[Transitorietà dell’Istituzione? E la compattezza? E l’espansione?]
(Mc 9,29-36)
«Un bambino giocava a fare il prete insieme a un coetaneo, sulle scale della sua casa. Tutto andò bene finché il suo piccolo amico, stufo di fare solo il chierichetto, salì su un gradino più alto e cominciò a predicare. Il bambino lo rimproverò bruscamente: ‘Posso predicare soltanto io! Tu non puoi predicare! Tocca a me! Rovini il gioco, sei cattivo!’. Richiamata dagli strilli, intervenne la mamma e spiegò al bambino che per dovere di ospitalità doveva permettere all’altro di predicare. A questo punto il bambino s’imbronciò per un attimo, poi illuminandosi salì sul gradino più alto e rispose: ‘Va bene, lui può continuare a predicare, ma io farò Dio’ [...]».
(B. Ferrero, La Scala, in: C’è Qualcuno Lassù?, p.24)
La mentalità delle precedenze e della supremazia era radicata al punto che anche in Paradiso si diceva esistessero le gerarchie.
Ma «Figlio dell’uomo» designa già dall’AT il carattere d’una santità che supera la fiction antica dei dominatori, i quali si accavallavano uno sull’altro recitando lo stesso copione.
Invece nel Regno di Gesù devono mancare i ranghi - per questo il piano degli Apostoli più ambiziosi non collima col suo.
«Figlio dell’uomo» è la persona secondo un criterio di umanizzazione, non una belva che prevale perché più forte delle altre (Dan 7).
Ciascun uomo col cuore di carne - non di bestia, né di pietra - s’identifica spontaneamente con il «paidìon» (vv.36-37): un servetto di casa, il garzone di bottega.
Il termine [diminutivo] designa la persona sempre attenta ai bisogni dell’altro, che mette se stessa a disposizione.
Allude appunto alla dimensione di santità trasmissibile a chiunque, ma creativa come l’amore, quindi tutta da scoprire!
Gesù abbraccia un ragazzino di 8-12 anni che a quel tempo non contava nulla - appunto, un valletto di casa, un inserviente di bottega.
È l’unica identificazione che Gesù ama e desidera consegnarci.
«Se qualcuno vuole essere primo» (v.35): il Maestro non esclude il nostro diritto a fare qualcosa di grande... ma non lo identifica con l’avere, il potere e l’apparire.
Conta piuttosto sulla nostra libertà di donare, scendere e servire - una franchigia affidata anzitutto ai primi della classe (vv.31-35).
Il Signore ci fa riflettere sull’autentica realizzazione.
Non si tratta d’una conquista esteriore, ma intima e fatta propria.
Essa è in grado così di scolpire la nostra identità profonda, nella sua ricchezza di volti e nel tempo di un Percorso.
Aristotele affermava che - al di là di petizioni di principio artificiali o proclami apparenti - si ama davvero solo se stessi. È un punto di domanda non da poco.
Ammesso e non concesso, la crescita, promozione e fioritura delle nostre qualità si colloca all’interno d’una Via sapiente, d’un sentiero persino interrotto che sa concedersi il giusto ritmo - anche per incontrare nuovi stati dell’essere.
L’amore genuino e maturo dilata i confini dell’ego amante del primato, della visibilità e del tornaconto, comprendendo il Tu nell’io.
Itinerario e Vettore che poi espande le capacità e la vita. Altrimenti in ogni circostanza e purtroppo a qualsiasi età rimarremo nel gioco puerile di chi sgomita sui gradini per prevalere.
Come ha detto Papa Francesco circa i fenomeni mafiosi: «C’è bisogno di uomini e donne di Amore, non di onore!».
Scrive il Tao Tê Ching (XL): «La debolezza è quel che adopra il Tao». E il maestro Wang Pi commenta: «L’alto ha per basamento il basso, il nobile ha per fondamento il vile».
Così il ‘personale’ sfocia nel plurale e globale.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Nell’equilibrio di natura, hai mai visto una pianta che vive solo alla luce? O una creatura che non avesse il suo rifugio in ombra?
[25.a Domenica T.O. (B) 22 settembre 2024]