Parto e Manifestazione
Mt 2,1-12 (1-18)
Il racconto dell’Epifania trae spunto da ciò che stava accadendo sotto gli occhi dei credenti, alla fine primo secolo.
Mt scrive negli anni 80 per i fedeli di terza generazione.
È un tempo in cui anche nelle prime comunità si constata che i pagani erano entrati a frotte - mentre coloro che da secoli attendevano la Luce cui sembravano tanto affezionati la stavano sdegnosamente rifiutando.
Le persone certe di sé, tutte pie, scelte, sempre installate, che avevano l’abitudine di aspettare… ormai non attendevano più nulla.
Vedevano ogni accadimento uguale a prima; niente di nuovo.
Si erano talmente assuefatte alle speranze antiche o alle loro certezze, che non immaginavano più di poter fare un Incontro personale, reale, con la Novità di Dio.
Si rifugiavano nel loro piccolo mondo abitudinario, conosciuto e sicuro; senza rimedio - taluni anche per opportunismo di posizione.
Così evitando la seccatura di dover rielaborare un pensiero di fondo.
Erano gli esperti della pratica religiosa; come contraddire i calati nel ruolo, veterani giudaizzanti, primi della classe?
Non era la vita giovane, il tu per tu, né la realtà, che li coinvolgeva. Solo forse i rimpianti del passato glorioso; imperiale, addirittura.
Nessun terremoto doveva reclamare spazio, all’interno delle convinzioni e dell’immagine di popolo eletto.
Del resto, chi concepisce secondo ranghi comuni, non ha altro cui pensare che i suoi stessi cliché illusori - perdendo il contatto con gli eventi.
Infine annaspando nel tentativo di aggrapparsi ai consueti motivi, da sempre ripetuti; senza incisività presente, né traiettoria futura.
I reduci a capo delle stesse fraternità delle origini facevano difficoltà ad abbandonarsi alla nuova marea di persone e di spinte che veniva loro - cedendo agli stimoli con fiducia, godendo di nuovo respiro.
Mt nota che i già sicuri e titolati si sentivano legati a meriti “culturali” e religiosi che non ammettevano fratture, variazioni, altre idee di fondo.
In particolare, non avendo fiducia nella potenza della vita concreta, non si lasciavano salvare né sostenere dalla Provvidenza, che stava rinnovando la faccia della terra.
Piuttosto, le persone devote sembravano legate all’abitudine delle consuete impalcature esterne di culto, e maniere d’intendere e fare.
Così in questa pericope l’evangelista incoraggia i fratelli credenti delle sue comunità, a spostare lo sguardo, aprire la Visione.
Per una Fede che potesse sapere più, e cogliere-oltre quanto ristagnava nel mondo identitario meccanico della religiosità stabilita, ormai quasi inutile.
Ben differente l’impatto di coloro che onestamente cercavano la Salvezza, la Luce, la Stella; anche a partire dal senso intimo di vuoto, invece che dalle sicurezze.
Quello dell’opzione di Fede è anche per noi un approccio diverso, tutto in equilibrio precario, che tuttavia consente persino ai lontani di farsi le domande giuste.
Privi d’interessi da difendere, i viandanti dell’autentico Sacro abbandonano le loro concezioni. Si mettono in marcia, smossi da tutte le pastoie del costume (particolare, ereditato) o del pensiero à la page dominante.
Senza tregua i pellegrini dello Spirito divino percorrono indifesi la loro lunga Via; senza falsità.
Non cercano solo rassicurazioni quietiste; non si accontentano di ciò che hanno in tasca, né del facile consenso esterno.
Capiscono che il Tesoro di Dio è celato in un Cammino misterioso, che però fiancheggia e vale più del benessere o dell’approvazione.
Presenza [niente di clamoroso, ma] sulla quale ci si può paradossalmente appoggiare, per una meraviglia non mediocre; tutta d’Origine.
Pur rivolgendosi alle autorità religiose e agli esperti delle antiche Scritture (vv.1-2) i viandanti continuano a dirigersi avanti.
Essi sorvolano gli steccati abitudinari del rispetto dei ruoli, del risalto sociale, dell’interpretazione conformista.
