Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Ecco il commento per le letture di Mercoledì delle Ceneri
5 Marzo 2025 (anno C)
La liturgia del mercoledì delle Ceneri, che apre la Quaresima, era segnata un tempo dall’inizio della penitenza pubblica che si svolgeva quest’oggi e dall’avvio dell’ultimo tratto della formazione dei catecumeni, che si preparavano a ricevere il battesimo nella Veglia Pasquale. A simboleggiare l’invito alla preghiera e alla conversione del cuore, che proclamano i testi della Sacra Scrittura, c’è il rito della cenere, segno di penitenza e di conversione. Si tratta di un “simbolo austero” con cui iniziamo il cammino spirituale della Quaresima riconoscendo che il nostro corpo, formato dalla polvere, ritornerà tale e per questo siamo invitati a rendere la nostra esistenza un sacrificio Dio in unione con la morte di Cristo Gesù. Ciò che illumina il mercoledì delle Ceneri e l’intera Quaresima è l’evento della Risurrezione di Gesù, che celebreremo con rinnovata speranza in quest’anno giubilare. il mercoledì delle ceneri è giorno di penitenza, di digiuno e di elemosina che va intesa come condivisione di ciò che siamo e di ciò che possediamo con i nostri fratellil a gloria di Dio. Questo richiede il coraggio di rinunciare a qualcosa che ci costa per vivere la Quaresima come tempo di vera purificazione interiore
*Prima Lettura dal Libero del profeta Gioele (Gl 2,12-18)
Ritornate al Signore con tutto il cuore! Ecco l’invito che oggi ci lancia il profeta Gioele. Il suo libro è molto breve (contiene in totale settantatré versetti suddivisi in quattro capitoli) ed è collocato intorno all’anno 600 a.C., cioè poco prima dell’esilio a Babilonia. Ci sono tre temi che si intrecciano costantemente: la prospettiva di terribili flagelli, appelli accorati al digiuno e alla conversione, e l’annuncio della salvezza di Dio. Oggi è il secondo tema che la liturgia ci propone all’inizio della Quaresima. Il solenne appello alla conversione spinge a prendere sul serio ciò che segue, cioè l’invito: “Ritornate a me”, e il popolo risponde e supplica: “Perdona, Signore, al tuo popolo e non esporre la tua eredità al ludibrio e alla derisione delle genti”. I profeti insegnano sempre a non accontentarsi di manifestazioni esteriori e anche Gioele non manca di sottolinearlo: “Laceratevi il cuore e non le vesti e ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso”. Questo afferma Isaia: “Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto: le vostre mani sono piene di sangue. Lavatevi, purificatevi. Allontanate dai miei occhi le vostre azioni malvagie cessate di fare il male. Imparate a fare il bene, ricercate la giustizia…” (Is 1,14-17). E il Salmo 50/51 commenta “Il sacrificio che piace a Dio è uno spirito contrito; un cuore affranto e umiliato, o Dio, tu non lo disprezzi”. Il profeta Ezechiele ci aiuta a comprendere cosa vuol dire il salmista: bisogna cioè spezzare i nostri cuori di pietra affinché possa emergere il cuore di carne e il profeta Gioele segue questa linea quando invita a lacerare i cuori e non le vesti per sfuggire a un castigo meritato. Scrive infatti: “chi sa che Dio non cambi e si ravveda e lasci dietro a sé una benedizione?” E conclude annunciando che il perdono è già stato concesso. La traduzione liturgica dice: “Il Signore si mostra geloso per la sua terra” avendo avuto pietà del suo popol, ma la misericordia di Dio è destinata a tutti gli uomini, ed è proprio questo il messaggio che troviamo nel libro di Giona molto affine a quello di Gioele. Giona infatti narra la conversione di Ninive, la città pagana che aveva percorso un giorno di cammino proclamando: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta”, e gli abitanti credettero subito in Dio. Proclamarono un digiuno e si vestirono di sacco, grandi e piccoli. Persino il re di Ninive depose il manto regale, si coprì di sacco e si sedette sulla cenere e quindi proclamò lo stato d’allerta e fece annunciare che tutti in Ninive si dovevano coprire di sacco e invocare Dio con forza. Dio vide la loro conversione e revocò il castigo che aveva minacciato di infliggere (Gn 3,4-10). Il segreto è che Dio trabocca di zelo e di amore, come ricorda Gioele, per tutti gli uomini, e san Paolo dirà: “Dio dimostra il suo amore per noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8).
