-44 (24-51)
«Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro Viene» (v.42).
Chiave di lettura del brano è la celebre espressione di s. Agostino: «Timeo Dominum transeuntem». Incarnazione è filo diretto con la realtà e la condizione divina insieme.
Il tempo della persona di Fede è come stagione d’attesa, ma non di provvisorietà: piuttosto, capitalizzazione e rivolgimento continui.
Né il momento della Chiesa si configura come periodo istituzionale, un lasso di pausa - ad orario, con scadenza.
Certo, non è neppure un’età d’allestimento a partire dalle nostre idee, bensì di accoglienza del Regno, che giunge nel suo Appello - oggi con proposte chiarissime (perfino nelle sue sottrazioni).
Siamo chiamati a essere pronti in ogni istante, come un ladro di notte... il quale vuole portarci via qualcosa che crediamo assolutamente nostro, cui però ci siamo legati troppo.
Fin dalle prime generazioni di credenti sorgevano gruppi di visionari - purtroppo sprovveduti - collegati a un’idea di catastrofe imminente.
Ma l’attesa del ritorno subitaneo d’un Messia che doveva porre fine all’ingiustizia e realizzare il Giudizio finale, era aspettativa comune di quanti desideravano s’inaugurasse una nuova fase della storia.
Tuttavia, in nessun punto dei Vangeli è scritto che Gesù deve “tornare”, come se si fosse allontanato. Egli sopraggiunge, Viene; non “ritorna”.
Nel Nuovo Testamento il Risorto è Veniente [‘o Erchòmenos] ossia Colui che irrompe, che incessantemente si rende Presente.
La fine del mondo e il ritorno del Signore su una nuvola bianca è una suggestione che ancora oggi viene usata per intimidire la gente semplice e condizionarla a gruppi di fanatici. I social networks ne sono colmi.
Il punto decisivo della vita è accorgersi, percepire la Presenza di Qualcuno dentro qualcosa: nelle cose sommarie della vita, nelle vicende di liberazione; anche nel dramma della rinascita dalla crisi globale.
In tal guisa, nessuna forma di alienazione proviene dai Vangeli. Cristo è «con-noi» in ogni momento, nel nostro impegno in favore della natura, delle culture, della vita di tutti.
L’esperienza piena di completezza non è data nel tempo particolare, ma ad es. lo spirito di disinteresse che si diffonde e già rende nuove le relazioni e le cose, rimane una garanzia del Regno - ossia del nuovo mondo che la Chiesa è chiamata ad annunciare ed edificare - includendolo a braccia aperte, passo passo.
Ogni momento è buono per acuire la visuale: accorgersi, percepire le opportunità; aprire gli occhi, o spostare lo sguardo, onde cogliere la Venuta del Signore e intuirla come fonte di Speranza.
Nell’Eucaristia proclamiamo la Presenza sempre nuova del Signore, perché la Vita in Cristo è anticipazione e preparazione all’Incontro [che già arreca il pane di cui l’anima nostra e il mondo hanno bisogno].
Ogni istante perfino oscuro è Chiamata penetrante e opportunità di risposta, di contatto, di alimento profondi; non una fonte di tormento e terrore permanenti.
La Sicurezza è nella Insicurezza
Che tipo di Avvento-Venuta è? Perché è associata all’idea di cataclismi? Non sembra istanza d’una buona notizia parlare di “diluvio”.
Nella tradizione osservante di tutti i popoli, l’insicurezza è percepita come uno svantaggio, e i maestri constatano il progresso della vita spirituale quando un’anima dall’esistenza mescolata e disordinata supera i suoi parapiglia per un ideale di “calma coerente”, in favore dell’ordine e della tranquillità.
Condizionati da un indottrinamento pio, omologato al saper “stare in società” e all’idea di Vittoria che precede la Pace, attendiamo d’incontrare nostro Signore nei momenti bui, ma affinché ci ridoni fortuna.
Lo aspettiamo nel tempo dei problemi economici, perché ci renda vantaggio con una vincita; nelle vicende umilianti, per farci risalire la china.
