Teresa Girolami è laureata in Materie letterarie e Teologia. Ha pubblicato vari testi, fra cui: "Pellegrinaggio del cuore" (Ed. Piemme); "I Fiammiferi di Maria - La Madre di Dio in prosa e poesia"; "Tenerezza Scalza - Natura di donna"; co-autrice di "Dialogo e Solstizio".
Nel brano evangelico di oggi Gesù afferma la sua intima relazione col Padre, evidenziando il dono di tale grandezza trasmessa.
Francesco aveva con il Signore un rapporto di speciale intimità.
La Vita ricevuta nella contemplazione, nell’Unione con Dio diveniva forza riversata sul prossimo in varie forme.
L’energia umilmente accolta nella preghiera era sinonimo di vita unitiva, che redime e trasforma.
Le Fonti ci offrono la possibilità di entrare nei sentieri di questa relazione speciale, propria di Cristo e trasmessa, per Grazia, ai suoi fratelli.
Scorrendo i documenti francescani leggiamo:
"E l’uomo di Dio, restandosene tutto solo e in pace, riempiva i boschi di gemiti, cospargeva la terra di lacrime, si percuoteva il petto e, quasi avesse trovato un più intimo santuario, discorreva col suo Signore.
Là rispondeva al Giudice, là supplicava il Padre, là dialogava con l’Amico.
Là pure, dai frati che piamente lo osservavano, fu udito interpellare con grida e gemiti la Bontà divina a favore dei peccatori: piangere, anche ad alta voce la passione del Signore, come se l’avesse davanti agli occhi.
Là, mentre pregava di notte, fu visto con le mani stese in forma di croce, sollevato da terra con tutto il corpo e circondato da una nuvoletta luminosa: luce meravigliosa diffusa intorno al suo corpo, che meravigliosamente testimoniava la luce risplendente nel suo spirito.
Là, inoltre, come testimoniano prove sicure, gli venivano svelati i misteri nascosti della sapienza divina, che egli, però, non divulgava all’esterno, se non nella misura in cui ve lo forzava la carità di Cristo e lo esigeva l’utilità del prossimo […]
Quando tornava dalle sue preghiere, che lo trasformavano quasi in un altro uomo, metteva la più grande attenzione per comportarsi in uniformità con gli altri, perché non avvenisse che il vento dell’applauso, a causa di quanto lui lasciava trapelare di fuori, lo privasse della ricompensa interiore" (FF 1180 - Leggenda maggiore).
Ai suoi frati raccomandò sopra ogni cosa l’intima relazione col Padre, come figli che ricevono ogni dono di vita da Lui e con cui operare in sintonia.
Infatti le Fonti illustrano:
"In quel tempo i frati gli chiesero con insistenza che insegnasse loro a pregare […] Ed egli rispose:
«Quando pregate, dite: Padre nostro!» e: «Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo»" (FF 399).
L’intima Unione col Padre li rendeva figli nel Figlio e, come Gesù operava ciò che vedeva fare dal Padre, così i frati alla scuola del Figlio operavano, sull’esempio di Francesco.
Ascoltando la Parola e credendo in Gesù divenivano latori di vita, animati dal Poverello.
«Il Figlio non può fare nulla da se stesso, se non ciò che vede fare il Padre; quelle cose infatti che fa, queste anche il Figlio fa ugualmente» (Gv 5,19)
Mercoledì 4a sett. Quaresima (Gv 5,17-30)
Gesù dà lezione con i fatti ai cultori del sabato.
Rispettare tale giorno era più importante della vita, della persona stessa, collocata in periferia, prona ai piedi delle sacre leggi.
La vita può attendere, per questi cultori farisaici; ma secondo Gesù non è così, e lo dimostra.
Anche per Francesco non era così!
L’uomo di Dio, fin dai primordi della sua chiamata, mise al primo posto la persona da salvare e per la quale Cristo è morto e risorto.
Quante volte, nella sua umiltà, si prostrò dinanzi ai suoi fratelli malati, poveri, onorandovi la Presenza divina del Signore!
