Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".
Ai discepoli Gesù rivolge l’invito a rallegrarsi, a vincere la tentazione della tristezza per la partenza del Maestro, perché questa partenza è condizione disposta nel disegno divino per la venuta dello Spirito Santo: “È bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado non verrà a voi il Paraclito; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò” (Gv 16, 7). Sarà il dono dello Spirito a procurare ai discepoli una gioia grande, anzi la pienezza della gioia, secondo l’intenzione espressa da Gesù. Il Salvatore, infatti, dopo aver invitato i discepoli a rimanere nel suo amore, aveva detto: “Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15, 11; cf. Gv 17, 13). È lo Spirito Santo a mettere nel cuore dei discepoli la stessa gioia di Gesù, gioia della fedeltà all’amore che viene dal Padre.
San Luca attesta che i discepoli, i quali al momento dell’Ascensione avevano ricevuto la promessa del dono dello Spirito Santo, “tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio” (Lc 24, 52-53). Negli Atti degli Apostoli risulta che, dopo la Pentecoste, si era creato negli Apostoli un clima di profonda gioia, che si comunicava alla comunità, in forma di esultanza e di entusiasmo nell’abbracciare la fede, nel ricevere il battesimo e nel vivere insieme, come dimostra quel “prendere i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo” (At 2, 46-47). Il libro degli Atti annota: “I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo” (At 13, 52).
6. Ben presto sarebbero venute le tribolazioni e persecuzioni predette da Gesù proprio nell’annunciare la venuta del Paraclito-Consolatore (cf. Gv 16,1ss.). Ma secondo gli Atti la gioia perdura anche nella prova: vi si legge infatti che gli Apostoli, tradotti davanti al Sinedrio, fustigati, ammoniti e rimandati a casa, se ne tornarono “lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù. E ogni giorno, nel tempio e a casa, non cessavano di insegnare e di portare il lieto annunzio che Gesù è il Cristo” (At 5, 41-42).
Questa, del resto, è la condizione e la sorte dei cristiani, come ricorda San Paolo ai Tessalonicesi: “Voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grande tribolazione” (1 Ts 1, 6). I cristiani, secondo Paolo, ripetono in sé il mistero pasquale di Cristo, che ha come cardine la Croce. Ma il suo coronamento è la “gioia dello Spirito Santo” per coloro che perseverano nelle prove. È la gioia delle beatitudini, e più particolarmente della beatitudine degli afflitti, e dei perseguitati (cf. Mt 5, 4.10-12). Non affermava forse l’apostolo Paolo: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi . . .” (Col 1, 24)? E Pietro, per parte sua, esortava: “Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare” (1 Pt 4, 13).
Preghiamo lo Spirito Santo perché accenda sempre più in noi il desiderio dei beni celesti e ce ne faccia godere un giorno la pienezza: “Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna”.
Amen.
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 19 giugno 1991]
A spezzare le risate forzate di «una cultura non gioiosa che inventa di tutto per spassarsela», offrendo «dappertutto pezzettini di dolce vita», ci pensa la vera gioia del cristiano. Che «non si compra al mercato» ma è «un dono dello Spirito», custodito dalla fede e sempre «in tensione tra memoria della salvezza e speranza». È stata tutta incentrata sulla gioia come autentico «respiro del cristiano» l’omelia pronunciata da Papa Francesco durante la messa di lunedì 28 maggio a Santa Marta.
Prendendo spunto dal passo evangelico di Marco (10, 17-27), il Pontefice fatto notare che «questo giovane che voleva andare avanti nella vita del servizio di Dio, che aveva sempre vissuto secondo i comandamenti e anche che è stato capace di attirare a sé l’amore di Gesù, quando sentì la condizione che Gesù gli dà “si fece oscuro in volto e se ne andò rattristato”». In pratica «è uscito dal cuore l’atteggiamento, l’atteggiamento, le radici della sua personalità». Come a dire: «Sì, io voglio seguire il Signore, andare col Signore, ma le ricchezze non toccarle». Perché, ha insistito il Papa, quel giovane «era imprigionato nelle ricchezze, non era libero e per questo se ne andò triste».
«Invece nella prima lettura san Pietro ci parla della gioia, non della tristezza ma della gioia cristiana» ha proseguito il Pontefice, ricordando il brano tratto dalla prima lettera dell’apostolo (1, 3-9). «Questo giovane se ne è andato triste perché non era libero, era schiavo» ha spiegato. E «san Pietro ci dice: “siate ricolmi di gioia”, esultate di gioia». È «forte» l’espressione di Pietro: «Ricolmi di gioia, esultare di gioia».
Ma «cosa è la gioia?» si è chiesto Francesco, riferendosi a quella gioia «che Pietro ci chiede di avere e che il giovane non ha potuto avere perché era prigioniero di altri interessi». Il Papa ha definito «la gioia cristiana» come «il respiro del cristiano». Perché «un cristiano che non è gioioso nel cuore — ha affermato — non è un buon cristiano».
La gioia dunque, ha affermato il Pontefice, «è il respiro, il modo di esprimersi del cristiano». Del resto, ha fatto notare, la gioia «non è una cosa che si compra o io la faccio con lo sforzo: no, è un frutto dello Spirito Santo». Perché, ha ricordato, a causare «la gioia nel cuore è lo Spirito Santo». C’è «la gioia cristiana se noi siamo in tensione fra il ricordo — la memoria di essere rigenerati, come dice san Pietro, che ci ha salvato Gesù — e la speranza di quello che ci aspetta». E «quando una persona è in questa tensione, è gioiosa».
Ma, ha avvertito il Papa, «se noi dimentichiamo quello che ha fatto il Signore per noi, dare la vita, rigenerarci — è forte la parola, “rigenerarci”, una nuova creazione come dice la liturgia — e se noi non guardiamo a quello che ci aspetta, l’incontro con Gesù Cristo, se noi non abbiamo memoria, non abbiamo speranza, non possiamo avere gioia». Magari «abbiamo sì sorrisi, sì, ma la gioia no».
Oltretutto, ha rilanciato Francesco, «non si può vivere cristianamente senza gioia, almeno nel suo primo grado che è la pace». Infatti «il primo scalino della gioia è la pace: sì, quando vengono le prove, come dice san Pietro, uno soffre; ma scende e trova la pace e quella pace non può toglierla nessuno». Ecco perché «il cristiano è un uomo, una donna di gioia, un uomo, una donna di consolazione: sa vivere in consolazione, la consolazione della memoria di essere rigenerato e la consolazione della speranza che ci aspetta». Proprio «questi due fanno quella gioia cristiana e l’atteggiamento».
«La gioia non è vivere di risata in risata, no, non è quello» ha messo in guardia il Pontefice. E «la gioia — ha aggiunto — non è essere divertente, no, non è quello, è un’altra cosa». Perché «la gioia cristiana è la pace, la pace che c’è nelle radici, la pace del cuore, la pace che soltanto Dio ci può dare: questa è la gioia cristiana». Il Papa ha fatto presente che «non è facile custodire questa gioia». E «l’apostolo Pietro dice che è la fede che la custodisce: io credo che Dio mi ha rigenerato, credo che mi darà quel premio». Proprio «questa è la fede e con questa fede si custodisce la gioia, si custodisce la consolazione». Dunque «la gioia, la consolazione, ma soltanto è la fede a custodirla».
«Noi — ha riconosciuto il Papa — viviamo in una cultura non gioiosa, una cultura dove si inventano tante cose per divertirci, spassarsela; ci offrono dappertutto pezzettini di dolce vita». Ma «questa non è la gioia — ha spiegato — perché la gioia non è una cosa che si compra nel mercato: è un dono dello Spirito».
In questa prospettiva Francesco ha suggerito di guardare dentro se stessi, domandandosi: «Com’è il mio cuore? È pacifico, è gioioso, è in consolazione?». Di più, ha rilanciato il Pontefice, «anche nel momento del turbamento, nel momento della prova, quel mio cuore è un cuore non inquieto bene, con quella inquietudine che non è buona: c’è un’inquietudine buona ma ce n’è un’altra che non è buona, quella di cercare le sicurezze dappertutto, quella di cercare il piacere dappertutto». Come «il giovane del Vangelo: aveva paura che se lasciava le ricchezze non sarebbe stato felice».