Nel frattempo, se il trono teme per il potere, il tempio ha paura di perdere l’esclusiva su Dio, quindi l’egemonia sulle coscienze.
[Nei Vangeli, troni e altari sono all’insegna della supremazia, della forza, della dote, dell’inganno: qui vv.3-4].
Tuttavia gli Esploratori non si sottomettono a cerimoniali di verticismo assodato, né all’influsso d’una finta uniformità.
Ricevendo così il Fulgore della Rivelazione del Natale: Dio non è un dominatore, bensì inerme. Tenero e Piccolo, tra indifesi.
Per tradizione, il popolo delle promesse messianiche si riteneva insignito d’una dignità regale, sacerdotale e sponsale.
Questi Doni [oro e incenso e mirra: v.11] vengono ora trasmessi a persone di qualsiasi estrazione culturale.
Rincarando la dose, Mt mette in scena non solo dei lontanissimi pagani, ma il peggio che il target etico d’allora potesse immaginare: i maghi!
Persone ragguardevoli a quel tempo, se svolgevano attività di astrologi: una sorta di scrutatori del cielo e intellettuali dei luoghi sacri - quindi rappresentanti eminenti delle diverse culture.
Ma il termine greco «màgoi» - letteralmente: «maghi» - indicava anche ciarlatani, corruttori, persino i deviatori della spiritualità biblica.
Un’attività severamente condannata dalle Scritture, e nella Didaché messa all’indice fra le attività più degradanti: compresa fra il divieto di abortire e quello di rubare.
Dio accoglie e riconosce per primi non i potenti (o i religiosissimi) ubriachi e drogati dell’apparire; piuttosto, i distanti.
E fra loro, quelli proprio estranei a ogni etichetta o criterio usuale di discernimento.
Papa Francesco accennerebbe forse a coloro che sono dotati d’un «fiuto senza cittadinanza» - tesoro remoto, «efficace», così prezioso per il cammino sinodale (e altrettanto trascurato) [Discorso 18 settembre 2021].
Il Natale di Lc introduce i pastori, i cani della prateria che conducevano una vita impura e selvatica, come le bestie che accudivano.
In Mt troviamo i maghi: addirittura gli ingannatori!
Insomma, i cercatori di Dio sono chiamati e tratti da una geografia e da una storia impensabili, perché restano gli unici ad avere il fegato di intraprendere costantemente una strada differente: «altra Via» (v.12).
I testimoni critici non si fermano alle meline del terzo incomodo: vogliono il rischio d’amore diretto.
La normalità di zone comfort, di ragionamenti, procedure, sentieri dettati, uccide la vita - annientando lo spirito d’avventura e sorpresa che briga nel tuffarsi dentro il presente.
Le acque della nuova energia che si nutre di stupore vengono contaminate da luoghi comuni, dai soliti nidi che non evolvono e solo puntellano ruoli o posizioni - facendo impallidire lo stupore della ricerca vitale.
Ma allorché si sorvolano i giudizi banali, i conformismi, le gabbie mentali, i costumi locali, le fantasie glamour - la nostra Unicità ardisce partorire una Persona sconosciuta.
E chi nasce di onda in onda produce sane opportunità.
A un certo punto della nostra strada - poi di volta in volta - comprenderemo che il disagio dell’esplorazione aveva la funzione di far venire alla luce il Bambino in noi, celato e malgiudicato.
Il Signore conosce a quali potenzialità di bene proprio le creature più imbarazzanti possono convertirsi, e le rincalza.
Ma si può rischiare tutto non per abitudine: solo per Fede, ossia per Amicizia e Speranza fiduciose, in atto.
Insomma, certi difetti “religiosi” ci rendono Unici, Speciali. Fanno venerare quel Frugolo presente, che ci è complice.
Fanno tornare a Casa, quella davvero nostra.
Rivelazione, sostegno, nuova Via e nuovo Popolo
L’energia della tristezza
(Mt 2,13-18)
La crudeltà di Erode - un egocentrico esasperato - divenne proverbiale persino a Roma.
Nei suoi ultimi anni, assurdamente ripiegato in una inquieta adesione a se stesso, fece perire tre dei suoi figli ed emanò un decreto [non eseguito per sopravvenuta morte] col quale dispose che fossero eliminati i più influenti tra i giudei - sia per cancellare via via i (ritenuti) pretendenti al trono che i dissensi sul territorio.
