Gen 3, 2025 Scritto da 

Gesù in sinagoga. Due Nomi di Dio

Lc 4,24-30 (16-37)

 

Trasgressioni di Gesù e nostre (che rinsaldano la trama)

(Lc 4,14-22)

 

«Lo Spirito del Signore su di me, perciò mi ha unto per annunciare la Buona Notizia ai poveri» (Lc 4,18).

 

Anticamente in Israele la famiglia patriarcale, il clan e la comunità erano la base della convivenza sociale.

Garantivano la trasmissione dell’identità di popolo e assicuravano protezione agli afflitti.

Difendere il clan era anche un modo concreto di confermare la Prima Alleanza.

Ma al tempo di Gesù la Galilea soffriva sia la segregazione dettata dalla politica di Erode Antipas che l'oppressione della religiosità ufficiale.

Il collaborazionismo smidollato del sovrano aveva accentuato il numero dei senza tetto e privi d’impiego.

La congiuntura politica ed economica obbligava le persone a ripiegarsi su problemi materiali e individuali o di famiglia ristretta.

Un tempo, il collante identitario del clan e della comunità garantivano un carattere (interno) di nazione solidale, espresso nella difesa e soccorso prestati ai meno abbienti del popolo.

Ora tale legame fraterno risultava indebolito, un po’ ingessato, quasi contraddetto - anche a motivo dell’atteggiamento severo delle autorità religiose, fondamentaliste e amanti d’un purismo saccente, contrario al mischiarsi coi ceti meno agiati.

La Legge [scritta e orale] finiva per essere usata non per favorire l’accoglienza degli emarginati e bisognosi, ma per accentuare i distacchi e la ghettizzazione.

Situazioni che stavano portando al collasso le fasce di popolazione meno tutelate.

Insomma la devozione tradizionale - amante dell’alleanza fra trono e altare - invece di rafforzare il senso comunitario veniva usata per accentuare le gerarchie; come arma che legittimasse tutta una mentalità di esclusioni (e confermasse la logica imperiale del dividi et impera).

 

Gesù vuole invece tornare al Sogno del Padre: quello ineliminabile della fraternità, unico suggello alla storia della salvezza.

Per questo il suo criterio non fugace era quello di allacciare la Parola di Dio alla vita della gente, e in tal modo superare le divisioni.

Così, secondo Lc la prima volta che Gesù entra in una Sinagoga combina un bel pasticcio.

Non va a pregare, ma a insegnare cosa sia la Grazia di Dio (non svigorita da chiose e falsi insegnamenti) nell’esistenza reale delle persone.

Sceglie un passo che riflette appunto la situazione della gente di Galilea, oppressa dal potere dei dominatori, che ai deboli stava facendo patire confusione e povertà.

Ma la sua prima Lettura non tiene conto del calendario liturgico.

Poi osa predicare a modo suo e personalizzando il brano d’Isaia, da cui si permette di censurare il versetto che annuncia la Vendetta di Dio.

Quindi neanche proclama il passo previsto della Legge.

E si atteggia come fosse Lui il padrone del luogo di culto - in realtà lo è: il Risorto che «siede» sta dando un insegnamento ai suoi [ancora giudaizzanti].

Inoltre - si comprende dal tono del passo di Vangelo - per il Figlio di Dio lo Spirito non si rivela nei fenomeni straordinari del cosmo, ma nell’Anno di Grazia («un anno accetto al Signore»: v.19).

È divina perché personale e sociale l’energia nuova, che crea l’uomo autentico.

Questa la piattaforma che opera la svolta.

Essa si fa motore, motivo e contesto, per una trasformazione dell’anima e dei rapporti - a quel tempo appesantiti dal servilismo anche teologico [dei meriti].

 

In un ordito di relazioni vitali, la migliore capacità di comprensione del Dono si fa molla per un futuro armonico, di liberazione e giustizia.

Cristo ritiene che il Regno del Padre sorga facendo crescere dal di dentro il presente, allora impastato di oppressione, angoscia e schiavitù.

Dice il Tao Tê Ching (XLVI): «Quando nel mondo vige la Via, i cavalli veloci sono mandati a concimare i campi».

L’emancipazione offerta dallo Spirito è indirizzata non ai grandi, ma proprio a chi subisce forme di necessità, difetto e penuria: in Gesù... ora tutti aperti alla cifra giubilare della nuova Creazione.

Insomma, sembra ci sia totale antagonismo e inadattabilità fra il Signore e i praticanti della religione tradizionale - pesante, selettiva, votata a legalismi e rappresaglie; piramidale, senza possibilità d’uscita.

Ovvio che sia i capi che gli abitudinari si chiedano - su base rituale e veneranda: possibile che la somiglianza divina possa manifestarsi in un uomo premuroso verso i meno facoltosi, che disattende le consuetudini ufficiali, non crede alle ritorsioni, e palesa forme di spontaneità incontrollata?

È un richiamo per noi. La persona di Fede autentica non si lascia condizionare dalle conformità all’abitudine, inutile e quieta.