Perciò «la gioia, la consolazione» sono «il nostro respiro di cristiani». E così, ha suggerito Francesco, «chiediamo allo Spirito Santo che ci dia sempre questa pace interiore, quella gioia che nasce dal ricordo della nostra salvezza, della nostra rigenerazione e dalla speranza di quello che ci aspetta». Perché «soltanto così si può dire “sono cristiano”». Infatti non ci può essere «un cristiano oscuro, rattristato, come questo giovane che “a queste parole si fece oscuro in volto, se ne andò rattristato”». Di certo «non era cristiano: voleva essere vicino a Gesù ma ha scelto la propria sicurezza, non quella che dà Gesù».
Per questo, ha concluso il Papa, «chiediamo allo Spirito Santo che ci dia gioia, che ci dia la consolazione, almeno nel primo grado: la pace». Consapevoli che «essere uomo e donna di gioia significa essere uomo e donna di pace, significa essere uomo e donna di consolazione: che lo Spirito Santo ci dia questo».
[Papa Francesco, omelia s. Marta, in L’Osservatore Romano 29/05/2018]
Senza paura
Paura e tristezza fanno ammalare le persone e anche la Chiesa, perché paralizzano, rendono egocentrici e finiscono per viziare l’aria delle comunità che sulla porta espongono il cartello «vietato» perché hanno paura di tutto. È invece la gioia, che nel dolore arriva a essere pace, l’atteggiamento coraggioso del cristiano, sostenuto dal timor di Dio e dallo Spirito Santo. È quanto ha detto il Papa nella messa celebrata, venerdì 15 maggio, nella cappella della Casa Santa Marta.
Nella liturgia della parola, ha fatto subito notare Francesco commentando le letture del giorno, «ci sono due parole forti che la Chiesa ci fa meditare: paura e gioia». E così — si legge negli Atti degli apostoli (18, 9-18) — il Signore dice a Paolo: «Non aver paura; continua a parlare».
«La paura — ha spiegato il Papa — è un atteggiamento che ci fa male, ci indebolisce, ci rimpiccolisce, ci paralizza anche». Tanto che «una persona sotto paura non fa nulla, non sa cosa fare: è timorosa, paurosa, concentrata su se stessa affinché non le succeda qualcosa di male, di brutto». Dunque «la paura porta a un egocentrismo egoistico e paralizza». Proprio «per questo Gesù dice a Paolo: non aver paura, continua a parlare».
La paura, infatti, «non è un atteggiamento cristiano», ma «è un atteggiamento, possiamo dire, di un’anima incarcerata, senza libertà, che non ha libertà di guardare avanti, di creare qualcosa, di fare del bene». E così chi ha paura continua a ripetere: «No, c’è questo pericolo, c’è quell’altro, quell’altro», e così via. «Che peccato, la paura fa male!» ha commentato ancora Francesco.
La paura, però, «va distinta dal timore di Dio, con la quale non ha nulla a che vedere». Il timore di Dio, ha affermato il Pontefice, «è santo, è il timore dell’adorazione davanti al Signore e il timore di Dio è una virtù». Esso, infatti, «non rimpiccolisce, non indebolisce, non paralizza»; al contrario, «porta avanti verso la missione che il Signore dà». E in proposito il Pontefice ha aggiunto: «Il Signore, nel capitolo 18 del Vangelo di Luca, parla di un giudice che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno, e faceva quello che voleva». Questo «è un peccato: la mancanza di timore di Dio e anche l’autosufficienza». Perché «distoglie dal rapporto con Dio e anche dall’adorazione».
Perciò, ha detto Francesco, «una cosa è il timore di Dio, che è buono; ma un’altra cosa è la paura». E «un cristiano pauroso è poca cosa: è una persona che non ha capito quale sia il messaggio di Gesù».
L’«altra parola» proposta dalla liturgia, «dopo l’Ascensione del Signore», è «gioia». Nel passo del Vangelo di Giovanni (16, 20-23), «il Signore parla del passaggio dalla tristezza alla gioia», preparando i discepoli «al momento della passione: “Voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia”». Gesù suggerisce «l’esempio della donna nel momento del parto, che ha tanto dolore ma dopo, nato il bambino, si dimentica del dolore» per lasciare spazio alla gioia. «E nessuno potrà togliervi la vostra gioia» assicura dunque il Signore.
Ma «la gioia cristiana — ha avvertito il Papa — non è un semplice divertimento, non è un’allegria passeggera». Piuttosto, «la gioia cristiana è un dono dello Spirito Santo: è avere il cuore sempre gioioso perché il Signore ha vinto, il Signore regna, il Signore è alla destra del Padre, il Signore ha guardato me e mi ha inviato e mi ha dato la sua grazia e mi ha fatto figlio del Padre». Ecco cosa è davvero «la gioia cristiana».
Un cristiano, perciò, «vive nella gioia». Ma, si è chiesto Francesco, «dov’è questa gioia nei momenti più tristi, nei momenti del dolore? Pensiamo a Gesù sulla Croce: aveva gioia? Eh no! Ma sì, aveva pace!». Infatti, ha spiegato il Papa, «la gioia, nel momento del dolore, della prova, diviene pace». Invece «un divertimento nel momento del dolore diviene oscurità, diviene buio».
Ecco perché «un cristiano senza gioia non è cristiano; un cristiano che vive continuamente nella tristezza non è cristiano». A «un cristiano che perde la pace, nel momento delle prove, delle malattie, di tante difficoltà, manca qualcosa».
Francesco ha invitato a «non avere paura e avere gioia», spiegando: «Non avere paura è chiedere la grazia del coraggio, il coraggio dello Spirito Santo; e avere gioia è chiedere il dono dello Spirito Santo, anche nei momenti più difficili, con quella pace che il Signore ci dà».
È ciò che «accade nei cristiani, accade nelle comunità, nella Chiesa intera, nelle parrocchie, in tante comunità cristiane». Infatti «ci sono comunità paurose, che vanno sempre sul sicuro: “No, no, non facciamo questo... No, no, questo non si può, questo non si può”». A tal punto che «sembra che sulla porta d’entrata abbiano scritto “vietato”: tutto è vietato per paura». Così «quando si entra in quella comunità l’aria è viziata, perché la comunità è malata: la paura ammala una comunità; la mancanza di coraggio ammala una comunità».
Ma «anche una comunità senza gioia è una comunità ammalata, perché quando non c’è la gioia c’è il vuoto. No, anzi: c’è il divertimento». E così, in fin dei conti, «sarà una bella comunità divertente, ma mondana, ammalata di mondanità perché non ha la gioia di Gesù Cristo». E «un effetto, fra gli altri, della mondanità — ha messo in guardia il Pontefice — è quello di sparlare degli altri». Dunque, «quando la Chiesa è paurosa e quando la Chiesa non riceve la gioia dello Spirito Santo, la Chiesa si ammala, le comunità si ammalano, i fedeli si ammalano».
Nella preghiera all’inizio della messa, ha ricordato il Papa, «abbiamo chiesto al Signore la grazia di innalzarci verso il Cristo seduto alla destra del Padre». Proprio «la contemplazione del Cristo seduto alla destra del Padre — ha affermato — ci darà il coraggio, ci darà la gioia, ci toglierà la paura e ci aiuterà anche a non cadere in una vita superficiale e divertente».
«Con questa intenzione di innalzare il nostro spirito verso Cristo seduto alla destra del Padre — ha concluso Francesco — continuiamo la nostra celebrazione, chiedendo al Signore: innalza il nostro spirito, toglici ogni paura e dacci la gioia e la pace».
[Papa Francesco, omelia s. Marta 15 maggio 2015; (da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.109, 16/05/2015)]
(Gv 16,12-15)
«Riceverà dal Mio e vi annunzierà [...] riceve dal Mio e vi annunzierà» (vv.14-15).
