Lo spirito immondo e tranquillo, in sinagoga
(Mc 1,21b-28)
Nella confusione della sanguinosa guerra civile in atto (68-69) le comunità romane chiedono orientamento.
Descrivendo l’inizio dell'attività del Signore, Mc indica come annunciare: non più poggiando su precedenti maestri.
L’Evangelo vuole sostituire i proclami imperiali di vittoria e benessere (età dell’oro), e si distacca dai messaggi di altre religioni.
Gli episodi della vita di Gesù interpellano il cuore, creando una coscienza critica - meno artificiosa, più naturale.
Dopo aver invitato i primi discepoli alla sequela (Mc 1,16-20) facendoli «pescatori di uomini», Cristo porta i suoi - appunto - alla “pesca”.
La sorpresa è paradossale, e sta nel primo degli ambienti che indica. Quello che oggi - non a caso - fa più fatica a reggere tutto, come un tempo.
Insomma, volendo ricalcare il Figlio di Dio, sembra che per sollevare le persone da situazioni di morte bisogna iniziare non da un luogo di peccato e malaffare, bensì da case di onesta religione e vita pia!
Non a caso il giovane Rabbi viene denominato «Nazareno» (v.24), che nel linguaggio del tempo - alludendo al territorio di Nazaret - significava testa calda, sovversivo, rivoluzionario.
Come dire: le antiche “sinagoghe” paiono voler celebrare e lodare Dio, viceversa lo umiliano [e soffocano il suo progetto di umanizzazione].
Non si affidano al Mistero, che si dipana nel mondo interno - nello stesso affiorare personale di talenti e passione.
Le autorità religiose usavano il Nome divino solo per difendere il proprio status sociale, inculcando nel popolo una condotta da subordinati, e un mondo di pensieri o dottrine a loro immagine somiglianza.
A quel tempo, infatti, i leaders imponevano a tutti i ceti una sorta di spiritualità dell’immobilismo, rassicurante e manipolatoria.
La Lieta Notizia recata dal Maestro - invece - crea sintonie proprio con il desiderio di pienezza di vita che ciascun uomo porta in sé.
Di qui una grande riforma e rovesciamento, rispetto a tutte le credenze diffuse nell’impero.
La Parola nuova si erge su tutte le narrazioni antiche, e le soppianta radicalmente, anche dal punto di vista del costume.
Essa non è radicata in nessuna cappa artificiosa, o consuetudine, né alienazione, tantomeno calcolo di contrabbando e di greppia.
Malgrado i manti artificiosi e tipici, tale Logos essenziale si annida spontaneamente nell’anima di ciascuna donna e uomo, e si conosce immediatamente, nella loro esistenza reale.
Di conseguenza, è Verbo autentico, senza proiezioni antiche o schematiche, disincarnate e alla moda; piuttosto, insolite. Così molestando davvero l’istituzione ufficiale.
E - ancora oggi - provocando reazioni sia tra gli ammansiti dell’osservanza, che tra i finti fenomeni à la page del riformismo senza costrutto; astratto, sofisticato, cerebrale, patinato.
Sono pur “luoghi” variegati, questi delle varie dottrine… però in cui c’è qualcuno che rimane sempre in un cantuccio calmo e tranquillo, e non reca il minimo disturbo.
Ma a un certo punto scatta (v.23).
Non sono le preghiere e i canti che lo fanno esplodere e imprecare, ma il nuovo insegnamento.
Dove arriva il Maestro, l’antico equilibrio stagnante e compromissorio non può continuare.
La sua Presenza non è conciliabile con le forze opposte - del letargo, o delle fantasie ventose di sedicenti profeti.
Prima di Gesù, in sinagoga la situazione era di “pace”: una quiete e una mentalità corrente che andavano bene a tutti.
Ma i due poli sono avversari acerrimi: non si sopportano, fanno subito scintille.
La catechesi di Mc invita a comparare l’esperienza di ciascuno alla vita non rassegnata del Figlio.
Egli non istruiva le persone semplici in modo esterno, facendo buon viso a cattivo gioco - citando a memoria le autorità comunemente accettate.
Partiva dall’esperienza personale del Padre, e dalla sua stessa vita concreta. Così noi.
In Cristo, immersi nella sua stessa Fede, i credenti scrutano fatti e sentimenti profondi; non si limitano alle nobili esortazioni. Questo il “guaio”.
I fratelli del Signore non ripetono luoghi comuni, altrui.
Piuttosto, combattono ed espellono con decisione il potere del male che s’impossessa delle creature e le allinea, le aliena.
L’uomo che grida contro Gesù parla al plurale (v.24; cf. Lc 4,34) proprio perché l’Evangelo va a promuovere le ricchezze personali e intaccare interessi di cerchia.
Si tratta delle cordate di falsi amici di Dio; non di rado, proprio quelli che aprono bocca a suo nome (v.24c).
Lo spirito dei credenti abitudinari e assuefatti o interessati all’ordine si rendono conto che nell’uomo immagine vera del Padre giunge Chi è in grado di far crollare il loro castello di carte, e si spaventano.
Ovvio lo scontro. Altro che buonismi innocui e di facciata.