Il pensiero comune - assuefatto e concordato ma sottilmente competitivo - diventa un’energia al contrario, troppo normale e paludosa; non propulsiva per l’anima personale e sociale.

Se invece ci lasciamo accompagnare dal Sogno d’una sovreminente gestazione dal Padre, saremo animati attraverso la Presenza regale e Sacra che orienta a sorvolare ripetizioni, o selezioni, emarginazioni e recriminazioni fallaci.

Come se spostassimo il nostro essere in un orizzonte e in un mondo di relazioni amicali che poi fa da calamita alla realtà e anticipa futuro.

 

Al pari del Maestro e Signore, invece di ragionare con pensieri indotti e farci sequestrare dalla pesantezza di rifiuti e timori, iniziamo a pensare con le immagini della Vocazione personale, con i codici empatici della nostra Chiamata che irrompe.

Le risorse evolutive sconosciute che scattano, immediatamente dipanano una rete di percorsi che ai “locali” forse non piacciono, ma evitano il conflitto perenne con l’identità missionaria e il proprio carattere.

La Visione-Relazione (v.18a) irripetibile e a maglie larghe - senza riduzioni - diventa allora strategica, perché possiede in se stessa il richiamo della Quintessenza, e tutte le risorse per risolvere i veri problemi.

 

Ascoltare la proclamazione dei Vangeli (v.18b) è ascoltare l’eco di se stessi e del popolo minuto: scelta intima e sociale.

E starci dentro senza le foglie morte dell’unilateralità - per vagare liberamente in quel medesimo Appello; non trascurando parti preziose di sé, né amputando le eccentricità, o l’intuito proprio dei ceti subalterni.

Ciò per poter manifestare la Radice quieta (ma nel suo stato energico), il nostro Personaggio (nell’Amico amabile e non separatista) - per evitare di stordirlo con un’altra schiavitù.

Tutto nell’istinto di essere e fare felici, senza mai lasciarsi imprigionare dalla brama di sicurezze a contorno; ricerca stagnante.

 

Il Regno nello Spirito (cf. vv.14.18) - che sa cosa ci serve - ha cessato di essere una mèta di semplice avvenire.

È la sorpresa che Cristo in noi suscita intorno alla sua proposta dalla marcia in più.

 

Egli non ci trascura: spegne il rimuginare accusatorio e ridisegna in modo creativo.

Fa nascere ancora e motiva, recupera le dispersioni, e rinsalda la trama.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

Come allaccio la Fede con la situazione culturale e sociale?

Qual è l’Oggi di Cristo con il tuo oggi, nello Spirito?

Qual è la tua forma di apostolato che libera i fratelli dall’avvilimento della dignità e li promuove?

 

 

Lo Spirito del Signore è sopra di me (et vult Cubam)

 

3. «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunziare un lieto messaggio» (Lc 4, 18). Ogni ministro di Dio deve far sue nella propria vita queste parole pronunciate da Gesù di Nazareth. Per questo, trovandomi qui tra voi, voglio recarvi la buona notizia della speranza in Dio. Come servitore del Vangelo, vi porto questo messaggio d'amore e di solidarietà che Gesù Cristo, con la sua venuta, offre agli uomini di ogni tempo. Non si tratta né di un'ideologia né di un sistema economico o politico nuovo, bensì di un cammino di pace, giustizia e libertà autentiche.

4. I sistemi ideologici ed economici succedutisi negli ultimi secoli hanno spesso enfatizzato lo scontro come metodo, poiché contenevano nei propri programmi i germi dell'opposizione e della disunione. Questo ha condizionato profondamente la concezione dell'uomo e i rapporti con gli altri. Alcuni di questi sistemi hanno preteso anche di ridurre la religione alla sfera meramente individuale, spogliandola di ogni influsso o rilevanza sociale. In tal senso, è bene ricordare che uno Stato moderno non può fare dell'ateismo o della religione uno dei propri ordinamenti politici. Lo Stato, lontano da ogni fanatismo o secolarismo estremo, deve promuovere un clima sociale sereno e una legislazione adeguata, che permetta ad ogni persona e ad ogni confessione religiosa di vivere liberamente la propria fede, esprimerla negli ambiti della vita pubblica e poter contare su mezzi e spazi sufficienti per offrire alla vita della Nazione le proprie ricchezze spirituali, morali e civiche.

D'altro canto, in vari luoghi si sviluppa una forma di neoliberalismo capitalista che subordina la persona umana e condiziona lo sviluppo dei popoli alle forze cieche del mercato, gravando dai propri centri di potere sui popoli meno favoriti con pesi insopportabili. Avviene così che, spesso, vengono imposti alle Nazioni, come condizione per ricevere nuovi aiuti, programmi economici insostenibili. In tal modo si assiste, nel concerto delle Nazioni, all'arricchimento esagerato di pochi al prezzo dell'impoverimento crescente di molti, cosicché i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

5. Carissimi fratelli: la Chiesa è maestra in umanità. Perciò, di fronte a questi sistemi, essa propone la cultura dell'amore e della vita, restituendo all'umanità la speranza e il potere trasformante dell'amore, vissuto nell'unità voluta da Cristo. Per questo è necessario percorrere un cammino di riconciliazione, di dialogo e di accoglienza fraterna del prossimo, chiunque esso sia. Questo si può dire il Vangelo sociale della Chiesa.