L’insegnamento impartito da Gesù con la sua vita non fu incompleto, ma un germe che tracciava opzioni fondamentali, linee guida.
L’insufficienza magisteriale nelle casistiche di dettaglio è significativa. Cristo non è un modello ingessato e morto, bensì Motivo e Motore.
E Dio non è un predittore di futuro, né un rassicuratore - bensì Presenza vitale. Anche quando nelle vicende avverse sembra mancare l’aria.
Infatti, nel giusto tempo le crisi si trasformano nell’abbecedario dell’amore; in opportunità per vivere bisogni e relazioni in modo diverso - anche paradossale, per un cambiamento genuino; da dentro, naturale.
In tal guisa e in quello spirito, i discepoli iniziarono un percorso di comprensione dei fatti della Pasqua, scoprendo passo passo che la vicenda del Cristo avrebbe abbracciato tutti i segreti di Dio.
Insomma, le prime fraternità constatavano le cose “straordinarie” della sequela vivente e della ‘guida interiore’.
Vivendo l’insegnamento del Maestro nelle più svariate circostanze [favorevoli e gioiose, o tristi e in perdita] Egli si rendeva Vicino nell’anima; e si manifestava, prendendo il passo dei fratelli.
Una diversa Luce - non più neutra, omologata, qualsiasi - animava la vita dei fedeli e la loro convivenza.
Sperimentavano una nuova Nascita, come un’incessante Creazione.
Dal cuore dei credenti nel Figlio dell’uomo - anche quelli prima malmessi - sgorgava una Fonte inedita di conciliazione e armonia degli opposti.
Affiorava una Sapienza delle cose sconosciuta al mondo dell’impero e altre credenze.
Lo Spirito del Risorto consentiva di comprendere la fecondità critica della Croce [«il peso»: v.12], così dilatava le soluzioni e gli orientamenti della vita convenzionale competitiva.
Ovvio che si registrassero cadute, per naturali condizioni di precarietà, e per il fatto che non era immediato capire la logica del Crocifisso.
Ma l’Azione dello Spirito della «Verità» [Fedeltà di Dio] illuminava, guidava e stimolava a interpretare più a fondo il Verbo del Signore: non un deposito di affermazioni cristallizzate.
I figli scoprivano che quel Richiamo era vivente, inesauribile nei suoi significati e nella possibilità d’intendere le cose.
Verità sull’Eterno e sull’umanità, gravida d’implicazioni esistenziali.
I rinati dall’acqua e dallo Spirito iniziavano a percepirla come ‘forza’ di eventi, potenza reale e travolgente.
La sua intelligenza si arricchiva nella storia, attraverso vicende di assemblea, esperienze, dialoghi, riflessioni.
Lo Spirito del Cristo piagato e Vivo interiorizzava quell’Appello che rinnovava donne e uomini, e i loro rapporti.
Persone che neppure avevano stima di sé venivano rimesse in piedi. Il profittatore diventava giusto, il dubbioso più sicuro; l’infelice riprendeva a sperare.
Tutti nell’aiuto reciproco si rendevano conto di poter vivere felicemente.
L’assistenza dello Spirito divino totale e mistico, anche oggi guida nell’accesso e pienezza di sfaccettature della Verità; ed è stimolo a una comprensione innovativa, democratica, poliedrica, personale.
Bando all’insicurezza.
Possiamo essere ancora nella franchezza più acuta, energetica e contemplativa; in una fedeltà di lettura-interpretazione integrale dei Vangeli che rifugge da ogni accomodamento (vv.14-15).
[Mercoledì 6.a sett. di Pasqua, 28 maggio 2025]
(Gv 16,12-15)
«Riceverà dal Mio e vi annunzierà [...] riceve dal Mio e vi annunzierà» (vv.14-15).
L’insegnamento impartito da Gesù con la sua vita non fu incompleto, ma un germe che tracciava opzioni fondamentali, linee guida.
L’insufficienza magisteriale nelle casistiche di dettaglio è significativa. Cristo non è un modello ingessato e morto, bensì un Motivo e Motore.
E Dio non è un predittore di futuro, né un rassicuratore - bensì Presenza vitale. Anche quando nelle vicende avverse sembra mancare l’aria.
Sebbene limitata nello spazio e nel tempo, la sua vicenda e Parola fa ancora germinare le linee portanti di un mondo alternativo, empatico persino nel dramma dei momenti no.
La Verità completa del Signore (compreso il senso della sua morte) non riguarda quantità - il numero di verità, le prescrizioni: è in fieri.
‘Verità’: essa stessa chiede di venire approfondita, intensificata, resa qualitativa, totalizzante.
Gli Scritti del Nuovo Testamento attestano l’azione dello Spirito, che a partire da situazioni comunitarie arcaiche (Mc) affina e svela in modo crescente il senso di quel che “deve venire” (v.13).
Nella sequela personale ed ecclesiale anche extra moenia - si tratta da parte nostra della possibilità d’un sempre più acuto intendimento.
Non siamo depositari di un’attitudine alla divinazione - beninteso - bensì al discernimento [ora in grado di valorizzare perfino le deviazioni].
Ci è trasmessa una facoltà di cogliere il genio del tempo, pure nello squilibrio e nello sradicamento.
Ciò in relazione alla capacità dei discepoli di corrispondere alla vocazione che accoglie il nuovo: una lenta glorificazione paradossale; anche per loro, ‘via d’innalzamento’.
La penetrazione del Mistero e della storia della salvezza che ha avuto il suo apice e fonte germinale in Gesù di Nazaret, acquista vieppiù chiarezza sorprendente; nuovi modi di essere.
Scopriamo nella Fede che la nostra vita può allargare l’orizzonte. Essa non è portata avanti in funzione di Dio, come nelle religioni arcaiche, che ingabbiano… bensì il viceversa.
Cristo parla non di nuove verità, bensì di ‘verità completa’: in particolare riguardante il volto del Cielo dentro; il profilo della donna e dell’uomo integrali e autentici; il carattere della nuova società.
Uno dei modi in cui i primi cristiani sperimentavano la presenza del Santo Spirito fu la profezia, resa feconda da fatti anche spiacevoli che obbligavano incessantemente all’esodo, al trasloco, a girare lo sguardo - così vincendo la paura di crescere.
Si doveva permanere… solo nella franchezza individuale o ecclesiale.
Se qualcuno si doveva “isolare” dalla mentalità comune, era per ritrovare le radici profonde, interrompere i comportamenti artificiosi pronti al baratto dei valori.
Man mano i fratelli di comunità facevano esperienza della profondità e dimensione totale dell’insegnamento ricevuto.
Anche le persecuzioni e le “croci” non venivano debellate in modo precipitoso.
Nel giusto tempo, le crisi infatti si trasformavano nell’abbecedario dell’amore; in opportunità per vivere bisogni e relazioni in modo diverso - anche paradossale, per un cambiamento genuino; da dentro, naturale.
In tale ottica, ogni evento era sempre meglio compreso, interiorizzato, assimilato e fatto proprio come chiamata storica del Dio che si rivela.
Negli accadimenti dei primi tempi, ecco svelarsi tutte le situazioni in cui si troverà la Chiesa di sempre.
In tal guisa e in quello spirito i discepoli iniziarono un percorso di comprensione dei fatti della Pasqua.
Gli intimi del Signore scoprivano passo passo che la vicenda del Cristo avrebbe abbracciato tutti i segreti di Dio.
Insomma, le prime fraternità constatavano le cose “straordinarie” della sequela vivente e della ‘guida interiore’.
Vivendo l’insegnamento del Maestro nelle più svariate circostanze [favorevoli e gioiose, o tristi e in perdita] Egli si rendeva Vicino nell’anima; e si manifestava, prendendo il passo dei fratelli.
Una diversa Luce - non più neutra, omologata, qualsiasi - animava la vita dei fedeli e la loro convivenza.
Essi sperimentavano una nuova Nascita, come un’incessante Creazione.