Quanti ne guarì per quella Carità che lo infiammava e dirigeva nel cammino!
È impensabile un Francesco latore di novità e "schiavo" della legge. Profondamente obbediente, ma libero nella sua squisita coscienza di creatura, aveva a cuore la vita di tutti.
Nelle Fonti troviamo molti episodi in merito.
"Nella città di Narni, per l’insistenza del vescovo, benedisse un paralitico, privo dell’uso di tutte le membra, tracciandogli un segno di croce dalla testa ai piedi, e gli ridonò salute perfetta" (FF 1214).
"Nella città di Fano c’era un rattrappito, che aveva le tibie ulcerate, ripiegate all’indietro e appiccicate al corpo e talmente maleodoranti che nessuno si sentiva disposto ad accoglierlo in ospedale.
Egli implorò la misericordia del beatissimo padre Francesco, e poco dopo ebbe la gioia di vedersi completamente ristabilito" (FF 548).
Inoltre "Dimostrava una grande compassione per gli infermi e una tenera sollecitudine per le loro necessità […]
Mangiava perfino nei giorni di digiuno, perché gli infermi non provassero rossore, e non si vergognava nei luoghi pubblici della città di questuare carne per un frate ammalato" (FF 761).
La stessa Madre Chiara, mossa da tenera compassione verso le inferme, poneva al centro della sua attenzione le anime per le quali Cristo aveva versato il suo Sangue.
Infatti nella Regola:
«Quelle che sono inferme, potranno usare pagliericci e avere guanciali di piuma sotto il capo; e quelle che hanno bisogno di calze e di materasso di lana, ne possono usare […]» (FF 2799).
Quando era in ballo la salvezza dei fratelli e sorelle, Francesco e Chiara non si facevano problema di norma o di giorno.
La Carità era al di sopra di tutto: ventiquattro ore su ventiquattro.
Guardavano Gesù, Autore e Perfezionatore della Legge, cui Egli aveva dato compimento con l’Amore, senza il quale siamo solo cembali che tintinnano.
«Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato» (Gv 5,16)
Martedì 4a sett. Quaresima (Gv 5,1-16)
Gesù [che pure attribuisce ai segni un grande valore e li compie per condurre a credere, rivelando la sua gloria] rimprovera al funzionario del re la fede immatura, troppo abbarbicata ai miracoli.
Francesco la considerava il banco di prova della sua testimonianza, vedendo in essa il segreto del saper vivere le vicende umane - una volta che si viene ‘istruiti’ dalla Passione del Figlio di Dio.
Il Minimo scorgeva nei poveri e malati il Cristo che ha assunto le nostre infermità e le guarisce.
Ce lo racconta un episodio delle Fonti, tratto dalla Leggenda maggiore:
"Un pellegrino, debilitato da una febbre acutissima, che l’aveva precedentemente colpito, stava tornando dai paesi d’oltremare a bordo di una nave […]
Siccome non era ancora perfettamente libero dalla febbre, si sentiva tormentato da una sete ardente.
Sebbene, ormai, non ci fosse più acqua, egli incominciò a gridare ad alta voce:
«Andate con fiducia a prendermi da bere, perché il beato Francesco ha riempito d’acqua il mio barilotto!».
Cosa davvero meravigliosa: trovarono pieno d’acqua il recipiente che prima avevano lasciato vuoto" (FF 1284).
Un giorno il padre disse ad un frate che aveva disprezzato un povero e malato:
«Vuoi che ti dica come hai peccato contro di lui, o meglio contro Cristo?
Ecco: quando vedi un povero, devi considerare colui in nome del quale viene, Cristo cioè, fattosi uomo per prendere la nostra povertà e infermità. Nella povertà e nella malattia di questo mendicante dobbiamo scorgere con amore la povertà e l’infermità del Signore nostro Gesù Cristo, le quali egli portò nel suo corpo per la salvezza del genere umano» (FF 1645).
Anche il Poverello guarì tante persone afflitte da febbre e vari mali,
evidenziando però quello che scorgeva oltre il segno pur importante.