*Salmo responsoriale (50 (51). Perdonaci, Signore: abbiamo peccato
Uniamoci anche noi al popolo d’Israele riunito nel Tempio di Gerusalemme per una grande celebrazione penitenziale. Sa di essere pieno di peccati, ma conosce per esperienza che la misericordia di Dio è inesauribile e allora chiede perdono con la certezza di essere esaudito. Fu proprio questa la scoperta del re Davide dopo aver peccato con Betsabea, sposa di un ufficiale, Uria, che in quel momento era in guerra. Betsabea fece sapere a Davide di essere incinta di lui e Davide organizzò la morte in battaglia del marito tradito, così da poter prendere definitivamente per sé la donna e il bambino che portava in grembo. Il profeta Natan non cercò subito di far ammettere a Davide il suo peccato, ma gli ricordò anzitutto i molti doni di Dio e gli annunciò il perdono prima ancora che Davide avesse il tempo di confessare la sua colpa (cf 2 Samuele 12). Oltre tutti i doni e privilegi che Dio gli aveva concesso, aggiunse pure che il Signore era pronto ad accordargli tutto ciò che desiderava. Nel corso della storia, Israele ha avuto occasione di registrare che Dio è davvero “il Signore misericordioso e benevolo, lento all’ira, ricco di fedeltà e di lealtà”, come aveva rivelato a Mosè nel deserto (Es 34,6). Anche i profeti hanno ribadito questo messaggio, e i versetti del Salmo 50/51 ne sono pieni. Isaia, ad esempio, dice: “Io, io solo cancello le tue colpe per amore di me stesso e non ricordo più i tuoi peccati” (Is 43,25). L’annuncio del perdono gratuito di Dio ci sorprende sempre: ci sembra quasi troppo bello per essere vero. Per alcuni, addirittura, può sembrare ingiusto: se tutto è perdonabile, perché sforzarsi di vivere bene? Ma questo significa dimenticare che tutti, senza eccezione, abbiamo bisogno della misericordia di Dio e lui ci sorprende, poiché, come dice Isaia, i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri. E proprio nel perdono Dio ci sorprende di più. Pensiamo alla parabola evangelica degli operai dell’ultima ora: «Non posso fare delle mie cose quello che voglio? O sei invidioso perché io sono buono?» (cf Mt 20,15), a quella del figliol prodigo (Lc 15): quando il figlio ingrato ritorna dal padre, animato da motivazioni tutt’altro che nobili, Gesù mette sulle sue labbra una frase del Salmo 50: “Contro di te, contro te solo ho peccato”. E con questa sola frase, il legame spezzato viene riallacciato. Davanti all’annuncio sempre nuovo della misericordia di Dio, il popolo d’Israele, che nei Salmi parla a nome di tutti noi, si riconosce peccatore. Il suo pentimento non è dettagliato, non lo è mai nei Salmi penitenziali, ma esprime tutto in una semplice supplica: “Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro”. E Dio, che è tutta misericordia, attratto dalla miseria dell’uomo, non aspetta altro che questa umile confessione della nostra povertà. Ed è utile ricordare che “pietà” ha la stessa radice di “elemosina” e questo ci ricorda che siamo mendicanti di amore e di perdono davanti a Dio. Cosa fare allora: ringraziare e perdonare. Ringraziare per il perdono che Dio ci offre continuamente. In ogni celebrazione penitenziale, la preghiera più importante è il riconoscimento dei doni e del perdono di Dio. Prima di tutto, dobbiamo contemplare Dio stesso, e solo dopo possiamo riconoscerci peccatori. Il rito della Riconciliazione afferma chiaramente che confessiamo l’amore di Dio insieme al nostro peccato e la lode scaturirà spontanea dalle nostre labbra: “Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclamerà la tua lode” (questa è la frase che apre la Liturgia delle Ore, ogni mattina ed è tratta proprio dal Salmo 50/51) in cui viene ricordato che la lode e la gratitudine nascono in noi solo se Dio apre il nostro cuore e le nostre labbra. E il secondo passo che Dio si aspetta da noi e costituisce il programma ascetico di tutta la vita è l’impegno a perdonare a nostra volta, senza indugi né condizioni.