Dal cuore dei credenti nel Figlio dell’uomo - anche quelli prima malmessi - sgorgava una Fonte inedita di conciliazione e armonia degli opposti.
Affiorava una Sapienza delle cose sconosciuta al mondo dell’impero e altre credenze.
Lo Spirito del Risorto consentiva di comprendere la fecondità critica della Croce [«il peso»: v.12], così dilatava le soluzioni e gli orientamenti della vita convenzionale competitiva.
Ovvio che si registrassero cadute, per naturali condizioni di precarietà, e per il fatto che non era immediato capire la logica del Crocifisso.
Ma l’Azione dello Spirito della «Verità» [Fedeltà di Dio] illuminava, guidava e stimolava a interpretare più a fondo il Verbo del Signore: non un deposito di affermazioni cristallizzate.
I figli scoprivano che quel Richiamo era vivente, inesauribile nei suoi significati e nella possibilità d’intendere le cose.
Verità sull’Eterno e sull’umanità, gravida d’implicazioni esistenziali.
I rinati dall’acqua e dallo Spirito iniziavano a percepirla come forza di eventi, potenza reale e travolgente.
La sua intelligenza si arricchiva nella storia, attraverso vicende di assemblea, esperienze, dialoghi, riflessioni.
Lo Spirito del Cristo piagato e Vivo interiorizzava quell’Appello che rinnovava donne e uomini, e i loro rapporti.
Persone che neppure avevano stima di sé venivano rimesse in piedi. Il profittatore diventava giusto, il dubbioso più sicuro; l’infelice riprendeva a sperare.
Tutti nell’aiuto reciproco si rendevano conto di poter vivere felicemente.
L’assistenza dello Spirito divino totale e mistico, anche oggi guida nell’accesso e pienezza di sfaccettature della Verità; ed è stimolo a una comprensione innovativa, democratica, poliedrica, personale.
Bando all’insicurezza.
Possiamo essere ancora nella franchezza più acuta, energetica e contemplativa; in una fedeltà di lettura-interpretazione integrale dei Vangeli che rifugge da ogni accomodamento (vv.14-15).
Qui Gesù, parlando dello Spirito Santo, ci spiega che cos’è la Chiesa e come essa debba vivere per essere se stessa, per essere il luogo dell’unità e della comunione nella Verità; ci dice che agire da cristiani significa non essere chiusi nel proprio «io», ma orientarsi verso il tutto; significa accogliere in se stessi la Chiesa tutta intera o, ancora meglio, lasciare interiormente che essa ci accolga. Allora, quando io parlo, penso, agisco come cristiano, non lo faccio chiudendomi nel mio io, ma lo faccio sempre nel tutto e a partire dal tutto: così lo Spirito Santo, Spirito di unità e di verità, può continuare a risuonare nei nostri cuori e nelle menti degli uomini e spingerli ad incontrarsi e ad accogliersi a vicenda. Lo Spirito, proprio per il fatto che agisce così, ci introduce in tutta la verità, che è Gesù, ci guida nell’approfondirla, nel comprenderla: noi non cresciamo nella conoscenza chiudendoci nel nostro io, ma solo diventando capaci di ascoltare e di condividere, solo nel «noi» della Chiesa, con un atteggiamento di profonda umiltà interiore. E così diventa più chiaro perché Babele è Babele e la Pentecoste è la Pentecoste. Dove gli uomini vogliono farsi Dio, possono solo mettersi l’uno contro l’altro. Dove invece si pongono nella verità del Signore, si aprono all’azione del suo Spirito che li sostiene e li unisce.
[Papa Benedetto, omelia 27 maggio 2012]
1. Abbiamo più volte citato le parole di Gesù, che nel discorso d’addio rivolto agli apostoli nel Cenacolo promette la venuta dello Spirito Santo come nuovo e definitivo difensore e consolatore: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce” (Gv 14, 16-17). Quel “discorso d’addio”, situato nel racconto solenne dell’ultima Cena (cf. Gv 13, 2), è una fonte di prima importanza per la pneumatologia, ossia per la disciplina teologica concernente lo Spirito Santo. Gesù parla di lui come del Paraclito, che “procede” dal Padre, e che il Padre “manderà” agli apostoli e alla Chiesa “nel nome del Figlio”, quando il Figlio stesso “andrà via”, “a prezzo” della dipartita compiuta mediante il sacrificio della Croce.
Dobbiamo prendere in considerazione il fatto che Gesù chiama il Paraclito lo “Spirito di Verità”. Anche in altri momenti lo ha chiamato così (cf. Gv 15, 26; Gv 16, 13).
2. Teniamo presente che nello stesso “discorso d’addio” Gesù, rispondendo a una domanda dell’apostolo Tommaso circa la sua identità, asserisce di se stesso: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14, 6). Da questo duplice riferimento alla verità che Gesù fa per definire sia se stesso che lo Spirito Santo, si deduce che, se il Paraclito viene da lui chiamato “Spirito di verità”, ciò significa che lo Spirito Santo è colui che, dopo la dipartita di Cristo, manterrà tra i discepoli la stessa verità, che egli ha annunziato e rivelato ed, anzi, che egli stesso è. Il Paraclito, infatti, è la verità, come lo è Cristo. Lo dirà Giovanni nella sua prima lettera: “È lo Spirito Santo che rende testimonianza, perché lo Spirito è la verità” (Gv 5, 6). Nella stessa lettera l’Apostolo scrive pure: “Noi siamo da Dio. Chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci ascolta. Da ciò noi distinguiamo lo spirito della verità e lo spirito dell’errore (“spiritus erroris”)” (Gv 4, 6). La missione del Figlio e quella dello Spirito Santo si incontrano, sono connesse e si completano reciprocamente nell’affermazione della verità e nella vittoria sull’errore. I campi d’azione in cui essi operano sono lo spirito umano e la storia del mondo. La distinzione tra la verità e l’errore è il primo momento di tale opera.
3. Rimanere nella verità e operare nella verità è il problema essenziale per gli apostoli e per i discepoli di Cristo, sia dei primi tempi come di tutte le nuove generazioni della Chiesa nei secoli. Da questo punto di vista l’annuncio dello Spirito di verità ha un’importanza chiave. Gesù dice nel Cenacolo: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento (ancora) non siete capaci di portarne il peso” (Gv 16, 12). Veramente la missione messianica di Gesù durò poco, troppo poco per svelare ai discepoli tutti i contenuti della Rivelazione. E non solo fu breve il tempo a disposizione, ma risultarono anche limitate la preparazione e l’intelligenza degli ascoltatori. Più volte è detto che gli apostoli stessi “si stupivano dentro di loro” (cf. Mc 6, 52), e “non capivano” (cf. es gr Mc 8, 21), oppure capivano in modo distorto le parole e le opere di Cristo (cf. es gr Mt 16, 6-11).
Così si spiegano in tutta la pienezza del loro significato le parole del Maestro: “Quando . . . verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera” (Gv 16, 13).
4. La prima conferma di questa promessa di Gesù si avrà nella Pentecoste e nei giorni successivi, come attestano gli Atti degli Apostoli. Ma la promessa non riguarda soltanto gli apostoli e gli immediati loro compagni nell’evangelizzazione, ma anche le future generazioni di discepoli e di confessori di Cristo. Il Vangelo infatti è destinato a tutte le nazioni e alle generazioni sempre nuove, che si svilupperanno nel contesto delle diverse culture e del molteplice progresso della civiltà umana. Con lo sguardo su tutto il raggio della storia Gesù dice: “Lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza”. “Renderà testimonianza”, ossia mostrerà il vero senso del Vangelo all’interno della Chiesa, perché essa lo annunci in modo autentico al mondo intero. Sempre e in ogni luogo, pur nell’interminabile vicenda delle cose che mutano sviluppandosi nella vita della umanità, lo “Spirito di verità” guiderà la Chiesa “alla verità tutta intera” (Gv 16, 13).