Richiamò sempre ad una fede solida, granitica, i suoi fratelli.
Parlava loro di quella, esprimendola in una adesione discepolare che oltrepassava l’immediato e riposava sull’Unione con Cristo.
Ben comprendiamo la preghiera da lui pronunciata davanti al Crocifisso di San Damiano, in cui rivolto a Dio, diceva:
«dame fede dricta» (FF 276).
La Parola ruminata e vissuta dal Poverello accresceva di giorno in giorno la fiducia nel Signore, che ha su di noi progetti di Pace e non di sventura.
Anche Chiara, abbandonata a Cristo, guarì con il segno della croce una sorella.
Non i segni, ma il Segno cambia la vita, la storia di ogni creatura.
"Un’altra tra le sorelle, di nome Amata, era a letto affetta da idropisia da tredici mesi e per giunta aveva febbre, tosse e male da un lato.
Su di lei Donna Chiara, mossa da pietà, ricorre a quel nobile sistema della sua arte medica.
La segna con la croce nel nome del suo Cristo e subito le ridona piena salute" (FF 3223).
Questa la fede che affonda nella Parola incarnata e trasforma il cammino, riposa su Cristo morto e risorto per tutti, ed è faro sicuro nella notte.
«Se non vedete segni e prodigi, non credete» (Gv 4,48)
Lunedì 4a sett. Quaresima (Gv 4,43-54)
Francesco nella sua giovane esistenza aveva incontrato la compassione paterna e materna del Signore.
Dopo una vita trascorsa in allegre brigate e un po’ dissoluta, fu folgorato dal Padre delle Misericordie o, come lui lo chiamava, dal Grande Elemosiniere.
Toccato dalla Grazia, dopo il suo evidente cambiamento di mentalità, dinanzi al Crocifisso di San Damiano gli fu rivelata la sua vocazione-missione.
Rinunciò a tutto, perfino al padre terreno, per essere libero di andare dove il Padre che è nei cieli lo inviava.
Lo spreco degli anni giovanili lo tradusse in generosità senza limiti verso lebbrosi e poveri.
L’Abbraccio benedicente dell’Onnipotente gli aveva impresso una più solida e preziosa caratura umana e spirituale.
Pianse per tutta la vita i suoi peccati, pensando alla Passione di Gesù Cristo, morto e risorto per tutti i figli perduti.
Nelle Fonti (‘Vita seconda’ del suo biografo Celano) troviamo un passo commovente:
"Una volta venne a conoscenza che un frate ammalato aveva desiderio di mangiare un po’ d’uva. Lo accompagnò in una vigna e, sedutosi sotto una vite, per infondergli coraggio, cominciò egli stesso a mangiare per primo" (FF 762).
La misericordia per i mali altrui è fondamento francescano nel cammino spirituale.
E ancora:
"Soleva dire che è dovere del superiore, padre e non tiranno, prevenire l’occasione della colpa e non permettere che cada chi poi difficilmente potrebbe rialzarsi, una volta caduto.
Oh, quanto è degna di compassione la nostra stoltezza!
Non soltanto non rialziamo o sosteniamo i deboli, ma a volte li spingiamo a cadere.
Giudichiamo di nessuna importanza sottrarre al Sommo Pastore una pecorella, per la quale sulla Croce gettò un forte grido con lacrime.
Ma ben diversamente tu, padre santo, preferivi emendare gli erranti e non perderli!
[…] l’olio ed il vino, la verga e il bastone, lo zelo e l’indulgenza, la bruciatura e l’unzione, il carcere ed il grembo materno, ogni cosa ha il suo tempo.
Tutto ciò richiede il Dio delle vendette e il Padre delle misericordie: però preferisce la misericordia al sacrificio" (FF 763).
La stessa Chiara, madre amorevole, aveva ricevuto un cuore generoso e pieno di compassione, specie verso le sorelle bisognose.
Le Fonti, attraverso la Regola, attestano che come guida della comunità, la Prima Pianta di Francesco non si faceva imprigionare dalla legge, ma su tutto regnava l’inconfondibile Carità.