*Seconda Lettura dalla Seconda Lettera di san Paolo ai Corinti (5,20-6,2)
“Lasciatevi riconciliare con Dio”! Paolo parla di riconciliazione ben consapevole della rottura dell’alleanza tra Dio e il suo popolo. Nell’Antico Testamento il popolo sapeva che Dio non è in contrasto con gli uomini, come il Salmo 102/103 esprime chiaramente:”Il Signore non è sempre in lite, non conserva per sempre il suo sdegno; non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe… Quanto dista l’oriente dall’occidente, così egli allontana da noi le nostre colpe… Egli sa di che siamo plasmati, ricorda che siamo polvere”. Ugualmente leggiamo in Isaia: “L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore, che avrà misericordia di lui, al nostro Dio, che largamente perdona” (Is 55,7), nel Libro della Sapienza: “Hai compassione di tutti, perché tutto puoi, e chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento… La tua sovranità su tutti ti rende indulgente verso tutti” (Sap 11,23; 12,16). Davide fece questa esperienza quando uccise Uria, marito di Betsabea e Dio gli inviò il profeta Natan che in sostanza questo gli comunicò: Tutto ciò che hai, te l’ho dato io; e se non fosse ancora abbastanza, sarei pronto a darti ancora tutto ciò che desideri. Dio non ignorava neppure che Salomone aveva ottenuto il trono eliminando i suoi rivali, eppure ascoltò la sua preghiera a Gabaon ed esaudì le sue richieste ben oltre ciò che il giovane re aveva osato domandare (1 Re 3). Ma c’è di più: il Nome stesso di Dio, “Misericordioso”, significa che ci ama tanto più quanto più siamo miseri. Dunque, Dio non è in lite con l’uomo. Eppure Paolo parla di riconciliazione, perché fin dall’inizio del mondo (Paolo dice «da Adamo», ma è la stessa cosa), è l’uomo che è in conflitto con Dio. Il racconto della Genesi (Gn 2-3) attribuisce al serpente l’origine di questa accusa contro Dio perché è geloso dell’uomo e non vuole il suo bene.: “Dio sa che quando ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, conoscendo il bene e il male” (Gn 3,4) La Bibbia lascia intendere che questo sospetto non è naturale nell’uomo—è la voce del serpente, e dunque può essere curato. È proprio questo afferma san Paolo: “Fratelli, noi, in nome di Cristo, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”. E che cosa ha fatto Dio per rimuovere dal nostro cuore questa diffidenza? Continua l’apostolo: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore” (2 Cor 5,21). Gesù non ha conosciuto il peccato anzi, come leggiamo nella lettera ai Filippesi, Gesù si fece obbediente (Fil 2,8), e rimase sempre fiducioso, anche nella sofferenza e nella morte. Per questo insegna agli uomini questa fiducia e rivela che Di è tutto amore e perdono: è Misericordia. Per un paradosso incredibile Gesù per questa rivelazione fu considerato un bestemmiatore, trattato da peccatore e giustiziato come un maledetto (cf Dt 21,23). L’odio e la cecità degli uomini si abbatterono su di lui e il Padre lasciò fare, perché questo era l’unico modo per farci toccare con mano fin dove “il Signore si mostra geloso per la sua terra e si muove a compassione del suo popolo” come afferma il profeta Gioele. Gesù ha affrontato il peccato degli uomini, la violenza, l’odio, il rifiuto di un Dio che è Amore e sulla croce appare fin dove arriva l’orrore del peccato umano e fin dove arrivano la dolcezza e il perdono di Dio. Ed è proprio da questa contemplazione che può nascere la nostra conversione, quella che Paolo chiama “giustificazione”. “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”, leggiamo nel libro del profeta Zaccaria (Zc 12,10), ripreso da Giovanni (Gv 19,37). In Gesù morente che perdona i suoi carnefici scopriamo il volto stesso di Dio («Chi ha visto me ha visto il Padre» Gv 14,9) e, grazie a lui, siamo riconciliati da Dio. Compito dei battezzati è annunciare e testimoniare quest’amore, alla scuola di Paolo che grida: “Noi siamo ambasciatori di Cristo”, missione che coinvolge ognuno di noi. Chiude questo breve testo una citazione del profeta Isaia “Al momento favorevole ti ho esaudito
e nel giorno della salvezza ti ho soccorso” che parlava agli esuli a Babilonia, annunciando loro che l’ora della salvezza era giunta. Mentre Israele doveva annunciare la liberazione, perché le false immagini di Dio imprigionano il cuore degli uomini, Gesù Cristo ha affidato alla sua Chiesa la missione di annunciare al mondo la remissione dei peccati.