La Chiesa, nel portare a termine la propria missione, propone al mondo una giustizia nuova, la giustizia del Regno di Dio (cfr Mt 6, 33). In diverse occasioni ho fatto riferimento ai temi sociali. È necessario continuarne a parlare fino a quando nel mondo ci sarà un'ingiustizia, per piccola che sia, dato che in caso contrario la Chiesa non si dimostrerebbe fedele alla missione affidatale da Gesù Cristo. La posta in gioco è l'uomo, la persona in carne ed ossa. Anche se i tempi e le circostanze cambiano, ci sono sempre persone che hanno bisogno della voce della Chiesa perché vengano riconosciute le loro angosce, i loro dolori e le loro miserie. Coloro che si trovano in simili situazioni possono essere sicuri che non verranno defraudati, poiché la Chiesa è con loro e il Papa abbraccia, con il cuore e con la sua parola di incoraggiamento, tutti coloro che subiscono l'ingiustizia.

(Giovanni Paolo II, dopo essere stato a lungo applaudito, ha aggiunto)

Io non sono contrario agli applausi, perché quando applaudite il Papa può riposarsi un po'.

Gli insegnamenti di Gesù conservano integro il loro vigore alle soglie dell'anno 2000. Sono validi per tutti voi, miei cari fratelli. Nella ricerca della giustizia del Regno, non possiamo fermarci di fronte a difficoltà e incomprensioni. Se l'invito del Maestro alla giustizia, al servizio e all'amore viene accolto come Buona Novella, allora il cuore si allarga, si trasformano i criteri e nasce la cultura dell'amore e della vita. Questo è il grande cambiamento che la società attende e di cui ha bisogno; lo si potrà raggiungere solo se prima avrà luogo la conversione del cuore di ognuno come condizione per i necessari mutamenti nelle strutture della società.

6. «Lo Spirito del Signore mi ha mandato per proclamare ai prigionieri la liberazione (...) per rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4, 18). La buona novella di Gesù deve essere accompagnata da un annuncio di libertà, basato sul solido fondamento della verità: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 31-32). La verità a cui si riferisce Gesù non è solo la comprensione intellettuale della realtà, bensì la verità sull'uomo e la sua condizione trascendente, sui suoi diritti e doveri, sulla sua grandezza e i suoi limiti. È la stessa verità che Gesù proclamò con la sua vita, riaffermò di fronte a Pilato e, con il suo silenzio, di fronte ad Erode; è la stessa che lo portò alla croce salvifica e alla risurrezione gloriosa.

La libertà che non è fondata sulla verità condiziona l'uomo a tal punto che a volte lo rende oggetto anziché soggetto del contesto sociale, culturale, economico e politico, lasciandolo quasi totalmente privo d'iniziativa riguardo allo sviluppo personale. Altre volte, questa libertà è di tipo individualistico e, non tenendo conto della libertà degli altri, chiude l'uomo nel proprio egoismo. La conquista della libertà nella responsabilità rappresenta un compito imprescindibile per ogni persona. Per i cristiani, la libertà dei figli di Dio non è soltanto un dono e un compito; il suo conseguimento implica pure un'inestimabile testimonianza e un genuino contributo nel cammino di liberazione di tutto il genere umano. Questa liberazione non si riduce agli aspetti sociali e politici, ma raggiunge la sua pienezza nell'esercizio della libertà di coscienza, base e fondamento degli altri diritti umani.

(Rispondendo all'invocazione elevata dalla folla: «Il Papa vive e ci vuole tutti liberi!», Giovanni Paolo II ha aggiunto:)

Sì, vive con quella libertà alla quale Cristo vi ha liberato.

Per molti dei sistemi politici ed economici vigenti oggi, la sfida più grande continua ad essere rappresentata dal coniugare libertà e giustizia sociale, libertà e solidarietà, senza che nessuna di esse venga relegata ad un livello inferiore. In tal senso, la Dottrina sociale della Chiesa costituisce uno sforzo di riflessione e una proposta che cerca di illuminare e di conciliare i rapporti tra i diritti inalienabili di ogni uomo e le esigenze sociali, in modo che la persona porti a compimento le sue aspirazioni più profonde e la propria realizzazione integrale secondo la sua condizione di figlio di Dio e di cittadino. Di conseguenza, il laicato cattolico deve contribuire a questa realizzazione mediante l'applicazione degli insegnamenti sociali della Chiesa nei diversi ambienti, aperti a tutti gli uomini di buona volontà.

7. Nel Vangelo proclamato oggi la giustizia appare intimamente legata alla verità. È quello che si osserva anche nel pensiero lucido dei padri della Patria. Il Servo di Dio Padre Félix Varela, animato dalla fede cristiana e dalla fedeltà al ministero sacerdotale, pose nel cuore del popolo cubano i semi della giustizia e della libertà che egli sognava di veder germogliare in una Cuba libera e indipendente.