Leggiamo infatti:
"[L’abbadessa] consoli le afflitte. Sia ancora l’ultimo rifugio delle tribolate perché, se mancassero presso di lei i rimedi di salute, non abbia a prevalere nelle inferme il morbo della disperazione" (FF 2778).
Francesco e Chiara trasformati dalla Misericordia del Padre fecero tesoro del dono ricevuto riversandolo gratuitamente su tutte le creature. Mai ingabbiati dalla inamovibilità dei codici, furono testimoni di quella singolare accoglienza che recupera chi ha sbagliato e lo reintroduce nella vita nuova dei risorti.
«…Dov’è misericordia e discrezione,
ivi non è superfluità né durezza» (FF 177).
«Mentre ancora era lontano, lo vide suo padre, ebbe compassione, e correndo cadde al suo collo e lo strabaciò» (Lc 15,20)
Domenica 4a di Quaresima (C) (Lc 15,1-3.11-32)
Nella parabola del fariseo e pubblicano Gesù evangelizza quanti presumevano di essere giusti, disprezzando gli altri.
Francesco si sentì sempre un nulla davanti a Dio sprofondando nella sua umiltà come il seme nella terra.
Temeva la superbia al pari della peste e la detestava profondamente.
Apparire, mostrare, insuperbire, erano verbi con cui non volle mai allacciare alcun legame: li aborriva.
Leggiamo nella Vita prima del Celano:
"Un giorno, pieno di ammirazione per la misericordia del Signore in tutti i benefici a lui elargiti, desiderava conoscere […] che cosa sarebbe stato della sua vita e di quella dei suoi frati.
A questo scopo si ritirò, come spesso faceva, in un luogo adatto per la preghiera.
Vi rimase a lungo invocando con timore e tremore il Dominatore di tutta la terra, ripensando con amarezza gli anni passati malamente e ripetendo:
«O Dio, sii propizio a me peccatore!»” (FF 363).
Temeva ogni forma di vanto e sfoggio di opere; ripugnava il sentirsi a posto e ogni genere di superbia.
Nella Regola bollata (1223) ai suoi frati diceva:
«Ammonisco, poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino i frati da ogni superbia, vanagloria, invidia, avarizia, cure e preoccupazioni di questo mondo, dalla detrazione e dalla mormorazione» (FF 103).
Nella Regola di Chiara, al comma 2809 delle Fonti, ritroviamo la stessa enunciazione - come ad evidenziare la medesima preoccupazione: mantenere le distanze da ogni forma di vanagloria.
Francesco (e pure Chiara) si percepiva grande peccatore, alla stregua del pubblicano del Vangelo, che non osava alzare neppure lo sguardo verso il cielo.
L’umiltà e la consapevolezza della propria penuria lo conducevano ad assumere un profilo molto basso, senza gloriarsi di nulla, né davanti a Dio né davanti agli uomini.
Infatti, nelle sue Ammonizioni, leggiamo:
«Beato quel servo il quale non si inorgoglisce per il bene che il Signore dice e opera per mezzo di lui, più per il bene che dice e opera per mezzo di un altro. Pecca l’uomo che vuol ricevere dal suo prossimo più di quanto non vuole dare di sé al Signore Dio» (FF 166).
E ancora:
«A questo segno si può riconoscere il servo di Dio, se ha lo Spirito del Signore: se, quando il Signore compie, per mezzo di lui, qualcosa di buono, la sua «carne» non se ne inorgoglisce - poiché la «carne» è sempre contraria ad ogni bene -, ma piuttosto si ritiene ancora vile ai propri occhi e si stima più piccolo di tutti gli altri uomini» (FF 161).
«O Dio, sii benigno con me peccatore […] perché chiunque s’innalza sarà abbassato, ma chi invece si abbassa sarà innalzato» (Lc 18,13-14)
Sabato 3a sett. Quaresima (Lc 18,9-14)
Agli scribi che chiedono qual è il comandamento grande Gesù risponde in modo spiazzante: Ascolta! Amare Dio e il prossimo con tutto se stessi vale più di mille sacrifici!