Nei pericoli desideriamo che almeno Lui trasmetta forza per ribaltare la situazione; nella malattia, immaginiamo ci ridoni vigore giovanile; nella babele, che comunichi relax (meglio, trionfo).
Nei Vangeli Gesù cerca di far capire ai suoi dove e quando incontrare autenticamente Dio. Ma nell’attesa delle sue “promesse” facciamo difficoltà a procedere oltre l’esteriore.
Proiettiamo le nostre idee anche in religione - però la Fede se ne distacca. Valuta con mentalità opposta.
Capita di non riuscire a incontrare un amico perché sbagliamo tempi e luoghi dell’appuntamento. Succede anche con Dio.
L’insicurezza proclamata dai Vangeli somiglia proprio a uno tsunami; ma si tratta di Lieta Novella!
Sebbene tendiamo spesso a dare un senso di permanenza a tutto ciò che abbiamo vissuto e credevamo di “essere”, ripetutamente sperimentiamo che le nostre certezze mutano - proprio come i flutti.
Gesù insegna che la dubbiosità la quale davvero annienta la sua Chiamata sorge da un nostro identificativo [ruoli, personaggi, mansioni] che tenta di pareggiare le onde della vita.
Invece l’essenza di ciascuno sgorga da una Sorgente vivace, che tutti i giorni fa quel che deve.
Abitudini, opinioni esterne, modi di essere rassicuranti di stare con le persone e affrontare le situazioni, tagliano fuori la ricchezza delle nostre sfumature preziose, buona parte dei nostri stessi volti.
E nascite e ringiovanimenti che ci appartengono.
L’impatto interiore delle molte sollecitazioni della Scaturigine dell’essere insinua uno squilibrio inevitabile e fecondo - che rischiamo però d’interpretare in modo negativo, appunto come fastidio.
Nella mente dell’uomo che schiva le oscillazioni, quel genere di onda che viene per farci ragionare sulle cose antiche (date per scontate) è subito identificata come pericolo identitario.
La stessa Provvidenza - l’onda che vede avanti - è forse bollata d’inquietudine, talora anche da chi ci “consiglia”.
Nell’uomo ideale come cesellato dai moralismi più normalizzanti, l’acqua paludosa delle pulsioni è quella che sporca e trascina a terra; e il Cielo sarebbe sempre limpido e netto sopra la terra.
Invece spesso è un’identificazione culturale a monte che produce insicurezza!
Tutto ciò, ben più della realtà oggettiva che scende in campo per rinfrescare la nostra anima e renderla lieve come la spuma del mare (crudamente incarnata).
Bisogna tuffarsi nei flutti, bisogna conoscere le onde dei maremoti, perché il nostro punto fermo non è nelle cose esterne.
La scorza delle apparenze condanna alla peggiore fluttuazione, alla meno vantaggiosa delle insicurezze: credere che mantenendo i livelli economici o il prestigio, raggiungendo quel traguardo, scalando il tabellone dei titoli, eviteremo frustrazioni, scanseremo angosce, saremo finalmente senza contrasti e persino felici.
Ma così la nostra anima perde respiro, non si rafforza, né vola verso territori ancora sconosciuti; si posa nel recinto dell’aia più omologante.
Invece siamo vivi, e la giovinezza che conquista il Regno viene dal caos.
I missionari sono animati da questa certezza: la migliore stabilità è l’instabilità: quel “diluvio” dove nessuna onda somiglia alle altre.
Insomma, sulla base della Parola di Dio anche il colore liturgico viola dovrebbe forse assumere una reinterpretazione (viva e graffiante) - assai più profonda di quella data per scontata.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Avvento: per quale motivo vuoi che il Signore venga e si renda presente nella tua vita?
Figlio dell’uomo
«Figlio dell’uomo» non è dunque un titolo “religioso” o selettivo, ma una possibilità per tutti coloro che danno adesione alla proposta di vita del Signore, e la reinterpretano in modo creativo.
Essi superano i fermi e propri confini naturali, facendo spazio al Dono; accogliendo da Dio pienezza di essere, nei suoi nuovi, irripetibili binari.
