Spiccioli e festival del Dio vorace, in apparenze solenni
(Mc 12,38-44)
Gesù fronteggia il tesoro del Tempio, vero “dio” di tutto il santuario. Il confronto è spietato: uno contrapposto all’altro (v.41).
Enigma che non poteva risolversi con una semplice “purificazione” del luogo sacro, o un rabberciamento della devozione.
Sorprenderà, ma il brano di Vangelo non tesse lodi dell’umiltà individuale che per fede si priva di tutto: è piuttosto un richiamo radicale ai responsabili di chiesa e al senso dell’istituzione.
Il Signore si rattrista di ogni espropriazione condizionata dalla paura. Il timore infatti toglie vita a coloro che non godono pienezza.
Cristo piange la condizione subalterna dei miseri e trascurati: non la fa salire in cattedra. Non accredita la situazione. Non vuole che la donna già nuda di due centesimi si spogli tutta.
Sembra affranto per quell’unica figura silenziosa; a sottolineare la differenza tra esigenze voraci del Dio delle religioni antiche e quelle di tutt’altro segno - in nostro favore - del Padre nella Fede.
Mentre Gesù notava e piangeva il gesto minuto della piccola donna, gli Apostoli neppure si accorsero dell’irrilevante poverella, continuando a rimanere a bocca aperta di fronte alla magnificenza del Tempio.
Chissà cosa inseguivano sognando... sedotti dall’onore.
Per distoglierli dalla febbre di reputazione e considerazioni di cui desideravano fregiarsi, c’era bisogno di una presa di coscienza; ma per smuoverli dal loro posto e metro di giudizio non sarebbero stati sufficienti i miracoli.
Così Gesù cerca di trasmettere in coscienza la Lieta Notizia che il Padre è l’esatto contrario di come era stato loro dipinto dalle guide spirituali del tempo.
L’Eterno sconcerta: non prende, non si appropria, non ci scippa, né assorbe o debilita - ma è Lui che dona.
Non mette in castigo se non lo plachi con entrambe le monetine che hai, senza trattenerne neppure una - anche solo facendo a metà (v.42).
L’onore a Dio non è esclusivo, bensì inclusivo.
Parafrasando l'enciclica Fratelli Tutti, potremmo dire che nelle comunità autentiche [come nelle famiglie] «tutti contribuiscono al progetto comune, tutti lavorano per il bene comune, ma senza annullare l’individuo; al contrario, lo sostengono, lo promuovono» (n.230).
Il Figlio constata con amarezza che proprio i bei protagonisti «divorano le case delle vedove» (v.40) come vampiri. Tanto convincenti da rendere le anime semplici addirittura loro sostenitrici e vittime.
Cristo si rattrista di tale inconsapevole complicità, indotta dalla mancata conoscenza del Volto del Padre - predicato come un Dio sanguisuga.
Infatti nel cammino di Fede personale i veri credenti non sono ripetitori di ruoli esterni (vv. 38-40).
Collaboriamo all’opera creatrice e divinizzante dell’Eterno nel proporci al pari di alimento vitale in favore dell’umanità cui è stato tolto lo Sposo - qui nella figura della povera «vedova» che si dissangua.
Insomma, non ci si deve più macerare e sfiancare, a motivo della gloria dell’Onnipotente, bensì arricchire di Lui e pronunciare appieno!
Un Dio tutta sostanza, di scarsa apparenza epidermica.
Eppure l’antitesi ricchi-poveri si stava ripresentando nelle prime comunità… a discapito degli isolati.
Qui proprio il rovesciamento delle sorti doveva diventare caratteristica della Chiesa adorante, che s’immerge nello stesso ritmo della suprema Sorgente vitale.
Sarà dunque l’istituzione amabile a restare spoglia e pellegrina, anche nello spazio del piccolo e malfermo.
E l’azione delle assemblee di credenti, a poter attivare un mondo nuovo, conviviale, in grado di umanizzare le disarmonie.
Realtà che batte il ‘tempo’. Per un ‘Regno’ davvero non neutrale. Ma dove conta l’anima, non il curriculum.
[32.a Domenica (anno B), 10 novembre 2024]