Nel passo di Vangelo il re è icona della volontà di potenza che uccide coloro i quali richiamano lo spirito d’infanzia del Cristo: il Figlio di Dio poneva nella Missione del Padre il suo essere.
[Tale umiltà decentrata non ci salva solo nell’ordine della grazia, ma anche in quello dell’equilibrio umano].
Mt scrive il suo Vangelo per rispondere alla situazione che viveva la Chiesa in un momento assai critico.
Dopo l’anno 70, gli unici gruppi che sopravvissero alla distruzione del Giudaismo furono i cristiani messianici e i farisei - entrambi convinti che la lotta armata contro l’impero romano non avesse nulla a che fare con l'adempimento delle Promesse.
A distanza di non molti anni dal disastro di Gerusalemme, proprio la setta dei farisei ormai priva del luogo di culto - centro dell’identità nazionale - iniziò ad organizzarsi in modo da accentrare il governo delle sinagoghe.
Accusati di tradire la cultura particolare e le usanze, i giudaizzanti che riconoscevano Gesù Figlio di Dio furono infine cacciati dalle stesse sinagoghe.
L’opposizione crescente e poi l’esplicita separazione dal popolo del Patto resero acuto lo smarrimento dei fedeli e il problema della stessa identità delle prime assemblee di Fede; gruppi in evidente sofferenza.
Mt incoraggia a evitare defezioni, sostenendo coloro che avevano ricevuto la tagliente scomunica da parte dei leaders della religiosità popolare - sino allora ammirati per spiccata devozione, e tenuti in gran conto.
Per aiutare a superare il trauma, la Lieta Notizia rivolta ai convertiti di matrice giudaizzante si proponeva di rivelare Gesù come vero compimento delle Profezie e autentico Messia - nella figura del nuovo Mosè che attua le promesse di liberazione.
Come lui, perseguitato che ha dovuto incessantemente muoversi e fuggire (cf. Es 4,19).
Secondo una credenza generalizzata nel giudaismo, il tempo dell’Unto del Signore avrebbe riattualizzato il tempo di Mosè.
Ma l’antico condottiero de «il Monte» aveva imposto una relazione tra Dio e il popolo fondata sul banale obbedire a una Legge.
Il Figlio genuino e trasparente, invece, propone ora ai fratelli di Fede un rapporto creativo di beatitudine e comunione basato sulla Somiglianza.
Relazione chiamata a superare l’antica giustizia dei farisei (Mt 5,20).
Nessuna paura dunque - anche per noi - delle vessazioni, che vanno semplicemente messe in conto.
Anzi, colte quali occasioni di testimonianza d’amore e coinvolgimento forte, nella vicenda stessa del Maestro - reinterpretata in prima persona.
Ecco indicato anche un nuovo Cammino di ricerca della Luce o Stella che guida i nostri passi.
Tutto come i Magi - stranieri, eppure autentici adoratori del Signore.
Essi seppero evitare la vigilanza del sovrano - così ritrovarono la propria Dimora, deviando dalla strada già prevista.
Al pari dell’Inviato di Dio per eccellenza che ha sperimentato la medesima sorte del suo popolo, le chiese di ogni tempo possono vivere in Lui un’identica vicenda di Esodo.
Un cammino inedito, fucina di esplorazioni e cambio di mentalità; di consolazione e più vive speranze - con inesorabili contrapposizioni.
Cristo è il Messia nascosto e perseguitato, fondatore di un Popolo nuovo, dimesso e fraterno. Germe di una società alternativa a quella spietata sul campo.
Coronamento delle speranze di tutti gli uomini.
Il diniego della stessa Via del Signore proietta un’atmosfera oscura: diventa conservazione del belluino.
Rifiuto dell’umanizzazione… la cui terapia sta nella fiducia dei «piccoli», nell’audacia giovane e “infantile” che non conosce l’impossibile.
I bimbi innocenti di quello sterminio sono figura dei figli di Dio di ogni secolo, quali “coetanei” di Gesù, in grado di riattualizzarne il tempo spontaneo - contrario alla violenza e alla morte.