La dottrina di José Martí sull'amore tra tutti gli uomini ha radici profondamente evangeliche, superando così il falso conflitto tra la fede in Dio e l'amore e il servizio alla Patria. Scrive Martí: «Pura, disinteressata, perseguitata, martirizzata, poetica e semplice, la religione del Nazareno ha sedotto tutti gli uomini onesti... Ogni popolo ha bisogno di essere religioso. Lo deve essere non solo nella sua essenza, ma anche per sua utilità... Un popolo non religioso è destinato a morire, poiché in esso nulla alimenta la virtù. Le ingiustizie umane la disprezzano; è necessario che la giustizia celeste la garantisca».

Come sapete, Cuba possiede un'anima cristiana, e questo l'ha portata ad avere una vocazione universale. Chiamata a vincere l'isolamento, deve aprirsi al mondo e il mondo deve avvicinarsi a Cuba, al suo popolo, ai suoi figli, che ne rappresentano senza dubbio la maggiore ricchezza. È giunta l'ora di intraprendere i nuovi cammini che i tempi di rinnovamento in cui viviamo esigono, all'approssimarsi del Terzo millennio dell'era cristiana!

8. Carissimi fratelli: Dio ha benedetto questo popolo con autentici formatori della coscienza nazionale, chiari e fermi esponenti della fede cristiana, che è il più valido sostegno della virtù e dell'amore. Oggi i Vescovi, insieme ai sacerdoti, ai consacrati, alle consacrate e ai fedeli laici, si sforzano di costruire ponti per avvicinare le menti e i cuori, propiziando e consolidando la pace, preparando la civiltà dell'amore e della giustizia. Sono qui fra voi come messaggero della verità e della speranza. Per questo desidero ripetere il mio appello a lasciarvi illuminare da Gesù Cristo, ad accettare senza riserve lo splendore della sua verità, affinché tutti possano seguire il cammino dell'unità attraverso l'amore e la solidarietà, evitando l'esclusione, l'isolamento e lo scontro, che sono contrari alla volontà del Dio-Amore.

Che lo Spirito Santo illumini con i suoi doni quanti hanno responsabilità diverse nei confronti di questo popolo, che ho nel cuore. Che la «Virgen de la Caridad de El Cobre», Regina di Cuba, ottenga per i suoi figli i doni della pace, del progresso e della felicità.

Questo vento di oggi è molto significativo, perché il vento simboleggia lo Spirito Santo. «Spiritus spirat ubi vult, Spiritus vult spirare in Cuba». Le ultime parole sono in lingua latina perché Cuba appartiene anche alla tradizione latina. America latina, Cuba latina, lingua latina! «Spiritus spirat ubi vult et vult Cubam». Arrivederci.

(Giovanni Paolo II, omelia Piazza «José Martí» L’Avana 25 gennaio 1998)

 

 

Persona, estemporaneità, sinagoghe

 

Due Nomi di Dio

(Lc 4,21-30)

 

Il Vangelo di oggi – tratto dal capitolo quarto di san Luca – è la prosecuzione di quello di domenica scorsa. Ci troviamo ancora nella sinagoga di Nazaret, il paese dove Gesù è cresciuto e dove tutti conoscono lui e la sua famiglia. Ora, dopo un periodo di assenza, Egli è ritornato in un modo nuovo: durante la liturgia del sabato legge una profezia di Isaia sul Messia e ne annuncia il compimento, lasciando intendere che quella parola si riferisce a Lui, che Isaia ha parlato di Lui. Questo fatto suscita lo sconcerto dei nazaretani: da una parte, «tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca» (Lc 4,22); san Marco riferisce che molti dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data?» (6,2). D’altra parte, però, i suoi compaesani lo conoscono troppo bene: E’ uno come noi – dicono –. La sua pretesa non può essere che una presunzione » (cfr L’infanzia di Gesù, 11). «Non è costui il figlio di Giuseppe?» (Lc 4,22), come dire: un carpentiere di Nazaret, quali aspirazioni può avere?

Proprio conoscendo questa chiusura, che conferma il proverbio «nessun profeta è bene accetto nella sua patria», Gesù rivolge alla gente, nella sinagoga, parole che suonano come una provocazione. Cita due miracoli compiuti dai grandi profeti Elia ed Eliseo in favore di persone non israelite, per dimostrare che a volte c’è più fede al di fuori d’Israele. A quel punto la reazione è unanime: tutti si alzano e lo cacciano fuori, e cercano persino di buttarlo giù da un precipizio, ma Egli, con calma sovrana, passa in mezzo alla gente inferocita e se ne va. A questo punto viene spontaneo chiedersi: come mai Gesù ha voluto provocare questa rottura? All’inizio la gente era ammirata di lui, e forse avrebbe potuto ottenere un certo consenso… Ma proprio questo è il punto: Gesù non è venuto per cercare il consenso degli uomini, ma – come dirà alla fine a Pilato – per «dare testimonianza alla verità» (Gv 18,37). Il vero profeta non obbedisce ad altri che a Dio e si mette al servizio della verità, pronto a pagare di persona. E’ vero che Gesù è il profeta dell’amore, ma l’amore ha la sua verità. Anzi, amore e verità sono due nomi della stessa realtà, due nomi di Dio. Nella liturgia odierna risuonano anche queste parole di san Paolo: «La carità …non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità» (1 Cor 13,4-6). Credere in Dio significa rinunciare ai propri pregiudizi e accogliere il volto concreto in cui Lui si è rivelato: l’uomo Gesù di Nazaret. E questa via conduce anche a riconoscerlo e a servirlo negli altri.