Allo scriba, che aveva compreso tutto questo, Gesù evidenzia che non è lontano dal Regno di Dio.
Il Povero Assisano aveva le idee ben chiare sulle priorità da dare nel cammino spirituale.
Per lui l’amore a Dio con tutte le fibre del suo essere, e al prossimo, era una dolcissima verità scolpita nel cuore a lettere di fuoco.
Nel merito ci assistono le Fonti, ricche di episodi di vita.
"L’anima era tutta assetata del suo Cristo e a Lui si offriva interamente nel corpo e nello spirito […]
Cercava sempre un luogo appartato, dove potersi unire non solo con lo spirito, ma con le singole membra, al suo Dio.
E se all’improvviso si sentiva visitato dal Signore, per non rimanere senza cella, se ne faceva una piccola col mantello.
E se a volte era privo di questo, ricopriva il volto con la manica, per non svelare la manna nascosta […]
Spesso, senza muovere le labbra, meditava a lungo dentro di sé e, concentrando all’interno le potenze esteriori, si alzava con lo spirito al cielo.
In tale modo dirigeva tutta la mente e l’affetto a quell’unica cosa che chiedeva a Dio: non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente" (FF 681-682).
Altresì, fin dagli inizi della sua conversione, l’amore ai fratelli, la compassione per le loro sofferenze e bisogni, erano motivo conduttore dei suoi gesti.
"Prese con sé molto denaro e si recò all’ospizio dei lebbrosi; li riunì e distribuì a ciascuno l’elemosina, baciandogli la mano.
Nel ritorno, il contatto che dianzi gli riusciva repellente, quel vedere cioè e toccare dei lebbrosi, gli si trasformò veramente in dolcezza […] per Grazia di Dio diventò compagno e amico dei lebbrosi così che, come afferma nel suo Testamento, stava in mezzo a loro e li serviva umilmente" (FF 1408).
Chiara, fedele discepola di Francesco, faceva la medesima cosa fra le mura damianite, pronta sempre a servire amorevolmente le sorelle della sua comunità e quanti bussavano alla porta del Monastero.
"Lavava lei stessa i sedili delle inferme, li detergeva proprio lei, con quel suo nobile animo, senza rifuggire dalle sozzure né schifare il fetore" (FF 3181).
"Molto spesso lavava i piedi delle servigiali che tornavano da fuori e, lavatili, li baciava" (FF 3182).
Amare il Signore con tutte le forze e il prossimo come se stessi vale più degli olocausti; i due Giganti assisani lo avevano ben compreso, testimoniandolo a tutti.
«E amerai il Signore Dio tuo da tutto il tuo cuore e da tutta la tua vita e da tutta la tua mente e da tutta la tua forza […] Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mc 12,30-31)
Venerdì 3.a sett. Quaresima (Mc 12,28b-34)
In questo brano del Vangelo di Luca Gesù scaccia un demonio da un uomo muto che, liberato, comincia a parlare. Subito alcuni lo accusano di farlo in nome del principe dei demoni. Ma Gesù attesta di agire mediante il Dito di Dio, per opera di Dio.
Come Gesù, così Francesco ebbe tentazioni e fu grandemente provato dal demonio.
Ma il Dito di Dio, lo Spirito Santo, vinse in lui ogni battaglia, estendendo il Regno dei cieli nei cuori.
Al pari di Francesco, anche Chiara incontrò prove in tal senso da cui, per la Grazia di Dio, uscì sempre immune, perché non divisa, ma totalmente unita a Cristo.
Le Fonti sono portavoci eloquenti, di grande verità esistenziale. Guardiamo cosa ci dicono nel merito.
“In quei luoghi doveva lottare corpo a corpo col demonio, che l’affrontava per spaventarlo non solo con tentazioni interiori, ma anche esteriormente con strepiti e rovine.