Sentendosi totalmente e immeritatamente amati, scoprono altre sfaccettature, cambiano il modo di stare con se stessi, e possono crescere: si realizzano, fioriscono e irradiano la completezza ricevuta.
Uscendo dall’idea scarsa o statica che abbiamo di noi - problema grave in molte anime sensibili e dedite - anche la personalità relazionale può iniziare a immaginare.
E sognare, scoprire di poter non dare più peso a coloro che vogliono plagiare il cammino di persona (in pienezza di essere e vocazione).
Chi attiva l’idea di potercela fare, trasmette poi la forza dello Spirito che ha ricevuto e accolto, e il mondo fiorisce.
Emanando una differente atmosfera, la persona integrata nei suoi lati anche opposti, sente nascere consapevolezze, crea progetti, emette e attrae altre energie; le fa attivare.
Dio vuole estendere l’ambito in cui “regna” - rapportandosi in modo interpersonale - a tutta l’umanità… Chiesa senza confini visibili, che inizierà con il «Figlio dell’uomo» (figura non esclusiva di Gesù).
Questa prospettiva universalistica affiora, tra l’altro, dalla presentazione che Gesù fece di se stesso non solo come «Figlio di Davide», ma come «figlio dell’uomo» (Mc 10,33). Il titolo di «Figlio dell’uomo», nel linguaggio della letteratura apocalittica giudaica ispirata alla visione della storia nel Libro del profeta Daniele (cfr 7,13-14), richiama il personaggio che viene «con le nubi del cielo» (v. 13) ed è un’immagine che preannuncia un regno del tutto nuovo, un regno sorretto non da poteri umani, ma dal vero potere che proviene da Dio. Gesù si serve di questa espressione ricca e complessa e la riferisce a Se stesso per manifestare il vero carattere del suo messianismo, come missione destinata a tutto l’uomo e ad ogni uomo, superando ogni particolarismo etnico, nazionale e religioso. Ed è proprio nella sequela di Gesù, nel lasciarsi attrarre dentro la sua umanità e dunque nella comunione con Dio che si entra in questo nuovo regno, che la Chiesa annuncia e anticipa, e che vince frammentazione e dispersione.
[Papa Benedetto, Concistoro 24 novembre 2012]
Con l’immagine del Figlio d’uomo, già il profeta Daniele voleva indicare un ribaltamento dei criteri di autenticità (umana e divina): un uomo o un popolo, leader, finalmente dal cuore di carne invece che di belva.
Nell’icona del “Figlio dell’uomo” gli evangelisti desiderano far trapelare e innescare il trionfo dell’umano sul disumano, la progressiva scomparsa di tutto ciò che blocca la comunicazione di vita piena.
Il Popolo che riluce in modo divino non si trova più impigliato da paure o isterismi, anzi porta al massimo tutta la sua variegata potenzialità d’amore, di effusione di vita.
«Figlio dell’uomo» - realtà possibile - è chiunque raggiunga pienezza, fioritura della capacità di essere, nell’estensione dei rapporti… entrando in sintonia con la sfera di Dio Creatore, Amante della vita.
Lo fa nelle sue variegate sfaccettature, e si fonde con Lui - diventando Uno. Creando abbondanza.
«Figlio dell’uomo» è l’uomo che si comporta sulla terra come farebbe Dio stesso, che rende presente il divino e la sua forza nella storia.
Quindi può permettersi di sostituire la cupa seriosità dell’essere pio e sottoposto, con la sapiente spensieratezza che rende tutto lieve.
«Figlio dell’uomo» raffigura il massimo dell’umano, la Persona per eccellenza - che diventa liberante invece che opprimente.
Le conseguenze sono inimmaginabili, perché ciascuno di noi in Cristo (e per i fratelli) non ha più percorsi morti da rifare.