In questo è illuminante l’atteggiamento di Maria. Chi più di lei ebbe familiarità con l’umanità di Gesù? Ma non ne fu mai scandalizzata come i compaesani di Nazaret. Ella custodiva nel suo cuore il mistero e seppe accoglierlo sempre di più e sempre di nuovo, nel cammino della fede, fino alla notte della Croce e alla piena luce della Risurrezione. Maria aiuti anche noi a percorrere con fedeltà e con gioia questo cammino.

[Papa Benedetto, Angelus 3 febbraio 2013]

 

Gesù è fastidioso e genera sospetto in coloro che amano schemi esteriori, perché proclama solo Giubileo, invece che confronto duro e vendetta. 

In sinagoga il suo villaggio resta perplesso su questo amore troppo comprensivo - proprio ciò di cui abbiamo bisogno.

Il luogo di culto è quello in cui i credenti sono stati educati al contrario!

Il loro carattere scontroso è frutto acerbo d’una religiosità martellante, che nega il diritto di esprimere idee e sentimenti.

Il codice “sinagogale” ha prodotto fedeli finti, condizionati da una personalità disarmonica e scissa.

Ancora oggi e sin da piccoli, quest’intima lacerazione si manifesta nell’eccesso di controllo sull’apertura verso gli altri.

Conseguenza: un’accentuazione dell’incertezza giovanile - sotto la quale cova chissà cosa - e un carattere rigido da adulti.

Insomma, il martellamento religioso che non fa il balzo della Fede ci blocca, impedisce di capire, e inquina tutta la vita.

 

Anche ai tempi di Gesù l’insegnamento arcaico acuiva nazionalismi, la percezione stessa di traumi o violazioni, e paradossalmente proprio le situazioni ingabbiate da cui si voleva uscire.

Spiritualità esclusiva: è vuota - rozza o sofisticata che sia.

Il pensiero selettivo è la peggiore malattia delle visioni del mondo - che poi stanno sempre a dirci come dobbiamo essere.

Così nella vita concreta non pochi fedeli preferiscono avere amici senza cecità conformiste o gli stessi vincoli di appartenenza.

 

A ben guardare, persino le realtà laicali più devote manifestano un’accentuata e strana dicotomia di relazioni - tribali e altro.

Papa Francesco si è espresso in modo nitido:

«È uno scandalo quello di persone che vanno in chiesa, che stanno lì tutti i giorni e poi vivono odiando gli altri e parlando male della gente: meglio vivere come ateo anziché dare una contro-testimonianza dell'essere cristiani».

Il mondo reale sveglia e stimola alla flessibilità degli standard, non inculca qualche vetero-esattezza, in clima d’ipnosi.

Oggi la realtà globale aiuta a smussare gli spigoli di conventicola [i quali hanno i loro rigurgiti, in termini di seduzione e risucchio].

Di fronte a tali convinzioni e illusioni il Profeta marca distanza; opera per diffondere consapevolezze, non immagini rassicuranti - né idee disincarnate.

Ma gli araldi critici irritano violentemente la folla degli abituali, i quali d’improvviso passano da una sorta di curiosità allo sdegno vendicativo.

Come nel paesino, così - si legge in filigrana - nella Città Santa [Monte Sion] da cui subito ti vogliono buttare giù (Lc 4,29).

Dovunque si parli di persona reale e sogni eterni: i suoi, non altrui.

 

Nell’ostilità che li attornia, gl’intimi del Signore sfidano a viso aperto le convinzioni normalizzate, acquisite dall’ambiente e non rielaborate.

Per loro non conta solo l’analogia calcolata a un contorno meschino. Vedono altri obbiettivi e non vogliono solo “arrivare”.

Se vengono sopraffatti, lasciano dietro sé quella scia d’intuizioni che prima o poi farà riflettere sia clan dannosissimi che opportunisti inutili.

In tal guisa, negli Amici e Fratelli è il Risorto stesso che scampa. E riprende il cammino, attraversando chi vuol farlo fuori (v. 30) per motivi d’interesse personale o tornaconto di quartiere.

 

In ogni tempo, i testimoni fanno pensare: non cercano complimenti e risultati piacevoli, ma recuperano i lati opposti e accettano la felicità altrui.

Sanno che l’Unicità deve fare la sua corsa: sarà ricchezza per tutti, e su questo punto non si lasciano inibire dalla nomenclatura.

