La potenza della vita grezza
(Gv 1,1-18)
Gialal al-Din Rumi, mistico e lirico persiano del XIII sec. scrive nel suo componimento «La Locanda»:
L’essere umano è una locanda,
ogni mattina arriva qualcuno di nuovo.
Una gioia, una depressione, una meschinità,
qualche momento di consapevolezza arriva di tanto in tanto,
come un visitatore inatteso.
Dài il benvenuto a tutti, intrattienili tutti!
Anche se c’è una folla di dispiaceri
che devasta violenta la casa
spogliandola di tutto il mobilio,
lo stesso, tratta ogni ospite con onore:
potrebbe darsi che ti stia liberando
in vista di nuovi piaceri.
Ai pensieri tetri, alla vergogna, alla malizia,
vai incontro sulla porta ridendo,
e invitali a entrare.
Sii grato per tutto quel che arriva,
perché ogni cosa è stata mandata
come guida dell’aldilà.
Riconosciamo in questa poesia-emblema alcune chiavi di volta del discernimento, sottese ai paradossi esistenziali della teologia dell’Incarnazione.
Un mistico sufi aiuta a comprendere le colonne portanti del nostro Cammino, meglio di tante dottrine evasive a senso unico.
Sono identiche leggi dell’anima già espresse nel celebre Prologo del quarto Vangelo: la vita grezza è colma di potenze.
Incarnazione: i nostri fulcri più intimi distinguono l’avventura della Fede dall’esistenza unilaterale del credente in Dio.
L’esperienza della pienezza nel mondo è lanciata dai nostri stessi bassifondi. Come suggerisce un aforisma Zen [raccolto in Ts’ai Ken T’an]: «L’acqua troppo pura non ha pesci».
Gv scrive che il Logos divenne «carne» nell’accezione semitica di un essere pieno di limiti, incompiuto; per questo votato alla ricerca incessante di senso (parziale sino alla morte).
La debolezza di tutti noi non è redenta ammirando un modello eroico e imitandolo fuori scala, ma in un processo di recupero di tutto l’essere e della nostra storia.
Insomma, non esistono Doni dello Spirito che non passino per la dimensione umana.
Già qui e ora prosperiamo d’una preziosa semente del Verbo. La sua Tenda autentica è in-noi e in tutti i moventi.
Più riusciamo a portare al massimo la nostra realtà creaturale e umanizzante, più saremo sul cammino verso la condizione divina - radicati sulla terra dell’inestimabile stirpe generata dal Logos.
Sapientemente, non lo faremo diventando vincenti, bensì ospitando quel che giunge dalla Provvidenza, dalle persone e dalle emozioni (perfino dai disagi) senza pregiudizio.
Non le Dieci Parole - tipica categoria semitica - ma l’Unica Parola inclusiva (Sogno e Senso della Creazione) è a fondamento dell’Opera del Padre.
Il Logos che attecchisce è qualitativo, non parziale, né incentrato su un unico nome: Uno perché Unitario.
Le religioni non accolgono tutti gli ospiti [essi si riveleranno assai più fertili di come immaginiamo] che bussano all’albergo interiore.
La vicenda di Gesù di Nazaret suggerisce che il peccato è stato invece stracciato, ossia: l’imperfezione non è un ostacolo alla comunione col Cielo, bensì una molla.
I malesseri non ci rendono inadeguati: mettono in cammino.
Il Signore ha annientato il senso d’insufficienza della condizione carnale e l’umiliazione delle distanze incolmabili.
«Parola» Fine sull’univocità.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Come inizi le giornate? Accogli i tuoi ospiti (perfino il vuoto)? O li affronti con eccesso di giudizio?
[31 dicembre, settimo giorno fra l’Ottava di Natale]