Essi sono i perseguitati e fatti fuori a causa della paradossale forza sovversiva della loro tenera Fede di minuscoli e schietti che si lasciano salvare, e non badano a ruoli.
Il contrario dei servili e adulatori, divorati dal calcolo; sempre pronti alla deferenza nei confronti dei feroci detentori del potere. Intimiditi dalla possibilità che una forma di vita morbida e gracile possa destabilizzarne le posizioni.
Ma in caso di gravi angherie, persino l’energia della tristezza che attraversa gli eventi dolorosi (vv.17-18) farà riscoprire quel che conta davvero.
Ciò consentirà di rinascere (nel pianto, nel buio) separando anche noi da quel genere di personaggi.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Nella realizzazione di te stesso in Cristo, come hai teneramente abbattuto la prigione del pensiero comune, del potere e dei suoi timori?
Mettiamoci in cammino,
per cambiare idea, per ritrovare noi stessi
Cari giovani!
Nel nostro pellegrinaggio con i misteriosi Magi dell'Oriente siamo giunti a quel momento che san Matteo nel suo Vangelo ci descrive così: "Entrati nella casa (sulla quale la stella si era fermata), videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono" (Mt 2, 11). Il cammino esteriore di quegli uomini era finito. Erano giunti alla meta. Ma a questo punto per loro comincia un nuovo cammino, un pellegrinaggio interiore che cambia tutta la loro vita. Poiché sicuramente avevano immaginato questo Re neonato in modo diverso. Si erano appunto fermati a Gerusalemme per raccogliere presso il Re locale notizie sul promesso Re che era nato. Sapevano che il mondo era in disordine, e per questo il loro cuore era inquieto. Erano certi che Dio esisteva e che era un Dio giusto e benigno. E forse avevano anche sentito parlare delle grandi profezie in cui i profeti d'Israele annunciavano un Re che sarebbe stato in intima armonia con Dio, e che a nome e per conto di Lui avrebbe ristabilito il mondo nel suo ordine. Per cercare questo Re si erano messi in cammino: dal profondo del loro intimo erano alla ricerca del diritto, della giustizia che doveva venire da Dio, e volevano servire quel Re, prostrarsi ai suoi piedi e così servire essi stessi al rinnovamento del mondo. Appartenevano a quel genere di persone "che hanno fame e sete della giustizia" (Mt 5, 6). Questa fame e questa sete avevano seguito nel loro pellegrinaggio - si erano fatti pellegrini in cerca della giustizia che aspettavano da Dio, per potersi mettere al servizio di essa.
Anche se gli altri uomini, quelli rimasti a casa, li ritenevano forse utopisti e sognatori - essi invece erano persone con i piedi sulla terra, e sapevano che per cambiare il mondo bisogna disporre del potere. Per questo non potevano cercare il bambino della promessa se non nel palazzo del Re. Ora però s'inchinano davanti a un bimbo di povera gente, e ben presto vengono a sapere che Erode - quel Re dal quale si erano recati - con il suo potere intendeva insidiarlo, così che alla famiglia non sarebbe restata che la fuga e l'esilio. Il nuovo Re, davanti al quale si erano prostrati in adorazione, si differenziava molto dalla loro attesa. Così dovevano imparare che Dio è diverso da come noi di solito lo immaginiamo. Qui cominciò il loro cammino interiore. Cominciò nello stesso momento in cui si prostrarono davanti a questo bambino e lo riconobbero come il Re promesso. Ma questi gesti gioiosi essi dovevano ancora raggiungerli interiormente.
Dovevano cambiare la loro idea sul potere, su Dio e sull'uomo e, facendo questo, dovevano anche cambiare se stessi. Ora vedevano: il potere di Dio è diverso dal potere dei potenti del mondo. Il modo di agire di Dio è diverso da come noi lo immaginiamo e da come vorremmo imporlo anche a Lui. Dio in questo mondo non entra in concorrenza con le forme terrene del potere. Non contrappone le sue divisioni ad altre divisioni. A Gesù, nell'Orto degli ulivi, Dio non manda dodici legioni di angeli per aiutarlo (cfr Mt 26, 53). Egli contrappone al potere rumoroso e prepotente di questo mondo il potere inerme dell'amore, che sulla Croce - e poi sempre di nuovo nel corso della storia - soccombe, e tuttavia costituisce la cosa nuova, divina che poi si oppone all'ingiustizia e instaura il Regno di Dio. Dio è diverso - è questo che ora riconoscono. E ciò significa che ora essi stessi devono diventare diversi, devono imparare lo stile di Dio.