5. Il rapporto tra la Rivelazione comunicata dallo Spirito Santo e quella di Gesù è molto stretto. Non si tratta di una Rivelazione diversa, eterogenea. Lo si può arguire da un particolare del linguaggio usato da Gesù nella sua promessa: “Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26). Il ricordare è la funzione della memoria. Ricordando, si ritorna a ciò che è già stato, a ciò che è stato detto e compiuto, rinnovando così nella coscienza le cose passate, e quasi facendole rivivere. Trattandosi specialmente dello Spirito Santo, Spirito di una verità carica della potenza divina, la sua missione non si esaurisce nel ricordare il passato come tale: “ricordando” le parole, le opere e tutto il mistero salvifico di Cristo, lo Spirito di verità lo rende continuamente presente nella Chiesa, fa sì che rivesta un’“attualità” sempre nuova nella comunità della salvezza. Grazie all’azione dello Spirito Santo, la Chiesa non solo ricorda la verità, ma permane e vive nella verità ricevuta dal suo Signore. Anche in questo modo si compiono le parole di Cristo: “Egli (lo Spirito Santo) mi renderà testimonianza” (Gv 15, 26). Questa testimonianza dello Spirito di verità si identifica così con la presenza del Cristo sempre vivo, con la forza operatrice del Vangelo, con l’attuazione crescente della Redenzione, con una continua illustrazione di verità e di virtù. In questo modo lo Spirito Santo “guida”, la Chiesa “alla verità tutta intera”.
6. Tale verità è presente, almeno in modo implicito, nel Vangelo. Ciò che lo Spirito Santo rivelerà è già stato detto da Cristo. Lo rivela egli stesso quando, parlando dello Spirito Santo, sottolinea che “non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito . . . Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà” (Gv 16, 13-14). Il Cristo, glorificato dallo Spirito di verità, è prima di tutto quello stesso Cristo crocifisso, spogliato di tutto e quasi “annientato” nella sua umanità per la redenzione del mondo. Proprio per opera dello Spirito Santo la “parola della Croce” doveva essere accettata dai discepoli, ai quali il Maestro stesso aveva detto: “Per il momento (ancora) non siete capaci di portarne il peso” (Gv 16, 12). Si parava, davanti a quei poveri uomini, lo schermo della Croce. Occorreva un’azione in profondità per rendere le loro menti e i loro cuori capaci di scoprire la “gloria della redenzione”, che si era compiuta proprio nella Croce. Era necessario un intervento divino per convincere e trasformare interiormente ognuno di loro, in preparazione, anzitutto, al giorno della Pentecoste, e, poi, alla missione apostolica del mondo. E Gesù li avverte che lo Spirito Santo “mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annunzierà”. Solo lo Spirito che, secondo san Paolo (1 Cor 2, 10), “scruta le profondità di Dio”, conosce il mistero del Figlio-Verbo nella sua relazione filiale col Padre e nella sua relazione redentrice con gli uomini di tutti i tempi. Lui solo, lo Spirito di verità, può aprire le menti e i cuori umani rendendoli capaci di accettare l’inscrutabile mistero di Dio e del suo Figlio incarnato, crocifisso e risorto, Gesù Cristo Signore.
7. Dice ancora Gesù: “Lo Spirito di verità . . . vi annunzierà le cose future” (Gv 16, 13). Che cosa significa questa proiezione profetica ed escatologica con cui Gesù colloca sotto il raggio dello Spirito Santo tutto l’avvenire della Chiesa, tutto il cammino storico che essa è chiamata a compiere nei secoli? Significa un andare incontro al Cristo glorioso, verso il quale essa è protesa nell’invocazione suscitata dallo Spirito: “Vieni, Signore Gesù!” (Ap 22, 17. 20). Lo Spirito Santo conduce la Chiesa verso un costante progresso nella comprensione della verità rivelata. Veglia sull’inseguimento di tale verità, sulla sua conservazione, sulla sua applicazione alle mutevoli situazioni storiche. Suscita e conduce lo sviluppo di tutto ciò che serve alla conoscenza e alla diffusione di questa verità: in particolare, l’esegesi della Sacra Scrittura e la ricerca teologica, che non si possono mai separare dalla direzione dello Spirito di verità né dal Magistero della Chiesa, in cui lo Spirito è sempre all’opera.
Tutto avviene nella fede e per la fede, sotto l’azione dello Spirito, come è detto nell’enciclica Dominum et Vivificantem: “Il Mysterium Christi nella sua globalità esige la fede, poiché è questa che introduce opportunamente l’uomo nella realtà del mistero rivelato. Il guidare alla verità tutta intera si realizza, dunque, nella fede e mediante la fede: il che è opera dello Spirito di verità ed è frutto della sua azione nell’uomo. Lo Spirito Santo deve essere in questo la suprema guida dell’uomo, la luce dello spirito umano. Ciò vale per gli apostoli, testimoni oculari, che devono ormai portare a tutti gli uomini l’annuncio di ciò che Cristo “fece ed insegnò” e, specialmente, della sua Croce, e della sua risurrezione. In una prospettiva più lontana, ciò vale anche per tutte le generazioni dei discepoli e dei confessori del Maestro, poiché dovranno accettare con fede e confessare con franchezza il mistero di Dio operante nella storia dell’uomo, il mistero rivelato che di tale storia spiega il senso definitivo” (Dominum et Vivificantem, 6).
In questo modo lo “Spirito di verità” continuamente annunzia le cose future; continuamente mostra all’umanità questo futuro di Dio, che è al di sopra e al di fuori di ogni futuro “temporale”: e così riempie di valore eterno il futuro del mondo. Così lo Spirito convince l’uomo, facendogli capire che, con tutto ciò che è, e ha, e fa, è chiamato da Dio in Cristo alla salvezza. Così il “Paraclito”, lo Spirito di verità, è il vero “Consolatore” dell’uomo. Così è il vero Difensore e Avvocato. Così è il vero Garante del Vangelo nella storia: sotto il suo influsso la buona Novella è sempre “la stessa” ed è sempre “nuova”; e in modo sempre nuovo illumina il cammino dell’uomo nella prospettiva del cielo con “parole di vita eterna” (Gv 6, 68).
[Papa Giovanni Paolo II, Udienza Generale 17 maggio 1989]
«I copti sgozzati perché cristiani» sono morti «con il nome di Gesù sulle labbra» perché avevano compreso fino in fondo «lo scandalo della croce». Ma «la strada martiriale» fa parte della vita quotidiana di ogni cristiano, anche nella famiglia, nella difesa dei diritti delle persone, nell’esperienza della malattia. Ed è lo Spirito Santo che aiuta a saper rendere testimonianza e ad accogliere «la verità tutta intera». Lo ha affermato Papa Francesco, nella messa celebrata lunedì 11 maggio nella cappella della casa Santa Marta, ricordando anche di aver telefonato, domenica, al patriarca copto Tawadros, in occasione del giorno dell’amicizia tra copti e cattolici, secondo anniversario dell’incontro che si svolse in Vaticano il 10 maggio 2013.
«Nella prima preghiera di oggi» all’inizio della messa, ha detto il Pontefice, «abbiamo chiesto la grazia di rendere sempre presente, in ogni momento, la fecondità della Pasqua». E infatti, ha spiegato, «la Pasqua è feconda» perché «è la vita che Gesù Cristo, il Signore, ci ha dato attraverso la sua croce e la sua risurrezione». Ma «come viene attuata questa fecondità?». La risposta, ha fatto notare Francesco, la troviamo proprio nel Vangelo di Giovanni (15, 26-16.4) proposto oggi dalla liturgia.
In pratica «il Signore prepara i suoi discepoli al futuro». E «c’è una parola che può sembrare un po’ strana: scandalizzare». Dice Gesù, secondo quanto riferisce Giovanni: «Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi». La questione da comprendere è: «di quale scandalo parla Gesù? Dello scandalo delle persecuzioni che avverranno, dello scandalo della croce?».