«"Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà" (Mt 24,42). Gesù, che nel Natale è venuto tra noi e tornerà glorioso alla fine dei tempi, non si stanca di visitarci continuamente, negli eventi di ogni giorno. Ci chiede e ci avverte di attenderlo vegliando, poiché la sua venuta non può essere programmata o pronosticata, ma sarà improvvisa e imprevedibile. Solo chi è desto non è colto alla sprovvista. Che non vi succeda, Egli avverte, quel che avvenne al tempo di Noè, quando gli uomini mangiavano e bevevano spensieratamente, e furono colti impreparati dal diluvio (cfr Mt 24,37-38). Che cosa il Signore vuole farci comprendere con questo ammonimento, se non che non dobbiamo lasciarci assorbire dalle realtà e preoccupazioni materiali sino al punto da restarne irretiti?
"Vegliate dunque…". Ascoltiamo l’invito di Gesù nel Vangelo e prepariamoci a rivivere con fede il mistero della nascita del Redentore, che ha riempito l’universo di gioia; prepariamoci ad accogliere il Signore nel suo incessante venirci incontro negli eventi della vita, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia; prepariamoci ad incontrarlo nell’ultima sua definitiva venuta. Il suo passaggio è sempre fonte di pace e, se la sofferenza, retaggio dell’umana natura, diventa talora quasi insopportabile, con l’avvento del Salvatore "la sofferenza – senza cessare di essere sofferenza – diventa nonostante tutto canto di lode" (Enc. Spe salvi, 37)».
[Papa Benedetto, omelia all’ospedale romano s. Giovanni Battista, 2 dicembre 2007]
Cari fratelli e sorelle!
Oggi, prima domenica di Avvento, la Chiesa inizia un nuovo Anno liturgico, un nuovo cammino di fede che, da una parte, fa memoria dell’evento di Gesù Cristo e, dall’altra, si apre al suo compimento finale. E proprio di questa duplice prospettiva vive il Tempo di Avvento, guardando sia alla prima venuta del Figlio di Dio, quando nacque dalla Vergine Maria, sia al suo ritorno glorioso, quando verrà “a giudicare i vivi e i morti”, come diciamo nel Credo. Su questo suggestivo tema dell’“attesa” vorrei ora brevemente soffermarmi, perché si tratta di un aspetto profondamente umano, in cui la fede diventa, per così dire, un tutt’uno con la nostra carne e il nostro cuore.
L’attesa, l’attendere è una dimensione che attraversa tutta la nostra esistenza personale, familiare e sociale. L’attesa è presente in mille situazioni, da quelle più piccole e banali fino alle più importanti, che ci coinvolgono totalmente e nel profondo. Pensiamo, tra queste, all’attesa di un figlio da parte di due sposi; a quella di un parente o di un amico che viene a visitarci da lontano; pensiamo, per un giovane, all’attesa dell’esito di un esame decisivo, o di un colloquio di lavoro; nelle relazioni affettive, all’attesa dell’incontro con la persona amata, della risposta ad una lettera, o dell’accoglimento di un perdono… Si potrebbe dire che l’uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza. E dalle sue attese l’uomo si riconosce: la nostra “statura” morale e spirituale si può misurare da ciò che attendiamo, da ciò in cui speriamo.
Ognuno di noi, dunque, specialmente in questo Tempo che ci prepara al Natale, può domandarsi: io, che cosa attendo? A che cosa, in questo momento della mia vita, è proteso il mio cuore? E questa stessa domanda si può porre a livello di famiglia, di comunità, di nazione. Che cosa attendiamo, insieme? Che cosa unisce le nostre aspirazioni, che cosa le accomuna? Nel tempo precedente la nascita di Gesù, era fortissima in Israele l’attesa del Messia, cioè di un Consacrato, discendente del re Davide, che avrebbe finalmente liberato il popolo da ogni schiavitù morale e politica e instaurato il Regno di Dio. Ma nessuno avrebbe mai immaginato che il Messia potesse nascere da un’umile ragazza quale era Maria, promessa sposa del giusto Giuseppe. Neppure lei lo avrebbe mai pensato, eppure nel suo cuore l’attesa del Salvatore era così grande, la sua fede e la sua speranza erano così ardenti, che Egli poté trovare in lei una madre degna. Del resto, Dio stesso l’aveva preparata, prima dei secoli. C’è una misteriosa corrispondenza tra l’attesa di Dio e quella di Maria, la creatura “piena di grazia”, totalmente trasparente al disegno d’amore dell’Altissimo. Impariamo da Lei, Donna dell’Avvento, a vivere i gesti quotidiani con uno spirito nuovo, con il sentimento di un’attesa profonda, che solo la venuta di Dio può colmare.