Pur circondati dall’odio invidioso e mortale d’idioti astuti e sinagoghe consolidate, annunciano l’Amore in Verità - né bufale burine (approvate quanto vuote) né secondi fini (utilità in solido).

Infatti, senza mungere e tosare gli sprovveduti, tali missionari danno impulso al coraggio e alla crescita altrui, all’autonomia delle scelte.

Tutto ciò, favorendo la coesistenza degli invisibili e disprezzati; in un clima di comprensione e spontaneità.

Essi amano il rigoglio della vita, perciò discriminano tra religione e Fede: non si ergono a ripetitori di dottrine, prescrizioni, consuetudini.

Sulla base della personale esperienza del Padre, i fedeli ispirati valorizzano i diversi approcci, creando una stima sconosciuta.

Affrontano giovani mostri settari [direbbe il Pontefice], vecchi marpioni e i loro steccati, a viso aperto, caldeggiando nuovi atteggiamenti - differenti modi di rapportarsi con Dio.

Non per aggiungere proseliti e considerarsi indispensabili.

Anche se «in patria» (v. 24) sono personaggi scomodi per la mentalità ratificata, i nessuno-Profeti fanno sopravvivere il personalismo di Gesù, strappandolo da chi lo vuole sopito e sequestrato.

Come Lui, a rischio d’impopolarità e senza mendicare approvazioni.

 

Con le cicatrici di quel che è andato via, per un nuovo Viaggio.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

In “patria” sei considerato un bambinone del luogo, o un profeta? Un personaggio ratificato, o scomodo? A modo, o impopolare?

La tua testimonianza è trasgressiva o conformista? Fa sopravvivere il personalismo di Gesù, strappandolo da chi lo vuole sopito e sequestrato?

 

 

Dio vuole la fede, loro i miracoli: Dio a proprio vantaggio

Domenica scorsa la liturgia ci aveva proposto l’episodio della sinagoga di Nazaret, dove Gesù legge un passo del profeta Isaia e alla fine rivela che quelle parole si compiono “oggi”, in Lui. Gesù si presenta come colui sul quale si è posato lo Spirito del Signore, lo Spirito Santo che lo ha consacrato e lo ha mandato a compiere la missione di salvezza in favore dell’umanità. Il Vangelo di oggi (cfr Lc 4,21-30) è la prosecuzione di quel racconto e ci mostra lo stupore dei suoi concittadini nel vedere che uno del loro paese, «il figlio di Giuseppe» (v. 22), pretende di essere il Cristo, l’inviato del Padre.

Gesù, con la sua capacità di penetrare le menti e i cuori, capisce subito che cosa pensano i suoi compaesani. Essi ritengono che, essendo Lui uno di loro, debba dimostrare questa sua strana “pretesa” facendo dei miracoli lì, a Nazaret, come ha fatto nei paesi vicini (cfr v. 23). Ma Gesù non vuole e non può accettare questa logica, perché non corrisponde al piano di Dio: Dio vuole la fede, loro vogliono i miracoli, i segni; Dio vuole salvare tutti, e loro vogliono un Messia a proprio vantaggio. E per spiegare la logica di Dio, Gesù porta l’esempio di due grandi profeti antichi: Elia ed Eliseo, che Dio aveva mandato a guarire e salvare persone non ebree, di altri popoli, ma che si erano fidate della sua parola.

Di fronte a questo invito ad aprire i loro cuori alla gratuità e alla universalità della salvezza, i cittadini di Nazaret si ribellano, e addirittura assumono un atteggiamento aggressivo, che degenera al punto che «si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero sul ciglio del monte […], per gettarlo giù» (v. 29). L’ammirazione del primo istante si è mutata in un’aggressione, una ribellione contro di Lui.

E questo Vangelo ci mostra che il ministero pubblico di Gesù comincia con un rifiuto e con una minaccia di morte, paradossalmente proprio da parte dei suoi concittadini. Gesù, nel vivere la missione affidatagli dal Padre, sa bene che deve affrontare la fatica, il rifiuto, la persecuzione e la sconfitta. Un prezzo che, ieri come oggi, la profezia autentica è chiamata a pagare. Il duro rifiuto, però, non scoraggia Gesù, né arresta il cammino e la fecondità della sua azione profetica. Egli va avanti per la sua strada (cfr v. 30), confidando nell’amore del Padre.

Anche oggi, il mondo ha bisogno di vedere nei discepoli del Signore dei profeti, cioè delle persone coraggiose e perseveranti nel rispondere alla vocazione cristiana. Persone che seguono la “spinta” dello Spirito Santo, che le manda ad annunciare speranza e salvezza ai poveri e agli esclusi; persone che seguono la logica della fede e non del miracolismo; persone dedicate al servizio di tutti, senza privilegi ed esclusioni. In poche parole: persone che si aprono ad accogliere in sé stesse la volontà del Padre e si impegnano a testimoniarla fedelmente agli altri.