*Dal Vangelo secondo Matteo (6, 1-6. 16-18)
Il vangelo oggi riporta due brevi tratti del Discorso della Montagna, che occupa i capitoli 5-7 del Vangelo di Matteo. Tutto il discorso ruota attorno a un nucleo centrale che è il Padre Nostro (Mt 6,9-13), la preghiera che dà senso a tutto il resto. Questo indica che le esortazioni, qui riportate, non sono semplici consigli morali, bensì conducono al cuore della fede e il messaggio è il seguente: tutte le nostre azioni devono radicarsi nella scoperta che Dio è Padre. Preghiera, elemosina e digiuno non sono quindi solo pratiche religiose, ma strade per avvicinarci al Dio-Padre: Digiunare significa imparare a spostare il centro da noi stessi e con la preghiera centriamo la nostra vita su Dio mentre l’elemosina apre il nostro cuore ai fratelli. Per tre volte Gesù usa espressioni che invitano a non essere come coloro che amano mettersi in mostra. Avevano certamente grande importanza le pratiche religiose nella società ebraica dell’epoca e il rischio era quello di dare troppo valore alle manifestazioni esteriori come taluni facevano. Matteo ricorda i rimproveri di Gesù a coloro che badavano più alla lunghezza delle loro frange che alla misericordia e alla fedeltà (Mt 23,5ss). Qui, Gesù invita i suoi discepoli a un’autentica purificazione interiore perché per essere veramente giusti bisogna evitate di agire davanti agli uomini per essere ammirati da loro. La giustizia era un tema fondamentale per i credenti e nelle Beatitudinine Gesù ne parla due volte: “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati.” (Mt 5,6) “Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il Regno dei cieli.” (Mt 5,10) Ma nel linguaggio biblico, la vera giustizia non consiste nell’accumulare pratiche religiose, per quanto possano essere nobili. Vera giustizia è essere in armonia con il progetto di Dio come già leggiamo nella Genesi: “Abramo credette al Signore, e per questo il Signore lo considerò giusto.” (Gen 15,6). Non quindi una giustizia che è moralismo, bensì una sintonia e un accordo profondo con Dio. Preghiera, digiuno, elemosina diventano tre vie per vivere la giustizia: Nella preghiera, lasciamo che Dio ci plasmi secondo il suo progetto:“Sia santificato il tuo nome, venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà.”E proprio per questo, Gesù raccomanda: “Quando pregate, non sprecate parole come fanno i pagani; il Padre vostro sa di cosa avete bisogno prima ancora che glielo chiediate.” (Mt 6,7-8) Il digiuno è sulla stessa linea: ci libera dall’illusione di ciò che crediamo essenziale per essere felici, ma che spesso finisce per imprigionarci. Gesù stesso, digiunando nel deserto, risponde a satana:“Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio.” (Mt 4,4) L’elemosina è il frutto del nostro cammino di giustizia, perché ci rende misericordiosi.Non a caso, il termine greco per elemosina deriva dalla stessa radice di eleison («abbi pietà») e fare elemosina significa aprire il cuore alla compassione. Poiché Dio ama tutti i suoi figli non ci può essere vera giustizia senza giustizia sociale. E questo lo vediamo chiaramente nel giudizio finale: “Venite, benedetti del Padre mio… Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare…”E alla fine:“I giusti andranno alla vita eterna.” (Mt 25,31-46). In definitiva coloro che ostentano sono in contrasto con la vera giustizia perché mostrano una forma sottile di egoismo spirituale, un modo per rimanere centrati su sé stessi. E il vero dramma è che questo atteggiamento ci chiude il cuore all’azione santificatrice dello Spirito.
+Giovanni D’Ercole