[Papa Benedetto, Angelus 28 novembre 2010]
Sono le parole del Salmo responsoriale che accompagna l'odierna liturgia della prima domenica di Avvento, tempo liturgico che rinnova di anno in anno l'attesa della venuta di Cristo. L'Avvento ha acquistato, in questi anni che stiamo vivendo nella prospettiva del terzo millennio, una nuova e singolare dimensione. Tertio millennio adveniente: il 1998, che volge al suo termine, ed il prossimo 1999 ci pongono sulla soglia di un nuovo secolo e di un nuovo millennio.
"Sulla soglia" ha avuto inizio anche l'odierna nostra celebrazione: sulla soglia della Basilica Vaticana, dinanzi alla Porta Santa, con la consegna e la lettura della Bolla di indizione del Grande Giubileo del Duemila.
"Andiamo con gioia incontro al Signore" è un ritornello che si intona perfettamente al Giubileo. E', per così dire, un "ritornello giubilare", secondo l'etimologia della parola latina iubilare, che contiene in sé il riferimento alla gioia. Andiamo, dunque, con gioia! Camminiamo lieti e vigilanti nell'attesa del tempo che ricorda la venuta di Dio nella carne umana, tempo giunto alla sua pienezza quando nella stalla di Betlemme nacque Cristo. Si compì allora il tempo dell'attesa.
Vivendo l'Avvento, attendiamo un avvenimento che si situa nella storia ed insieme la trascende. Come ogni anno, esso avverrà nella notte del Natale del Signore. Nella stalla di Betlemme accorreranno i pastori; più tardi verranno i Magi dall'Oriente. Gli uni e gli altri simboleggiano in un certo senso l'intera famiglia umana. L'esortazione che risuona nell'odierna liturgia: "Andiamo con gioia incontro al Signore" si diffonde in tutti i paesi, in tutti i continenti, in mezzo ad ogni popolo e nazione. La voce della liturgia - cioè la voce della Chiesa - risuona dappertutto e tutti invita al Grande Giubileo.
2. Questi ultimi tre anni che precedono il Duemila formano un tempo di attesa molto intenso, orientato alla meditazione sul significato dell'imminente evento spirituale e sulla necessaria preparazione. Il contenuto di tale preparazione è modellato sulla formula trinitaria, che si ripete al termine di ogni preghiera liturgica. Andiamo pertanto con gioia verso il Padre, per la via che è il Nostro Signore Gesù Cristo, il quale vive e regna con Lui nell'unità dello Spirito Santo.
Per questo il primo anno è stato dedicato al Figlio, il secondo allo Spirito Santo e quello che inizia oggi - l'ultimo anno prima del Grande Giubileo - sarà l'anno del Padre. Invitati dal Padre, andiamo verso di Lui mediante il Figlio, nello Spirito Santo. Questo triennio di preparazione immediata al nuovo millennio, per il suo carattere trinitario ci parla non soltanto di Dio in se stesso, come mistero ineffabile di vita e di santità, ma anche di Dio che viene incontro a noi.
3. E' per questo che il ritornello "Andiamo con gioia incontro al Signore" suona così appropriato. Noi possiamo incontrare Dio, poiché Lui ci è venuto incontro. Lo ha fatto, come il padre della parabola del figlio prodigo (cfr Lc 15,11-32), perché è ricco di misericordia, dives in misericordia, e vuole incontrarci da qualunque parte veniamo e dovunque ci porti il nostro cammino. Dio ci viene incontro sia che l'abbiamo cercato, o che l'abbiamo ignorato, o che addirittura l'abbiamo evitato. Egli ci viene incontro per primo, con le braccia aperte come un padre amoroso e misericordioso.