Il Signore «aggiunge una promessa» dicendo: «Quando verrà il Paraclito, lo Spirito della verità, egli darà testimonianza». E poi, «sempre nello stesso discorso», afferma ancora: «Io ho tante cose da dirvi, ma in questo momento voi non siete capaci di portarne il peso; ma quando verrà il Paraclito, lo Spirito di verità, egli vi guiderà a tutta la verità». Insomma, ha spiegato il Papa, Gesù «ci parla del futuro, della croce che ci aspetta e ci parla dello Spirito, che ci prepara a dare la testimonianza cristiana».
Del resto, ha proseguito Francesco, «in questi giorni la Chiesa ci fa riflettere tanto sullo Spirito Santo: Gesù dice che lo Spirito Santo che verrà, che lui invierà, ci guiderà alla verità piena, cioè ci insegnerà le cose che io ancora non ho insegnato, queste cose che lui — ha aggiunto il Papa citando il passo evangelico odierno — deve dire e delle quali loro, i discepoli, non sono ancora capaci di portare il peso». Inoltre il Signore afferma anche che «lo Spirito vi farà ricordare le cose che ho detto e che con la vita sono cadute nell’oblio». Ed ecco, ha spiegato Francesco, «quello che fa lo Spirito: ci fa ricordare le parole di Gesù e ci insegna le cose che ancora Gesù non ha potuto dirci, perché noi non eravamo capaci di comprenderne la portata».
«Così la vita della Chiesa è un cammino guidato dallo Spirito che ci ricorda e ci insegna, che ci porta alla verità tutta intera», ha sottolineato. E «questo Spirito, che è compagno di cammino, ci difende anche dallo scandalo della croce». San Paolo, parlando ai corinzi, dice: «Ma la Croce è una stoltezza, per quelli che vanno alla perdizione». Poi riprende e aggiunge: «I giudei chiedono segni». E «davvero quante volte nel Vangelo i giudei, i dottori della legge, hanno chiesto a Gesù» di dar loro «un segno». Da parte loro, «i greci, cioè i pagani, chiedono sapienza, idee nuove». Ma «noi predichiamo soltanto Cristo crocifisso, scandalo per voi — per gli ebrei — e stoltezza per i pagani».
La croce di Cristo, dunque, è lo scandalo. Per questo, ha chiarito il Papa, «Gesù prepara il cuore dei suoi discepoli con la promessa del Paraclito, per quello che avverrà loro». E dice: «Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi» della croce di Cristo. Giovanni riporta queste parole del Signore: «Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio». E noi oggi, ha constatato il Pontefice, «siamo testimoni di questi che uccidono i cristiani in nome di Dio perché sono miscredenti, secondo loro». Questa «è la croce di Cristo». Ecco l’attualità delle parole di Gesù nel Vangelo della liturgia del giorno: «Faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me». Gesù ricorda così che quanto è accaduto a lui, accadrà anche a noi: «le persecuzioni, le tribolazioni». Per questo non ci si deve scandalizzare, consapevoli che «sarà lo Spirito a guidarci e a farci capire».
«Ieri — ha quindi confidato Francesco — ho avuto la gioia di telefonare al patriarca copto Tawadros, perché era il giorno dell’amicizia copto-cattolica: abbiamo parlato di alcune cose». Ma, ha aggiunto, «io ricordavo i suoi fedeli, che sono stati sgozzati sulla spiaggia perché cristiani. Questi fedeli, per la forza che gli ha dato lo Spirito Santo, non si sono scandalizzati. Morivano col nome di Gesù sulle labbra. È la forza dello Spirito. La testimonianza. È vero, questo è proprio il martirio, la testimonianza suprema».
C’è anche, ha proseguito il Papa, «la testimonianza di ogni giorno, la testimonianza di rendere presente la fecondità della Pasqua — che abbiamo chiesto oggi all’inizio della messa — quella fecondità che ci dà lo Spirito Santo, che ci guida verso la verità piena, la verità intera, e ci fa ricordare quello che Gesù ci dice».
Perciò, ha rimarcato Francesco, «un cristiano che non prende sul serio questa dimensione “martiriale” della vita non ha capito ancora la strada che Gesù ci ha insegnato: strada “martiriale” di ogni giorno; strada “martiriale” nel difendere i diritti delle persone; strada “martiriale” nel difendere i figli: papà, mamma che difendono la loro famiglia; strada “martiriale” di tanti, tanti ammalati che soffrono per amore di Gesù. Tutti noi abbiamo la possibilità di portare avanti questa fecondità pasquale su questa strada “martiriale”, senza scandalizzarci».
Nel proseguire la celebrazione eucaristica — «memoriale di quella croce» nella quale «si rende presente la fecondità pasquale» — il Pontefice ha chiesto «al Signore la grazia di ricevere lo Spirito Santo che ci farà ricordare le cose di Gesù, che ci guiderà alla verità tutta intera e ci preparerà ogni giorno a rendere questa testimonianza, a dare questo piccolo martirio di ogni giorno o un grande martirio, secondo la volontà del Signore».
[Papa Francesco, omelia s. Marta, in L’Osservatore Romano 12/05/2015]
(Gv 16,5-11)
Anticamente non esistevano gli avvocati, e ci si doveva difendere da soli, trovando testimoni.
L’imputato poteva essere colpevole ma degno di perdono, o innocente eppure non in grado di mostrare prove.
In tali casi l’assoluzione veniva assicurata da una persona stimata del pubblico, che si alzava dall’assemblea e si poneva silenziosamente a fianco dell’accusato, garantendo per lui e così giustificandolo.
È l’azione dello Spirito, in Gv denominato ‘Paraclito’: «chiamato accanto».
Gesù è stato condannato dagli espertissimi maestri della religione ufficiale come squilibrato, eretico e imperdonabile peccatore.
Normale attendersi che nel medesimo modo venga giudicato anche chi rinuncia alla simulazione, e accoglie Cristo come Signore della propria vita.
Scommettendo tutto, presto sentirà sul vivo e nel profondo la propria identità di destino con Lui.
Ma in noi c’è una forza silenziosa di convinzione che armonizza persino le accuse, che ci libera dalle tensioni indotte dall’esterno.
Corrispondenza che riannoda i fili della trama vocazionale.
Sintonia che riporta l’anima al concerto interiore, per la missione; e fa ripartire anche dopo le fatiche di vessazioni idiote.
Tale potenza intima e amica non è legata all’ostinazione, ma all’ascolto di se stessi.
C’è un mondo interiore di ‘Presenza che apre le porte’.
Esso ha un segreto potere d’autorità, privo di sentenze o imposizioni, il quale sgancia l'anima dalla lotta incessante verso le avversità che si contrappongono.
E volentieri ci si affida a tale virtù silenziosa: della Vita indipendente, che affiora, e viene.
«Peccato» (vv.8-9) è infatti l’incapacità di accogliere la Chiamata a seguire il proprio Seme, il proprio Nucleo, la propria “voglia” che detesta il dirigismo altrui, gli sforzi, il chiasso.
Nocciolo che intreccia le sue radici nel terreno, poi nello spazio dintorno. E infallibilmente guida a realizzazione - nonché a corrispondere.
Così testimoniando l’irripetibile Chiamata personale.
Per Via, il discepolo autentico capirà che il Signore ha condonato il suo «peccato», ossia ha cancellato l’umiliazione delle distanze incolmabili [fra condizione creaturale e perfezione].
«Giustizia»: quella divina non è retributiva, perché distinguerebbe “il mio” da “il tuo”.
E di divisione in divisione, farebbe cadere nelle peggiori ingiustizie.
Il Padre agisce creando: «fa» Giustizia dov’essa non c’è.
Egli ci colloca in posizioni conformi all’essere e all’essenza. Pone rapporti debiti dove non esistono ancora.
Insomma, l’Amore permane squilibrato: sta sul versante irregolare del Dono gratuito, che non si tiene a bada.
Piuttosto, riscrive l’intera storia. Con molto di Eccessivo.
«Giudizio» che comunica il suo Spirito vitale (Gv 19,30) e annienta le accuse decretate dal «mondo» della convenienza.
Da dove? Dalla Croce.