Ma Francesco, da fortissimo soldato di Cristo, ben sapendo che il suo Signore poteva tutto dovunque, non si lasciava per nulla intimorire, ma ripeteva in cuor suo:
«Non puoi, o maligno, scatenare contro di me le armi della tua malizia, in questi luoghi più di quanto mi faresti se fossimo tra la folla» (FF 446).
E un frate, che da tempo veniva molestato dagli assalti del demonio e in pianto ai piedi di Francesco, fu da lui liberato:
“Il Padre ne sentì pietà, e comprendendo che era tormentato da istigazioni maligne:
«Io vi ordino, o demoni, - esclamò - in virtù di Dio di non tormentare più d’ora in avanti il mio fratello, come avete osato finora».
Subito si dissipò quel buio tenebroso, il frate si alzò libero e non sentì più alcun tormento, come se ne fosse sempre stato esente” (FF 697).
Altresì Chiara fu più volte attaccata dal nemico.
“Mentre una volta piangeva, in piena notte, le apparve l’angelo delle tenebre in forma di nero fanciullo, e così la ammonì: Non piangere tanto, perché diventerai cieca!
Ma, rispondendogli lei subito: «Non sarà cieco chi vedrà Dio», confuso si allontanò” (FF 3198).
E nella prima lettera alla sua figlia spirituale, Agnese di Boemia, Chiara stessa si esprime in tal guisa:
«L’uomo coperto di vestiti non può pretendere di lottare con un ignudo, perché è più presto gettato a terra chi offre una presa all’avversario» (FF 1867).
I servi di Dio, nella loro semplicità, hanno le idee chiare, perché guidati dal Dito di Dio - e non mollano la Vocazione autentica.
«Ma se con il Dito di Dio io scaccio i demoni, quindi è arrivato per voi il Regno di Dio» (Lc 11,20)
Giovedì 3.a sett. Quaresima (Lc 11,14-23)
Nel brano di Vangelo oggi proposto, Gesù proclama di essere venuto per dare pieno compimento alla Legge.
Quindi non per demolire o trasgredire la Parola, ma osservarla amando.
L’amore è il vero compimento della Legge del Signore, che è perfetta e rinfranca l’anima.
Francesco lo aveva ben compreso vivendo e insegnando alla sua fraternità a fare altrettanto.
Le Fonti forniscono, attraverso vari tasselli, preziosi esempi di vita. Nella Lettera ai reggitori dei popoli:
«Vi supplico […] con tutta la riverenza di cui sono capace, di non dimenticare il Signore, assorbiti come siete dalle cure e preoccupazioni di questo mondo, e di non deviare dai suoi comandamenti, poiché tutti coloro che dimenticano il Signore e si allontanano dai comandamenti di lui, sono maledetti e saranno dimenticati da lui» (FF 211).
Al tempo stesso, il Poverello, con quell’equilibrio ed elasticità che lo contraddistingueva, sottolinea:
«E ogniqualvolta sopravvenga la necessità, sia consentito a tutti i frati, ovunque si trovino, di prendere tutti i cibi che gli uomini possono mangiare, così come il Signore dice di David, il quale mangiò i pani dell’offerta che non era permesso mangiare se non ai sacerdoti […] Similmente, ancora, in tempo di manifesta necessità tutti i frati provvedano per le cose loro necessarie così come il Signore darà loro la grazia, poiché la necessità non ha legge» (FF 33).
Secondo il pensiero di Francesco, ciò che danneggia l’amore è la detrazione. Infatti, nella Leggenda maggiore, leggiamo:
"Il vizio della detrazione, nemico radicale della pietà e della grazia, lo aveva in orrore come il morso del serpente e come la più dannosa pestilenza […]
«La cattiveria dei detrattori - diceva - è tanto maggiore di quella dei ladri, quanto maggiore è la forza con cui la legge di Cristo, che trova il suo compimento nell’amore, ci obbliga a bramare la salvezza delle anime più di quella dei corpi»" (FF 1141).
Chiara stessa, nella Regola, avverte:
«Ammonisco, poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino le sorelle da ogni superbia, vanagloria, invidia, avarizia, cura e sollecitudine di questo mondo, dalla detrazione e mormorazione, dalla discordia e divisione» (FF 2809).