Se Dio si muove per venirci incontro, potremo noi volgergli le spalle? Ma incontro al Padre non possiamo andare da soli. Dobbiamo farci compagnia con quanti fanno parte della "famiglia di Dio". Per prepararci convenientemente al Giubileo dobbiamo disporci all'accoglienza di ogni persona. Tutti sono nostri fratelli e sorelle, perché figli dello stesso Padre celeste.
[…]
Maria, che il tempo dell'Avvento ci esorta a contemplare in operosa attesa del Redentore, vi aiuti tutti ad essere generosi apostoli del suo Figlio Gesù.
4. Nel Vangelo di oggi abbiamo ascoltato l'invito del Signore alla vigilanza: "Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà". E subito dopo: "State pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà" (Mt 24,42.44). L'esortazione a vegliare risuona molte volte nella liturgia, specialmente in Avvento, tempo di preparazione non soltanto al Natale, ma anche alla definitiva e gloriosa venuta di Cristo alla fine dei tempi. Esso ha quindi un significato spiccatamente escatologico ed invita il credente a trascorrere ogni giorno, ogni momento alla presenza di Colui "che è, che era e che viene" (Ap 1,4), a cui appartiene il futuro del mondo e dell'uomo. Ecco la speranza cristiana! Senza questa prospettiva, la nostra esistenza si ridurrebbe ad un vivere per la morte.
Cristo è il nostro Redentore: Redemptor mundi et hominis, Redentore del mondo e dell'uomo. Egli è venuto fra noi per aiutarci a varcare la soglia che conduce alla porta della vita, la "porta santa" che è Lui stesso.
5. Questa consolante verità sia sempre ben presente ai nostri occhi, mentre andiamo pellegrini verso il grande Giubileo. Essa costituisce la ragione ultima della gioia alla quale ci esorta l'odierna liturgia: "Andiamo con gioia incontro al Signore". Credendo in Cristo crocifisso e risorto, crediamo nella risurrezione della carne e nella vita eterna.
Tertio millennio adveniente. In questa prospettiva, gli anni, i secoli ed i millenni acquistano quel senso definitivo dell'esistenza che il Giubileo dell'Anno Duemila vuole svelarci.
Guardando a Cristo, facciamo nostre le parole di un antico canto popolare:
"La salvezza è venuta mediante la croce,
questo è un grande mistero.
Ogni sofferenza ha un senso:
porta alla pienezza di vita".
Con questa fede nel cuore, che è la fede della Chiesa, apro oggi, quale Vescovo di Roma, il terzo anno di preparazione al grande Giubileo. Lo apro nel nome del Padre celeste, che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui... abbia la vita eterna" (Gv 3,16).
[Papa Giovanni Paolo II, omelia 29 novembre 1998]
Oggi, prima domenica del tempo di Avvento, inizia un nuovo Anno liturgico. In queste quattro settimane di Avvento, la liturgia ci conduce a celebrare il Natale di Gesù, mentre ci ricorda che Egli viene ogni giorno nella nostra vita, e ritornerà gloriosamente alla fine dei tempi. Tale certezza ci induce a guardare con fiducia al futuro, come ci invita a fare il profeta Isaia, che con la sua voce ispirata accompagna tutto il cammino dell’Avvento.
Nella prima Lettura di oggi, Isaia profetizza che «alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli; ad esso affluiranno tutte le genti» (2,2). Il tempio del Signore a Gerusalemme è presentato come il punto di convergenza e di incontro di tutti i popoli. Dopo l’Incarnazione del Figlio di Dio, Gesù stesso si è rivelato come il vero tempio. Pertanto, la visione meravigliosa di Isaia è una promessa divina e ci spinge ad assumere un atteggiamento di pellegrinaggio, di cammino verso Cristo, senso e fine di tutta la storia. Quanti hanno fame e sete di giustizia, la possono trovare soltanto percorrendo le vie del Signore; mentre il male e il peccato provengono dal fatto che gli individui e i gruppi sociali preferiscono seguire strade dettate da interessi egoistici, che provocano conflitti e guerre. L’Avvento è il tempo propizio per accogliere la venuta di Gesù, che viene come messaggero di pace per indicarci le vie di Dio.