Stesso punto dal quale chi è illuminato dallo Spirito che vince interessi e morte, cura e libera dalle pastoie.
Il credente sa stare con se stesso in modo diverso; senza censurarsi.
Rigenerandosi e sollevando la vita di tanti fratelli.
[Martedì 6.a sett. di Pasqua, 27 maggio 2025]
(Gv 16,5-11)
Anticamente non esistevano gli avvocati, e ci si doveva difendere da soli, trovando testimoni.
L’imputato poteva essere ad es. colpevole ma degno di perdono, o innocente eppure non in grado di mostrare prove.
In tali casi l’assoluzione veniva assicurata da una persona stimata del pubblico, che si alzava dall’assemblea e si poneva silenziosamente a fianco dell’accusato, garantendo per lui e così giustificandolo.
È l’azione dello Spirito, in Gv denominato Paraclito: «chiamato accanto».
Gesù è stato condannato dagli espertissimi maestri della religione ufficiale come squilibrato, eretico e imperdonabile peccatore.
Normale attendersi che nel medesimo modo venga giudicato anche chi rinuncia alla simulazione e accoglie Cristo come Signore della propria vita: sentirà sul vivo e nel profondo la propria identità di destino con Lui.
Ma in noi c’è una forza silenziosa di convinzione che armonizza persino le accuse, che ci libera dalle tensioni indotte dall’esterno.
Corrispondenza che riannoda i fili della trama vocazionale, che riporta l’anima al concerto interiore, per la missione; e fa ripartire anche dopo le fatiche di vessazioni idiote.
Tale potenza intima e amica non è legata all’ostinazione, ma all’ascolto di se stessi - fuori d’ogni parametro locale; culturale, sociale o religioso condizionante.
Tutto per il compito che ci spetta, e senza farci esaurire l’energia nitida, negli scontri diretti.
C’è un mondo interiore di Presenza che apre le porte.
Esso ha un potere segreto d’autorità (privo di sentenze o imposizioni) che sgancia l'anima dalla lotta incessante verso le avversità che si contrappongono.
E volentieri ci si affida a tale virtù silenziosa: della vita indipendente che affiora e viene.
«Peccato» (vv.8-9) è infatti l’incapacità di accogliere la Chiamata a seguire il proprio Seme, il proprio Nucleo, la propria “voglia” che detesta il dirigismo altrui, gli sforzi, il chiasso.
Nocciolo che intreccia le sue radici nel terreno, e infallibilmente guida a realizzazione - nonché a corrispondere.
Così testimoniando l’irripetibile Chiamata personale, Perla senza neppure cumulo di pene e ostinazioni.
Per Via il discepolo autentico capirà che il Signore ha condonato il suo «peccato», ossia ha cancellato l’umiliazione delle distanze incolmabili [fra condizione creaturale e perfezione].
Attributo quest’ultimo predicato dalla religiosità comune; tanto adultoide, accomodato, ipocrita e installato da impedire di farci diventare umani.
I peccatucci in senso moralistico [non teologico] sono altro.
«Giustizia»: quella divina non è retributiva, perché distinguerebbe il mio dal tuo. E di divisione in divisione farebbe cadere nelle peggiori ingiustizie.
Il Padre agisce creando: fa Giustizia dov’essa non c’è; colloca in posizioni conformi, pone rapporti debiti dove non esistono ancora.
Insomma, l’Amore permane squilibrato: sta sul versante irregolare del Dono gratuito, che non si tiene a bada.
Piuttosto, riscrive l’intera storia. Con molto di eccessivo.
Non è il mercimonio dei meriti: il tanto-quanto («mereor» è infatti radice di “meretricio”).
«Di là verrà a giudicare» - recita il Credo Apostolico: di là da dove? Il Giudizio divino non è quello banale e soppesato delle costumanze intimiste.
«Giudizio» in senso evangelico è l’invito attivo, personale e intimo di Gesù, che si dona completamente, sino all’ultima goccia di sangue; che comunica il suo Spirito vitale (Gv 19,30) e annienta le accuse decretate dal «mondo» della convenienza.
Da dove? Dalla Croce.
Stesso punto dal quale chi è illuminato dallo Spirito che vince interessi e morte, cura e libera dalle pastoie del «ne quid nimis» [nulla di troppo].
Il vero credente sa stare con se stesso in modo diverso. Rigenerando la vita di tanti fratelli.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Conosci l’errore del «mondo»?
Ti difendi da solo coi tuoi criteri o ti lasci scagionare?
Pensionati nell’animo, tristezza pagana
«O sei giovane di cuore, di anima, o non sei pienamente cristiano». L’omelia della messa celebrata da Papa Francesco a Santa Marta la mattina di martedì 28 maggio, è stata un vero e proprio inno alla vita, alla vitalità, alla «giovinezza dello Spirito», da contrapporre alla deriva stanca di tante persone “pensionate” nell’animo, abbattute dalle difficoltà e dalla tristezza perché «il peccato invecchia». Una ventata di gioia fondata sul «grande dono che ci ha lasciato Gesù»: lo Spirito Santo.
Punto di partenza della riflessione del Pontefice è stato il brano evangelico del giorno (Giovanni, 16, 5-11) che riportava uno stralcio del discorso di congedo agli apostoli durante l’ultima cena. In quell’occasione Gesù «dice tante cose», ma «il cuore di questo discorso è lo Spirito Santo». Il Signore, infatti, offre ai suoi amici una vera e propria «catechesi sullo Spirito Santo»: comincia col notare il loro stato d’animo — «Perché ho detto questo che me ne vado, la tristezza ha riempito il vostro cuore» — e «li rimprovera soavemente» perché, ha notato il Papa, «la tristezza non è un atteggiamento cristiano».
Il turbamento interiore degli apostoli — che, davanti al dramma di Gesù e all’incertezza sul futuro, «cominciano a capire il dramma della passione» — è accostabile alla realtà di ogni cristiano. A tale riguardo Francesco ha ricordato come nell’orazione colletta del giorno «abbiamo domandato
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al Signore che mantenga in noi la rinnovata giovinezza dello spirito», elevando così un’invocazione «contro la tristezza nella preghiera». È proprio questo, ha aggiunto, il punto: «Lo Spirito Santo fa che in noi ci sia sempre questa giovinezza, che si rinnova ogni giorno con la sua presenza».
Approfondendo tale concetto, il Pontefice ha ricordato: «Una grande santa ha detto che un santo triste è un triste santo; un cristiano triste è un triste cristiano: non va». Cosa significa? che «la tristezza non entra nel cuore del cristiano», perché egli «è giovane». Una giovinezza che si rinnova e che «gli fa portare sulle spalle tante prove, tante difficoltà». Cosa che — ha spiegato facendo riferimento alla prima lettura tratta dagli Atti degli apostoli (16, 22-34) — è accaduta, ad esempio, a Paolo e Sila che vennero fatti bastonare e incarcerare dai magistrati a Filippi. In quel frangente, ha detto il Papa, «entra lo Spirito Santo e rinnova tutto, fa tutto nuovo; anche fa giovane il carceriere».
Lo Spirito Santo, quindi, è colui «che ci accompagna nella vita, che ci sostiene». Come espresso dal nome che Gesù gli dà: «Paraclito». Un termine insolito, il cui significato spesso sfugge a molti. Su questo il Pontefice ha anche scherzato raccontando un breve aneddoto relativo a una messa da lui celebrata quando era parroco: «C’erano più meno 250-300 bambini, era una domenica di Pentecoste e quindi ho domandato loro: “Chi sa chi è lo Spirito Santo?”. E tutti: “Io, io, io!” – “Tu”: “Il paralitico”, mi ha detto. Lui aveva sentito “Paraclito” e non capiva cosa fosse» e così disse: «paralitico». Una buffa storpiatura che però, ha detto Francesco, rivela una realtà: «Tante volte noi pensiamo che lo Spirito Santo è un paralitico, che non fa nulla... E invece è quello che ci sostiene».