Quando queste energie contrarie si ritrovano, si fronteggiano senza esclusione di colpi.
Sono ostili e finiscono per aggredirsi - non c’è zucchero filato o manierismo che tenga.
Il “posseduto” proclama il Nome del giovane Rabbi (v.24a), sperando di mostrarsi superiore e impossessarsi di Lui.
Ma il Figlio di Dio non si lascia ghermire dai giochetti.
I falsi insegnamenti della religione normalizzata - di qualsiasi estrazione - avevano inculcato nell’animo delle persone che il «santo di Dio» si sarebbe presentato in modo eloquente, perentorio.
Costui non poteva essere altro che un personaggio eminente e celebrato: sovrano, condottiero, sommo sacerdote... così richiamando le consuetudini distintive del popolo eletto.
Ma nei frequentatori di “sinagoga” tale convincimento recava con sé uno spirito di soggezione e morte che produceva personalità sedate, abitudinarie. Assoggettate a osservanze blande, troppo comuni; infine solo rassicuranti.
Eppure ora quello stesso spirito assuefatto si sente minacciato - invece che conformisticamente rispecchiato. Così pretende di mettere a cuccia nel Figlio pure lo stesso Dio che proclama.
A cospetto della Parola-evento che fa quel che dice, il re è nudo. Non l’irenismo pacioccone, bensì il conflitto è dietro l’angolo.
Le potenze che c’imbrigliano con festival ripetitivi e si nutrono d’illusioni rinunciatarie, vedono sgretolare l’inerzia e i guinzagli che hanno fatto la loro fortuna.
«E lo [spirito] immondo, contorcendolo e gridando a gran voce, uscì da lui» (v.26). Perché «contorcendolo»?
È davvero straziante scoprire che stili di vita e condizionamenti ideali possono portare fuori strada.
E in tal guisa, tante minuzie inculcate come sacri valori sono forse proprio quelle che allontanano da un dialogo d’amore con Dio.
Anche oggi una sottile propaganda ingannatrice e omologante tende a sequestrare e alienare l’anima personale; a raccomandare l’inazione - o il suo eccesso - e lacerarci in prestazioni [es. di potere e denaro].
Un’atmosfera opprimente, quella che a volte subiamo, sotto la cappa di situazioni piramidali e assuefazioni.
Tutta schiavizzante i semplici; con formalità, ossessioni moraliste, e modi di essere (o meglio, apparire) confezionati.
Chi evangelizza sul serio distacca le persone dall’ideologia banalizzante, dalle maniere del pensiero unico locale - tradizionalista o d’avanguardia che sia.
Esso può sembrare segnatamente idealista, o lancinante e impegnato, ma poi resta assopito nelle pratiche e dottrine che tradiscono le aspettative profonde della nostra vocazione autentica.
Insomma, la cappa degli artifizi umilia l’esistenza in pienezza; affievolisce e spegne il passo della nostra eccezionalità irripetibile, sulla quale il Padre intende edificare la sua stessa Novità.
In Cristo, l’«insegnamento nuovo» è una «didachè kainè» (v.27), che nell’espressione greca sottolinea appunto un richiamo di qualità superiore; in grado di soppiantare quanto permane paludoso.
Un Appello che rimpiazza, sostituisce completamente tutto il resto. E non sarà superato.
Parola che mette a nudo e spazza via le zavorre, nonché tutte le impalcature condizionanti - insieme al senso di colpa inculcato dalle solite guide dozzinali e interessate.
Morale: donne e uomini umanizzano; ricominciano a vivere e respirare.
Non si lasciano più plagiare da idee e limiti; convinzioni estranee, opportuniste, soporifere, o dissociate, isteriche [colme di proiezioni; vuote, non radicate].
«Didachè kainè»: essa scalza l’identificazione forzata, e una visione della vita che rende stagnanti, unilaterali.
Ora se ci ritroviamo posseduti da poteri a senso unico, esterni e disumanizzanti, veniamo messi faccia a faccia con Dio - senza prima le lunghe trafile che ci fanno monocromatici.
E qui abilitati a ritrovare noi stessi, anche negli opposti; nonché il discrimine dell’impegno, il motivo per cui siamo nati.
Abilitati ormai a valicare gli idoli che sequestrano i sogni, e l’entusiasmo che parte da dentro. Con voglia di rinascere.
Esodo frutto di alleanza coi nostri lati poliedrici, tutti indispensabili per un completamento della personalità, e per l’evoluzione.
Insomma, il Figlio Presente ci restituisce consapevolezza della Chiamata a Libertà - prima senza costrutto. Vocazione già radicata; però senza facilonerie.
Fa recuperare (in primis a noi, che frequentiamo abitudinariamente i luoghi di culto) un perfetto giudizio personale, una impensabile purezza.
La svolta arriva subito. Anche nella profondità, come nell’eccesso.
Per interiorizzare e vivere il messaggio:
Sei credibile e libero, ossia pieno di passioni e profondità?
Ti affidi al mondo interno, o a quello (un po’ troppo) dell’esterno?
Dopo aver ascoltato e accolto te stesso e la realtà che viene, ti metti a repentaglio o sei di quelli del «ne quid nimis» - nulla di eccessivo?