Erano venuti per mettersi a servizio di questo Re, per modellare la loro regalità sulla sua. Era questo il significato del loro gesto di ossequio, della loro adorazione. Di essa facevano parte anche i regali - oro, incenso e mirra - doni che si offrivano a un Re ritenuto divino. L'adorazione ha un contenuto e comporta anche un dono. Volendo con il gesto dell'adorazione riconoscere questo bambino come il loro Re al cui servizio intendevano mettere il proprio potere e le proprie possibilità, gli uomini provenienti dall'Oriente seguivano senz'altro la traccia giusta. Servendo e seguendo Lui, volevano insieme con Lui servire la causa della giustizia e del bene nel mondo. E in questo avevano ragione. Ora però imparano che ciò non può essere realizzato semplicemente per mezzo di comandi e dall'alto di un trono. Ora imparano che devono donare se stessi - un dono minore di questo non basta per questo Re. Ora imparano che la loro vita deve conformarsi a questo modo divino di esercitare il potere, a questo modo d'essere di Dio stesso. Devono diventare uomini della verità, del diritto, della bontà, del perdono, della misericordia. Non domanderanno più: Questo a che cosa mi serve? Dovranno invece domandare: Con che cosa servo io la presenza di Dio nel mondo? Devono imparare a perdere se stessi e proprio così a trovare se stessi. Andando via da Gerusalemme, devono rimanere sulle orme del vero Re, al seguito di Gesù.
Cari amici, ci domandiamo che cosa tutto questo significhi per noi. Poiché quello che abbiamo appena detto sulla natura diversa di Dio, che deve orientare la nostra vita, suona bello, ma resta piuttosto sfumato e vago. Per questo Dio ci ha donato degli esempi. I Magi provenienti dall'Oriente sono soltanto i primi di una lunga processione di uomini e donne che nella loro vita hanno costantemente cercato con lo sguardo la stella di Dio, che hanno cercato quel Dio che a noi, esseri umani, è vicino e ci indica la strada. È la grande schiera dei santi - noti o sconosciuti - mediante i quali il Signore, lungo la storia, ha aperto davanti a noi il Vangelo e ne ha sfogliato le pagine; questo, Egli sta facendo tuttora. Nelle loro vite, come in un grande libro illustrato, si svela la ricchezza del Vangelo. Essi sono la scia luminosa di Dio che Egli stesso lungo la storia ha tracciato e traccia ancora. Il mio venerato predecessore Papa Giovanni Paolo II, che è con noi in questo momento, ha beatificato e canonizzato una grande schiera di persone di epoche lontane e vicine. In queste figure ha voluto dimostrarci come si fa ad essere cristiani; come si fa a svolgere la propria vita in modo giusto - a vivere secondo il modo di Dio. I beati e i santi sono stati persone che non hanno cercato ostinatamente la propria felicità, ma semplicemente hanno voluto donarsi, perché sono state raggiunte dalla luce di Cristo. Essi ci indicano così la strada per diventare felici, ci mostrano come si riesce ad essere persone veramente umane. Nelle vicende della storia sono stati essi i veri riformatori che tante volte l'hanno risollevata dalle valli oscure nelle quali è sempre nuovamente in pericolo di sprofondare; essi l'hanno sempre nuovamente illuminata quanto era necessario per dare la possibilità di accettare - magari nel dolore - la parola pronunciata da Dio al termine dell'opera della creazione: "È cosa buona". Basta pensare a figure come San Benedetto, San Francesco d'Assisi, Santa Teresa d'Avila, Sant'Ignazio di Loyola, San Carlo Borromeo, ai fondatori degli Ordini religiosi dell'Ottocento che hanno animato e orientato il movimento sociale, o ai santi del nostro tempo - Massimiliano Kolbe, Edith Stein, Madre Teresa, Padre Pio. Contemplando queste figure impariamo che cosa significa "adorare", e che cosa vuol dire vivere secondo la misura del bambino di Betlemme, secondo la misura di Gesù Cristo e di Dio stesso.