Infatti, ha spiegato il Pontefice, «la parola paraclito vuol dire “quello che è accanto a me per sostenermi” perché io non cada, perché io vada avanti, perché io conservi questa giovinezza dello Spirito». Ecco perché «il cristiano sempre è giovane: sempre. E quando incomincia a invecchiare il cuore del cristiano, incomincia a diminuire la sua vocazione di cristiano. O sei giovane di cuore, di anima o non sei pienamente cristiano».
Qualcuno potrebbe spaventarsi delle difficoltà e dire: «“Ma come posso...?”: c’è lo Spirito. Lo Spirito ti aiuterà in questa rinnovata giovinezza». Ciò non significa che manchino i dolori. Paolo e Sila, ad esempio, soffrirono molto per le bastonate ricevute: «dice il testo che il carceriere quando ha visto quel miracolo ha voluto convertirsi e li ha portati a casa sua e ha curato le loro ferite con olio... ferite brutte, forti...». Ma nonostante il dolore, essi «erano pieni di gioia, cantavano... Questa è la giovinezza. Una giovinezza che ti fa guardare sempre la speranza».
E come si ottiene questa giovinezza? «Ci vuole — ha detto il Papa — un dialogo quotidiano con lo Spirito Santo, che è sempre accanto a noi». È lo Spirito «il grande dono che ci ha lasciato Gesù: questo supporto, che ti fa andare avanti». E così, a chi dice: “Eh sì, Padre, è vero, ma lei sa, io sono un peccatore, ho tante, tante cose brutte nella mia vita e non riesco...», si può rispondere:
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«Va bene: guarda i tuoi peccati; ma guarda lo Spirito che è accanto a te e parla con lo Spirito: lui ti sarà il sostegno e ti ridarà la giovinezza». Perché, ha aggiunto, «tutti sappiamo che il peccato invecchia: invecchia. Invecchia l’anima, invecchia tutto. Invece lo Spirito ci aiuta a pentirci, a lasciare da parte il peccato e ad andare avanti con quella giovinezza».
Perciò Francesco ha esortato a lasciare da parte quella che ha definito la «tristezza pagana», spiegando: «Non dico che la vita sia un carnevale: no, quello non è vero. Nella vita ci sono delle croci, ci sono dei momenti difficili. Ma in questi momenti difficili si sente che lo Spirito ci aiuta ad andare avanti, come a Paolo e a Sila, e a superare le difficoltà. Anche il martirio. Perché c’è questa rinnovata giovinezza».
La conclusione dell’omelia è stata quindi un invito alla preghiera: «Chiediamo al Signore di non perdere questa rinnovata giovinezza, di non essere cristiani in pensione che hanno perso la gioia e non si lasciano portare avanti... Il cristiano non va mai in pensione; il cristiano vive, vive perché è giovane — quando è vero cristiano».
(Papa Francesco, omelia s. Marta; https://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2019/documents/papa-francesco-cotidie_20190528_santamarta.pdf)
Il Signore promette ai discepoli il Suo Spirito Santo […] Gesù ha detto tutto ai Suoi discepoli, essendo Egli stesso la Parola vivente di Dio, e Dio non può dare più di se stesso. In Gesù, Dio ci ha donato tutto se stesso - cioè - ci ha donato tutto. Oltre a questo, o accanto a questo, non può esserci nessun’altra rivelazione in grado di comunicare maggiormente o di completare, in qualche modo, la Rivelazione di Cristo. In Lui, nel Figlio, ci è stato detto tutto, ci è stato donato tutto. Ma la nostra capacità di comprendere è limitata; perciò la missione dello Spirito è di introdurre la Chiesa in modo sempre nuovo, di generazione in generazione, nella grandezza del mistero di Cristo. Lo Spirito non pone nulla di diverso e di nuovo accanto a Cristo; non c’è nessuna rivelazione pneumatica accanto a quella di Cristo - come alcuni credono - nessun secondo livello di Rivelazione. No: "prenderà del mio", dice Cristo nel Vangelo (Gv 16, 14). E come Cristo dice soltanto ciò che sente e riceve dal Padre, così lo Spirito Santo è interprete di Cristo. "Prenderà del mio". Non ci conduce in altri luoghi, lontani da Cristo, ma ci conduce sempre più dentro la luce di Cristo. Per questo, la Rivelazione cristiana è, allo stesso tempo, sempre antica e sempre nuova. Per questo, tutto ci è sempre e già donato. Allo stesso tempo, ogni generazione, nell’inesauribile incontro col Signore - incontro mediato dallo Spirito Santo - impara sempre qualcosa di nuovo.
[Papa Benedetto, omelia insediamento Cathedra Romana 7 maggio 2005]
John is the origin of our loftiest spirituality. Like him, ‘the silent ones' experience that mysterious exchange of hearts, pray for John's presence, and their hearts are set on fire (Athenagoras)
Giovanni è all'origine della nostra più alta spiritualità. Come lui, i ‘silenziosi’ conoscono quel misterioso scambio dei cuori, invocano la presenza di Giovanni e il loro cuore si infiamma (Atenagora)
This is to say that Jesus has put himself on the level of Peter, rather than Peter on Jesus' level! It is exactly this divine conformity that gives hope to the Disciple, who experienced the pain of infidelity. From here is born the trust that makes him able to follow [Christ] to the end: «This he said to show by what death he was to glorify God. And after this he said to him, "Follow me"» (Pope Benedict)
Verrebbe da dire che Gesù si è adeguato a Pietro, piuttosto che Pietro a Gesù! E’ proprio questo adeguamento divino a dare speranza al discepolo, che ha conosciuto la sofferenza dell’infedeltà. Da qui nasce la fiducia che lo rende capace della sequela fino alla fine: «Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: “Seguimi”» (Papa Benedetto)
Unity is not made with glue [...] The great prayer of Jesus is to «resemble» the Father (Pope Francis)
L’Unità non si fa con la colla […] La grande preghiera di Gesù» è quella di «assomigliare» al Padre (Papa Francesco)
Divisions among Christians, while they wound the Church, wound Christ; and divided, we cause a wound to Christ: the Church is indeed the body of which Christ is the Head (Pope Francis)
Le divisioni tra i cristiani, mentre feriscono la Chiesa, feriscono Cristo, e noi divisi provochiamo una ferita a Cristo: la Chiesa infatti è il corpo di cui Cristo è capo (Papa Francesco)
The glorification that Jesus asks for himself as High Priest, is the entry into full obedience to the Father, an obedience that leads to his fullest filial condition [Pope Benedict]
La glorificazione che Gesù chiede per se stesso, quale Sommo Sacerdote, è l'ingresso nella piena obbedienza al Padre, un'obbedienza che lo conduce alla sua più piena condizione filiale [Papa Benedetto]
All this helps us not to let our guard down before the depths of iniquity, before the mockery of the wicked. In these situations of weariness, the Lord says to us: “Have courage! I have overcome the world!” (Jn 16:33). The word of God gives us strength [Pope Francis]
Tutto questo aiuta a non farsi cadere le braccia davanti allo spessore dell’iniquità, davanti allo scherno dei malvagi. La parola del Signore per queste situazioni di stanchezza è: «Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). E questa parola ci darà forza [Papa Francesco]
The Ascension does not point to Jesus’ absence, but tells us that he is alive in our midst in a new way. He is no longer in a specific place in the world as he was before the Ascension. He is now in the lordship of God, present in every space and time, close to each one of us. In our life we are never alone (Pope Francis)
L’Ascensione non indica l’assenza di Gesù, ma ci dice che Egli è vivo in mezzo a noi in modo nuovo; non è più in un preciso posto del mondo come lo era prima dell’Ascensione; ora è nella signoria di Dio, presente in ogni spazio e tempo, vicino ad ognuno di noi. Nella nostra vita non siamo mai soli (Papa Francesco)
The Magnificat is the hymn of praise which rises from humanity redeemed by divine mercy, it rises from all the People of God; at the same time, it is a hymn that denounces the illusion of those who think they are lords of history and masters of their own destiny (Pope Benedict)
don Giuseppe Nespeca
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