«Siano invece sollecite di conservare sempre reciprocamente l’unità della scambievole carità, che è il vincolo della perfezione» (FF 2810).
L’Amore era la Regola dei frati e delle Povere Dame di San Damiano: «[…] e così, portando il giogo della carità vicendevole, con facilità adempiremo la legge di Cristo. Amen.» (FF 2918 - Lettera ad Ermentrude di Bruges).
«Non crediate che io sia venuto ad abbattere la Legge o i Profeti; non sono venuto a demolire, ma a dare compimento» (Mt 5,17)
Mercoledì 3a sett. Quaresima (Mt 5,17-19)
Because of this unique understanding, Jesus can present himself as the One who reveals the Father with a knowledge that is the fruit of an intimate and mysterious reciprocity (John Paul II)
In forza di questa singolare intesa, Gesù può presentarsi come il rivelatore del Padre, con una conoscenza che è frutto di un'intima e misteriosa reciprocità (Giovanni Paolo II)
Yes, all the "miracles, wonders and signs" of Christ are in function of the revelation of him as Messiah, of him as the Son of God: of him who alone has the power to free man from sin and death. Of him who is truly the Savior of the world (John Paul II)
Sì, tutti i “miracoli, prodigi e segni” di Cristo sono in funzione della rivelazione di lui come Messia, di lui come Figlio di Dio: di lui che, solo, ha il potere di liberare l’uomo dal peccato e dalla morte. Di lui che veramente è il Salvatore del mondo (Giovanni Paolo II)
It is known that faith is man's response to the word of divine revelation. The miracle takes place in organic connection with this revealing word of God. It is a "sign" of his presence and of his work, a particularly intense sign (John Paul II)
È noto che la fede è una risposta dell’uomo alla parola della rivelazione divina. Il miracolo avviene in legame organico con questa parola di Dio rivelante. È un “segno” della sua presenza e del suo operare, un segno, si può dire, particolarmente intenso (Giovanni Paolo II)
That was not the only time the father ran. His joy would not be complete without the presence of his other son. He then sets out to find him and invites him to join in the festivities (cf. v. 28). But the older son appeared upset by the homecoming celebration. He found his father’s joy hard to take; he did not acknowledge the return of his brother: “that son of yours”, he calls him (v. 30). For him, his brother was still lost, because he had already lost him in his heart (Pope Francis)
Ma quello non è stato l’unico momento in cui il Padre si è messo a correre. La sua gioia sarebbe incompleta senza la presenza dell’altro figlio. Per questo esce anche incontro a lui per invitarlo a partecipare alla festa (cfr v. 28). Però, sembra proprio che al figlio maggiore non piacessero le feste di benvenuto; non riesce a sopportare la gioia del padre e non riconosce il ritorno di suo fratello: «quel tuo figlio», dice (v. 30). Per lui suo fratello continua ad essere perduto, perché lo aveva ormai perduto nel suo cuore (Papa Francesco)
Doing a good deed almost instinctively gives rise to the desire to be esteemed and admired for the good action, in other words to gain a reward. And on the one hand this closes us in on ourselves and on the other, it brings us out of ourselves because we live oriented to what others think of us or admire in us (Pope Benedict)
Quando si compie qualcosa di buono, quasi istintivamente nasce il desiderio di essere stimati e ammirati per la buona azione, di avere cioè una soddisfazione. E questo, da una parte rinchiude in se stessi, dall’altra porta fuori da se stessi, perché si vive proiettati verso quello che gli altri pensano di noi e ammirano in noi (Papa Benedetto)
Since God has first loved us (cf. 1 Jn 4:10), love is now no longer a mere “command”; it is the response to the gift of love with which God draws near to us [Pope Benedict]
Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4, 10), l'amore adesso non è più solo un « comandamento », ma è la risposta al dono dell'amore, col quale Dio ci viene incontro [Papa Benedetto]
don Giuseppe Nespeca
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