Preghiamo Maria Santissima, perché possiamo crescere e camminare nello stesso ardore apostolico per il Regno di Dio che animò la missione di Gesù.

[Papa Francesco, Angelus 3 febbraio 2019]

 

 

La Liberazione dal quietismo e dalla mentalità automatica

(Lc 4,31-37)

 

Nel terzo Vangelo i primi segni del Signore sono il tranquillo scampare alle minacce di morte (agitate dalla sua gente!) e la guarigione del posseduto.

In tale modo di narrare la vicenda di Gesù, Lc indica le priorità che le sue comunità vivevano: anzitutto, bisognava sospendere le lotte intime, inculcate dalla tradizione giudaizzante e dal suo “saper stare al mondo”.

Nel paesino cocciuto e conformista di Nazaret il Maestro non riesce a comunicare la sua novità, e si vede costretto a cambiare residenza.

Non si rassegna, anzi: Cafarnao era all’incrocio di strade importanti, il che facilitava contatti e divulgazione.

Fra persone di tutti i ceti, il Figlio di Dio desiderava creare una coscienza fortemente critica verso le dottrine omologate dei capi religiosi.

Egli non citava meccanicamente gl’insegnamenti - modesti - delle autorità, ma partiva dalla sua esperienza di vita e dal rapporto vivo col Padre.

Non cercava appoggi, né per vivere sicuro e neppure per l’Annuncio - così creava menti sgombre e un fremito inconsueto.

In tal modo, nelle anime sospendeva i consueti dubbi di coscienza, le solite battaglie inoculate dalla cappa costume-dottrina-morale, e le sue lacerazioni interiori.

In modo trasparente e totalmente non artificioso, ancora oggi Cristo [nei suoi] scampa il male e lotta contro le forze plagianti, riduttive della nostra personalità.

Nella mentalità degli automatismi privi di Fede personale, a quel tempo sembrava che ci si trovasse quasi a dover subire le potenze del convincimento esterno.

Tutto ciò per evitare di esser emarginati dalla “nazione” [e da “gruppi” regolati sul conformismo].

Vale anche per noi.

Il dovere di partecipare a rituali collettivi - qui il sabato in sinagoga - rischia di attenuare la nostalgia intima del “noi stessi” che fornisce nutrimento all’eccezionalità vocazionale.

Originalità della storia della salvezza che viceversa potremmo diventare, senza la palla al piede di alcune regole del quieto vivere, al minimo - ritmato di momenti sociali consuetudinari e giorni simbolici [talora svuotati di senso].

(Tutto nei modi trasandati e meccanici che sappiamo a memoria, e non vogliamo più, perché sentiamo che non ci fanno raggiungere un livello superiore).

Il Maestro in noi ancora oggi fronteggia il potere che riduce le persone nella condizione di faciloneria senza originalità: un grigio e perpetuo tran-tran allergico alle differenze.

Apatia che produce paludi e camposanti anticipati, dove nessuno protesta ma neppure stupisce.

 

Nel Vangelo, la persona che d’improvviso fa scintille era da sempre un tranquillo frequentatore di assemblea, che stancamente trascinava la sua vita spirituale in piccoli ambiti senza colore, privi di largo respiro e ritmo.

Ma la Parola del Signore ha in sé una carica reale: la forza della beatitudine del vivere, del creare, dell’amare in verità - che non odia le caratteristiche eccentriche.

Dove giunge tale Appello vengono smascherati e saltano fuori dalle tane [prima simulate, concordiste, assuefatte, artificiosamente omologate] tutti i demoni che non t’aspetti.

Chi incontra Cristo è rovesciato dallo strapuntino abulico, seduta stante; vede le sue certezze buttate all’aria

Rivolgimento che consente alle sfaccettature celate o represse di fare la loro parte - anche se non sono “come dovrebbero essere”.

Insomma, il Vangelo invita ad accogliere tutto ciò che c’è in noi, così com’è, non attenuato; moltiplicando le energie - perché dentro si annida il meglio della nostra Chiamata alla personale Missione.

In Cristo, i nostri poliedrici volti (pur contraddittori) possono scendere in campo insieme, senza più reprimere i territori preziosi dell’anima, dell’essenza, del carattere, di un’altra persuasione - anche lontana o irripetibilmente singolare.

L’habitué delle assemblee viene sì scomodato e interpellato, ma almeno non rimane imbambolato come prima: fa un progresso vistoso dall’esistenza assopita e rituale - piegata, ripetitiva, spenta e finta.

È liberato faccia a faccia da tutte le propagande e luoghi comuni che prima lo tenevano buono, soggiogato, a guinzaglio delle “autorità” e dell’ambiente conservativo che respingeva ogni entusiasmo.

La nenia del luogo e tempo sacri era una litania che tutto sommato ci poteva stare, ma la proposta critica di Gesù restituisce coscienza e libertà da territori inculcati, infondendo stima, capacità di pensiero e voglia di fare.

Ora non più in disparte, ma in mezzo alla gente (v.35).