Nel Vangelo di oggi, Gesù ci esorta ad essere pronti per la sua venuta: «Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà» (Mt 24,42). Vegliare non significa avere materialmente gli occhi aperti, ma avere il cuore libero e rivolto nella direzione giusta, cioè disposto al dono e al servizio. Questo è vegliare! Il sonno da cui dobbiamo svegliarci è costituito dall’indifferenza, dalla vanità, dall’incapacità di instaurare rapporti genuinamente umani, dell’incapacità di farsi carico del fratello solo, abbandonato o malato. L’attesa di Gesù che viene si deve tradurre, dunque, in un impegno di vigilanza. Si tratta anzitutto di meravigliarsi davanti all’azione di Dio, alle sue sorprese, e di dare a Lui il primato. Vigilanza significa anche, concretamente, essere attenti al nostro prossimo in difficoltà, lasciarsi interpellare dalle sue necessità, senza aspettare che lui o lei ci chiedano aiuto, ma imparare a prevenire, ad anticipare, come fa sempre Dio con noi.
Maria, Vergine vigilante e Madre della speranza, ci guidi in questo cammino, aiutandoci a rivolgere lo sguardo verso il “monte del Signore”, immagine di Gesù Cristo, che attira a sé tutti gli uomini e tutti i popoli.
[Papa Francesco, Angelus 1 dicembre 2019]
Attenti a non appesantire, Vegliate «pregando in ogni momento»
(Lc 21,34-36)
Il nuovo mondo piomba addosso in modo alternativo, e s’impone da un momento all’altro, senza preavvisi concatenati o troppo educati.
Tale Vento impetuoso sembra stia sgretolando tutto, invece agisce per radunarci.
Oltre lo scoraggiamento, di fronte agli eventi-lampo sconvolgenti c’è il pericolo di perdita della coscienza critica, e la fuga (anche da noi stessi).
Viceversa, la donna e l’uomo di Fede scoprono la Venuta di Cristo fra la gente e i molti “congiunti” dell’anima, tutti autentici compagni di ‘viaggio’.
I credenti esercitano la percezione, si accorgono dei vagiti della vita nuova; non s’abbattono.
Non ricercano palliativi o idee cerebrali à la page, che ci disperdono le energie e confondono, o ancor più fanno abbassare la guardia.
D’altro canto, ecco il pericolo di adagiarsi in un tempo istituzionale - e lo spuntare di compensazioni oscure: soluzioni fasulle, che rendono insensibili; buone solo a distrarci.
E pure affannose (vv.34-35). Le evasioni o i mezzucci anestetizzano l’anima. Idoli-trappola [«laccio» del v.35].
Sono da tenere a distanza: non consentono di accorgersi del Signore che Viene.
La Preghiera si fa qui terapia, Presenza, Motivo e Motore; fonte e culmine. Medicina e Pane per il viaggio di coloro che desiderano rimanere svegli, avanzare, attivare futuro.
Assimilando il punto di vista sacro sui rivolgimenti del mondo, nell’orazione otterremo buona disposizione, sposteremo l’occhio verso orizzonti in cui non compare una sola forma e un solo colore.
Capiremo che la Provvidenza ha ragione, che lo Spirito lavora bene: ci sta avvicinando al progetto pieno del Padre.
Accostandoci in tal guisa anche al desiderio di vita dei fratelli, staremo «ritti in piedi» (v.36) ossia attenderemo e accoglieremo senza paura l’avvento del «Figlio dell’uomo».
Autentica Presenza di Dio - sviluppo vero e pieno del progetto divino sull’umanità.
Ci si aspettava che tale lato profondo fosse assoluto, performante, e selettivo. Da primo piano.
L’Incarnazione sorprende. Rivaluta perfino il nostro essere scheletrito e carente.
Lo trasforma in Perla preziosa, «fiuto senza cittadinanza, ma non meno efficace [che] non si lascia limitare dalle appartenenze» [Udienza, Roma 18.9.21].