I santi, abbiamo detto, sono i veri riformatori. Ora vorrei esprimerlo in modo ancora più radicale: Solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo. Nel secolo appena passato abbiamo vissuto le rivoluzioni, il cui programma comune era di non attendere più l'intervento di Dio, ma di prendere totalmente nelle proprie mani il destino del mondo. E abbiamo visto che, con ciò, sempre un punto di vista umano e parziale veniva preso come misura assoluta d'orientamento. L'assolutizzazione di ciò che non è assoluto ma relativo si chiama totalitarismo. Non libera l'uomo, ma gli toglie la sua dignità e lo schiavizza. Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero. La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l'amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l'amore?
Cari amici! Permettetemi di aggiungere soltanto due brevi pensieri. Sono molti coloro che parlano di Dio; nel nome di Dio si predica anche l'odio e si esercita la violenza. Perciò è importante scoprire il vero volto di Dio. I Magi dell'Oriente l'hanno trovato, quando si sono prostrati davanti al bambino di Betlemme. "Chi ha visto me ha visto il Padre", diceva Gesù a Filippo (Gv 14, 9). In Gesù Cristo, che per noi ha permesso che si trafiggesse il suo cuore, in Lui è comparso il vero volto di Dio. Lo seguiremo insieme con la grande schiera di coloro che ci hanno preceduto. Allora cammineremo sulla via giusta.
Questo significa che non ci costruiamo un Dio privato, non ci costruiamo un Gesù privato, ma che crediamo e ci prostriamo davanti a quel Gesù che ci viene mostrato dalle Sacre Scritture e che nella grande processione dei fedeli chiamata Chiesa si rivela vivente, sempre con noi e al tempo stesso sempre davanti a noi. Si può criticare molto la Chiesa. Noi lo sappiamo, e il Signore stesso ce l'ha detto: essa è una rete con dei pesci buoni e dei pesci cattivi, un campo con il grano e la zizzania. Papa Giovanni Paolo II, che nei tanti beati e santi ci ha mostrato il volto vero della Chiesa, ha anche chiesto perdono per ciò che nel corso della storia, a motivo dell'agire e del parlare di uomini di Chiesa, è avvenuto di male. In tal modo fa vedere anche a noi la nostra vera immagine e ci esorta ad entrare con tutti i nostri difetti e debolezze nella processione dei santi, che con i Magi dell'Oriente ha preso il suo inizio. In fondo, è consolante il fatto che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori. La Chiesa è come una famiglia umana, ma è anche allo stesso tempo la grande famiglia di Dio, mediante la quale Egli forma uno spazio di comunione e di unità attraverso tutti i continenti, le culture e le nazioni. Perciò siamo lieti di appartenere a questa grande famiglia che vediamo qui; siamo lieti di avere fratelli e amici in tutto il mondo. Lo sperimentiamo proprio qui a Colonia quanto sia bello appartenere ad una famiglia vasta come il mondo, che comprende il cielo e la terra, il passato, il presente e il futuro e tutte le parti della terra. In questa grande comitiva di pellegrini camminiamo insieme con Cristo, camminiamo con la stella che illumina la storia.
"Entrati nella casa, videro il bambino e Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono" (Mt 2, 11). Cari amici, questa non è una storia lontana, avvenuta tanto tempo fa. Questa è presenza. Qui nell'Ostia sacra Egli è davanti a noi e in mezzo a noi. Come allora, si vela misteriosamente in un santo silenzio e, come allora, proprio così svela il vero volto di Dio. Egli per noi si è fatto chicco di grano che cade in terra e muore e porta frutto fino alla fine del mondo (cfr Gv 12, 24). Egli è presente come allora in Betlemme. Ci invita a quel pellegrinaggio interiore che si chiama adorazione. Mettiamoci ora in cammino per questo pellegrinaggio e chiediamo a Lui di guidarci. Amen.
[Papa Benedetto, veglia GMG Colonia 20 agosto 2005]