Dalla stanchezza dell’assuefazione prettamente cultuale, e persino attraverso una protesta che rompe l’apatia, la Persona divina e il suo Richiamo ci destano. Costringono a una vita da salvati, di nuova testimonianza che sembrava impossibile.

Senza tanti complimenti e per farci correre privi d’ipocrisie celate dentro, anche a noi il Signore tira fuori tutte le rabbie, i disaccordi e le alienazioni.

Non basta più fare numero (allineati e coperti), ormai bisogna scegliere.

 

La differenza tra religiosità comune e Fede? Lo stupore d’una Felicità profonda, personale, inattesa.

Infatti, via da pesi abitudinari e mentali, spegneremo le guerre con noi stessi e andremo a braccetto perfino coi nostri difetti - scoprendone la nascosta fecondità.

 

 

Per interiorizzare e vivere il messaggio:

 

L’incontro con Gesù vivo nella Chiesa ti ha liberato da forme di alienazione e restituito a te stesso o ti ha fatto tornare a chiedere appoggi, conferme sacrali e quiete - come frequentassi una zona-relax?

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don Giuseppe Nespeca

Giuseppe Nespeca è architetto e sacerdote. Cultore della Sacra scrittura è autore della raccolta "Due Fuochi due Vie - Religione e Fede, Vangeli e Tao"; coautore del libro "Dialogo e Solstizio".

«The Spirit of the Lord is upon me, because he has anointed me to preach good news to the poor» (Lk 4:18). Every minister of God has to make his own these words spoken by Jesus in Nazareth [John Paul II]
«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunziare un lieto messaggio» (Lc 4, 18). Ogni ministro di Dio deve far sue nella propria vita queste parole pronunciate da Gesù di Nazareth [Giovanni Paolo II]
It is He himself who comes to meet us, who lowers Heaven to stretch out his hand to us and raise us to his heights [Pope Benedict])
È Lui stesso che ci viene incontro, abbassa il cielo per tenderci la mano e portarci alla sua altezza [Papa Benedetto]
As said s. Augustine: «The Word of God which is explained to you every day and in a certain sense "broken" is also daily Bread». Complete food: basic and “compote” food - historical and ideal, in actuality
Come diceva s. Agostino: «La Parola di Dio che ogni giorno viene a voi spiegata e in un certo senso “spezzata” è anch’essa Pane quotidiano». Alimento completo: cibo base e “companatico” - storico e ideale, in atto
Yet Jesus started from there: not from the forecourt of the temple of Jerusalem, but from the opposite side of the country, from Galilee of the nations, from the border region. He started from a periphery. Here there is a message for us: the word of salvation does not go looking for untouched, clean and safe places. Instead, it enters the complex and obscure places in our lives. Now, as then, God wants to visit the very places we think he will never go (Pope Francis)
Eppure Gesù cominciò da lì: non dall’atrio del tempio di Gerusalemme, ma dalla parte opposta del Paese, dalla Galilea delle genti, da un luogo di confine. Cominciò da una periferia. Possiamo cogliervi un messaggio: la Parola che salva non va in cerca di luoghi preservati, sterilizzati, sicuri. Viene nelle nostre complessità, nelle nostre oscurità. Oggi come allora Dio desidera visitare quei luoghi dove pensiamo che Egli non arrivi (Papa Francesco)
“Lumen requirunt lumine”. These evocative words from a liturgical hymn for the Epiphany speak of the experience of the Magi: following a light, they were searching for the Light. The star appearing in the sky kindled in their minds and in their hearts a light that moved them to seek the great Light of Christ. The Magi followed faithfully that light which filled their hearts, and they encountered the Lord (Pope Francis)
«Lumen requirunt lumine». Questa suggestiva espressione di un inno liturgico dell’Epifania si riferisce all’esperienza dei Magi: seguendo una luce essi ricercano la Luce. La stella apparsa in cielo accende nella loro mente e nel loro cuore una luce che li muove alla ricerca della grande Luce di Cristo. I Magi seguono fedelmente quella luce che li pervade interiormente, e incontrano il Signore (Papa Francesco)
John's Prologue is certainly the key text, in which the truth about Christ's divine sonship finds its full expression (John Paul II)
Il Prologo di Giovanni è certamente il testo chiave, nel quale la verità sulla divina figliolanza di Cristo trova la sua piena espressione (Giovanni Paolo II)
The lamb is not a ruler but docile, it is not aggressive but peaceful; it shows no claws or teeth in the face of any attack; rather, it bears it and is submissive. And so is Jesus! So is Jesus, like a lamb (Pope Francis)
L’agnello non è un dominatore, ma è docile; non è aggressivo, ma pacifico; non mostra gli artigli o i denti di fronte a qualsiasi attacco, ma sopporta ed è remissivo. E così è Gesù! Così è Gesù, come un agnello (Papa Francesco)

Due Fuochi due Vie - Vol. 1 Due Fuochi due Vie - Vol. 2 Due Fuochi due Vie - Vol. 3 Due Fuochi due Vie - Vol. 4 Due Fuochi due Vie - Vol. 5 Dialogo e Solstizio I fiammiferi di Maria

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