Gli accadimenti - anche quelli opposti (e inseparabili) - parlano, in noi; sviluppano per energia interiore.
Sono scrigni di realtà coinvolgenti; contengono un segreto da stupore, una destinazione che sorprende.
Vigilanza e Preghiera ci preparano a questo inatteso Incontro, che è crescita e umanizzazione del popolo: il traboccare tranquillo, vero e pieno del progetto Eterno, trasferito a maglie larghe.
Ciò senza rassegnarsi… pur nel sommario del quotidiano - nonché per la visione e azione di profeti che non biasimano la propria finitudine. Anzi, la considerano terreno di svolta.
Quindi non dividiamo il panorama in modo isterico, tra emozioni belle e brutte: per il ‘nuovo’ di dove siamo e saremo, anche perigli o amarezze, soste o deviazioni, avranno avuto senso.
[Sabato 34.a sett. T.O. 29 novembre 2025]
God is Relationship simple: He demythologizes the idol of greatness. The Eternal is no longer the master of creation - He who manifested himself strong and peremptory; in his action, again in the Old Covenant illustrated through nature’s irrepressible powers
Dio è Relazione semplice: demitizza l’idolo della grandezza. L’Eterno non è più il padrone del creato - Colui che si manifestava forte e perentorio; nella sua azione, ancora nel Patto antico illustrato attraverso le potenze incontenibili della natura
What kind of Coming is it? A shortcut or an act of power to equalize our stormy waves? The missionaries are animated by this certainty: the best stability is instability: that «Deluge» Coming, where no wave resembles the others
Che tipo di Venuta è? Una scorciatoia o un atto di potenza che pareggi le nostre onde in tempesta? I missionari sono animati da questa certezza: la migliore stabilità è l’instabilità: quel «Diluvio» che Viene, dove nessuna onda somiglia alle altre
The community of believers is a sign of God’s love, of his justice which is already present and active in history but is not yet completely fulfilled and must therefore always be awaited, invoked and sought with patience and courage (Pope Benedict)
La comunità dei credenti è segno dell’amore di Dio, della sua giustizia che è già presente e operante nella storia ma che non è ancora pienamente realizzata, e pertanto va sempre attesa, invocata, ricercata con pazienza e coraggio (Papa Benedetto)
"In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet". This refers to the solidity of the Word. It is solid, it is the true reality on which one must base one's life (Pope Benedict)
«In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet». Si parla della solidità della Parola. Essa è solida, è la vera realtà sulla quale basare la propria vita (Papa Benedetto)
It has made us come here the veneration of martyrdom, on which, from the beginning, the kingdom of God is built, proclaimed and begun in human history by Jesus Christ (Pope John Paul II)
Ci ha fatto venire qui la venerazione verso il martirio, sul quale, sin dall’inizio, si costruisce il regno di Dio, proclamato ed iniziato nella storia umana da Gesù Cristo (Papa Giovanni Paolo II)
The evangelization of the world involves the profound transformation of the human person (Pope John Paul II)
L'opera evangelizzatrice del mondo comporta la profonda trasformazione delle persone (Papa Giovanni Paolo II)
The Church, which is ceaselessly born from the Eucharist, from Jesus' gift of self, is the continuation of this gift, this superabundance which is expressed in poverty, in the all that is offered in the fragment (Pope Benedict)
La Chiesa, che incessantemente nasce dall’Eucaristia, dall’autodonazione di Gesù, è la continuazione di questo dono, di questa sovrabbondanza che si esprime nella povertà, del tutto che si offre nel frammento (Papa Benedetto)
He is alive and wants us to be alive; he is our hope (Pope Francis)
È vivo e ci vuole vivi. Cristo è la nostra speranza (Papa Francesco
The Sadducees, addressing Jesus for a purely theoretical "case", at the same time attack the Pharisees' primitive conception of life after the resurrection of the bodies; they in fact insinuate that faith in the resurrection of the bodies leads to admitting polyandry, contrary to the law of God (Pope John Paul II)
don Giuseppe Nespeca
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