Otri nuovi e Libertà vocazionale
(Mc 2,18-22)
Il digiuno è un principio di rigenerazione che ha un potere curativo unico, sia disintossicante che essenziale.
Esso attiva le energie della propria ‘umanità’ e nel contempo della propria ‘diversità’.
Tale pratica silenziosa si rivolge agli strati profondi, alla dimensione interna, che diventa la guida e rischiamo d’ignorare.
Il digiuno era segno di religiosità profonda, perciò i discepoli di Gesù - che non digiunavano, anzi la loro vita aveva un carattere festivo - erano assimilati più o meno a dei peccatori.
Sebbene non esistessero prescrizioni formali, presso i circoli osservanti si trattava di pie pratiche diventate consuetudini [legate a giorni precisamente scanditi].
Nelle credenze semitiche il digiuno era in specie espressivo dell’imbarazzo e dell’afflizione dell’uomo devoto nell’aspettativa dei tempi messianici, che tardavano.
Per questo Gesù associa il digiuno al lutto - che non ha più senso nella vita come festa di Nozze senza remore che Egli inaugura.
Il digiuno rimane come segno di attesa del compimento, ma ora la mestizia non ha più significato.
Nel tempo della Chiesa che rende presente il Risorto, la rinuncia a ingozzare non è forma di penitenza ma di speranza (v.20).
E serve a tener sgombro il cuore degli amici dello Sposo dalle vanità, con una forma d’identificazione coi poveri.
In altre comunità, i giudaizzanti tentavano di ridurre la Fede pura - fondamento e partecipazione entusiasta - a credenze e praticucce qualsiasi [che non facevano sentire tutti liberi e adeguati].
Gran parte dei giudei convertiti a Cristo propendeva infatti per nostalgie che risultavano di freno e impedimento.
Nelle comunità di estrazione romano-pagana cui Mc si rivolge, c’era un forte desiderio di liberare il Risorto da pastoie [fissazioni disciplinari, orari, calendario].
I credenti Lo percepivano ‘vivo’ - complice del nuovo carattere umanizzante che sperimentavano giorno per giorno.
Sotto la confusione e le violenze della guerra civile in atto, l’evangelista ha voluto orientare le sue assemblee di fine anni 60 a non attaccarsi a finte sicurezze.
Ancora oggi la proposta del Signore si distingue - perché non pretende di preparare il Regno, bensì lo accoglie e lo ascolta.
Sarà unicamente il Cristo-in-noi ad alimentarci in modo ininterrotto e crescente, nell’impegno per ripartire nel compito di ‘ritrovarci’ ed emancipare il mondo - ma in un clima di austerità tranquilla.
Il Richiamo dei Vangeli permane al contempo equilibrato, concreto e fortemente profetico, perché suscita attenzione alle persone, alla realtà, alla nostra gioia - assai più che a norme di perfezionamento non richieste, o altri rattoppi (v.21).
Non soverchiando né imponendo carichi artificiosi ai credenti, la vita di Fede mette in gioco la libertà [e così ce la fa conoscere] affinché ne prendiamo coscienza e la assumiamo per poterla investire come Grazia, carica, risorsa di novità.
I meccanismi rinunciatari e mortificanti di affinamento individualista sono estranei in partenza - a meno che non siano pensati per la condivisione dei beni.
Gesù non viene per farsi un gruppetto di seguaci seduti sulla cattedra dell’austerità, ma per comunicare che il rapporto con Dio è una festa.
Il digiuno gradito al Padre sta nell’esperienza lucida della propria irripetibile eccentricità e Chiamata, nel liberarsi dall’egoismo dell’arraffare per sé, nel recare sollievo al prossimo.
Per questo motivo la Chiesa ha abolito quasi del tutto il precetto del digiuno esteriore, mentre intende impegnarsi maggiormente per forme di limitazione in favore dei malfermi, umili e bisognosi.
[Lunedì 2.a sett. T.O. 20 gennaio 2025]